Anarchismo e Politica: La revisione di Berneri: differenze tra le versioni

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==Contro l'autonomia della politica==
==Contro l'autonomia della politica==
Berneri è appena conosciuto come “martire” della guerra civile spagnola, assassinato perché si opponeva ai diktat di Mosca che intendeva soffocare il “cattivo esempio” della rivoluzione libertaria (ufficialmente per accontentare la Società delle Nazioni restaurando la “repubblica di tutte le classi”: in realtà Stalin usava la Spagna come pedina di scambio per concludere il patto di non aggressione con la Germania nazista). Scomoda per tutti (fascisti, comunisti, cattolici e “liberali”), la sua opera – pubblicata parzialmente e con gran ritardo – è passata in secondo piano. Anche una certa “ortodossia anarchica”, anziché lo sperimentalismo antidogmatico di Berneri, ha valorizzato soprattutto le sue critiche ai ministri dell'anarcosindacalista CNT – maggiore sindacato iberico – nel governo repubblicano del ‘36-‘39. In realtà , c'è molto di più: un lascito teorico impressionante ancora di grande attualità.  
Berneri è appena conosciuto come “martire” della guerra civile spagnola, assassinato perché si opponeva ai diktat di Mosca che intendeva soffocare il “cattivo esempio” della rivoluzione libertaria (ufficialmente per accontentare la Società delle Nazioni restaurando la “repubblica di tutte le classi”: in realtà Stalin usava la Spagna come pedina di scambio per concludere il patto di non aggressione con la Germania nazista). Scomoda per tutti (fascisti, comunisti, cattolici e “liberali”), la sua opera – pubblicata parzialmente e con gran ritardo – è passata in secondo piano. Anche una certa “ortodossia anarchica”, anziché lo sperimentalismo antidogmatico di Berneri, ha valorizzato soprattutto le sue critiche ai ministri dell'anarcosindacalista CNT – maggiore sindacato iberico – nel governo repubblicano del ‘36-‘39. In realtà, c'è molto di più: un lascito teorico impressionante ancora di grande attualità.  
Di fronte alla “crisi della politica” ed alla débacle della sinistra marxista, anche l'area del “socialismo irregolare” – “prossima”, ma non coincidente con l'anarchismo – stenta a trovare risposte adeguate. In Italia, come segretario dell'Unicobas sono indotto da fatti e comportamenti ad affrontare queste tematiche. Da una parte vedo riproporre la prassi “gruppettara” delle conventio ad escludendum, dei servizi d'ordine che impongono alle piazze sempre più anacronistici “leaders” – l'un contro l'altro armato – che fanno e disfano “cartelli” per la lottizzazione e l'egemonia sulle lotte e sui cortei (spesso mere rappresentazioni): coazione a ripetere le tare della vechia-nuova sinistra che, sotto forma di farsa, rigenerano la malattia del leninismo. Dall'altra, i settori più sinceri paiono succubi di un anti-ideologismo di maniera che rigetta e “parifica” tutte le esperienze storiche, compresa la grande tradizione del socialismo libertario. Il rifiuto di un'indagine senza preconcetti sugli errori del passato non porta risposte per il futuro.  
Di fronte alla “crisi della politica” ed alla débacle della sinistra marxista, anche l'area del “socialismo irregolare” – “prossima”, ma non coincidente con l'anarchismo – stenta a trovare risposte adeguate. In Italia, come segretario dell'Unicobas sono indotto da fatti e comportamenti ad affrontare queste tematiche. Da una parte vedo riproporre la prassi “gruppettara” delle conventio ad escludendum, dei servizi d'ordine che impongono alle piazze sempre più anacronistici “leaders” – l'un contro l'altro armato – che fanno e disfano “cartelli” per la lottizzazione e l'egemonia sulle lotte e sui cortei (spesso mere rappresentazioni): coazione a ripetere le tare della vechia-nuova sinistra che, sotto forma di farsa, rigenerano la malattia del leninismo. Dall'altra, i settori più sinceri paiono succubi di un anti-ideologismo di maniera che rigetta e “parifica” tutte le esperienze storiche, compresa la grande tradizione del socialismo libertario. Il rifiuto di un'indagine senza preconcetti sugli errori del passato non porta risposte per il futuro.  
La militanza “antagonista”, eco-sociale e libertaria, si trova così divisa verticalmente fra una maggioranza di gruppi e “cani sciolti” che opera sul territorio ed una (ben divisa e strutturata) minoranza d'apparato che si limita a “capitalizzare” – a proprio uso e consumo – il lavoro di base, trasformandolo in elemento di mera “rappresentanza” per una schiera autoreferenziale di “portavoce” mediatici fermi agli anni ‘70. Ma tutto ciò ha origini ben precise e la ricerca della “pietra filosofale” non ha senso: non calerà dal cielo un nuovo Bakunin, tantomeno un nuovo Marx. Basterebbe invece esaminare la storia per capire che occorre fare quel che non s'è mai fatto: operare una riconversione etica della politica. Il fine non giustifica i mezzi, sono bensì questi ultimi a determinare automaticamente i risultati.
La militanza “antagonista”, eco-sociale e libertaria, si trova così divisa verticalmente fra una maggioranza di gruppi e “cani sciolti” che opera sul territorio ed una (ben divisa e strutturata) minoranza d'apparato che si limita a “capitalizzare” – a proprio uso e consumo – il lavoro di base, trasformandolo in elemento di mera “rappresentanza” per una schiera autoreferenziale di “portavoce” mediatici fermi agli anni ‘70. Ma tutto ciò ha origini ben precise e la ricerca della “pietra filosofale” non ha senso: non calerà dal cielo un nuovo Bakunin, tantomeno un nuovo Marx. Basterebbe invece esaminare la storia per capire che occorre fare quel che non s'è mai fatto: operare una riconversione etica della politica. Il fine non giustifica i mezzi, sono bensì questi ultimi a determinare automaticamente i risultati.
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Ha scritto Pier Carlo Masini che Berneri: “(...) trasferiva la tematica federalista all'interno del movimento operaio, fino ad allora egemonizzato dal centralismo di marca germanico-socialdemocratica e di marca russo-bolscevica”. Il lodigiano scrisse: “io sono semplicemente autonomista-federalista (Cattaneo completato da Salvemini e dal Sovietismo)”. Quello di Berneri, era un sovietismo sociale, molto critico rispetto all'anarchismo “dagli occhiali rosa” di kropotkiniana memoria. I corporativismi locali e la “giustizia popolare” sono rischi che non si possono correre. La libertà non è quindi mai assoluta, perché deve contemperare il rispetto di precisi doveri verso gli altri. A tal fine la collettività esprime una sua autorevolezza che è altra cosa rispetto all'autoritarismo: “All'autorità formale del grado e del titolo anteponiamo l'autorità reale del valore e della preparazione individuali. Questo senza cadere in una dialettica fusione, o confusione, dei contrari”. La libertà non è nulla, se non finalizzata, e non è possibile un'eguaglianza generale fra gli esseri umani raggiunta per diktat ideologico. Occorre ripartire dall'impegno su valori condivisi e dall'impiego degli stessi come metro comune. Berneri ribadisce: “Qualunque società non può soddisfare interamente i bisogni di libertà dei singoli. La volontà delle maggioranze non è sempre conciliabile con quella delle minoranze. Qualunque forma politica presuppone la subordinazione delle minoranze. Quindi autorità. Sfuggire l'autorità vale fuggire la società. Nella botte di Diogene può stare il singolo, un popolo ha bisogno della città ”.
Ha scritto Pier Carlo Masini che Berneri: “(...) trasferiva la tematica federalista all'interno del movimento operaio, fino ad allora egemonizzato dal centralismo di marca germanico-socialdemocratica e di marca russo-bolscevica”. Il lodigiano scrisse: “io sono semplicemente autonomista-federalista (Cattaneo completato da Salvemini e dal Sovietismo)”. Quello di Berneri, era un sovietismo sociale, molto critico rispetto all'anarchismo “dagli occhiali rosa” di kropotkiniana memoria. I corporativismi locali e la “giustizia popolare” sono rischi che non si possono correre. La libertà non è quindi mai assoluta, perché deve contemperare il rispetto di precisi doveri verso gli altri. A tal fine la collettività esprime una sua autorevolezza che è altra cosa rispetto all'autoritarismo: “All'autorità formale del grado e del titolo anteponiamo l'autorità reale del valore e della preparazione individuali. Questo senza cadere in una dialettica fusione, o confusione, dei contrari”. La libertà non è nulla, se non finalizzata, e non è possibile un'eguaglianza generale fra gli esseri umani raggiunta per diktat ideologico. Occorre ripartire dall'impegno su valori condivisi e dall'impiego degli stessi come metro comune. Berneri ribadisce: “Qualunque società non può soddisfare interamente i bisogni di libertà dei singoli. La volontà delle maggioranze non è sempre conciliabile con quella delle minoranze. Qualunque forma politica presuppone la subordinazione delle minoranze. Quindi autorità. Sfuggire l'autorità vale fuggire la società. Nella botte di Diogene può stare il singolo, un popolo ha bisogno della città ”.
Berneri non crede alla giustizia sommaria delle masse, né alla società “trasparente” impaludata su se stessa senza istituzioni. La società libertaria si deve creare intorno alla responsabilità e quindi anche con l'accettazione di regole, condivise ma cogenti: “(...) un minimo di diritto penale è necessario come un minimo di autorità (...) credo che l'idea di giustizia sia nel popolo, ma non credo alla giustizia popolare, intesa come giustizia di folle”. La massa non è composta né da libertari nati, né da cherubini. Chi lo afferma è un illuso ed un semplicista: “La negazione a priori dell'autorità si risolve in un angelicarsi degli uomini ed in uno sviluppo irrompente di un genio collettivo, quasi immanente alla rivoluzione, che si chiama iniziativa popolare”.  
Berneri non crede alla giustizia sommaria delle masse, né alla società “trasparente” impaludata su se stessa senza istituzioni. La società libertaria si deve creare intorno alla responsabilità e quindi anche con l'accettazione di regole, condivise ma cogenti: “(...) un minimo di diritto penale è necessario come un minimo di autorità (...) credo che l'idea di giustizia sia nel popolo, ma non credo alla giustizia popolare, intesa come giustizia di folle”. La massa non è composta né da libertari nati, né da cherubini. Chi lo afferma è un illuso ed un semplicista: “La negazione a priori dell'autorità si risolve in un angelicarsi degli uomini ed in uno sviluppo irrompente di un genio collettivo, quasi immanente alla rivoluzione, che si chiama iniziativa popolare”.  
Il lodigiano non si fermò certo a vaghi proclami “millenaristi” relativi ad automatiche “palingenesi sociali”: indagò sulla diversità strutturale che intercorre fra le istituzioni proprie della società civile e le categorie imposte dallo stato, ipotizzando la leva del contrasto fra le prime e le seconde al fine di una strategia di liberazione e di ricostruzione rivoluzionaria. Questa è una lezione anche per i nostri giorni. Origina una riflessione sulle istituzioni delle quali la società civile dovrà dotarsi, le regole che verranno, la struttura economica che si darà e principalmente i meccanismi decisionali atti a definire il tutto. Ciò comporta necessariamente il riconoscimento di una differenza radicale fra istituzioni e stato, nell'ambito della realizzazione dell'autonomia della società civile federalista rispetto ad ogni entità centralistica. In poche parole, per essere credibile, la lotta contro lo stato deve essere animata da una prospettiva di organizzazione futura capace già di mettere in crisi l'entità statuale oggi per abolirla domani. La scuola, ad esempio, è una istituzione che va diretta e gestita dalla società civile, come “sfera pubblica non statale”, in alternativa al privato, ma anche alla "ragion di stato" (si pensi, ad esempio, alla redazione dei programmi di storia in ordine a libertà d'insegnamento e d'apprendimento). Così le mille altre realtà , secondo un sistema che si organizza dal semplice al complesso, esistendo altresì una naturale differenza, sia di livello che organizzativa e giuridica, fra istituzioni e servizi.  
Il lodigiano non si fermò certo a vaghi proclami “millenaristi” relativi ad automatiche “palingenesi sociali”: indagò sulla diversità strutturale che intercorre fra le istituzioni proprie della società civile e le categorie imposte dallo stato, ipotizzando la leva del contrasto fra le prime e le seconde al fine di una strategia di liberazione e di ricostruzione rivoluzionaria. Questa è una lezione anche per i nostri giorni. Origina una riflessione sulle istituzioni delle quali la società civile dovrà dotarsi, le regole che verranno, la struttura economica che si darà e principalmente i meccanismi decisionali atti a definire il tutto. Ciò comporta necessariamente il riconoscimento di una differenza radicale fra istituzioni e stato, nell'ambito della realizzazione dell'autonomia della società civile federalista rispetto ad ogni entità centralistica. In poche parole, per essere credibile, la lotta contro lo stato deve essere animata da una prospettiva di organizzazione futura capace già di mettere in crisi l'entità statuale oggi per abolirla domani. La scuola, ad esempio, è una istituzione che va diretta e gestita dalla società civile, come “sfera pubblica non statale”, in alternativa al privato, ma anche alla "ragion di stato" (si pensi, ad esempio, alla redazione dei programmi di storia in ordine a libertà d'insegnamento e d'apprendimento). Così le mille altre realtà, secondo un sistema che si organizza dal semplice al complesso, esistendo altresì una naturale differenza, sia di livello che organizzativa e giuridica, fra istituzioni e servizi.  
Elemento centrale è il decentramento amministrativo, che ha nei comuni i principali punti di riferimento, così come, tramite l'anarcosindacalismo, lo sono i comitati di gestione della produzione e dei servizi espressi dal mondo del lavoro. In ordine a tali questioni eminentemente pratiche, aventi a che fare con la vita di tutti giorni e con la rifondazione di un senso e di una codifica del diritto atti a gestire la convivenza, gli scambi e la produzione, occorre per Berneri disperdere definitivamente l'ombra dello stato. Ma non sarà impugnando le armi spuntate fornite dalle astrazioni ideologiche che si abbatterà la centralizzazione, si porrà fine allo sfruttamento e si scongiurerà il capitalismo, “tradizionale” o di stato.
Elemento centrale è il decentramento amministrativo, che ha nei comuni i principali punti di riferimento, così come, tramite l'anarcosindacalismo, lo sono i comitati di gestione della produzione e dei servizi espressi dal mondo del lavoro. In ordine a tali questioni eminentemente pratiche, aventi a che fare con la vita di tutti giorni e con la rifondazione di un senso e di una codifica del diritto atti a gestire la convivenza, gli scambi e la produzione, occorre per Berneri disperdere definitivamente l'ombra dello stato. Ma non sarà impugnando le armi spuntate fornite dalle astrazioni ideologiche che si abbatterà la centralizzazione, si porrà fine allo sfruttamento e si scongiurerà il capitalismo, “tradizionale” o di stato.


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Per tutti questi motivi Berneri rifiuta e combatte il diktat ideologico che vieta agli anarchici l'elaborazione di un progetto ed impedisce loro di agire anche sul piano tattico: “Mezzo: l'agitazione su basi realistiche, con l'enunciazione di programmi minimi”.  
Per tutti questi motivi Berneri rifiuta e combatte il diktat ideologico che vieta agli anarchici l'elaborazione di un progetto ed impedisce loro di agire anche sul piano tattico: “Mezzo: l'agitazione su basi realistiche, con l'enunciazione di programmi minimi”.  
Inoltre,  la storia costringe a dare risposte e l'assenza di programma condanna l'anarchismo ad agire di rimessa rispetto alle condizioni determinate dagli avvenimenti e soprattutto “in coda” alle altre entità politiche: senza un progetto, anziché indipendenza, si mostra sudditanza.  
Inoltre,  la storia costringe a dare risposte e l'assenza di programma condanna l'anarchismo ad agire di rimessa rispetto alle condizioni determinate dagli avvenimenti e soprattutto “in coda” alle altre entità politiche: senza un progetto, anziché indipendenza, si mostra sudditanza.  
L'antipatia per il programma non dovrebbe contraddistinguere i rivoluzionari, è invece tipica di chi non vuole realmente cambiare lo stato delle cose: “Il gradualismo del socialismo legalitario e statolatra è parallelo all'antipatia, evidentissima nel Kautsky, per qualsiasi piano di ricostruzione economica in senso socialista. Che l'ingranaggio sociale sia così complicato che nessun pensatore possa indagarne tutti i mali e prevederne tutte le possibilità , è evidente; ma (...) ciò non toglie che sia necessario al socialista poggiare su di un programma pratico, sì come allo scienziato è necessaria la luce di un'ipotesi”. Non si tratta quindi di mero “progettismo”: “Ma occorre distinguere: vi sono programmi che sembrano voler dare la sintesi del domani storico come deterministico calcolo di quel che sarà quel domani e questi sono i programmi detti realistici mentre non sono che deterministici; mentre vi sono programmi che pur calcolando grosso modo il gioco delle forze statiche e di quelle dinamiche non dimenticano che la probabilità di certe risultanti è tanto più alta quanto più la volontà di rinnovamento ha forzato i limiti progressivi”.
L'antipatia per il programma non dovrebbe contraddistinguere i rivoluzionari, è invece tipica di chi non vuole realmente cambiare lo stato delle cose: “Il gradualismo del socialismo legalitario e statolatra è parallelo all'antipatia, evidentissima nel Kautsky, per qualsiasi piano di ricostruzione economica in senso socialista. Che l'ingranaggio sociale sia così complicato che nessun pensatore possa indagarne tutti i mali e prevederne tutte le possibilità, è evidente; ma (...) ciò non toglie che sia necessario al socialista poggiare su di un programma pratico, sì come allo scienziato è necessaria la luce di un'ipotesi”. Non si tratta quindi di mero “progettismo”: “Ma occorre distinguere: vi sono programmi che sembrano voler dare la sintesi del domani storico come deterministico calcolo di quel che sarà quel domani e questi sono i programmi detti realistici mentre non sono che deterministici; mentre vi sono programmi che pur calcolando grosso modo il gioco delle forze statiche e di quelle dinamiche non dimenticano che la probabilità di certe risultanti è tanto più alta quanto più la volontà di rinnovamento ha forzato i limiti progressivi”.
La prima cosa che Berneri fa capire è che non bisogna confondere giudizi di fatto e giudizi di valore. Per questo “osa” mettere in discussione anche la pratica astensionista. Pure Bakunin ammoniva di non confondere tattica e strategia, perciò: “Il non distinguere la prima dalla seconda conduce al cretinismo astensionista non meno infantile del cretinismo parlamentarista”. E ancora: “Il cretinismo astensionista è quella superstizione politica che considera l'atto di votare come una menomazione della dignità umana o che valuta una situazione politico-sociale dal numero degli astenuti delle elezioni, quando non abbina l'uno e l'altro infantilismo”.
La prima cosa che Berneri fa capire è che non bisogna confondere giudizi di fatto e giudizi di valore. Per questo “osa” mettere in discussione anche la pratica astensionista. Pure Bakunin ammoniva di non confondere tattica e strategia, perciò: “Il non distinguere la prima dalla seconda conduce al cretinismo astensionista non meno infantile del cretinismo parlamentarista”. E ancora: “Il cretinismo astensionista è quella superstizione politica che considera l'atto di votare come una menomazione della dignità umana o che valuta una situazione politico-sociale dal numero degli astenuti delle elezioni, quando non abbina l'uno e l'altro infantilismo”.
La strada da seguire è quella del comunalismo: “Ecco, invece, un tema di studio: lo Stato nel suo funzionamento amministrativo. Ecco un tema di propaganda: la critica sistematica allo Stato come organo amministrativo accentrato, quindi incompetente ed irresponsabile. (...) Una sistematica campagna di questo genere potrebbe attirare su di noi l'attenzione di molti che non si scomporrebbero affatto leggendo Dio e lo Stato (di Bakunin)”. Con ciò, il lodigiano mostra la “freschezza” della propria interpretazione della realtà , ancora adeguata rispetto al mondo odierno. È oggi evidente l'assoluta lontananza dei cittadini dagli istituti dello stato, ma ciò non trova adeguata capacità di contrasto nella critica “rivoluzionaria”, di sovente ferma alla propaganda ideologica e poco attenta alle contraddizioni del quotidiano, largamente sperimentate dalla “gente comune”.
La strada da seguire è quella del comunalismo: “Ecco, invece, un tema di studio: lo Stato nel suo funzionamento amministrativo. Ecco un tema di propaganda: la critica sistematica allo Stato come organo amministrativo accentrato, quindi incompetente ed irresponsabile. (...) Una sistematica campagna di questo genere potrebbe attirare su di noi l'attenzione di molti che non si scomporrebbero affatto leggendo Dio e lo Stato (di Bakunin)”. Con ciò, il lodigiano mostra la “freschezza” della propria interpretazione della realtà, ancora adeguata rispetto al mondo odierno. È oggi evidente l'assoluta lontananza dei cittadini dagli istituti dello stato, ma ciò non trova adeguata capacità di contrasto nella critica “rivoluzionaria”, di sovente ferma alla propaganda ideologica e poco attenta alle contraddizioni del quotidiano, largamente sperimentate dalla “gente comune”.
In differenti occasioni Berneri afferma che una prassi radicata ab origine nel rifiuto della truffa di una democrazia rappresentativa senza controllo e mandato – un palliativo concesso come diritto solo per una piccola parte della popolazione da monarchi che conservavano nomina e gestione del parlamento, – nasce come risposta, non come principio e non può rimanere sempre e comunque inamovibile dettame dottrinario incurante delle situazioni particolari da affrontare nel corso della storia. La propaganda astensionista è “reazione contro la rappresentanza generica”.
In differenti occasioni Berneri afferma che una prassi radicata ab origine nel rifiuto della truffa di una democrazia rappresentativa senza controllo e mandato – un palliativo concesso come diritto solo per una piccola parte della popolazione da monarchi che conservavano nomina e gestione del parlamento, – nasce come risposta, non come principio e non può rimanere sempre e comunque inamovibile dettame dottrinario incurante delle situazioni particolari da affrontare nel corso della storia. La propaganda astensionista è “reazione contro la rappresentanza generica”.
Il pensiero del lodigiano diviene chiarissimo laddove coniuga la questione del voto con quello che per lui dovrebbe essere il progetto libertario in divenire: “Vi sono, secondo me, quattro sistemi politici possibili: l'amministrazione diretta, la rappresentanza generica o autoritaria, la democrazia propriamente detta e l'anarchia.  L'amministrazione diretta è un sistema politico nel quale il popolo in massa delibera volta a volta sulle varie questioni d'interesse generale, e provvede all'esecuzione delle proprie deliberazioni. La rappresentanza generica o autoritaria è un sistema nel quale il popolo delega la propria sovranità ad un certo numero di persone da lui scelte e lascia a quelle il potere deliberativo ed esecutivo. L'astensionismo politico è una reazione contro la rappresentanza generica, reazione salutare, ma non ha più ragione di permanere di fronte alla democrazia propriamente detta, sistema nel quale il popolo delega le varie faccende di interesse generale a dei tecnici, riservandosi di approvarne gli atti, controllando il loro operato, riservandosi di destituirli e destituendoli quando ciò occorra. Gli anarchici hanno ragione di continuare in seno alla democrazia la loro opposizione correttiva e la loro propaganda educativa al fine di permettere il passaggio dalla democrazia all'anarchia, sistema nel quale l'amministrazione diretta e la democrazia si integrano, sopprimendo qualunque residuo della rappresentanza autoritaria”.
Il pensiero del lodigiano diviene chiarissimo laddove coniuga la questione del voto con quello che per lui dovrebbe essere il progetto libertario in divenire: “Vi sono, secondo me, quattro sistemi politici possibili: l'amministrazione diretta, la rappresentanza generica o autoritaria, la democrazia propriamente detta e l'anarchia.  L'amministrazione diretta è un sistema politico nel quale il popolo in massa delibera volta a volta sulle varie questioni d'interesse generale, e provvede all'esecuzione delle proprie deliberazioni. La rappresentanza generica o autoritaria è un sistema nel quale il popolo delega la propria sovranità ad un certo numero di persone da lui scelte e lascia a quelle il potere deliberativo ed esecutivo. L'astensionismo politico è una reazione contro la rappresentanza generica, reazione salutare, ma non ha più ragione di permanere di fronte alla democrazia propriamente detta, sistema nel quale il popolo delega le varie faccende di interesse generale a dei tecnici, riservandosi di approvarne gli atti, controllando il loro operato, riservandosi di destituirli e destituendoli quando ciò occorra. Gli anarchici hanno ragione di continuare in seno alla democrazia la loro opposizione correttiva e la loro propaganda educativa al fine di permettere il passaggio dalla democrazia all'anarchia, sistema nel quale l'amministrazione diretta e la democrazia si integrano, sopprimendo qualunque residuo della rappresentanza autoritaria”.
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La polemica contro l'astensionismo, il nostro la affronta peraltro dopo la vittoria elettorale del Fronte Popolare in Spagna nel 1936, alla quale concorsero in modo determinante gli anarcosindacalisti della CNT, che per la prima volta non si abbandonarono ad una posizione intransigente, venendo per questo fatti oggetto di un fuoco di fila di critiche impietose piovute dal di fuori della penisola iberica. Ma senza quella vittoria, sostenne il lodigiano, non vi sarebbero state neanche le successive conquiste rivoluzionarie che la CNT stessa seppe mettere in atto dal basso. La sconfitta avrebbe significato una condizione pratica (ed anche psicologica) ben diversa per il movimento dei lavoratori e per questo sarebbe stata assurda in quella situazione una campagna astensionista: le tattiche della politica vanno giudicate mirando ai risultati e non in modo ideologico-aprioristico.
La polemica contro l'astensionismo, il nostro la affronta peraltro dopo la vittoria elettorale del Fronte Popolare in Spagna nel 1936, alla quale concorsero in modo determinante gli anarcosindacalisti della CNT, che per la prima volta non si abbandonarono ad una posizione intransigente, venendo per questo fatti oggetto di un fuoco di fila di critiche impietose piovute dal di fuori della penisola iberica. Ma senza quella vittoria, sostenne il lodigiano, non vi sarebbero state neanche le successive conquiste rivoluzionarie che la CNT stessa seppe mettere in atto dal basso. La sconfitta avrebbe significato una condizione pratica (ed anche psicologica) ben diversa per il movimento dei lavoratori e per questo sarebbe stata assurda in quella situazione una campagna astensionista: le tattiche della politica vanno giudicate mirando ai risultati e non in modo ideologico-aprioristico.
Così pose la questione Berneri: “Il problema, insomma, è questo: l'astensionismo è un dogma tattico che esclude qualsiasi eccezione strategica?”
Così pose la questione Berneri: “Il problema, insomma, è questo: l'astensionismo è un dogma tattico che esclude qualsiasi eccezione strategica?”
Per Berneri, il voto è uno strumento utile anche all'interno del mondo libertario e, come già visto, il lodigiano definisce più volte, senza pietà , “cretinismo astensionista” la demonizzazione senza deroghe di tale meccanismo decisionale, a maggior ragione se questo rifiuto è esteso persino all'interno dell'organizzazione specifica. Un rifiuto invalso spesso nelle strutture anarchiche non perché il voto fosse incongruo alla tradizione, bensì per una sorta di “moda” che ha sclerotizzato la militanza. Berneri discrimina poi chiaramente fra voto e voto. Nel caso di liste locali, ed ancor più di plebisciti e referendum, non vede per gli anarchici alcun motivo di possibile avversione: “Se domani si presentasse il caso di un plebiscito (disarmo o difesa nazionale armata, autonomia degli allogeni, abbandono o conservazione delle colonie, ecc.) si troverebbero ancora degli anarchici fossilizzati che crederebbero doveroso astenersi”.
Per Berneri, il voto è uno strumento utile anche all'interno del mondo libertario e, come già visto, il lodigiano definisce più volte, senza pietà, “cretinismo astensionista” la demonizzazione senza deroghe di tale meccanismo decisionale, a maggior ragione se questo rifiuto è esteso persino all'interno dell'organizzazione specifica. Un rifiuto invalso spesso nelle strutture anarchiche non perché il voto fosse incongruo alla tradizione, bensì per una sorta di “moda” che ha sclerotizzato la militanza. Berneri discrimina poi chiaramente fra voto e voto. Nel caso di liste locali, ed ancor più di plebisciti e referendum, non vede per gli anarchici alcun motivo di possibile avversione: “Se domani si presentasse il caso di un plebiscito (disarmo o difesa nazionale armata, autonomia degli allogeni, abbandono o conservazione delle colonie, ecc.) si troverebbero ancora degli anarchici fossilizzati che crederebbero doveroso astenersi”.
Berneri, a proposito della dimensione politica dell'anarchismo, la nobilita senza remore e preferisce certo chi si batte per il successo dell'impostazione libertaria nella storia a quanti, astraendosi dalla politica, riducono il libertarismo ad una mera, sofistica, professione di fede. Il “purismo” mostra tutta la sua inutilità , ed è anzi sinonimo di disimpegno ed autoreferenziale narcisismo: “Chi crede alla possibilità dell'anarchia come sistema politico è anarchico, qualunque siano le sue vedute strategiche, qualunque siano le sue riserve sulle realizzazioni massime della società futura. Ed è anarchico anche se scomunicato dai dottrinari sofistici, ed è anarchico anche se gli si oppone con il termine generico di principi le vedute di questa o di quella scuola, le opinioni di questo o di quel maestro, le abilità polemiche di questo o di quel giornalista autorevole nonché le scandalizzate proteste dei pensanti con la testa altrui”.
Berneri, a proposito della dimensione politica dell'anarchismo, la nobilita senza remore e preferisce certo chi si batte per il successo dell'impostazione libertaria nella storia a quanti, astraendosi dalla politica, riducono il libertarismo ad una mera, sofistica, professione di fede. Il “purismo” mostra tutta la sua inutilità, ed è anzi sinonimo di disimpegno ed autoreferenziale narcisismo: “Chi crede alla possibilità dell'anarchia come sistema politico è anarchico, qualunque siano le sue vedute strategiche, qualunque siano le sue riserve sulle realizzazioni massime della società futura. Ed è anarchico anche se scomunicato dai dottrinari sofistici, ed è anarchico anche se gli si oppone con il termine generico di principi le vedute di questa o di quella scuola, le opinioni di questo o di quel maestro, le abilità polemiche di questo o di quel giornalista autorevole nonché le scandalizzate proteste dei pensanti con la testa altrui”.
Ma come si fa se gli anarchici per primi, immobilizzati dal fondamentalismo, non credono nell'anarchismo politico? La mancanza di sperimentazione è infatti sinonimo di sfiducia nei propri mezzi ed ancor più nelle possibilità interne alla prospettiva libertaria: “La storia è opposizione e sintesi. L'anarchismo, se vuole agire nella storia e diventare un grande fattore di storia, deve aver fede nell'anarchia, come una possibilità sociale che si realizza nelle sue approssimazioni progressive. L'anarchia come sistema religioso (ogni sistema etico è di sua natura religioso) è una ‘verità’ di fede, quindi per propria natura, evidente soltanto a chi la può vedere. L'anarchismo è più vivo, più vasto, più dinamico. Egli è un compromesso tra l'Idea e il fatto, tra il domani e l'oggi. L'anarchismo procede in modo polimorfo, perché è nella vita. E le sue deviazioni stesse sono la ricerca di una rotta migliore”. Berneri è quindi “un anarchico che crede all'anarchia e, ancor più, all'anarchismo”. Berneri è un gradualista rivoluzionario perché è ben conscio della futilità del tutto e subito o del “tanto peggio-tanto meglio”, così come dell'irraggiungibilità della perfezione, e tiene distinti l'anarchia (“religione”) e l'anarchismo (l'anarchia nella storia): “l'anarchico comprende che nella storia si agisce sapendo essere popolo per quel tanto che permette di essere compresi e di agire, additando mete immediate, interpretando reali e generali bisogni, rispondendo a sentimenti vivi e comuni”. Berneri non fu mai un massimalista: “A mio parere, il non esercitare un diritto perché è concesso dallo Stato, non creare una situazione migliore dell'attuale perché se ne vorrebbe una migliore di quella conseguibile, vale fossilizzare la nostra azione politica”. Ancora oggi la sinistra “radicale” non sa distinguere fra riformismo e gradualismo.
Ma come si fa se gli anarchici per primi, immobilizzati dal fondamentalismo, non credono nell'anarchismo politico? La mancanza di sperimentazione è infatti sinonimo di sfiducia nei propri mezzi ed ancor più nelle possibilità interne alla prospettiva libertaria: “La storia è opposizione e sintesi. L'anarchismo, se vuole agire nella storia e diventare un grande fattore di storia, deve aver fede nell'anarchia, come una possibilità sociale che si realizza nelle sue approssimazioni progressive. L'anarchia come sistema religioso (ogni sistema etico è di sua natura religioso) è una ‘verità’ di fede, quindi per propria natura, evidente soltanto a chi la può vedere. L'anarchismo è più vivo, più vasto, più dinamico. Egli è un compromesso tra l'Idea e il fatto, tra il domani e l'oggi. L'anarchismo procede in modo polimorfo, perché è nella vita. E le sue deviazioni stesse sono la ricerca di una rotta migliore”. Berneri è quindi “un anarchico che crede all'anarchia e, ancor più, all'anarchismo”. Berneri è un gradualista rivoluzionario perché è ben conscio della futilità del tutto e subito o del “tanto peggio-tanto meglio”, così come dell'irraggiungibilità della perfezione, e tiene distinti l'anarchia (“religione”) e l'anarchismo (l'anarchia nella storia): “l'anarchico comprende che nella storia si agisce sapendo essere popolo per quel tanto che permette di essere compresi e di agire, additando mete immediate, interpretando reali e generali bisogni, rispondendo a sentimenti vivi e comuni”. Berneri non fu mai un massimalista: “A mio parere, il non esercitare un diritto perché è concesso dallo Stato, non creare una situazione migliore dell'attuale perché se ne vorrebbe una migliore di quella conseguibile, vale fossilizzare la nostra azione politica”. Ancora oggi la sinistra “radicale” non sa distinguere fra riformismo e gradualismo.
Nel corso della rivoluzione spagnola, pur essendo intransigentemente schierato per la difesa e lo sviluppo delle conquiste popolari, delle collettivizzazioni agrarie e della socializzazione delle industrie, il lodigiano seppe comprendere i tentativi della dirigenza cenetista di destreggiarsi nella situazione. Naturalmente questa posizione Berneri la tenne solo fino a quando la CNT dell'epoca seppe conservare la propria autonomia e rimase all'offensiva. Alle prime avvisaglie del precipitare della situazione, egli divenne un critico feroce rispetto ai cedimenti determinati dall'incapacità di fronte alle esigenze della politica.
Nel corso della rivoluzione spagnola, pur essendo intransigentemente schierato per la difesa e lo sviluppo delle conquiste popolari, delle collettivizzazioni agrarie e della socializzazione delle industrie, il lodigiano seppe comprendere i tentativi della dirigenza cenetista di destreggiarsi nella situazione. Naturalmente questa posizione Berneri la tenne solo fino a quando la CNT dell'epoca seppe conservare la propria autonomia e rimase all'offensiva. Alle prime avvisaglie del precipitare della situazione, egli divenne un critico feroce rispetto ai cedimenti determinati dall'incapacità di fronte alle esigenze della politica.
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==Il mito della mera “emergenza del sociale”==
==Il mito della mera “emergenza del sociale”==
Va sfatata la leggenda che alla politica si possa sostituire la mera emergenza del sociale, il cui inseguimento ha comunque ricadute politiche (anche se ci si muove in nome e per conto del “ribellismo” e della cosiddetta “antipolitica”). Negli ultimi anni '70, ad inquinare oltremodo il panorama della militanza libertaria, ha contribuito il mito della cosiddetta “autonomia proletaria”, di provenienza italiana ma invalsa per molti anni in tutta Europa. L'ennesimo “succedaneo” venne, ancora una volta (e contro-natura), ben accolto dagli anarchici massimalisti, con tutti i suoi cascami di estremismo, avventurismo e violentismo. La spessa coltre dell'intransigenza “rivoluzionaria” mascherava l'operazione mimetica. Contrabbandando se stessa come “radicale” (solo perché votata ad uno scontro di piazza autoreferenziale) e “libertaria”, l'area dell'autonomia, ha invece introdotto un'impostazione del tutto autoritaria. L'apparente assemblearismo nascondeva gruppi di “professionisti”, determinati a decidere sempre e comunque il corso degli avvenimenti senza cura per le dinamiche espresse dai movimenti, la foglia di fico dietro la quale celare la fruizione di una delega in bianco. Fu il trionfo di una prassi del lavoro politico volta a denunciare strumentalmente l'inutilità delle organizzazioni specifiche, al fine di realizzare strutture “unitarie” legate a doppio filo a sovrastrutture più o meno nascoste impegnate ad impostarne la linea. Secondo la prassi più dozzinale, la critica dell'ideologismo fuorviante e totalizzante si fece critica delle idee e strozzatura della discussione collettiva. Venne riportata in auge la condanna delle diversità a favore dell'uniformità e dell'appiattimento, perseguendo metodi dettati dall'insofferenza verso ogni particolarità. Nel nome di una malintesa “coscienza proletaria”, pretesa come avulsa dal dibattito sulle metodologie e sull'etica della libertà , s'impose l'ennesima riproposizione della autonomia della politica. L'antitesi autoritarismo-libertarismo veniva quindi ancora una volta derubricata. Un vero e proprio ricatto ideologico in omaggio agli stilemi del controllo e della presa del potere nel micro-sistema “antagonista”, della preminenza dell'economico e del “militare”, nonché di una presunta “linea di condotta comunista”, sul gradualismo, sulla rivendicazione e sul bisogno. Da questo, l'attivismo totalizzante, per lo più finalizzato ad un impegno acritico eterodiretto spinto sino ad estreme conseguenze, estraneo ad ogni forma non velleitaria di ripensamento suscettibile di mettere in forse un dominio da esercitarsi in ogni caso sul sociale per mezzo delle continue forzature operate da un gruppo omogeneo selezionato, dirigente di fatto.
Va sfatata la leggenda che alla politica si possa sostituire la mera emergenza del sociale, il cui inseguimento ha comunque ricadute politiche (anche se ci si muove in nome e per conto del “ribellismo” e della cosiddetta “antipolitica”). Negli ultimi anni '70, ad inquinare oltremodo il panorama della militanza libertaria, ha contribuito il mito della cosiddetta “autonomia proletaria”, di provenienza italiana ma invalsa per molti anni in tutta Europa. L'ennesimo “succedaneo” venne, ancora una volta (e contro-natura), ben accolto dagli anarchici massimalisti, con tutti i suoi cascami di estremismo, avventurismo e violentismo. La spessa coltre dell'intransigenza “rivoluzionaria” mascherava l'operazione mimetica. Contrabbandando se stessa come “radicale” (solo perché votata ad uno scontro di piazza autoreferenziale) e “libertaria”, l'area dell'autonomia, ha invece introdotto un'impostazione del tutto autoritaria. L'apparente assemblearismo nascondeva gruppi di “professionisti”, determinati a decidere sempre e comunque il corso degli avvenimenti senza cura per le dinamiche espresse dai movimenti, la foglia di fico dietro la quale celare la fruizione di una delega in bianco. Fu il trionfo di una prassi del lavoro politico volta a denunciare strumentalmente l'inutilità delle organizzazioni specifiche, al fine di realizzare strutture “unitarie” legate a doppio filo a sovrastrutture più o meno nascoste impegnate ad impostarne la linea. Secondo la prassi più dozzinale, la critica dell'ideologismo fuorviante e totalizzante si fece critica delle idee e strozzatura della discussione collettiva. Venne riportata in auge la condanna delle diversità a favore dell'uniformità e dell'appiattimento, perseguendo metodi dettati dall'insofferenza verso ogni particolarità. Nel nome di una malintesa “coscienza proletaria”, pretesa come avulsa dal dibattito sulle metodologie e sull'etica della libertà, s'impose l'ennesima riproposizione della autonomia della politica. L'antitesi autoritarismo-libertarismo veniva quindi ancora una volta derubricata. Un vero e proprio ricatto ideologico in omaggio agli stilemi del controllo e della presa del potere nel micro-sistema “antagonista”, della preminenza dell'economico e del “militare”, nonché di una presunta “linea di condotta comunista”, sul gradualismo, sulla rivendicazione e sul bisogno. Da questo, l'attivismo totalizzante, per lo più finalizzato ad un impegno acritico eterodiretto spinto sino ad estreme conseguenze, estraneo ad ogni forma non velleitaria di ripensamento suscettibile di mettere in forse un dominio da esercitarsi in ogni caso sul sociale per mezzo delle continue forzature operate da un gruppo omogeneo selezionato, dirigente di fatto.
L'ultima nota di colore riguarda, al momento, le frange dell'estremismo anarchico fondamentalista, convinte di cogliere l'occasione della storia nel cercare di prendere il posto dell'autonomia in divisa da [[black-block]], come se la mistica dello scontro rituale di piazza non fosse colto, oggi come ieri, soltanto come un'utile pretesto per rinverdire le politiche repressive degli stati al fine di una criminalizzazione tout court di qualcosa che è molto più complesso, articolato ed assai meno povero di contenuti: l'intero progetto e la prassi del socialismo libertario.  
L'ultima nota di colore riguarda, al momento, le frange dell'estremismo anarchico fondamentalista, convinte di cogliere l'occasione della storia nel cercare di prendere il posto dell'autonomia in divisa da [[black-block]], come se la mistica dello scontro rituale di piazza non fosse colto, oggi come ieri, soltanto come un'utile pretesto per rinverdire le politiche repressive degli stati al fine di una criminalizzazione tout court di qualcosa che è molto più complesso, articolato ed assai meno povero di contenuti: l'intero progetto e la prassi del socialismo libertario.  
Berneri invece indicava la necessità di un movimento con un'identità precisa, capace anche di battaglie d'opinione, adatto a lasciare il segno nella storia, in una complessità poliedrica che lo veda strumento primario per la riconquista insieme della soggettività politica delle masse sfruttate e dell'umanesimo il più avanzato. Tale è il senso del “sovietismo” di Berneri: non un'arronzata “scopiazzatura” consigliarista di derivazione pannekoekiana o luxemburghiana, bensì la ricollocazione dell'anarchismo in quanto tale nella sua propria dimensione. Preminente è perciò il protagonismo del movimento anarchico con la sua identità , in “prima persona”, senza remore e paure; in totale autonomia e come forza politica: “Se il movimento anarchico non acquisterà il coraggio di considerarsi isolato, spiritualmente, non imparerà ad agire da iniziatore e da propulsore. Se non acquisterà l'intelligenza politica, che nasce da un razionale e sereno pessimismo (ché è, di fatto, senso della realtà) e dall'attento e chiaro esame dei problemi, non saprà moltiplicare le sue forze, trovando consensi e cooperazione nelle masse” .
Berneri invece indicava la necessità di un movimento con un'identità precisa, capace anche di battaglie d'opinione, adatto a lasciare il segno nella storia, in una complessità poliedrica che lo veda strumento primario per la riconquista insieme della soggettività politica delle masse sfruttate e dell'umanesimo il più avanzato. Tale è il senso del “sovietismo” di Berneri: non un'arronzata “scopiazzatura” consigliarista di derivazione pannekoekiana o luxemburghiana, bensì la ricollocazione dell'anarchismo in quanto tale nella sua propria dimensione. Preminente è perciò il protagonismo del movimento anarchico con la sua identità, in “prima persona”, senza remore e paure; in totale autonomia e come forza politica: “Se il movimento anarchico non acquisterà il coraggio di considerarsi isolato, spiritualmente, non imparerà ad agire da iniziatore e da propulsore. Se non acquisterà l'intelligenza politica, che nasce da un razionale e sereno pessimismo (ché è, di fatto, senso della realtà) e dall'attento e chiaro esame dei problemi, non saprà moltiplicare le sue forze, trovando consensi e cooperazione nelle masse” .


==L'identità dell'anarchismo, unica alternativa ai totalitarismi==
==L'identità dell'anarchismo, unica alternativa ai totalitarismi==
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==L'Anarchismo e i “movimenti”==  
==L'Anarchismo e i “movimenti”==  
Berneri insegna ad accettare da subito (e veramente) la necessità di una sinistra (e di una società) aperta, come elemento non mediabile e non rinunciabile di arricchimento e revisione rispetto ad un passato (anche recentissimo) di macerie. Viceversa, le realtà “antagoniste” (costruite ancora “contro” più che “per”) non sanno fissare davvero per il futuro, programmaticamente, l'ineliminabilità del pluralismo e del pensiero divergente. Tale elemento, centrale per una vera rivoluzione, è affatto scontato. Porsi questo problema è difficile per quanti identificano nella rivoluzione solo il superamento dell'esistente e rimandano fideisticamente al “dopo” la discussione sui nuovi parametri della democrazia. Del resto, sbaglierebbe i suoi conti chi pensasse che è solo la radicalità degli slogan e dei comportamenti esteriori (nella quale sconfitti ed orfani cercano l'ultima spiaggia dell'identità) il veicolo della ripresa di protagonismo: all'alba del Terzo Millennio contano finalmente molto di più la genuina radicalità delle idee e del progetto. Soprattutto nei paesi del “primo mondo”, la politica dello scontro per lo scontro è una deviazione involutiva e del tutto simbolica dell'immaginario e della (molto più complessa)  realtà del conflitto sociale.
Berneri insegna ad accettare da subito (e veramente) la necessità di una sinistra (e di una società) aperta, come elemento non mediabile e non rinunciabile di arricchimento e revisione rispetto ad un passato (anche recentissimo) di macerie. Viceversa, le realtà “antagoniste” (costruite ancora “contro” più che “per”) non sanno fissare davvero per il futuro, programmaticamente, l'ineliminabilità del pluralismo e del pensiero divergente. Tale elemento, centrale per una vera rivoluzione, è affatto scontato. Porsi questo problema è difficile per quanti identificano nella rivoluzione solo il superamento dell'esistente e rimandano fideisticamente al “dopo” la discussione sui nuovi parametri della democrazia. Del resto, sbaglierebbe i suoi conti chi pensasse che è solo la radicalità degli slogan e dei comportamenti esteriori (nella quale sconfitti ed orfani cercano l'ultima spiaggia dell'identità) il veicolo della ripresa di protagonismo: all'alba del Terzo Millennio contano finalmente molto di più la genuina radicalità delle idee e del progetto. Soprattutto nei paesi del “primo mondo”, la politica dello scontro per lo scontro è una deviazione involutiva e del tutto simbolica dell'immaginario e della (molto più complessa)  realtà del conflitto sociale.
Essere rivoluzionari è elemento d'identità , ma soprattutto nella proposta. Per due motivi. In primis perché per affermare la necessità del cambiamento bisogna saper dimostrare di poter e saper ottenere dei risultati. Secondariamente perché c'è bisogno di un'inversione della prassi. L'antipolitica non è una novità: negare l'autonomia della politica lo è, ovvero dimostrare di saper davvero subordinare la politica all'etica. La qual cosa prevede anche delle capacità di studio ed osservazione che non stanno certo nella semplice negazione del ragionamento politico. Occorre la capacità di mettere in atto il gradualismo rivoluzionario, proporre sistemi di riorganizzazione ed aggregazione, di autogestione e prima liberazione (anche culturale), immediatamente praticabili dalla (e nella) società civile. L'anarchismo deve imparare ad “uscire dal guscio” per capire che l'egemonia delle idee non è egemonia politica nel senso negativo del termine – ovvero l'imposizione di eterodirezioni che sono solo una variabile del potere – ed occorre saperla praticare. Allo stesso modo, non è l'egemonia dei fatti da criticare, vanno bensì esclusi quegli atti che tendono solo a stabilire l'egemonia di un qualche gruppo dirigente in quanto tale (prassi leninista).  
Essere rivoluzionari è elemento d'identità, ma soprattutto nella proposta. Per due motivi. In primis perché per affermare la necessità del cambiamento bisogna saper dimostrare di poter e saper ottenere dei risultati. Secondariamente perché c'è bisogno di un'inversione della prassi. L'antipolitica non è una novità: negare l'autonomia della politica lo è, ovvero dimostrare di saper davvero subordinare la politica all'etica. La qual cosa prevede anche delle capacità di studio ed osservazione che non stanno certo nella semplice negazione del ragionamento politico. Occorre la capacità di mettere in atto il gradualismo rivoluzionario, proporre sistemi di riorganizzazione ed aggregazione, di autogestione e prima liberazione (anche culturale), immediatamente praticabili dalla (e nella) società civile. L'anarchismo deve imparare ad “uscire dal guscio” per capire che l'egemonia delle idee non è egemonia politica nel senso negativo del termine – ovvero l'imposizione di eterodirezioni che sono solo una variabile del potere – ed occorre saperla praticare. Allo stesso modo, non è l'egemonia dei fatti da criticare, vanno bensì esclusi quegli atti che tendono solo a stabilire l'egemonia di un qualche gruppo dirigente in quanto tale (prassi leninista).  
La radicalità non è dunque elemento meramente formale, bensì questione di sostanza e non può prescindere dalla volontà (chiaramente espressa e comprensibile) di farsi intendere e capire, nell'auspicato (e finalmente salutare) sacrificio dell'autocompiacimento (autoreferenziale ed elitario) del ghetto ideologico e/o impolitico. È il coraggio di proporre elementi nuovi e sperimentali, elementi non graditi dagli schemi di qualunque ortodossia. È necessario unire protesta e proposta, promuovere un agire condiviso e plurale, capace di conquistare spazi, dosare e calibrare l'azione perché sia condivisa e condivisibile: non per “adattamento”, ma per preparare elementi più forti e decisivi di cambiamento. La radicalità non è nella rottura estemporanea, nella marginalità , nell'autocompiacimento dell'appartenenza ad una specie “altra” serrata in un recinto, ma nella determinazione (e quindi nella preparazione) di un cambiamento qualitativamente alto (etico): radicale, appunto.  
La radicalità non è dunque elemento meramente formale, bensì questione di sostanza e non può prescindere dalla volontà (chiaramente espressa e comprensibile) di farsi intendere e capire, nell'auspicato (e finalmente salutare) sacrificio dell'autocompiacimento (autoreferenziale ed elitario) del ghetto ideologico e/o impolitico. È il coraggio di proporre elementi nuovi e sperimentali, elementi non graditi dagli schemi di qualunque ortodossia. È necessario unire protesta e proposta, promuovere un agire condiviso e plurale, capace di conquistare spazi, dosare e calibrare l'azione perché sia condivisa e condivisibile: non per “adattamento”, ma per preparare elementi più forti e decisivi di cambiamento. La radicalità non è nella rottura estemporanea, nella marginalità, nell'autocompiacimento dell'appartenenza ad una specie “altra” serrata in un recinto, ma nella determinazione (e quindi nella preparazione) di un cambiamento qualitativamente alto (etico): radicale, appunto.  
Viceversa, nei “movimenti”, spesso l'assenza di un evidente progetto libertario si sposa con l'incapacità di coniugare strutturalmente la libertà con la democrazia economica, e questo spiana la strada al liberismo arrembante, i cui fautori hanno buon gioco nel “parificare” ogni movimento solidarista ed egualitario ai rottami del comunismo dittatoriale statolatra. Il cortocircuito è dato sempre dallo stesso elemento: un progetto sociale chiuso, autoritario ed economicista, che ancora contempla l'uso a tempo indeterminato dello stato (per di più totalitario) e contiene quindi in nuce i germi del fallimento e del recupero in una (già ben sperimentata) spirale dalla quale il determinismo del “programma comunista” impedisce l'uscita, trascinando con sé nel baratro l'intero movimento d'emancipazione.  
Viceversa, nei “movimenti”, spesso l'assenza di un evidente progetto libertario si sposa con l'incapacità di coniugare strutturalmente la libertà con la democrazia economica, e questo spiana la strada al liberismo arrembante, i cui fautori hanno buon gioco nel “parificare” ogni movimento solidarista ed egualitario ai rottami del comunismo dittatoriale statolatra. Il cortocircuito è dato sempre dallo stesso elemento: un progetto sociale chiuso, autoritario ed economicista, che ancora contempla l'uso a tempo indeterminato dello stato (per di più totalitario) e contiene quindi in nuce i germi del fallimento e del recupero in una (già ben sperimentata) spirale dalla quale il determinismo del “programma comunista” impedisce l'uscita, trascinando con sé nel baratro l'intero movimento d'emancipazione.  


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==Contro il dogmatismo positivista==
==Contro il dogmatismo positivista==
Poi sopravvive un dogmatismo positivista. Berneri insegna a diffidare del conformismo di sinistra e della politica del ghetto: occorre invece una concezione etica del pensiero. La coerenza con la propria coscienza è tutt'uno con il dovere di sperimentare in pratica la giustezza e l'applicabilità dei postulati di principio. Quello che conta non è l'omologazione al “branco” (foss'anche quello dell'“élite” del politically correct), bensì l'attitudine all'indipendenza ed alla libertà: “Non è dunque la cosa che si pensa che costituisce la libertà , ma il modo con il quale la si pensa”. Tutti gli integralismi sono un pericolo, e così anche le “religioni” della ratio e della scienza. Perciò Berneri, prima di Feyerabend, lavorò ad una nuova epistemologia anarchica, affermando: “Essere irrazionalista (...) non vuol dire essere un sostenitore dell'irrazionale bensì essere un diffidente nei riguardi delle verità di ragione”. La stessa posizione la ebbe rispetto al rapporto fra politica, scienza e religione: “L'anticlericalismo assume troppo spesso il carattere di Inquisizione... razionalista. Un anticlericalismo illiberale, qualunque sia la colorazione avanguardista, è fascista. (...) Il sovversivismo e il razionalismo demomassonico furono in Italia clericalmente anticlericali”.  
Poi sopravvive un dogmatismo positivista. Berneri insegna a diffidare del conformismo di sinistra e della politica del ghetto: occorre invece una concezione etica del pensiero. La coerenza con la propria coscienza è tutt'uno con il dovere di sperimentare in pratica la giustezza e l'applicabilità dei postulati di principio. Quello che conta non è l'omologazione al “branco” (foss'anche quello dell'“élite” del politically correct), bensì l'attitudine all'indipendenza ed alla libertà: “Non è dunque la cosa che si pensa che costituisce la libertà, ma il modo con il quale la si pensa”. Tutti gli integralismi sono un pericolo, e così anche le “religioni” della ratio e della scienza. Perciò Berneri, prima di Feyerabend, lavorò ad una nuova epistemologia anarchica, affermando: “Essere irrazionalista (...) non vuol dire essere un sostenitore dell'irrazionale bensì essere un diffidente nei riguardi delle verità di ragione”. La stessa posizione la ebbe rispetto al rapporto fra politica, scienza e religione: “L'anticlericalismo assume troppo spesso il carattere di Inquisizione... razionalista. Un anticlericalismo illiberale, qualunque sia la colorazione avanguardista, è fascista. (...) Il sovversivismo e il razionalismo demomassonico furono in Italia clericalmente anticlericali”.  
Quanto alla liceità dei culti, per l'appunto autodefinendosi agnostico, si espresse chiaramente a favore della totale libertà religiosa, come diritto da garantire e non da sopportare.
Quanto alla liceità dei culti, per l'appunto autodefinendosi agnostico, si espresse chiaramente a favore della totale libertà religiosa, come diritto da garantire e non da sopportare.


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L'eguaglianza senza la libertà non è possibile: verrà automaticamente negata anche (e soprattutto) fosse “ottenuta” tramite la dittatura. La strutturazione autoritaria porta alla creazione di una nuova classe di sfruttatori che possiede gli strumenti culturali – affatto “sovrastrutturali” e la cui “nazionalizzazione” non è possibile – atti a gestire ad usum delphini il “bene comune”, e quelli coercitivi forniti dalla dittatura del partito unico (indiscutibile casta dominante). All'equità non si potrà mai pervenire se non con un processo unitario, complesso e paritetico fra diritti civili e diritti sociali.  
L'eguaglianza senza la libertà non è possibile: verrà automaticamente negata anche (e soprattutto) fosse “ottenuta” tramite la dittatura. La strutturazione autoritaria porta alla creazione di una nuova classe di sfruttatori che possiede gli strumenti culturali – affatto “sovrastrutturali” e la cui “nazionalizzazione” non è possibile – atti a gestire ad usum delphini il “bene comune”, e quelli coercitivi forniti dalla dittatura del partito unico (indiscutibile casta dominante). All'equità non si potrà mai pervenire se non con un processo unitario, complesso e paritetico fra diritti civili e diritti sociali.  
La libertà senza l'eguaglianza non esiste, perché le condizioni economiche fra gli uomini sono dispari. Non può esistere libertà nella miseria: le condizioni – di partenza e permanenti – avvantaggiano l'uno e condannano l'altro. Non si può giocare una partita di libertà con i dadi truccati del liberismo economico, delle sole leggi di mercato deificate e deregolamentate.   
La libertà senza l'eguaglianza non esiste, perché le condizioni economiche fra gli uomini sono dispari. Non può esistere libertà nella miseria: le condizioni – di partenza e permanenti – avvantaggiano l'uno e condannano l'altro. Non si può giocare una partita di libertà con i dadi truccati del liberismo economico, delle sole leggi di mercato deificate e deregolamentate.   
L'anarchismo è per l'eguaglianza nella libertà , senza sconti, veramente senza se e senza ma o inutili e controproducenti machiavellismi. La sua alterità – si sarebbe tentati di dire, in burla del marxismo, già "scientificamente provata" alla luce degli esiti catastrofici che il potere bolscevico aveva immediatamente prodotto ancora nel 1921 – è soprattutto etica. Però, perché l'etica domini la politica, occorre realizzare ciò che Berneri tentò senza riuscirvi: un vero rinnovamento (plurale ed inclusivo) del movimento libertario, ovvero la (ri)nascita di un anarchismo politico. Per dirla precisamente con lui: "L'anarchismo deve essere vasto nelle sue concezioni, audace, incontentabile. Se vuol vivere, adempiendo la sua missione d'avanguardia, deve differenziarsi e conservare alta la sua bandiera anche se questo può isolarlo nella ristretta cerchia dei suoi".
L'anarchismo è per l'eguaglianza nella libertà, senza sconti, veramente senza se e senza ma o inutili e controproducenti machiavellismi. La sua alterità – si sarebbe tentati di dire, in burla del marxismo, già "scientificamente provata" alla luce degli esiti catastrofici che il potere bolscevico aveva immediatamente prodotto ancora nel 1921 – è soprattutto etica. Però, perché l'etica domini la politica, occorre realizzare ciò che Berneri tentò senza riuscirvi: un vero rinnovamento (plurale ed inclusivo) del movimento libertario, ovvero la (ri)nascita di un anarchismo politico. Per dirla precisamente con lui: "L'anarchismo deve essere vasto nelle sue concezioni, audace, incontentabile. Se vuol vivere, adempiendo la sua missione d'avanguardia, deve differenziarsi e conservare alta la sua bandiera anche se questo può isolarlo nella ristretta cerchia dei suoi".




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Berneri è presente da subito nei momenti topici del Movimento, dal Congresso di fondazione della Unione Anarchica Italiana (Ancona, aprile 1919), alla creazione del suo organo più importante, il quotidiano “Umanità Nova” (1920). S'impegna sin dal primo numero (Roma, 1.1.1924), con Errico Malatesta (...), Luigi Fabbri (...), Carlo Molaschi e Carlo Frigerio, nella principale rivista teorica libertaria: “Pensiero e Volontà ”. Cionondimeno allarga sempre i propri orizzonti, continuando a partecipare al dibattito pubblico sui giornali socialisti e spaziando ovunque. Berneri presta la sua penna anche a “Conscientia” (...), rivista protestante, nonché ad altri periodici dichiaratamente non anarchici come “Pagine Libere” di Pistoia, “Humanitas” di Bari, “I nostri quaderni”, di Lanciano, l'“Avanti!” di Milano e “La Critica Politica” di Roma. Studente universitario a Firenze, frequenta i più significativi gruppi intellettuali della città.  
Berneri è presente da subito nei momenti topici del Movimento, dal Congresso di fondazione della Unione Anarchica Italiana (Ancona, aprile 1919), alla creazione del suo organo più importante, il quotidiano “Umanità Nova” (1920). S'impegna sin dal primo numero (Roma, 1.1.1924), con Errico Malatesta (...), Luigi Fabbri (...), Carlo Molaschi e Carlo Frigerio, nella principale rivista teorica libertaria: “Pensiero e Volontà ”. Cionondimeno allarga sempre i propri orizzonti, continuando a partecipare al dibattito pubblico sui giornali socialisti e spaziando ovunque. Berneri presta la sua penna anche a “Conscientia” (...), rivista protestante, nonché ad altri periodici dichiaratamente non anarchici come “Pagine Libere” di Pistoia, “Humanitas” di Bari, “I nostri quaderni”, di Lanciano, l'“Avanti!” di Milano e “La Critica Politica” di Roma. Studente universitario a Firenze, frequenta i più significativi gruppi intellettuali della città.  
È influenzato da “La Voce”-“Lacerba” di Prezzolini-Papini (...). Per i rapporti con il primo, rimane il ricordo (molto postumo) dedicato a Berneri all'interno di Prezzolini alla finestra: “(...) appariva nella conversazione di una cultura non comune, come poi mi son accorto dalle sue citazioni negli scritti che ho letto di lui” (...).  
È influenzato da “La Voce”-“Lacerba” di Prezzolini-Papini (...). Per i rapporti con il primo, rimane il ricordo (molto postumo) dedicato a Berneri all'interno di Prezzolini alla finestra: “(...) appariva nella conversazione di una cultura non comune, come poi mi son accorto dalle sue citazioni negli scritti che ho letto di lui” (...).  
Però Berneri è attratto soprattutto da “L'Unità” (Firenze-Roma 1911-20), settimanale creato da Salvemini (uno dei “padri nobili” del liberalsocialismo italiano, nel 1929 fondatore con i fratelli Rosselli, Lussu, Nitti ed altri, della formazione politica Giustizia e Libertà ). Con questi stabilirà , come vedremo, una relazione stretta e duratura (sarà il docente più apprezzato e più vicino negli studi accademici). È proprio Salvemini a testimoniare che: “Quando Carlo e Nello Rosselli ed Ernesto Rossi fondarono un gruppo di studi sociali, Berneri fu uno degli assidui” (...).
Però Berneri è attratto soprattutto da “L'Unità” (Firenze-Roma 1911-20), settimanale creato da Salvemini (uno dei “padri nobili” del liberalsocialismo italiano, nel 1929 fondatore con i fratelli Rosselli, Lussu, Nitti ed altri, della formazione politica Giustizia e Libertà ). Con questi stabilirà, come vedremo, una relazione stretta e duratura (sarà il docente più apprezzato e più vicino negli studi accademici). È proprio Salvemini a testimoniare che: “Quando Carlo e Nello Rosselli ed Ernesto Rossi fondarono un gruppo di studi sociali, Berneri fu uno degli assidui” (...).
Berneri collaborerà quindi al “forum” antifascista raccolto intorno ad uno dei primissimi fogli clandestini italiani, il “Non mollare” (1925). Parallela all'impegno culturale, la sua attività militante non subisce mai pause, è anzi sempre più febbrile. Come scrive lui stesso: “In quel tempo ero membro del Consiglio Nazionale dell'Unione Anarchica Italiana e della Federazione Giovanile Rivoluzionaria. Ebbi qualche influenza, pur non essendo nei quadri, nel campo degli Arditi del Popolo, ed entrai nell'‘Italia Libera‘ (sezione fiorentina) partecipando alla sua attività clandestina. Dal 1924 al 1926 lavorai illegalmente (diffusione stampa antifascista, ecc.), partecipando nell'inverno '26 al convegno anarchico delle Marche, del quale fui delegato al convegno nazionale dell'Unione Anarchica Italiana” (...).
Berneri collaborerà quindi al “forum” antifascista raccolto intorno ad uno dei primissimi fogli clandestini italiani, il “Non mollare” (1925). Parallela all'impegno culturale, la sua attività militante non subisce mai pause, è anzi sempre più febbrile. Come scrive lui stesso: “In quel tempo ero membro del Consiglio Nazionale dell'Unione Anarchica Italiana e della Federazione Giovanile Rivoluzionaria. Ebbi qualche influenza, pur non essendo nei quadri, nel campo degli Arditi del Popolo, ed entrai nell'‘Italia Libera‘ (sezione fiorentina) partecipando alla sua attività clandestina. Dal 1924 al 1926 lavorai illegalmente (diffusione stampa antifascista, ecc.), partecipando nell'inverno '26 al convegno anarchico delle Marche, del quale fui delegato al convegno nazionale dell'Unione Anarchica Italiana” (...).


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===Esilio===
===Esilio===
Sempre segnalato e seguito dalla polizia, aggredito dai picchiatori in orbace, Berneri e famiglia (...) ripararono in Francia nell'aprile 1926. Qui il nostro attraversò periodi di vera e propria indigenza e non esitò a guadagnarsi da vivere esercitando qualsiasi lavoro, anche quello dell'edile.
Sempre segnalato e seguito dalla polizia, aggredito dai picchiatori in orbace, Berneri e famiglia (...) ripararono in Francia nell'aprile 1926. Qui il nostro attraversò periodi di vera e propria indigenza e non esitò a guadagnarsi da vivere esercitando qualsiasi lavoro, anche quello dell'edile.
Comincia così, dopo un breve periodo di clandestinità , il suo “esilio senza requie” (...), durante il quale gli affibbiano il (ben meritato) titolo di “italiano più espulso d'Europa” (...). Partecipa in prima persona all'antifascismo d'oltralpe e si fa promotore di iniziative ove mette a rischio la propria vita ed è fra gli “osservati speciali” dell'OVRA. La tentacolare polizia segreta del regime, che imbastisce a suo danno più d'una montatura, facendolo sbattere in galera ed espellere anche oltralpe. È quindi al centro di una grande campagna per la riammissione dal Belgio e dal Lussemburgo in Francia. Viene braccato anche in Svizzera, Olanda e Germania, sempre combattendo, con la critica e con i fatti, il tiepidume dell'“ufficialità” del “fuoruscitismo” antifascista, il presenzialismo, l'attendismo ed il compromesso. Intanto colleziona condanne contumaci e nuove denunce ed istruttorie in Italia.
Comincia così, dopo un breve periodo di clandestinità, il suo “esilio senza requie” (...), durante il quale gli affibbiano il (ben meritato) titolo di “italiano più espulso d'Europa” (...). Partecipa in prima persona all'antifascismo d'oltralpe e si fa promotore di iniziative ove mette a rischio la propria vita ed è fra gli “osservati speciali” dell'OVRA. La tentacolare polizia segreta del regime, che imbastisce a suo danno più d'una montatura, facendolo sbattere in galera ed espellere anche oltralpe. È quindi al centro di una grande campagna per la riammissione dal Belgio e dal Lussemburgo in Francia. Viene braccato anche in Svizzera, Olanda e Germania, sempre combattendo, con la critica e con i fatti, il tiepidume dell'“ufficialità” del “fuoruscitismo” antifascista, il presenzialismo, l'attendismo ed il compromesso. Intanto colleziona condanne contumaci e nuove denunce ed istruttorie in Italia.
Berneri spazia, è presente e considerato in tutti i dibattiti, anche se questo nel mondo anarchico è poco recepito ed ancor meno compreso: “Per conto mio, ho collaborato alla stampa socialista, a quella repubblicana, a quella protestante così come ho sempre accettato di parlare per invito di partiti avversari, a condizione di esser del tutto libero di scrivere o di parlare. Questo mio modo di vedere ha creato leggende, delle quali non mi sono mai curato” (...).
Berneri spazia, è presente e considerato in tutti i dibattiti, anche se questo nel mondo anarchico è poco recepito ed ancor meno compreso: “Per conto mio, ho collaborato alla stampa socialista, a quella repubblicana, a quella protestante così come ho sempre accettato di parlare per invito di partiti avversari, a condizione di esser del tutto libero di scrivere o di parlare. Questo mio modo di vedere ha creato leggende, delle quali non mi sono mai curato” (...).
All'interno del movimento libertario, articoli e saggi del lodigiano sono conosciuti in Europa e nelle due Americhe già dal 1926 al 1932, ben prima del suo arrivo in Spagna. Collabora a “Il Monito”, “La Lotta Umana” e “La Revue Anarchiste” di Parigi, a “L'en dehors” di Orleans, a “Le Reveil” di Ginevra e “Vogliamo” di Lugano, a “Guerra di Classe” di Bruxelles, a “La Revista Blanca” di Barcellona e ad “Estudios” di Valencia, ad “Arbetaren” di Stoccolma, a “Der Syndikalist” di Berlino, così come a “Studi Sociali” di Montevideo; “L'Adunata dei Refrattari”, New York; “Germinal”, Chicago (Illinois); “Il Pensiero”, “Antorcha”, “Niervo”, “La Protesta” e relativo supplemento, di Buenos Aires.
All'interno del movimento libertario, articoli e saggi del lodigiano sono conosciuti in Europa e nelle due Americhe già dal 1926 al 1932, ben prima del suo arrivo in Spagna. Collabora a “Il Monito”, “La Lotta Umana” e “La Revue Anarchiste” di Parigi, a “L'en dehors” di Orleans, a “Le Reveil” di Ginevra e “Vogliamo” di Lugano, a “Guerra di Classe” di Bruxelles, a “La Revista Blanca” di Barcellona e ad “Estudios” di Valencia, ad “Arbetaren” di Stoccolma, a “Der Syndikalist” di Berlino, così come a “Studi Sociali” di Montevideo; “L'Adunata dei Refrattari”, New York; “Germinal”, Chicago (Illinois); “Il Pensiero”, “Antorcha”, “Niervo”, “La Protesta” e relativo supplemento, di Buenos Aires.
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L'amicizia con Carlo Rosselli è stata determinante per Berneri. Come detto, i due s'erano legati dal tempo della condivisa esperienza di studio all'Università di Firenze presso la cattedra di Gaetano Salvemini, nel corso della quale avevano maturato un'intransigente avversione per ogni totalitarismo ed uno smisurato amore per la giustizia sociale.  
L'amicizia con Carlo Rosselli è stata determinante per Berneri. Come detto, i due s'erano legati dal tempo della condivisa esperienza di studio all'Università di Firenze presso la cattedra di Gaetano Salvemini, nel corso della quale avevano maturato un'intransigente avversione per ogni totalitarismo ed uno smisurato amore per la giustizia sociale.  
Entrambi combatterono il fascismo con tutte le loro forze, ma parimenti non furono certo teneri nel giudizio sulla follia di massa che aveva sconvolto l'Italia, segnalando le responsabilità del Paese reale.  
Entrambi combatterono il fascismo con tutte le loro forze, ma parimenti non furono certo teneri nel giudizio sulla follia di massa che aveva sconvolto l'Italia, segnalando le responsabilità del Paese reale.  
Rosselli nel 1930 ebbe modo di scrivere: “In una certa misura il fascismo è stato l'autobiografia di una nazione che rinuncia alla lotta politica, che ha il culto della unanimità , che fugge l'eresia, che sogna il trionfo del facile, della fiducia, dell'entusiasmo. Lottare contro il fascismo non significa dunque lottare solo contro una reazione di classe feroce e cieca, ma anche contro una certa mentalità , una sensibilità , contro delle tradizioni che sono patrimonio, purtroppo inconsapevole, di larghe correnti popolari” (...).
Rosselli nel 1930 ebbe modo di scrivere: “In una certa misura il fascismo è stato l'autobiografia di una nazione che rinuncia alla lotta politica, che ha il culto della unanimità, che fugge l'eresia, che sogna il trionfo del facile, della fiducia, dell'entusiasmo. Lottare contro il fascismo non significa dunque lottare solo contro una reazione di classe feroce e cieca, ma anche contro una certa mentalità, una sensibilità, contro delle tradizioni che sono patrimonio, purtroppo inconsapevole, di larghe correnti popolari” (...).
Berneri, intorno alla metà dello stesso decennio, aggiunse: “Quando un avventuriero come Mussolini può giungere al potere, vuol dire che il paese non è né sano né maturo. Bisogna che gli italiani si sbarazzino di Mussolini, ma bisogna anche che si sbarazzino dei difetti che hanno permesso la vittoria del fascismo” (...). Oppure: “Bisogna abbattere il regime fascista, ma bisogna sanare l'Italia della mistica fascista, che non è che una manifestazione patogena della sifilide politica degli italiani: il facilonismo retorico” (...). Ma già nel 1929 aveva formulato un vero e proprio “vaticinio” sul rapporto fra i connazionali ed il regime, preconizzando le condizioni della caduta dello stesso, cosa che avverrà solo a causa dei rovesci della guerra nel 1943: “Il popolo italiano non è ancora un branco di schiavi, non è materia morta. Ma non è neppure un popolo uso a libertà e di libertà geloso. Non è l'asino paziente, ma non è il leone incatenato. La rivolta non sarà morale. Sarà lo scoppio di un generale malcontento egoistico, di un'esasperazione di ventri vuoti” (...).
Berneri, intorno alla metà dello stesso decennio, aggiunse: “Quando un avventuriero come Mussolini può giungere al potere, vuol dire che il paese non è né sano né maturo. Bisogna che gli italiani si sbarazzino di Mussolini, ma bisogna anche che si sbarazzino dei difetti che hanno permesso la vittoria del fascismo” (...). Oppure: “Bisogna abbattere il regime fascista, ma bisogna sanare l'Italia della mistica fascista, che non è che una manifestazione patogena della sifilide politica degli italiani: il facilonismo retorico” (...). Ma già nel 1929 aveva formulato un vero e proprio “vaticinio” sul rapporto fra i connazionali ed il regime, preconizzando le condizioni della caduta dello stesso, cosa che avverrà solo a causa dei rovesci della guerra nel 1943: “Il popolo italiano non è ancora un branco di schiavi, non è materia morta. Ma non è neppure un popolo uso a libertà e di libertà geloso. Non è l'asino paziente, ma non è il leone incatenato. La rivolta non sarà morale. Sarà lo scoppio di un generale malcontento egoistico, di un'esasperazione di ventri vuoti” (...).
Il lodigiano non ha mai amato la demagogia: “Una bella rivelazione fu per me una conferenza di Angelo Tasca, che illustrò la questione della guerra di Libia con il manuale di statistica del Colajanni alla mano. Parlare in un comizio con tanto di manuale statistico alla mano era trasferire alla piazza la serietà della scuola” (...). Per questo non lesinò critiche anche alla sinistra: “Oggi è costume ridere della retorica fascista. Ma siamo delle scimmie che ridono davanti ad uno specchio” (...).
Il lodigiano non ha mai amato la demagogia: “Una bella rivelazione fu per me una conferenza di Angelo Tasca, che illustrò la questione della guerra di Libia con il manuale di statistica del Colajanni alla mano. Parlare in un comizio con tanto di manuale statistico alla mano era trasferire alla piazza la serietà della scuola” (...). Per questo non lesinò critiche anche alla sinistra: “Oggi è costume ridere della retorica fascista. Ma siamo delle scimmie che ridono davanti ad uno specchio” (...).
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Ha scritto Pier Carlo Masini che Berneri: “(...) si sentiva vicino ai repubblicani di Critica politica, (...) trasferiva la tematica federalista all'interno del movimento operaio, fino ad allora egemonizzato dal centralismo di marca germanico-socialdemocratica e di marca russo-bolscevica” (...). La sua attenzione sarà volta in particolare verso “Rivoluzione Liberale” e “Giustizia e Libertà ”, organi di stampa omonimi dei relativi movimenti politici (embrionale il primo, definito il secondo), guidati rispettivamente da Piero Gobetti e Carlo Rosselli.  
Ha scritto Pier Carlo Masini che Berneri: “(...) si sentiva vicino ai repubblicani di Critica politica, (...) trasferiva la tematica federalista all'interno del movimento operaio, fino ad allora egemonizzato dal centralismo di marca germanico-socialdemocratica e di marca russo-bolscevica” (...). La sua attenzione sarà volta in particolare verso “Rivoluzione Liberale” e “Giustizia e Libertà ”, organi di stampa omonimi dei relativi movimenti politici (embrionale il primo, definito il secondo), guidati rispettivamente da Piero Gobetti e Carlo Rosselli.  
Fu nel corso di uno dei primi dibattiti affrontati su quei giornali, proprio confrontandosi con Gobetti nell'aprile del ‘23, che Berneri sostenne essere gli anarchici “i liberali del socialismo” (...). Il liberalismo di Gobetti era considerato compatibile per un'alleanza con l'anarchismo, perché “richiama a Pareto, a Einaudi, ecc. ben più che ai liberali inglesi” (...).
Fu nel corso di uno dei primi dibattiti affrontati su quei giornali, proprio confrontandosi con Gobetti nell'aprile del ‘23, che Berneri sostenne essere gli anarchici “i liberali del socialismo” (...). Il liberalismo di Gobetti era considerato compatibile per un'alleanza con l'anarchismo, perché “richiama a Pareto, a Einaudi, ecc. ben più che ai liberali inglesi” (...).
Carlo Rosselli, autore durante il confino nell'isola di Lipari e prima di riparare in Francia, dell'opera Socialismo liberale, fu il principale animatore di un'organizzazione politica sincretista, federalista e liberal-socialista che, soprattutto attraverso Berneri, dialogò molto con gli anarchici. Questo portò alla realizzazione – tra alterne vicende – di una colonna mista che, inquadrata fra le forze della CNT, ebbe in Rosselli il comandante (...) ed in Berneri il commissario politico e che raggruppò, oltre ai volontari di Giustizia e Libertà , parte significativa dei duemila anarchici italiani accorsi in Spagna per combattere a fianco della Repubblica nella guerra rivoluzionaria che seguì il colpo di stato fascista del 17 luglio 1936. Va segnalato che questa milizia precorse di molto le (oggi) più famose “Brigate Internazionali” di matrice comunista. Intellettuali militanti, Berneri e Rosselli combatterono in prima linea sul fronte di Huesca. Il lodigiano venne ferito nella battaglia per la conquista di Monte Pelato (...).  
Carlo Rosselli, autore durante il confino nell'isola di Lipari e prima di riparare in Francia, dell'opera Socialismo liberale, fu il principale animatore di un'organizzazione politica sincretista, federalista e liberal-socialista che, soprattutto attraverso Berneri, dialogò molto con gli anarchici. Questo portò alla realizzazione – tra alterne vicende – di una colonna mista che, inquadrata fra le forze della CNT, ebbe in Rosselli il comandante (...) ed in Berneri il commissario politico e che raggruppò, oltre ai volontari di Giustizia e Libertà, parte significativa dei duemila anarchici italiani accorsi in Spagna per combattere a fianco della Repubblica nella guerra rivoluzionaria che seguì il colpo di stato fascista del 17 luglio 1936. Va segnalato che questa milizia precorse di molto le (oggi) più famose “Brigate Internazionali” di matrice comunista. Intellettuali militanti, Berneri e Rosselli combatterono in prima linea sul fronte di Huesca. Il lodigiano venne ferito nella battaglia per la conquista di Monte Pelato (...).  


===La morte di Berneri (Cinque uomini, un unico destino)===
===La morte di Berneri (Cinque uomini, un unico destino)===
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A quasi vent'anni dalla caduta del muro di Berlino e dalla tragicomica fine del socialismo “surreale”, l'opera di questo intellettuale militante, più unico che raro nel panorama libertario “classico” per le sue prese di posizione insieme eterodosse ed illuminanti, assume una valenza universale, utile non solo agli anarchici, bensì a tutti quanti abbiano finalmente chiaro che il rinnovamento della sinistra non può essere mera riedificazione di facciata, pena la definitiva scomparsa del complessivo movimento d'emancipazione dalla scena del panorama politico.  
A quasi vent'anni dalla caduta del muro di Berlino e dalla tragicomica fine del socialismo “surreale”, l'opera di questo intellettuale militante, più unico che raro nel panorama libertario “classico” per le sue prese di posizione insieme eterodosse ed illuminanti, assume una valenza universale, utile non solo agli anarchici, bensì a tutti quanti abbiano finalmente chiaro che il rinnovamento della sinistra non può essere mera riedificazione di facciata, pena la definitiva scomparsa del complessivo movimento d'emancipazione dalla scena del panorama politico.  
Ed è proprio dalla “crisi della politica” che deriva l'attualità del pensiero di Camillo Berneri. Da quella richiesta forte, e sempre meno eludibile, di una trasformazione della mistificazione della delega assoluta di potere in partecipazione cosciente ed attiva, in decentramento federalista ed in democrazia diretta. Dalla spinta ad invertire l'incipit fondamentale dell'organizzazione umana, nel passaggio dei modi della rappresentanza, per dirla con Berneri, dal “sono governati” al “si governano” (...).
Ed è proprio dalla “crisi della politica” che deriva l'attualità del pensiero di Camillo Berneri. Da quella richiesta forte, e sempre meno eludibile, di una trasformazione della mistificazione della delega assoluta di potere in partecipazione cosciente ed attiva, in decentramento federalista ed in democrazia diretta. Dalla spinta ad invertire l'incipit fondamentale dell'organizzazione umana, nel passaggio dei modi della rappresentanza, per dirla con Berneri, dal “sono governati” al “si governano” (...).
In verità , in politica egli concesse ben poco al romanticismo: “Il romantico ama i tempi remoti perché può metterli in cornice. Il nuovo gli sfugge e gli fa paura. Così il romantico ama gli eroi, perché può idealizzarli a suo piacimento” (...). Il romanticismo vive una contraddizione insanabile con l'anarchismo: “Il romanticismo è la statuaria della letteratura, della storiografia e della filosofia della storia. Il romanticismo confonde facilmente la grandezza con la fama, l'eroismo con il successo. È storicista” (...). Infine, il segno tradizionale e distintivo del romanticismo “classico” inclina pericolosamente a destra: “E il romanticismo reazionario accettò il prete ed elogiò il boia: perché riconducevano il popolaccio dietro le quinte della storia. Il popolo fa troppo fracasso e mette in subbuglio lo spirito. (...) Il romanticismo era contemplazione più che azione, mollezza più che volontà , egoismo più che generosità. E il suo sogno fu quello reazionario” (...).
In verità, in politica egli concesse ben poco al romanticismo: “Il romantico ama i tempi remoti perché può metterli in cornice. Il nuovo gli sfugge e gli fa paura. Così il romantico ama gli eroi, perché può idealizzarli a suo piacimento” (...). Il romanticismo vive una contraddizione insanabile con l'anarchismo: “Il romanticismo è la statuaria della letteratura, della storiografia e della filosofia della storia. Il romanticismo confonde facilmente la grandezza con la fama, l'eroismo con il successo. È storicista” (...). Infine, il segno tradizionale e distintivo del romanticismo “classico” inclina pericolosamente a destra: “E il romanticismo reazionario accettò il prete ed elogiò il boia: perché riconducevano il popolaccio dietro le quinte della storia. Il popolo fa troppo fracasso e mette in subbuglio lo spirito. (...) Il romanticismo era contemplazione più che azione, mollezza più che volontà, egoismo più che generosità. E il suo sogno fu quello reazionario” (...).


==La questione del programma==
==La questione del programma==
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==Contro "l'anarchismo dagli occhiali rosa"==
==Contro "l'anarchismo dagli occhiali rosa"==
Il nostro ingaggerà dunque una lotta – rispettosa ma senza quartiere – contro l'ubriacatura positivista, il semplicismo, l'ottimismo spontaneista e l'“anarchismo dagli occhiali rosa” (...) di kropotkiniana memoria, presenti anche in altro filone dell'anarchismo: quello comunista. Fra le varie, dichiarerà: “Respinto da Bakunin il Rousseau arcadico e contrattualista, l'ideologia kropotkiniana ci ha riportati all'ottimismo e all'evoluzionismo solidarista. Sul terreno dell'ottimismo antropologico, l'individualismo ha perpetuato il processo negativo dell'ideologia anarchica, conciliando arbitrariamente la libertà del singolo con le necessità sociali, confondendo l'associazione con la società , romanticizzando il dualismo libertà ed autorità in uno statico ed assoluto antagonismo. Il solidarismo kropotkiniano, sviluppatosi sul terreno naturalistico ed etnografico, confuse l'armonia di necessità biologica delle api con quella discordia discors e quella concordia concors propria dell'aggregato sociale (...)” (...).  
Il nostro ingaggerà dunque una lotta – rispettosa ma senza quartiere – contro l'ubriacatura positivista, il semplicismo, l'ottimismo spontaneista e l'“anarchismo dagli occhiali rosa” (...) di kropotkiniana memoria, presenti anche in altro filone dell'anarchismo: quello comunista. Fra le varie, dichiarerà: “Respinto da Bakunin il Rousseau arcadico e contrattualista, l'ideologia kropotkiniana ci ha riportati all'ottimismo e all'evoluzionismo solidarista. Sul terreno dell'ottimismo antropologico, l'individualismo ha perpetuato il processo negativo dell'ideologia anarchica, conciliando arbitrariamente la libertà del singolo con le necessità sociali, confondendo l'associazione con la società, romanticizzando il dualismo libertà ed autorità in uno statico ed assoluto antagonismo. Il solidarismo kropotkiniano, sviluppatosi sul terreno naturalistico ed etnografico, confuse l'armonia di necessità biologica delle api con quella discordia discors e quella concordia concors propria dell'aggregato sociale (...)” (...).  
Berneri lavora alla costruzione di un progetto politico che sappia raccogliere le caratteristiche migliori del pensiero antiautoritario ed egualitario: “Dal 1919 in poi non mi sono stancato di agitare in seno al movimento anarchico il problema di conciliare l'integralismo educativo e il possibilismo politico, osando sostenere polemiche e contraddittori con i più autorevoli rappresentanti dell'anarchismo italiano” (...). Per lui saranno soprattutto il federalismo ed il comunalismo gli strumenti atti alla riappropriazione ed all'autodeterminazione, mentre l'anarcosindacalismo rappresenterà il metodo organizzativo ed agitatorio in grado di dare al movimento libertario capacità di penetrazione, onde sviluppare la necessaria “egemonia” nel mondo del lavoro atta a far maturare e mutare i rapporti di forza. Strumento utile anche a combattere la scarsa propensione all'autodisciplina dello “specifico” anarchico ed a far da cemento per il senso di appartenenza che deve legare le strutture militanti.  
Berneri lavora alla costruzione di un progetto politico che sappia raccogliere le caratteristiche migliori del pensiero antiautoritario ed egualitario: “Dal 1919 in poi non mi sono stancato di agitare in seno al movimento anarchico il problema di conciliare l'integralismo educativo e il possibilismo politico, osando sostenere polemiche e contraddittori con i più autorevoli rappresentanti dell'anarchismo italiano” (...). Per lui saranno soprattutto il federalismo ed il comunalismo gli strumenti atti alla riappropriazione ed all'autodeterminazione, mentre l'anarcosindacalismo rappresenterà il metodo organizzativo ed agitatorio in grado di dare al movimento libertario capacità di penetrazione, onde sviluppare la necessaria “egemonia” nel mondo del lavoro atta a far maturare e mutare i rapporti di forza. Strumento utile anche a combattere la scarsa propensione all'autodisciplina dello “specifico” anarchico ed a far da cemento per il senso di appartenenza che deve legare le strutture militanti.  


==La scelta anarcosindacalista==
==La scelta anarcosindacalista==
Recupererà quindi di Kropotkin il rigore scientifico, gli studi sulle dinamiche della rivoluzione francese, le intuizioni sulla fine del bolscevismo, la questione della parificazione fra lavoro manuale ed intellettuale, la propensione federalista (che arricchirà grazie alla profonda conoscenza di Cattaneo acquisita negli studi con Salvemini), lo spirito organizzativo e la comprensione dell'importanza del nascente anarcosindacalismo. Ecco, sintetizzato, il suo Commiato (...), redatto in morte del grande vecchio: “(...) al di sopra delle riserve, delle incertezze contingenti il suo sovietismo sindacalista-comunista brillava di coerenza logica e di audacia costruttiva”.
Recupererà quindi di Kropotkin il rigore scientifico, gli studi sulle dinamiche della rivoluzione francese, le intuizioni sulla fine del bolscevismo, la questione della parificazione fra lavoro manuale ed intellettuale, la propensione federalista (che arricchirà grazie alla profonda conoscenza di Cattaneo acquisita negli studi con Salvemini), lo spirito organizzativo e la comprensione dell'importanza del nascente anarcosindacalismo. Ecco, sintetizzato, il suo Commiato (...), redatto in morte del grande vecchio: “(...) al di sopra delle riserve, delle incertezze contingenti il suo sovietismo sindacalista-comunista brillava di coerenza logica e di audacia costruttiva”.
Che Berneri vedesse in Kropotkin un fautore dell'anarcosindacalismo è testimoniato anche da quest'altro estratto: “Il partito anarchico sognato dal Kropotkin sarebbe stato, anche se non ne avesse portato il nome, un partito anarco-sindacalista. Narra lo Schapiro: ‘E quando la discussione era sulla questione sindacale ripeteva sempre che in realtà , il sindacalismo rivoluzionario così come si sviluppava in Europa si trovava già interamente nelle idee propagate da Bakunin nella Prima Internazionale, in questa Associazione Internazionale dei lavoratori che egli amava dare come esempio di organizzazione operaia. Egli si interessava sempre più dello sviluppo del sindacalismo rivoluzionario e dei tentativi degli anarco-sindacalisti russi di partecipare al movimento sindacale ed alla ricostruzione industriale del paese‘” (...).  
Che Berneri vedesse in Kropotkin un fautore dell'anarcosindacalismo è testimoniato anche da quest'altro estratto: “Il partito anarchico sognato dal Kropotkin sarebbe stato, anche se non ne avesse portato il nome, un partito anarco-sindacalista. Narra lo Schapiro: ‘E quando la discussione era sulla questione sindacale ripeteva sempre che in realtà, il sindacalismo rivoluzionario così come si sviluppava in Europa si trovava già interamente nelle idee propagate da Bakunin nella Prima Internazionale, in questa Associazione Internazionale dei lavoratori che egli amava dare come esempio di organizzazione operaia. Egli si interessava sempre più dello sviluppo del sindacalismo rivoluzionario e dei tentativi degli anarco-sindacalisti russi di partecipare al movimento sindacale ed alla ricostruzione industriale del paese‘” (...).  
Come Kropotkin, Berneri identificava nell'anarcosindacalismo la continuazione ideale della Prima Internazionale. Precisamente: “La ricostruzione sociale anti-statale non può essere, quindi, secondo il Kropotkine, che un nuovo ordine basato su un sistema di rappresentanze e di direzioni del quale partecipi tutta la massa lavoratrice. E tanto più questa massa dispone di uno strumento proprio per sostituire al regime capitalistico l'organizzazione economica comunista, e tale istrumento non può che essere il sindacato, tanto più è possibile che la federazione comunalista possa subentrare allo Stato” (...).
Come Kropotkin, Berneri identificava nell'anarcosindacalismo la continuazione ideale della Prima Internazionale. Precisamente: “La ricostruzione sociale anti-statale non può essere, quindi, secondo il Kropotkine, che un nuovo ordine basato su un sistema di rappresentanze e di direzioni del quale partecipi tutta la massa lavoratrice. E tanto più questa massa dispone di uno strumento proprio per sostituire al regime capitalistico l'organizzazione economica comunista, e tale istrumento non può che essere il sindacato, tanto più è possibile che la federazione comunalista possa subentrare allo Stato” (...).
Berneri, che nell'esilio scelse di rivitalizzare e dirigere la rivista di lingua italiana “Guerra di Classe” – prima del fascismo organo dell'Unione Sindacale e col quale aveva già collaborato in Italia dal 1917 – fu molto chiaro in merito: “Il campo sindacale è diventato l'unico campo che permette un'attività concreta. (...) La stampa anarco-sindacalista ha un riflesso costante dei bisogni, delle aspirazioni, delle lotte delle masse proletarie (...) ma quella anarchica, pura, salvo qualche rara eccezione, è generica, cioè sorda e cieca alle realtà particolari dell'ambiente sociale in cui essa vive. Il giornale di Parigi potrebbe essere fatto a New York, e quasi in nulla muterebbe. In questo fenomeno sta uno dei massimi indici della crisi dell'anarchismo puro” (...).
Berneri, che nell'esilio scelse di rivitalizzare e dirigere la rivista di lingua italiana “Guerra di Classe” – prima del fascismo organo dell'Unione Sindacale e col quale aveva già collaborato in Italia dal 1917 – fu molto chiaro in merito: “Il campo sindacale è diventato l'unico campo che permette un'attività concreta. (...) La stampa anarco-sindacalista ha un riflesso costante dei bisogni, delle aspirazioni, delle lotte delle masse proletarie (...) ma quella anarchica, pura, salvo qualche rara eccezione, è generica, cioè sorda e cieca alle realtà particolari dell'ambiente sociale in cui essa vive. Il giornale di Parigi potrebbe essere fatto a New York, e quasi in nulla muterebbe. In questo fenomeno sta uno dei massimi indici della crisi dell'anarchismo puro” (...).
Il suo è un anarcosindacalismo di progetto, volano di un nuovo programma: “La maggior parte degli anarco-sindacalisti è costituita da anarchici che sono sindacalisti in quanto vedono nel sindacato un ambiente di agitazione e di propaganda più che di organizzazione classista. E ben pochi anarco-sindacalisti si sono, quindi, posti i problemi inerenti al sindacato quale cellula ricostruttiva, quale base di produzione e di amministrazione comuniste. Ancor meno numerosi sono coloro che si sono posti il problema dei rapporti fra i sindacati e i Comuni. Ancor oggi siamo al bivio, fra l'insidia del sovietismo bolscevico e l'insidia unitaria accentratrice del confederalismo socialdemocratico” (...). Un programma insieme economico e politico, nonché mirato alle diverse realtà nazionali: “Se il movimento anarchico non si decide a limitare il proprio comunismo a pura e semplice tendenzialità , a formulare un programma italiano, spagnolo, russo, ecc. a basi comunaliste e sindacaliste; a crearsi una tattica rispondente alla complessità e variabilità dei momenti politici e sociali; a sbarazzarsi, insomma, di tutti i suoi gravami dogmatici, di tutte le sue abitudini stilistiche, di tutte le sue fobie, il movimento anarchico non attirerà più la gioventù intelligente e colta, non saprà combattere efficacemente la statolatria comunista, non potrà per lungo tempo uscire dal marasma. La crisi dell'anarco-sindacalismo è la crisi dell'anarchismo. Ed io ho fede che nella corrente anarco-sindacalista più che in ogni altra è possibile trovare le possibilità di una rielaborazione ideologica e tattica dell'anarchismo” (...).
Il suo è un anarcosindacalismo di progetto, volano di un nuovo programma: “La maggior parte degli anarco-sindacalisti è costituita da anarchici che sono sindacalisti in quanto vedono nel sindacato un ambiente di agitazione e di propaganda più che di organizzazione classista. E ben pochi anarco-sindacalisti si sono, quindi, posti i problemi inerenti al sindacato quale cellula ricostruttiva, quale base di produzione e di amministrazione comuniste. Ancor meno numerosi sono coloro che si sono posti il problema dei rapporti fra i sindacati e i Comuni. Ancor oggi siamo al bivio, fra l'insidia del sovietismo bolscevico e l'insidia unitaria accentratrice del confederalismo socialdemocratico” (...). Un programma insieme economico e politico, nonché mirato alle diverse realtà nazionali: “Se il movimento anarchico non si decide a limitare il proprio comunismo a pura e semplice tendenzialità, a formulare un programma italiano, spagnolo, russo, ecc. a basi comunaliste e sindacaliste; a crearsi una tattica rispondente alla complessità e variabilità dei momenti politici e sociali; a sbarazzarsi, insomma, di tutti i suoi gravami dogmatici, di tutte le sue abitudini stilistiche, di tutte le sue fobie, il movimento anarchico non attirerà più la gioventù intelligente e colta, non saprà combattere efficacemente la statolatria comunista, non potrà per lungo tempo uscire dal marasma. La crisi dell'anarco-sindacalismo è la crisi dell'anarchismo. Ed io ho fede che nella corrente anarco-sindacalista più che in ogni altra è possibile trovare le possibilità di una rielaborazione ideologica e tattica dell'anarchismo” (...).
Nel proprio iter il lodigiano esprimerà il suo punto di vista praticamente su tutte le questioni dibattute nel movimento libertario internazionale.
Nel proprio iter il lodigiano esprimerà il suo punto di vista praticamente su tutte le questioni dibattute nel movimento libertario internazionale.


==Contro l'individualismo==
==Contro l'individualismo==
L'individualismo nichilista verrà combattuto da Berneri con grande determinazione, in particolare nelle sue accezioni nietzschiane e superuomistiche: “Una vita di quotidiani sforzi di volontà e di quotidiane esperienze di dolore e di amore vale certo più dei sogni infingardi dei Super-uomini, che si credono tali solo perché non sanno, non vogliono essere ‘uomini‘” (...).  
L'individualismo nichilista verrà combattuto da Berneri con grande determinazione, in particolare nelle sue accezioni nietzschiane e superuomistiche: “Una vita di quotidiani sforzi di volontà e di quotidiane esperienze di dolore e di amore vale certo più dei sogni infingardi dei Super-uomini, che si credono tali solo perché non sanno, non vogliono essere ‘uomini‘” (...).  
Significativa in proposito anche l'interpretazione critica che Berneri ci fornisce del Carlyle: geni ed eroi sono il prodotto di moltitudini, eventi e tempi dai vasti e spesso anonimi confini. Non esiste alcuna giustificazione per le concezioni elitarie: i pochi sono il prodotto, la voce dei tanti che si sommano fra passato e presente. Cionondimeno, il lodigiano non sottovalutò mai la forza dell'idea e la positività del mito: “Lo studioso dall'abito di considerare la storia, è condotto ad una particolare forma di irrealismo: quella che consiste nel non vedere la funzione del mito, delle tendenze estreme, dell'assoluto” (...). Purché l'ideologia non venisse considerata sacra e intoccabile e di contro la storia non dimenticasse ugualmente il determinante apporto dei semplici ed il sacrificio della miriade degli anonimi militanti: “Il socialismo deve uscire dall'infantilismo rivoluzionario che vede posizioni nette là dove sono problemi complessi, e da quello riformista, che non capisce la funzione storica dei programmi massimi e degli imperativi spirituali. E deve convincersi delle necessità di abbinare, nella propaganda, il fascino del mito con l'evidenza della necessità , in un'armonica conciliazione di valori ideali e di interessi utilitari” (...).  
Significativa in proposito anche l'interpretazione critica che Berneri ci fornisce del Carlyle: geni ed eroi sono il prodotto di moltitudini, eventi e tempi dai vasti e spesso anonimi confini. Non esiste alcuna giustificazione per le concezioni elitarie: i pochi sono il prodotto, la voce dei tanti che si sommano fra passato e presente. Cionondimeno, il lodigiano non sottovalutò mai la forza dell'idea e la positività del mito: “Lo studioso dall'abito di considerare la storia, è condotto ad una particolare forma di irrealismo: quella che consiste nel non vedere la funzione del mito, delle tendenze estreme, dell'assoluto” (...). Purché l'ideologia non venisse considerata sacra e intoccabile e di contro la storia non dimenticasse ugualmente il determinante apporto dei semplici ed il sacrificio della miriade degli anonimi militanti: “Il socialismo deve uscire dall'infantilismo rivoluzionario che vede posizioni nette là dove sono problemi complessi, e da quello riformista, che non capisce la funzione storica dei programmi massimi e degli imperativi spirituali. E deve convincersi delle necessità di abbinare, nella propaganda, il fascino del mito con l'evidenza della necessità, in un'armonica conciliazione di valori ideali e di interessi utilitari” (...).  


==Per l'organizzazione politica degli anarchici==
==Per l'organizzazione politica degli anarchici==
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L'orizzonte critico del lodigiano scava così in profondità nel paradigma libertario, tocca così tanti argomenti, da potersi definire davvero il tentativo di rivederlo globalmente, a tratti nella ricerca di una riattualizzazione, altrove cercando di “ripulirne” l'ideologia dalle scorie sedimentate di differente provenienza, e non di rado assistiamo ad una vera e propria opera di riforma.
L'orizzonte critico del lodigiano scava così in profondità nel paradigma libertario, tocca così tanti argomenti, da potersi definire davvero il tentativo di rivederlo globalmente, a tratti nella ricerca di una riattualizzazione, altrove cercando di “ripulirne” l'ideologia dalle scorie sedimentate di differente provenienza, e non di rado assistiamo ad una vera e propria opera di riforma.
Se in ogni occasione siamo di fronte ad un linguaggio privo di tatticismi, davvero sempre mirato senza mezzi termini all'obiettivo (ed anche in ciò sta la grandezza e la singolarità del “caso Berneri”), dinanzi agli interrogativi ed alle questioni relative all'organizzazione abbiamo l'argomentare più diretto e meno mediato in assoluto. Il testo più emblematico in materia ha un titolo assai significativo: Il cretinismo anarchico (...), del 1935. Vi si lancia una sfida senza esclusione di colpi alle deficienze croniche dell'anarchismo “fossile”, vale a dire a prassi ed atteggiamenti invalsi da una acquisizione superficiale dei “sacri” principi: ciò che viene colpito è quell'insieme di rituali senza senso che caratterizzavano – ed in molte occasioni caratterizzano ancora – un certo modo di vivere il momento collettivo nello specifico anarchico. Il malinteso di una mancanza assoluta di regole, un “democraticismo” autistico e paranoide che scambia il rispetto per forzatura autoritaria, e tanto d'altro: tutti elementi che impediscono il corretto funzionamento di un'organizzazione, ne nullificano l'esistenza.  
Se in ogni occasione siamo di fronte ad un linguaggio privo di tatticismi, davvero sempre mirato senza mezzi termini all'obiettivo (ed anche in ciò sta la grandezza e la singolarità del “caso Berneri”), dinanzi agli interrogativi ed alle questioni relative all'organizzazione abbiamo l'argomentare più diretto e meno mediato in assoluto. Il testo più emblematico in materia ha un titolo assai significativo: Il cretinismo anarchico (...), del 1935. Vi si lancia una sfida senza esclusione di colpi alle deficienze croniche dell'anarchismo “fossile”, vale a dire a prassi ed atteggiamenti invalsi da una acquisizione superficiale dei “sacri” principi: ciò che viene colpito è quell'insieme di rituali senza senso che caratterizzavano – ed in molte occasioni caratterizzano ancora – un certo modo di vivere il momento collettivo nello specifico anarchico. Il malinteso di una mancanza assoluta di regole, un “democraticismo” autistico e paranoide che scambia il rispetto per forzatura autoritaria, e tanto d'altro: tutti elementi che impediscono il corretto funzionamento di un'organizzazione, ne nullificano l'esistenza.  
Invece, il problema del funzionamento dell'organizzazione sta molto a cuore a Berneri. Per lui la struttura non deve servire al piccolo protagonismo dei partecipanti ad un'assemblea, bensì allo scopo per la quale esiste in ogni consesso umano ed in particolare in politica: costruire ed affinare l'impianto onde rendere incisiva la prassi del movimento. Leggiamo questo testo: “Benché urti associare le due parole, bisogna riconoscere che esiste un cretinismo anarchico. Ne sono esponenti non soltanto dei cretini che non hanno capito un'acca dell'anarchia e dell'anarchismo, ma anche dei compagni autentici che in esso sono irretiti non per miseria di sostanza grigia bensì per certe bizzarrie di conformazione cerebrale. Questi cretini dell'anarchismo hanno la fobia del voto anche se si tratti di approvare o disapprovare una decisione strettamente circoscritta e connessa alle cose del nostro movimento, hanno la fobia del presidente di assemblea anche se sia reso necessario dal cattivo funzionamento dei freni inibitori degli individui liberi che di quell'assemblea costituiscono l'urlante maggioranza, ed hanno altre fobie che meriterebbero un lungo discorso, se non fosse, quest'argomento, troppo scottante di umiliazione. Il problema della libertà , che dovrebbe essere sviscerato da ogni anarchico essendo il problema basilare della nostra impostazione spirituale della questione sociale, non è stato sufficientemente impostato e delucidato. Quando, in una riunione, mi capita di trovare il tipo che vuole fumare anche se l'ambiente è angusto e senza ventilazione, infischiandosene delle compagne presenti o dei deboli di bronchi che sembrano in preda alla tosse canina, e quando questo tipo alle osservazioni, anche se cordiali, risponde rivendicando la ‘libertà dell'io‘, ebbene, io che sono fumatore e per giunta un poco tolstoiano per carattere, vorrei avere i muscoli di un boxeur nero per far volare l'unico in questione fuori dal locale o la pazienza di Giobbe per spiegargli che è un cafone cretino. Se la libertà anarchica è la libertà che non viola quella altrui, il parlare due ore di seguito per dire delle fesserie costituisce una violazione della libertà del pubblico di non perdere il proprio tempo e di annoiarsi mortalmente. Nelle nostre riunioni bisognerebbe stabilire la regola della condizionale libertà di parola: rinnovabile ogni dieci minuti. In dieci minuti, a meno che non si voglia spiegare i rapporti tra le macchie solari e la necessità dei sindacati o quella tra la monere haeckeliana e la filosofia di Max Stirner, si può, a meno che si voglia far sfoggio di erudizione o di eloquenza, esporre la propria opinione su una questione relativa al movimento, quando questa questione non sia di... importanza capitale. Il guaio è che molti vogliono cercare le molte, numerose, svariate, molteplici, innumerevoli ragioni, come diceva uno di questi oratori a lungo metraggio, invece di cercare e di esporre quelle poche e comprensibili ragioni che trova e sa comunicare chiunque abbia l'abito a pensare prima di parlare. Disgraziatamente accade che siano necessarie delle riunioni di ore ed ore per risolvere questioni che con un po' di riflessione e di semplicità di spirito si risolverebbero in mezz'ora. E se qualcuno propone, estremo rimedio alla babele vociferante, un presidente, in quel regolatore della riunione che ha ancor minore autorità di quello che abbia l'arbitro in una partita di foot-ball, certe vestali dell'Anarchia vedono... un duce. Per chi questo discorso? I compagni della regione parigina che hanno, recentemente, affrontato la spesa e la fatica di recarsi ad una riunione da non vicine località per assistere allo spettacolo di gente che urlava contemporaneamente intrecciando dialoghi che diventavano monologhi per la confusione imperante e delirante, si sono trovati, ritornando mogi mogi verso le loro case, concordi nel pensare che la gabbia dei pappagalli dello zoo parigino è uno spettacolo più interessante. Quando degli anarchici non riescono ad organizzare quel problema meno difficile di quello della quadratura del circolo, di esporre a turno il proprio pensiero, un regolatore diventa indispensabile. Questa è quella che io chiamo l'auto-critica. Ed è diretta a tutti coloro che rendono necessario un regolatore di riunioni anarchiche. Cosa che è ancora più buffa di quello che pensino coloro che se ne scandalizzano. Molto buffa e molto grave. E grave perché resa, molte volte, necessaria proprio là dove dovrebbe essere superflua”.
Invece, il problema del funzionamento dell'organizzazione sta molto a cuore a Berneri. Per lui la struttura non deve servire al piccolo protagonismo dei partecipanti ad un'assemblea, bensì allo scopo per la quale esiste in ogni consesso umano ed in particolare in politica: costruire ed affinare l'impianto onde rendere incisiva la prassi del movimento. Leggiamo questo testo: “Benché urti associare le due parole, bisogna riconoscere che esiste un cretinismo anarchico. Ne sono esponenti non soltanto dei cretini che non hanno capito un'acca dell'anarchia e dell'anarchismo, ma anche dei compagni autentici che in esso sono irretiti non per miseria di sostanza grigia bensì per certe bizzarrie di conformazione cerebrale. Questi cretini dell'anarchismo hanno la fobia del voto anche se si tratti di approvare o disapprovare una decisione strettamente circoscritta e connessa alle cose del nostro movimento, hanno la fobia del presidente di assemblea anche se sia reso necessario dal cattivo funzionamento dei freni inibitori degli individui liberi che di quell'assemblea costituiscono l'urlante maggioranza, ed hanno altre fobie che meriterebbero un lungo discorso, se non fosse, quest'argomento, troppo scottante di umiliazione. Il problema della libertà, che dovrebbe essere sviscerato da ogni anarchico essendo il problema basilare della nostra impostazione spirituale della questione sociale, non è stato sufficientemente impostato e delucidato. Quando, in una riunione, mi capita di trovare il tipo che vuole fumare anche se l'ambiente è angusto e senza ventilazione, infischiandosene delle compagne presenti o dei deboli di bronchi che sembrano in preda alla tosse canina, e quando questo tipo alle osservazioni, anche se cordiali, risponde rivendicando la ‘libertà dell'io‘, ebbene, io che sono fumatore e per giunta un poco tolstoiano per carattere, vorrei avere i muscoli di un boxeur nero per far volare l'unico in questione fuori dal locale o la pazienza di Giobbe per spiegargli che è un cafone cretino. Se la libertà anarchica è la libertà che non viola quella altrui, il parlare due ore di seguito per dire delle fesserie costituisce una violazione della libertà del pubblico di non perdere il proprio tempo e di annoiarsi mortalmente. Nelle nostre riunioni bisognerebbe stabilire la regola della condizionale libertà di parola: rinnovabile ogni dieci minuti. In dieci minuti, a meno che non si voglia spiegare i rapporti tra le macchie solari e la necessità dei sindacati o quella tra la monere haeckeliana e la filosofia di Max Stirner, si può, a meno che si voglia far sfoggio di erudizione o di eloquenza, esporre la propria opinione su una questione relativa al movimento, quando questa questione non sia di... importanza capitale. Il guaio è che molti vogliono cercare le molte, numerose, svariate, molteplici, innumerevoli ragioni, come diceva uno di questi oratori a lungo metraggio, invece di cercare e di esporre quelle poche e comprensibili ragioni che trova e sa comunicare chiunque abbia l'abito a pensare prima di parlare. Disgraziatamente accade che siano necessarie delle riunioni di ore ed ore per risolvere questioni che con un po' di riflessione e di semplicità di spirito si risolverebbero in mezz'ora. E se qualcuno propone, estremo rimedio alla babele vociferante, un presidente, in quel regolatore della riunione che ha ancor minore autorità di quello che abbia l'arbitro in una partita di foot-ball, certe vestali dell'Anarchia vedono... un duce. Per chi questo discorso? I compagni della regione parigina che hanno, recentemente, affrontato la spesa e la fatica di recarsi ad una riunione da non vicine località per assistere allo spettacolo di gente che urlava contemporaneamente intrecciando dialoghi che diventavano monologhi per la confusione imperante e delirante, si sono trovati, ritornando mogi mogi verso le loro case, concordi nel pensare che la gabbia dei pappagalli dello zoo parigino è uno spettacolo più interessante. Quando degli anarchici non riescono ad organizzare quel problema meno difficile di quello della quadratura del circolo, di esporre a turno il proprio pensiero, un regolatore diventa indispensabile. Questa è quella che io chiamo l'auto-critica. Ed è diretta a tutti coloro che rendono necessario un regolatore di riunioni anarchiche. Cosa che è ancora più buffa di quello che pensino coloro che se ne scandalizzano. Molto buffa e molto grave. E grave perché resa, molte volte, necessaria proprio là dove dovrebbe essere superflua”.
Il ruolo dell'organizzazione specifica è ben preciso per Berneri. Nel testo Risposta ad una consultazione sui compiti immediati e futuri dell'anarchismo (...), egli accenna a critiche e suggerimenti: “L'organizzazione (l'Unione Anarchica Italiana) ha vissuto poco, ma qualche anno di vita sarebbe bastato, se fosse esistita tra noi una costante ed intelligente volontà rivoluzionaria, a fare di essa un organismo di combattimento capace di agire con coordinazione e simultaneità , anche fuori dei quadri sindacali ed indipendentemente dai fronti unici, che si risolsero in bluff. Si consumarono energie insurrezionali in sporadiche azioni e si perdettero ottime occasioni (...) le esperienze del passato non vanno dimenticate. E la diagnosi dei nostri mali e delle nostre deficienze va accompagnata alla ferma volontà di un rinnovamento”.
Il ruolo dell'organizzazione specifica è ben preciso per Berneri. Nel testo Risposta ad una consultazione sui compiti immediati e futuri dell'anarchismo (...), egli accenna a critiche e suggerimenti: “L'organizzazione (l'Unione Anarchica Italiana) ha vissuto poco, ma qualche anno di vita sarebbe bastato, se fosse esistita tra noi una costante ed intelligente volontà rivoluzionaria, a fare di essa un organismo di combattimento capace di agire con coordinazione e simultaneità, anche fuori dei quadri sindacali ed indipendentemente dai fronti unici, che si risolsero in bluff. Si consumarono energie insurrezionali in sporadiche azioni e si perdettero ottime occasioni (...) le esperienze del passato non vanno dimenticate. E la diagnosi dei nostri mali e delle nostre deficienze va accompagnata alla ferma volontà di un rinnovamento”.
È un altro, ancor più forte, richiamo all'organizzazione come veicolo della politica, capace di concentrare ed applicare le forze ed al tempo stesso di rigenerarsi e rielaborare: un vero e proprio laboratorio di idee, capace di essere al tempo stesso fabbrica e motore di esperienze.
È un altro, ancor più forte, richiamo all'organizzazione come veicolo della politica, capace di concentrare ed applicare le forze ed al tempo stesso di rigenerarsi e rielaborare: un vero e proprio laboratorio di idee, capace di essere al tempo stesso fabbrica e motore di esperienze.
Berneri è molto infastidito dai continui attacchi alla logica organizzativa. Già nell'agosto del 1922 interviene nel dibattito, molto contrariato dalle invettive strumentali lanciate contro l'appena nata Unione Anarchica Italiana: “(...) Vediamo, piuttosto, se ha ragione lo Cizeta a scrivere che gli anarchici italiani ‘costituendosi in partito e centralizzandosi negli organi e nelle commissioni di corrispondenza dell'Unione Anarchica Italiana, si sono allontanati dalle folle‘. (...) Dov'è la centralizzazione? Forse nella Commissione di Corrispondenza? Essa è una Commissione (in cui v'è un solo indennizzato) incaricata dai singoli gruppi, di prendere iniziative di carattere generale: come manifesti nazionali, partecipazione a convegni con altri partiti di sinistra, ecc. La sua opera si limita a ricevere e trasmettere comunicati, somme di denaro, ecc. quando i gruppi abbiano bisogno, per questo, di lei. Altrimenti tutta la vita del movimento si svolge senza che sia avvertita l'esistenza di questa Commissione che ha tanto impressionato alcuni fegatosi critici per scopi personali e voi che, vivendo lontano non sapete come stanno le cose.
Berneri è molto infastidito dai continui attacchi alla logica organizzativa. Già nell'agosto del 1922 interviene nel dibattito, molto contrariato dalle invettive strumentali lanciate contro l'appena nata Unione Anarchica Italiana: “(...) Vediamo, piuttosto, se ha ragione lo Cizeta a scrivere che gli anarchici italiani ‘costituendosi in partito e centralizzandosi negli organi e nelle commissioni di corrispondenza dell'Unione Anarchica Italiana, si sono allontanati dalle folle‘. (...) Dov'è la centralizzazione? Forse nella Commissione di Corrispondenza? Essa è una Commissione (in cui v'è un solo indennizzato) incaricata dai singoli gruppi, di prendere iniziative di carattere generale: come manifesti nazionali, partecipazione a convegni con altri partiti di sinistra, ecc. La sua opera si limita a ricevere e trasmettere comunicati, somme di denaro, ecc. quando i gruppi abbiano bisogno, per questo, di lei. Altrimenti tutta la vita del movimento si svolge senza che sia avvertita l'esistenza di questa Commissione che ha tanto impressionato alcuni fegatosi critici per scopi personali e voi che, vivendo lontano non sapete come stanno le cose.
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Voi siete, inserito nel regime bolscevico, un suicida. Non avete altro ruolo che non sia quello dell'anarchico ricreduto. Quando attaccherete noi, tutte le Pravda e tutte le Isvestia vi saranno aperte. Ma se un po' del lievito rivoluzionario, anche un minimo residuo, è restato nel vostro cervello e vorrete esprimere opinioni non consone a quelle del dittature e dei suoi luogotenenti, finirete come Sandomirsky. Il bivio aperto dinanzi a voi è questo: o insignificante inserito, destinato a confondersi nel grigio totalitario del regime o oppositore ben presto costretto a meditare su quanto e su come il regime bolscevico sia una dittatura proletaria. Questa seconda strada vi salverebbe dal fallimento della vostra personalità.   
Voi siete, inserito nel regime bolscevico, un suicida. Non avete altro ruolo che non sia quello dell'anarchico ricreduto. Quando attaccherete noi, tutte le Pravda e tutte le Isvestia vi saranno aperte. Ma se un po' del lievito rivoluzionario, anche un minimo residuo, è restato nel vostro cervello e vorrete esprimere opinioni non consone a quelle del dittature e dei suoi luogotenenti, finirete come Sandomirsky. Il bivio aperto dinanzi a voi è questo: o insignificante inserito, destinato a confondersi nel grigio totalitario del regime o oppositore ben presto costretto a meditare su quanto e su come il regime bolscevico sia una dittatura proletaria. Questa seconda strada vi salverebbe dal fallimento della vostra personalità.   
(...) Eravate al di sopra della vostra abiura, Arcinov. Vi è modo e modo di andarsene dalla nostra casa. Voi ne siete uscito sbattendone le porte e vociferando come un ubriaco. E questo modo di uscire porta disgrazia, perché è di per sé un segno di decadenza intellettuale e morale".   
(...) Eravate al di sopra della vostra abiura, Arcinov. Vi è modo e modo di andarsene dalla nostra casa. Voi ne siete uscito sbattendone le porte e vociferando come un ubriaco. E questo modo di uscire porta disgrazia, perché è di per sé un segno di decadenza intellettuale e morale".   
Purtroppo per Arcinov, il nostro fu buon profeta: il russo, dopo essere stato spremuto come un limone a fini propagandistici, verrà , di lì a poco, spietatamente epurato dal regime sovietico.   
Purtroppo per Arcinov, il nostro fu buon profeta: il russo, dopo essere stato spremuto come un limone a fini propagandistici, verrà, di lì a poco, spietatamente epurato dal regime sovietico.   
Arcinov era caduto nel versante opposto della critica che aveva espresso: avviando con altri una comprensibile critica all'anarchismo rispetto all'ambito organizzativo, era scivolato tragicamente nell'imitazione dell'avversario politico, quel bolscevismo che una ristrutturazione seria dell'anarchismo avrebbe messo in grande difficoltà. Questo, perché succube del plagio dei “vincitori”, cosa che gli aveva fatto dimenticare le ragioni dell'anarchismo. Ma succube anche del mito frontista, contrastato da Berneri in Spagna (e non solo) (...), nonché del politicismo senza scrupoli, tipico del bolscevismo. Peraltro, questo malinteso spirito d'unità , pure in campo sindacale (ove la scelta di formare un'organizzazione libertaria verrà sacrificata spesso alla militanza nel sindacato comunista) e filo-consiliarista, divenuto paradossalmente un indistinto, spontaneo embrasson nous (concepito fra mitiche “basi” popolari “autonome”), risulterà anche successivamente un difetto dei cosiddetti “arcinovisti” (di quanti cioè continuarono a seguire le indicazioni della Piattaforma dopo la morte di Arcinov).
Arcinov era caduto nel versante opposto della critica che aveva espresso: avviando con altri una comprensibile critica all'anarchismo rispetto all'ambito organizzativo, era scivolato tragicamente nell'imitazione dell'avversario politico, quel bolscevismo che una ristrutturazione seria dell'anarchismo avrebbe messo in grande difficoltà. Questo, perché succube del plagio dei “vincitori”, cosa che gli aveva fatto dimenticare le ragioni dell'anarchismo. Ma succube anche del mito frontista, contrastato da Berneri in Spagna (e non solo) (...), nonché del politicismo senza scrupoli, tipico del bolscevismo. Peraltro, questo malinteso spirito d'unità, pure in campo sindacale (ove la scelta di formare un'organizzazione libertaria verrà sacrificata spesso alla militanza nel sindacato comunista) e filo-consiliarista, divenuto paradossalmente un indistinto, spontaneo embrasson nous (concepito fra mitiche “basi” popolari “autonome”), risulterà anche successivamente un difetto dei cosiddetti “arcinovisti” (di quanti cioè continuarono a seguire le indicazioni della Piattaforma dopo la morte di Arcinov).
Infine, la seconda questione: la Piattaforma non poteva essere accettabile laddove portava – appunto copiando l'opportunismo marxista in politica – verso l'assurdo della cosiddetta "dittatura antistatale del proletariato". Una sorta di periodo "transitorio" utilizzante ovviamente l'apparato statuale in termini totalitari: una sorta di pre-anarchismo negante la radice dell'anarchismo. Questo era inusitato, soprattutto per Berneri, che vedeva nella concezione antistatale l'elemento discriminante prioritario dell'anarchismo politico. Anche se per il lodigiano si tratta di un antistatalismo mai immotivato o dottrinario, bensì riconosciuto come base ineludibile per costruire una società di liberi ed eguali, proprio tramite la crescita e la vittoria della società civile a scapito delle impalcature autoritarie costruite per mantenere o ricreare il dominio di classe. Lo scontro fra il lodigiano ed i cosiddetti piattaformisti non è quindi ascrivibile alla questione organizzativa relativa al movimento specifico, rispetto alla quale moltissime sono le prese di posizione a favore di una maggiore strutturazione del movimento libertario negli scritti che abbiamo analizzato.
Infine, la seconda questione: la Piattaforma non poteva essere accettabile laddove portava – appunto copiando l'opportunismo marxista in politica – verso l'assurdo della cosiddetta "dittatura antistatale del proletariato". Una sorta di periodo "transitorio" utilizzante ovviamente l'apparato statuale in termini totalitari: una sorta di pre-anarchismo negante la radice dell'anarchismo. Questo era inusitato, soprattutto per Berneri, che vedeva nella concezione antistatale l'elemento discriminante prioritario dell'anarchismo politico. Anche se per il lodigiano si tratta di un antistatalismo mai immotivato o dottrinario, bensì riconosciuto come base ineludibile per costruire una società di liberi ed eguali, proprio tramite la crescita e la vittoria della società civile a scapito delle impalcature autoritarie costruite per mantenere o ricreare il dominio di classe. Lo scontro fra il lodigiano ed i cosiddetti piattaformisti non è quindi ascrivibile alla questione organizzativa relativa al movimento specifico, rispetto alla quale moltissime sono le prese di posizione a favore di una maggiore strutturazione del movimento libertario negli scritti che abbiamo analizzato.
Non è certo la questione della “responsabilità collettiva”, la “pietra dello scandalo”. Berneri ha addirittura una concezione “etica” dell'organizzazione, e in nome dell'integrità della struttura diviene a volte durissimo (...). Semmai, il nostro, rimprovera ai piattaformisti un inalterato eccesso di ingenuità dovuto, ancora una volta, all'idealizzazione delle masse. Vediamo, in proposito, il testo In margine alla piattaforma (...): "(...) nell'azione popolare insurrezionale vedo più «effetti» anarchici che «intenti» anarchici; non credo che la funzione degli anarchici nella rivoluzione debba limitarsi «a sopprimere gli ostacoli» che si oppongono alla manifestazione della volontà delle masse; vedo gravi pericoli e non poche difficoltà negli egoismi municipalisti e corporativi”.   
Non è certo la questione della “responsabilità collettiva”, la “pietra dello scandalo”. Berneri ha addirittura una concezione “etica” dell'organizzazione, e in nome dell'integrità della struttura diviene a volte durissimo (...). Semmai, il nostro, rimprovera ai piattaformisti un inalterato eccesso di ingenuità dovuto, ancora una volta, all'idealizzazione delle masse. Vediamo, in proposito, il testo In margine alla piattaforma (...): "(...) nell'azione popolare insurrezionale vedo più «effetti» anarchici che «intenti» anarchici; non credo che la funzione degli anarchici nella rivoluzione debba limitarsi «a sopprimere gli ostacoli» che si oppongono alla manifestazione della volontà delle masse; vedo gravi pericoli e non poche difficoltà negli egoismi municipalisti e corporativi”.   
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==Per la tolleranza==
==Per la tolleranza==
Contro la violenza dei totalitarismi ed a favore della tolleranza come dato distintivo dell'anarchismo, Berneri ha scritto passi memorabili: “La tolleranza ha, dunque, due piani di possibilità: quello intellettuale e quello morale. Quanto al primo è tollerante colui che conoscendo il valore dello scambio di idee, della loro fusione o contrasto, non respinge aprioristicamente le ideologie altrui, ma si accosta ad esse e tenta penetrarle; per trarne ciò che vi è di buono (...). Quanto al secondo è tollerante colui che, pur avendo fede in un gruppo di principi e sentendo profondamente la passione di parte, comprende che altri, per il loro carattere, per l'ambiente in cui vivono, per l'educazione ricevuta ecc., non partecipa alla sua fede e alla sua passione. La distinzione tra il male e il malvagio, tra la tirannide e gli oppressori è scolastica, e chi concepisce la vita come lotta per il bene e per la libertà deve combattere coloro che intralciano la sua opera di redenzione. Ma il suo spirito, pur negando come formalistica la distinzione sopraccennata nei riguardi del problema morale dell'azione, giunge a combattere senza l'odio bruto che non sa la pietà (...). E a svolgere quest'azione di tolleranza, con la propaganda e con la forza, dobbiamo essere noi. I comunisti hanno una mentalità domenicano-giacobina, i socialisti riformisti sono dei De Amicis che si perdono in un impotente sentimentalismo. Noi possiamo abbinare la violenza e la pietà , in quell'amore per la libertà che ci caratterizza politicamente ed individualmente. La tolleranza è un concetto squisitamente nostro, quando non si intenda con questo termine il menefreghismo (...).
Contro la violenza dei totalitarismi ed a favore della tolleranza come dato distintivo dell'anarchismo, Berneri ha scritto passi memorabili: “La tolleranza ha, dunque, due piani di possibilità: quello intellettuale e quello morale. Quanto al primo è tollerante colui che conoscendo il valore dello scambio di idee, della loro fusione o contrasto, non respinge aprioristicamente le ideologie altrui, ma si accosta ad esse e tenta penetrarle; per trarne ciò che vi è di buono (...). Quanto al secondo è tollerante colui che, pur avendo fede in un gruppo di principi e sentendo profondamente la passione di parte, comprende che altri, per il loro carattere, per l'ambiente in cui vivono, per l'educazione ricevuta ecc., non partecipa alla sua fede e alla sua passione. La distinzione tra il male e il malvagio, tra la tirannide e gli oppressori è scolastica, e chi concepisce la vita come lotta per il bene e per la libertà deve combattere coloro che intralciano la sua opera di redenzione. Ma il suo spirito, pur negando come formalistica la distinzione sopraccennata nei riguardi del problema morale dell'azione, giunge a combattere senza l'odio bruto che non sa la pietà (...). E a svolgere quest'azione di tolleranza, con la propaganda e con la forza, dobbiamo essere noi. I comunisti hanno una mentalità domenicano-giacobina, i socialisti riformisti sono dei De Amicis che si perdono in un impotente sentimentalismo. Noi possiamo abbinare la violenza e la pietà, in quell'amore per la libertà che ci caratterizza politicamente ed individualmente. La tolleranza è un concetto squisitamente nostro, quando non si intenda con questo termine il menefreghismo (...).


==Umanesimo e anarchismo==
==Umanesimo e anarchismo==
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==Contro l'operaiolatria==
==Contro l'operaiolatria==
L'operaismo sviluppa, per Berneri, un'inaccettabile iconografia. Scrisse: “Fu a Le Pecq, mentre in costume e in fatica da manovale muratore mi aveva sorpreso uno dei ‘responsabili‘ comunisti. ‘Ora la puoi conoscere, Berneri, l'anima proletaria!‘. Così mi aveva apostrofato. Tra una stacciatura di sabbia e due secchi di ‘grossa‘ riflettei (...).  I primi contatti con il proletariato: era lì che cercavo la materia della definizione. Ritrovai i miei primi compagni (...). E dopo allora, quanti operai, nella mia vita quotidiana! Ma se nell'uno trovavo l'esca che faceva scintilla nel mio pensiero, se nell'altro scoprivo affinità elettive, se nell'altro ancora mi aprivo con fraterna intimità , quanti altri aridi ne incontravo, quanti mi urtavano con la loro boriosa vuotaggine, quanti mi nauseavano con il loro cinismo!  
L'operaismo sviluppa, per Berneri, un'inaccettabile iconografia. Scrisse: “Fu a Le Pecq, mentre in costume e in fatica da manovale muratore mi aveva sorpreso uno dei ‘responsabili‘ comunisti. ‘Ora la puoi conoscere, Berneri, l'anima proletaria!‘. Così mi aveva apostrofato. Tra una stacciatura di sabbia e due secchi di ‘grossa‘ riflettei (...).  I primi contatti con il proletariato: era lì che cercavo la materia della definizione. Ritrovai i miei primi compagni (...). E dopo allora, quanti operai, nella mia vita quotidiana! Ma se nell'uno trovavo l'esca che faceva scintilla nel mio pensiero, se nell'altro scoprivo affinità elettive, se nell'altro ancora mi aprivo con fraterna intimità, quanti altri aridi ne incontravo, quanti mi urtavano con la loro boriosa vuotaggine, quanti mi nauseavano con il loro cinismo!  
(...) E gli amici e i compagni operai più intelligenti e più spontanei mai mi parlavano di ‘anima proletaria‘. Sapevo proprio da loro, quanto lente a progredire fossero la propaganda e l'organizzazione socialiste. Poi (...) vidi il proletariato, che mi parve, nel suo complesso, quello che ancor oggi mi pare, un'enorme forza che si ignora; che cura, e non intelligentemente, il proprio utile; che si batte difficilmente per motivi ideali, o per scopi non immediati, che è pesante di infiniti pregiudizi, di grossolane ignoranze, d'infantili illusioni.  
(...) E gli amici e i compagni operai più intelligenti e più spontanei mai mi parlavano di ‘anima proletaria‘. Sapevo proprio da loro, quanto lente a progredire fossero la propaganda e l'organizzazione socialiste. Poi (...) vidi il proletariato, che mi parve, nel suo complesso, quello che ancor oggi mi pare, un'enorme forza che si ignora; che cura, e non intelligentemente, il proprio utile; che si batte difficilmente per motivi ideali, o per scopi non immediati, che è pesante di infiniti pregiudizi, di grossolane ignoranze, d'infantili illusioni.  
(...) Il giochetto di chiamare ‘proletariato‘ i nuclei di avanguardia e le élites operaie è un giochetto da mettere in soffitta. (...) Una ‘civiltà operaia‘, una ‘società proletaria‘, una ‘dittatura del proletariato‘: ecco delle formule che dovrebbero sparire. Non esiste una ‘coscienza operaia‘ come tipico carattere psichico di un'intera classe; non vi è una radicale opposizione tra ‘coscienza operaia‘ e ‘coscienza borghese‘” (...).  
(...) Il giochetto di chiamare ‘proletariato‘ i nuclei di avanguardia e le élites operaie è un giochetto da mettere in soffitta. (...) Una ‘civiltà operaia‘, una ‘società proletaria‘, una ‘dittatura del proletariato‘: ecco delle formule che dovrebbero sparire. Non esiste una ‘coscienza operaia‘ come tipico carattere psichico di un'intera classe; non vi è una radicale opposizione tra ‘coscienza operaia‘ e ‘coscienza borghese‘” (...).  
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==Il valore della cultura==
==Il valore della cultura==
La cultura, peraltro, ha per lui un valore quasi assoluto. Ma non certo in quanto mero esercizio di enciclopedismo elitario e dimostrativo fine a se stesso, la qual cosa Berneri rifugge a tal punto da farne oggetto di analisi impietose e persino inutilmente autocritiche (sorta di “esorcismi” volti a definire prioritariamente un ruolo militante che prevale nettamente sul suo essere intellettuale). La sua preoccupazione è quella di differenziarsi dallo stile del “pensatore solitario” chiuso in una torre d'avorio che, con una critica speciosa ed onnicomprensiva, naufraga infine nel puro scetticismo.
La cultura, peraltro, ha per lui un valore quasi assoluto. Ma non certo in quanto mero esercizio di enciclopedismo elitario e dimostrativo fine a se stesso, la qual cosa Berneri rifugge a tal punto da farne oggetto di analisi impietose e persino inutilmente autocritiche (sorta di “esorcismi” volti a definire prioritariamente un ruolo militante che prevale nettamente sul suo essere intellettuale). La sua preoccupazione è quella di differenziarsi dallo stile del “pensatore solitario” chiuso in una torre d'avorio che, con una critica speciosa ed onnicomprensiva, naufraga infine nel puro scetticismo.
Cultura e pratica d'analisi sono per Berneri indispensabili alla maturazione della coscienza e della capacità dell'organizzazione libertaria, ed è per questo che mostra di aborrire l'ideologismo, statico e immutabile: “Un anarchico non può che detestare i sistemi ideologici chiusi (teorie che si chiamano dottrina) e non può dare ai principi che un valore relativo” (...). Il lodigiano non sopporta la superficialità raffazzonata ed invasata dei neofiti e la sicumera di alcuni dottrinari dell'anarchismo: “Noi siamo sprovvisti di coscienza politica nel senso che non abbiamo consapevolezza dei problemi attuali e continuiamo a diluire soluzioni acquisite dalla nostra letteratura di propaganda. Siamo avveniristi, e basta. Il fatto che ci sono editori nostri che continuano a ristampare gli scritti dei maestri senza mai aggiornarli con note critiche, dimostra che la nostra cultura e la nostra propaganda sono in mano a gente che mira a tenere in piedi la propria azienda, invece che a spingere il movimento ad uscire dal già pensato per sforzarsi nella critica, cioè nel pensabile. Il fatto che vi sono dei polemisti che cercano di imbottigliare l'avversario invece di cercare la verità , dimostra che fra noi ci sono dei massoni, in senso intellettuale. Aggiungiamo i grafomani pei quali l'articolo è uno sfogo o una vanità ed avremo un complesso di elementi che intralciano il lavorio di rinnovamento iniziato da un pugno di indipendenti che danno a sperar bene.
Cultura e pratica d'analisi sono per Berneri indispensabili alla maturazione della coscienza e della capacità dell'organizzazione libertaria, ed è per questo che mostra di aborrire l'ideologismo, statico e immutabile: “Un anarchico non può che detestare i sistemi ideologici chiusi (teorie che si chiamano dottrina) e non può dare ai principi che un valore relativo” (...). Il lodigiano non sopporta la superficialità raffazzonata ed invasata dei neofiti e la sicumera di alcuni dottrinari dell'anarchismo: “Noi siamo sprovvisti di coscienza politica nel senso che non abbiamo consapevolezza dei problemi attuali e continuiamo a diluire soluzioni acquisite dalla nostra letteratura di propaganda. Siamo avveniristi, e basta. Il fatto che ci sono editori nostri che continuano a ristampare gli scritti dei maestri senza mai aggiornarli con note critiche, dimostra che la nostra cultura e la nostra propaganda sono in mano a gente che mira a tenere in piedi la propria azienda, invece che a spingere il movimento ad uscire dal già pensato per sforzarsi nella critica, cioè nel pensabile. Il fatto che vi sono dei polemisti che cercano di imbottigliare l'avversario invece di cercare la verità, dimostra che fra noi ci sono dei massoni, in senso intellettuale. Aggiungiamo i grafomani pei quali l'articolo è uno sfogo o una vanità ed avremo un complesso di elementi che intralciano il lavorio di rinnovamento iniziato da un pugno di indipendenti che danno a sperar bene.
(...) È l'ora di finirla coi farmacisti dalle formulette complicate, che non vedono più in là dei loro barattoli pieni di fumo; è l'ora di finirla coi chiacchieroni che ubriacano il pubblico di belle frasi risonanti; è l'ora di finirla con i semplicisti, che hanno tre o quattro idee inchiodate nella testa e fanno da vestali al fuoco fatuo dell'Ideale distribuendo scomuniche” (...).
(...) È l'ora di finirla coi farmacisti dalle formulette complicate, che non vedono più in là dei loro barattoli pieni di fumo; è l'ora di finirla coi chiacchieroni che ubriacano il pubblico di belle frasi risonanti; è l'ora di finirla con i semplicisti, che hanno tre o quattro idee inchiodate nella testa e fanno da vestali al fuoco fatuo dell'Ideale distribuendo scomuniche” (...).
“Anche fra noi vi è il volgo, difficile a fare orecchio nuovo a musica nuova, che ad impostazioni di problemi e a soluzioni oppone vaghi disegni utopistici e grossolane invettive demagogiche. Ché quelle quattro ideuzze, racimolate in opuscoletti didascalici o in grossi libri incompresi, nel cervelluccio inoperoso si sono accucciate e se ne stan lì, al calduccio di una facile retorica che pretende essere forza solare di una fede intera, mentre non è che focherello fumoso” (...).
“Anche fra noi vi è il volgo, difficile a fare orecchio nuovo a musica nuova, che ad impostazioni di problemi e a soluzioni oppone vaghi disegni utopistici e grossolane invettive demagogiche. Ché quelle quattro ideuzze, racimolate in opuscoletti didascalici o in grossi libri incompresi, nel cervelluccio inoperoso si sono accucciate e se ne stan lì, al calduccio di una facile retorica che pretende essere forza solare di una fede intera, mentre non è che focherello fumoso” (...).
Il suo sforzo per la costruzione di un progetto politicamente fruibile per l'anarchismo è assai complesso e variegato, come dimostra l'organicità della Costituzione della Federazione Italiana Comuni Socialisti (FICS) (...), sortita a latere del Convegno d'intesa degli anarchici italiani esuli in Francia tenutosi a Parigi nel 1935, ove è ben riconoscibile un preciso organigramma collettivista-sindacalista-comunalista. Anche se si tratta di un progetto di “secondo livello” per l'anarchismo, utile, come ha avuto modo di sostenere Max Sartin, principalmente ad una mediazione per l'alleanza con Giustizia e Libertà , vi si trovano elementi tipici della posizione berneriana. Oltre al piano di una strutturazione orizzontale tramite il quale la società civile esautora lo stato, v'è ad esempio una particolare attenzione nella salvaguardia dell'autonomia e delle specifiche competenze delle professioni. Un elemento che richiama il periodo contiguo agli studi universitari, quando il nostro si prese una "reprimenda" da Salvemini appunto per aver innalzato l'insegnamento alla stregua di una professione: “...occorre sopprimere ciò che non si riferisce strettamente al tema. Il libero esercizio delle professioni ha niente da vedere con la libertà d'insegnamento. (...) le due questioni sono del tutto distinte: e formano argomenti di studi diversi. (...) Comprendere insieme le due discussioni non è né logicamente corretto, né utile al lavoro. (...) Sono incantato di aiutarti coi miei consigli; (...) è il mio dovere di insegnante” (...). Ricordiamo che Berneri ha esercitato il lavoro di cattedra. Alla luce degli sviluppi della funzione docente, ridotta ormai a rango di livello impiegatizio, chi può dire quale dei due avesse ragione?
Il suo sforzo per la costruzione di un progetto politicamente fruibile per l'anarchismo è assai complesso e variegato, come dimostra l'organicità della Costituzione della Federazione Italiana Comuni Socialisti (FICS) (...), sortita a latere del Convegno d'intesa degli anarchici italiani esuli in Francia tenutosi a Parigi nel 1935, ove è ben riconoscibile un preciso organigramma collettivista-sindacalista-comunalista. Anche se si tratta di un progetto di “secondo livello” per l'anarchismo, utile, come ha avuto modo di sostenere Max Sartin, principalmente ad una mediazione per l'alleanza con Giustizia e Libertà, vi si trovano elementi tipici della posizione berneriana. Oltre al piano di una strutturazione orizzontale tramite il quale la società civile esautora lo stato, v'è ad esempio una particolare attenzione nella salvaguardia dell'autonomia e delle specifiche competenze delle professioni. Un elemento che richiama il periodo contiguo agli studi universitari, quando il nostro si prese una "reprimenda" da Salvemini appunto per aver innalzato l'insegnamento alla stregua di una professione: “...occorre sopprimere ciò che non si riferisce strettamente al tema. Il libero esercizio delle professioni ha niente da vedere con la libertà d'insegnamento. (...) le due questioni sono del tutto distinte: e formano argomenti di studi diversi. (...) Comprendere insieme le due discussioni non è né logicamente corretto, né utile al lavoro. (...) Sono incantato di aiutarti coi miei consigli; (...) è il mio dovere di insegnante” (...). Ricordiamo che Berneri ha esercitato il lavoro di cattedra. Alla luce degli sviluppi della funzione docente, ridotta ormai a rango di livello impiegatizio, chi può dire quale dei due avesse ragione?


==Per un programma economico aperto==
==Per un programma economico aperto==
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La sua è, anche in economia, un forma complessa di socialismo libertario (“socialista libertario come lo sono io”) (...), che parte dal piano più semplice per giungere ad una realtà più ramificata (ma mai piramidale), più “equitaria” che pianificatoria. Parlando della Prima Internazionale in Italia, ed usando la cosa per chiarire il suo pensiero, Berneri scrive: “«Il socialismo non ha ancora detto la sua ultima parola; ma esso non nega ogni proprietà individuale. Come lo potrebbe, se combatte la proprietà individuale (leggi: capitalista) del suolo, per la necessità che ogni individuo abbia un diritto assoluto di proprietà su ciò che ha prodotto? Come lo potrebbe se l'assioma ‘chi lavora ha diritto ai frutti del suo lavoro‘, costituisce una delle basi fondamentali delle nuove teorie sociali?'» (...) In questa risposta del Friscia è netta l'opposizione della proprietà per tutti alla proprietà monopolistica di alcuni; il principio dell'eguaglianza relativa (economica); ed infine il principio dello stimolo al lavoro rappresentato dalla ricompensa proporzionata, automaticamente, alle opere” (...). L'accento è posto sia su una democrazia diretta da realizzarsi prioritariamente in sede locale (pur contemperata dall'opera di salvaguardia solidaristica e di controllo di altre entità di tipo regionale e nazionale), che sull'attenzione allo sviluppo autonomo dei membri della collettività (cosa determinante per la stessa).  
La sua è, anche in economia, un forma complessa di socialismo libertario (“socialista libertario come lo sono io”) (...), che parte dal piano più semplice per giungere ad una realtà più ramificata (ma mai piramidale), più “equitaria” che pianificatoria. Parlando della Prima Internazionale in Italia, ed usando la cosa per chiarire il suo pensiero, Berneri scrive: “«Il socialismo non ha ancora detto la sua ultima parola; ma esso non nega ogni proprietà individuale. Come lo potrebbe, se combatte la proprietà individuale (leggi: capitalista) del suolo, per la necessità che ogni individuo abbia un diritto assoluto di proprietà su ciò che ha prodotto? Come lo potrebbe se l'assioma ‘chi lavora ha diritto ai frutti del suo lavoro‘, costituisce una delle basi fondamentali delle nuove teorie sociali?'» (...) In questa risposta del Friscia è netta l'opposizione della proprietà per tutti alla proprietà monopolistica di alcuni; il principio dell'eguaglianza relativa (economica); ed infine il principio dello stimolo al lavoro rappresentato dalla ricompensa proporzionata, automaticamente, alle opere” (...). L'accento è posto sia su una democrazia diretta da realizzarsi prioritariamente in sede locale (pur contemperata dall'opera di salvaguardia solidaristica e di controllo di altre entità di tipo regionale e nazionale), che sull'attenzione allo sviluppo autonomo dei membri della collettività (cosa determinante per la stessa).  
Il lodigiano coglie con preveggenza il problema e la sfida che rappresenta per il movimento rivoluzionario l'imporsi di una società complessa con un'enorme moltiplicazione dei beni, ove la questione di una nuova qualità della vita non può venire affrontata deterministicamente con un sistema chiuso. Egli considera “utopistica ogni pretesa di ridurre la produzione ad una sola forma”, individuale od associata (...). I meccanismi della partecipazione, l'organizzazione del lavoro, come già la diffusione della cultura, sono prioritari nella sua riflessione, in un interrogarsi che non ammette deroghe inclini al “sic et simpliciter” e ad assolutizzazioni ideologiche. Una riflessione che non dà mai nulla per scontato.  
Il lodigiano coglie con preveggenza il problema e la sfida che rappresenta per il movimento rivoluzionario l'imporsi di una società complessa con un'enorme moltiplicazione dei beni, ove la questione di una nuova qualità della vita non può venire affrontata deterministicamente con un sistema chiuso. Egli considera “utopistica ogni pretesa di ridurre la produzione ad una sola forma”, individuale od associata (...). I meccanismi della partecipazione, l'organizzazione del lavoro, come già la diffusione della cultura, sono prioritari nella sua riflessione, in un interrogarsi che non ammette deroghe inclini al “sic et simpliciter” e ad assolutizzazioni ideologiche. Una riflessione che non dà mai nulla per scontato.  
In sostanza, Berneri indaga a tutto campo e “senza rete”, mettendo in crisi tutti i dogmi del socialismo. Di se stesso scrive: “Ho abbandonato il movimento socialista perché continuamente mi sentivo dare dell'anarchico; entrato nel movimento anarchico mi sono fatto la fama di repubblicano federalista. Quello che è certo è che sono un anarchico sui generis, tollerato dai compagni per la mia attività , ma capito e seguito da pochissimi. I dissensi vertono su questi punti: la generalità degli anarchici è atea ed io sono agnostico; è comunista ed io sono liberista (cioè sono per la libera concorrenza tra lavoro e commercio cooperativi e lavoro e commercio individuali); è anti-autoritaria in modo individualista ed io sono semplicemente autonomista-federalista (Cattaneo completato da Salvemini e dal Sovietismo)” (...).  
In sostanza, Berneri indaga a tutto campo e “senza rete”, mettendo in crisi tutti i dogmi del socialismo. Di se stesso scrive: “Ho abbandonato il movimento socialista perché continuamente mi sentivo dare dell'anarchico; entrato nel movimento anarchico mi sono fatto la fama di repubblicano federalista. Quello che è certo è che sono un anarchico sui generis, tollerato dai compagni per la mia attività, ma capito e seguito da pochissimi. I dissensi vertono su questi punti: la generalità degli anarchici è atea ed io sono agnostico; è comunista ed io sono liberista (cioè sono per la libera concorrenza tra lavoro e commercio cooperativi e lavoro e commercio individuali); è anti-autoritaria in modo individualista ed io sono semplicemente autonomista-federalista (Cattaneo completato da Salvemini e dal Sovietismo)” (...).  
“In sede politica, il federalismo repubblicano di Cattaneo e del Ferrari mi pareva, fin dal 1918, passibile d'integrarsi col comunalismo libertario propugnato dalla 1.a Internazionale e con il Soviettismo, quale esperienza genuina, cioè prima che diventasse strumento della dittatura bolscevica” (...).
“In sede politica, il federalismo repubblicano di Cattaneo e del Ferrari mi pareva, fin dal 1918, passibile d'integrarsi col comunalismo libertario propugnato dalla 1.a Internazionale e con il Soviettismo, quale esperienza genuina, cioè prima che diventasse strumento della dittatura bolscevica” (...).
Nondimeno Berneri resterà sempre e comunque un socialista libertario ed i tentativi (anche postumi) di guadagnarlo al liberalismo rimarranno sempre frustrati.
Nondimeno Berneri resterà sempre e comunque un socialista libertario ed i tentativi (anche postumi) di guadagnarlo al liberalismo rimarranno sempre frustrati.
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Berneri arriva a mettere in discussione anche la pratica astensionista. Parte dall'assunto che la critica antiparlamentare debba nutrirsi di esempi pratici, in grado di rendere chiaramente comprensibile alla gente comune sia le lacune del burocratismo dovute alla delega priva di controllo che la sostituibilità del sistema secondo un progetto orizzontale. Perciò la propaganda non dovrà essere astrusa e dozzinale, dovendosi invece nutrire del quotidiano, ed il progetto dovrà essere meditato, pratico e comprensibile: “Federalismo! È una parola. È una formula senza contenuto positivo. Che cosa ci danno i maestri? Il presupposto del federalismo: la concezione antistatale, concezione politica e non impostazione tecnica, paura dell'accentramento e non progetti di decentramento” (...).  
Berneri arriva a mettere in discussione anche la pratica astensionista. Parte dall'assunto che la critica antiparlamentare debba nutrirsi di esempi pratici, in grado di rendere chiaramente comprensibile alla gente comune sia le lacune del burocratismo dovute alla delega priva di controllo che la sostituibilità del sistema secondo un progetto orizzontale. Perciò la propaganda non dovrà essere astrusa e dozzinale, dovendosi invece nutrire del quotidiano, ed il progetto dovrà essere meditato, pratico e comprensibile: “Federalismo! È una parola. È una formula senza contenuto positivo. Che cosa ci danno i maestri? Il presupposto del federalismo: la concezione antistatale, concezione politica e non impostazione tecnica, paura dell'accentramento e non progetti di decentramento” (...).  
Berneri si scaglia quindi contro la reiterazione senza soluzione di continuità che l'anarchismo fa dell'astensionismo: “Come constato l'assoluta deficienza della critica antiparlamentare della nostra stampa, lacuna che mi pare gravissima, così non sono astensionista nel senso che non credo, e non ho mai creduto, all'utilità della propaganda astensionista in periodo di elezioni” (...). La propaganda astensionista va usata cum grano salis: è da adottarsi solo se utile tatticamente. Precisamente: “Ora, vorrei poter proporre a Malatesta questo quesito: se un trionfo elettorale dei partiti di sinistra fosse un tonico rialzante il morale abbattuto della classe operaia, se quel trionfo permettesse il discredito degli esponenti di quei partiti e avvilisse al tempo stesso le forze fasciste, se quel trionfo fosse una conditio sine qua non degli sviluppi possibili di una rivoluzione sociale, come un anarchico dovrebbe comportarsi? (...) Che quell'anarchico possa errare nella valutazione del momento politico è possibile, ma il problema è: se giudicando così un momento politico ed agendo di conseguenza egli cessa di essere anarchico (...).  
Berneri si scaglia quindi contro la reiterazione senza soluzione di continuità che l'anarchismo fa dell'astensionismo: “Come constato l'assoluta deficienza della critica antiparlamentare della nostra stampa, lacuna che mi pare gravissima, così non sono astensionista nel senso che non credo, e non ho mai creduto, all'utilità della propaganda astensionista in periodo di elezioni” (...). La propaganda astensionista va usata cum grano salis: è da adottarsi solo se utile tatticamente. Precisamente: “Ora, vorrei poter proporre a Malatesta questo quesito: se un trionfo elettorale dei partiti di sinistra fosse un tonico rialzante il morale abbattuto della classe operaia, se quel trionfo permettesse il discredito degli esponenti di quei partiti e avvilisse al tempo stesso le forze fasciste, se quel trionfo fosse una conditio sine qua non degli sviluppi possibili di una rivoluzione sociale, come un anarchico dovrebbe comportarsi? (...) Che quell'anarchico possa errare nella valutazione del momento politico è possibile, ma il problema è: se giudicando così un momento politico ed agendo di conseguenza egli cessa di essere anarchico (...).  
Berneri, in realtà , si chiede che tipo di democrazia debba costruire l'anarchismo e non tralascia d'interrogarsi anche sul diritto (“ubi societas ibi jus”) (...).  
Berneri, in realtà, si chiede che tipo di democrazia debba costruire l'anarchismo e non tralascia d'interrogarsi anche sul diritto (“ubi societas ibi jus”) (...).  


==Ubi societas, ibi jus: la differenza fra autorevolezza ed autoritarismo==
==Ubi societas, ibi jus: la differenza fra autorevolezza ed autoritarismo==
Berneri ci lascia in merito un'ultima riflessione importante per l'anarchismo: “L'autorità è libertà quando l'autorità sia mezzo di liberazione, ma lo sforzo anti-autoritario è necessario come processo di autonomia. Autorità e libertà sono termini di un rapporto antitetico che si risolve in sintesi, tanto più la antitesi è sentita e voluta” (...). È l'autorevolezza che sta nelle cose, presente in natura, ad esempio, nelle regole non scritte che soprassiedono allo scambio di esperienze fra esseri umani e ai meccanismi dell'apprendimento, o al rapporto con i figli: “Ed è, d'altra parte, l'eteronomia dell'autorità , quando non mi ha soffocato od offuscato lo spirito, che ha permesso la mia autonomia, cioè la mia libertà” (...). Il concetto ha un valore notevole e si avvicina molto ad una dichiarazione programmatica, sempre presente nei testi di Berneri.
Berneri ci lascia in merito un'ultima riflessione importante per l'anarchismo: “L'autorità è libertà quando l'autorità sia mezzo di liberazione, ma lo sforzo anti-autoritario è necessario come processo di autonomia. Autorità e libertà sono termini di un rapporto antitetico che si risolve in sintesi, tanto più la antitesi è sentita e voluta” (...). È l'autorevolezza che sta nelle cose, presente in natura, ad esempio, nelle regole non scritte che soprassiedono allo scambio di esperienze fra esseri umani e ai meccanismi dell'apprendimento, o al rapporto con i figli: “Ed è, d'altra parte, l'eteronomia dell'autorità, quando non mi ha soffocato od offuscato lo spirito, che ha permesso la mia autonomia, cioè la mia libertà” (...). Il concetto ha un valore notevole e si avvicina molto ad una dichiarazione programmatica, sempre presente nei testi di Berneri.
Quella del lodigiano è una concezione dinamica, pragmatica e affatto demagogica, per una nuova pedagogia sociale rivoluzionaria: “L'anarchia mi pare risulti dall'approssimarsi, identificarsi mai, ché sarebbe la stasi, della libertà e dell'autorità. Come principi. Come fatti, libertà e autorità stanno tra loro come verità ed errore; come enti che differenziano e si identificano, nel divenire storico” (...).
Quella del lodigiano è una concezione dinamica, pragmatica e affatto demagogica, per una nuova pedagogia sociale rivoluzionaria: “L'anarchia mi pare risulti dall'approssimarsi, identificarsi mai, ché sarebbe la stasi, della libertà e dell'autorità. Come principi. Come fatti, libertà e autorità stanno tra loro come verità ed errore; come enti che differenziano e si identificano, nel divenire storico” (...).


==Berneri e Malatesta==
==Berneri e Malatesta==
Chiuderemo questo excursus berneriano cercando di tracciare – a mo' di sintesi e chiosa – la differenza fra l'opzione malatestiana (un “classico” dell'anarchismo) e quella del nostro. Meglio sarebbe dire che si proverà a definire per sommi capi il percorso evolutivo che stacca Berneri da Malatesta, ma che pure mantiene i due in relazione. È vero infatti che se l'attualismo del lodigiano supera il volontarismo, dallo stesso volontarismo Berneri non prescinde completamente. Semplicemente lo sublima politicamente.
Chiuderemo questo excursus berneriano cercando di tracciare – a mo' di sintesi e chiosa – la differenza fra l'opzione malatestiana (un “classico” dell'anarchismo) e quella del nostro. Meglio sarebbe dire che si proverà a definire per sommi capi il percorso evolutivo che stacca Berneri da Malatesta, ma che pure mantiene i due in relazione. È vero infatti che se l'attualismo del lodigiano supera il volontarismo, dallo stesso volontarismo Berneri non prescinde completamente. Semplicemente lo sublima politicamente.
A prescindere da Malatesta, per Berneri, anziché parlare sempre e solo dei massimi sistemi, in un crescendo millenaristico che verrà riconosciuto al massimo come utopia positiva, irrealizzabile o molto “aldilà” da venire, la propaganda anarchica deve calarsi nella realtà , deve prendere corpo nell'azione quotidiana. In sostanza, non deve affidarsi al semplice volontarismo, deve divenire induttiva. L'anarchismo deve essere levatore di se stesso partendo dal capo e non dalla coda della problematica sociale. Per vincere, deve convincere la società civile che si può fare a meno dello stato, che ci si può organizzare su basi differenti, e che tutto ciò è assolutamente pratico e utile.   
A prescindere da Malatesta, per Berneri, anziché parlare sempre e solo dei massimi sistemi, in un crescendo millenaristico che verrà riconosciuto al massimo come utopia positiva, irrealizzabile o molto “aldilà” da venire, la propaganda anarchica deve calarsi nella realtà, deve prendere corpo nell'azione quotidiana. In sostanza, non deve affidarsi al semplice volontarismo, deve divenire induttiva. L'anarchismo deve essere levatore di se stesso partendo dal capo e non dalla coda della problematica sociale. Per vincere, deve convincere la società civile che si può fare a meno dello stato, che ci si può organizzare su basi differenti, e che tutto ciò è assolutamente pratico e utile.   
D'altro canto è evidente la necessità immediata di uscire dalle vuote formule cui il dottrinarismo ha costretto la ricerca sociale ed economica del movimento. Un movimento al quale – banalizzando – è stato predicato che prima avviene la rottura rivoluzionaria e poi la costruzione, che i due momenti sono privi di continuità e religiosamente separati, quasi nell'attesa di una sorta di palingenesi "mistica", tanto timoroso di sbagliare da esser certo che si sbagli non appena ci si cali nell'opera di preconizzazione del futuro.   
D'altro canto è evidente la necessità immediata di uscire dalle vuote formule cui il dottrinarismo ha costretto la ricerca sociale ed economica del movimento. Un movimento al quale – banalizzando – è stato predicato che prima avviene la rottura rivoluzionaria e poi la costruzione, che i due momenti sono privi di continuità e religiosamente separati, quasi nell'attesa di una sorta di palingenesi "mistica", tanto timoroso di sbagliare da esser certo che si sbagli non appena ci si cali nell'opera di preconizzazione del futuro.   
Questo è il segno dell'influenza giacobina sul movimento libertario, sia perché dal giacobinismo mutua la sciocca certezza che, mutatis mutandis, un "partito" d'avanguardia possa comunque forzare e predeterminare il futuro con la semplice azione o il gioco d'azzardo dei propri quadri (concezione che può bastare solo ad organizzazioni che abbiano come fine ultimo la realizzazione di un mero colpo di stato), sia perché esigenze dovute alle incombenze immediate della lotta politica e della storia costringono giocoforza l'anarchismo (privato della riflessione e del "sistemismo" che invece i vari giacobini praticano) a seguire pedissequamente "in coda" il bolscevismo in tutte le sue varianti.   
Questo è il segno dell'influenza giacobina sul movimento libertario, sia perché dal giacobinismo mutua la sciocca certezza che, mutatis mutandis, un "partito" d'avanguardia possa comunque forzare e predeterminare il futuro con la semplice azione o il gioco d'azzardo dei propri quadri (concezione che può bastare solo ad organizzazioni che abbiano come fine ultimo la realizzazione di un mero colpo di stato), sia perché esigenze dovute alle incombenze immediate della lotta politica e della storia costringono giocoforza l'anarchismo (privato della riflessione e del "sistemismo" che invece i vari giacobini praticano) a seguire pedissequamente "in coda" il bolscevismo in tutte le sue varianti.   
Anche questo viene capito dal Berneri che comunque, sia detto per inciso, è un intellettuale d'azione. Egli afferma: “Io ho sempre vissuto, idealmente, accanto ai giganti dell'azione. Non ho idolatrie, ma tutti coloro che gettarono la vita, la libertà , la salute nel turbine luminoso della lotta per la Causa mi sembrano fratelli” (...).  
Anche questo viene capito dal Berneri che comunque, sia detto per inciso, è un intellettuale d'azione. Egli afferma: “Io ho sempre vissuto, idealmente, accanto ai giganti dell'azione. Non ho idolatrie, ma tutti coloro che gettarono la vita, la libertà, la salute nel turbine luminoso della lotta per la Causa mi sembrano fratelli” (...).  
Il lodigiano non disdegna per nulla l'opera di traino dei militanti rivoluzionari. Per lui occorrono l'uno e l'altro: un progetto che sfugga all'arroganza dei sistemismi e degli scientismi, nonché l'azione.
Il lodigiano non disdegna per nulla l'opera di traino dei militanti rivoluzionari. Per lui occorrono l'uno e l'altro: un progetto che sfugga all'arroganza dei sistemismi e degli scientismi, nonché l'azione.
Un progetto chiaro e comprensibile, ma sempre in divenire e soprattutto sempre aperto davanti agli insegnamenti pratici e teorici che si determineranno nel corso del suo inverarsi. Un'azione senza compromessi sul piano etico, ma pragmatica soprattutto nella capacità attrattiva che deve svolgere verso le masse. Infine, è per lui necessaria una revisione epistemologica, filosofica e sistemica dell'anarchismo.   
Un progetto chiaro e comprensibile, ma sempre in divenire e soprattutto sempre aperto davanti agli insegnamenti pratici e teorici che si determineranno nel corso del suo inverarsi. Un'azione senza compromessi sul piano etico, ma pragmatica soprattutto nella capacità attrattiva che deve svolgere verso le masse. Infine, è per lui necessaria una revisione epistemologica, filosofica e sistemica dell'anarchismo.   
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Per Malatesta conta maggiormente l'autonomia assoluta dell'etica di fronte alla politica. Tanto che, come avvenuto soprattutto dopo la scomparsa del “grande vecchio” (la cui mera presenza di grande organizzatore, unitamente ad un intuito innato avevano sempre funzionato da “collante”), l'anarchismo corre il pericolo di dirigersi semplicemente “contro la storia”.  
Per Malatesta conta maggiormente l'autonomia assoluta dell'etica di fronte alla politica. Tanto che, come avvenuto soprattutto dopo la scomparsa del “grande vecchio” (la cui mera presenza di grande organizzatore, unitamente ad un intuito innato avevano sempre funzionato da “collante”), l'anarchismo corre il pericolo di dirigersi semplicemente “contro la storia”.  
Ma a ben vedere il volontarismo malatestiano rischia di divenire molto più “politico” di quanto non sembri, o addirittura involontariamente politicista. Se estremizzato (nel modo secondo il quale se ne sono appropriati molti epigoni), vi si può riscontrare la pericolosa tendenza a vedere il sociale quale mera risultante della volontà. Quindi volontà politica, se vogliamo, degli “uomini d'azione”, una variante “romantica” del partito di quadri (la “minoranza agente”).  
Ma a ben vedere il volontarismo malatestiano rischia di divenire molto più “politico” di quanto non sembri, o addirittura involontariamente politicista. Se estremizzato (nel modo secondo il quale se ne sono appropriati molti epigoni), vi si può riscontrare la pericolosa tendenza a vedere il sociale quale mera risultante della volontà. Quindi volontà politica, se vogliamo, degli “uomini d'azione”, una variante “romantica” del partito di quadri (la “minoranza agente”).  
Parliamo naturalmente della propensione a pensare di poter sovradeterminare la realtà per il tramite preponderante della volontà. La realtà è però molto più complessa, e l'evoluzione sociale, soprattutto se la si vuole libertaria, necessita per forza di cose un'attenzione particolarissima al livello di consapevolezza del corpo sociale (ed alla crescita dello stesso). Il volontarismo ha quindi senso solo se diviene volontà d'ascolto, capacità di relazione, sintonizzazione sulla lunghezza d'onda delle “masse”, stimolo alla crescita. La mera volontà , altrimenti intesa, può servire unicamente ad un colpo di mano più o meno autoreferenziale che (se riuscito) necessita poi di un'altra iniezione di “volontà ”: quella dei vincitori (che diviene imposizione). L'approdo di un tale “volontarismo”, ben lungi dai desideri di Malatesta (il cui impianto teorico era poi tutto volto alla tolleranza), può divenire una variante di quella che oggi viene chiamata “società trasparente”, nell'accezione di una realtà subordinata agli imperativi di qualche “metafisica” volontà , che controlla l'intera vita di relazione. È per questo che – come dice Giampietro Berti (anche se all'interno di un discorso d'altro tipo) – per Berneri: “All'idea di un assetto ideale sotteso da una tensione utopica, è preferibile pensare l'anarchia in termini ‘liberali‘, cioè non come: ‘la società dell'armonia assoluta, ma solo come la società della tolleranza‘” (...).
Parliamo naturalmente della propensione a pensare di poter sovradeterminare la realtà per il tramite preponderante della volontà. La realtà è però molto più complessa, e l'evoluzione sociale, soprattutto se la si vuole libertaria, necessita per forza di cose un'attenzione particolarissima al livello di consapevolezza del corpo sociale (ed alla crescita dello stesso). Il volontarismo ha quindi senso solo se diviene volontà d'ascolto, capacità di relazione, sintonizzazione sulla lunghezza d'onda delle “masse”, stimolo alla crescita. La mera volontà, altrimenti intesa, può servire unicamente ad un colpo di mano più o meno autoreferenziale che (se riuscito) necessita poi di un'altra iniezione di “volontà ”: quella dei vincitori (che diviene imposizione). L'approdo di un tale “volontarismo”, ben lungi dai desideri di Malatesta (il cui impianto teorico era poi tutto volto alla tolleranza), può divenire una variante di quella che oggi viene chiamata “società trasparente”, nell'accezione di una realtà subordinata agli imperativi di qualche “metafisica” volontà, che controlla l'intera vita di relazione. È per questo che – come dice Giampietro Berti (anche se all'interno di un discorso d'altro tipo) – per Berneri: “All'idea di un assetto ideale sotteso da una tensione utopica, è preferibile pensare l'anarchia in termini ‘liberali‘, cioè non come: ‘la società dell'armonia assoluta, ma solo come la società della tolleranza‘” (...).
Il progetto che si basa sull'indeterminata “volontà ”, anche se non scritto (o forse a maggior ragione per questo), diviene in tal caso legittimazione del controllo, e il tutto (paradossalmente) si aggrava se alla base viene posta una totale fiducia nella spontaneità delle “masse”. La cosa non cambia qualora vi si sostituisca la fede nella capacità , presupposta come “innata” (conculcata sino alla rivoluzione, ma pronta a “riemergere”), di esprimere rispetto reciproco e civile coesistenza da parte degli “individui”. Qualora invece si prospetti una rivolta delle istituzioni contro lo stato, mirante a sopprimere l'identità del dominio, ma non a sovradeterminare il corpo sociale, la situazione è di molto diversa. Cambiano sia il concetto di “rivolta”, che quelli relativi a “massa” ed individuo. Carlo De Maria (...) conduce riflessioni interessanti in proposito: “(...) notiamo come l'importanza del gruppo familiare – vale a dire dell'ammaestramento dei genitori, della fedeltà a certe persone, della ricchezza di una tradizione ereditata, della continuità tra le generazioni – fosse parte in Berneri della centralità del ‘mondo dell'associazione involontaria‘ (...).
Il progetto che si basa sull'indeterminata “volontà ”, anche se non scritto (o forse a maggior ragione per questo), diviene in tal caso legittimazione del controllo, e il tutto (paradossalmente) si aggrava se alla base viene posta una totale fiducia nella spontaneità delle “masse”. La cosa non cambia qualora vi si sostituisca la fede nella capacità, presupposta come “innata” (conculcata sino alla rivoluzione, ma pronta a “riemergere”), di esprimere rispetto reciproco e civile coesistenza da parte degli “individui”. Qualora invece si prospetti una rivolta delle istituzioni contro lo stato, mirante a sopprimere l'identità del dominio, ma non a sovradeterminare il corpo sociale, la situazione è di molto diversa. Cambiano sia il concetto di “rivolta”, che quelli relativi a “massa” ed individuo. Carlo De Maria (...) conduce riflessioni interessanti in proposito: “(...) notiamo come l'importanza del gruppo familiare – vale a dire dell'ammaestramento dei genitori, della fedeltà a certe persone, della ricchezza di una tradizione ereditata, della continuità tra le generazioni – fosse parte in Berneri della centralità del ‘mondo dell'associazione involontaria‘ (...).
Potremmo dire che esse costituiscono il dato sul quale si fonda (si radica) l'individuo, divenendo persona (con i suoi legami sociali, culturali ed economici) (...). Ai fini del nostro discorso, risulta particolarmente efficace la definizione di ‘persona‘ che è stata data da Alessandro Ferrara: ‘Individuo «preso con tutta la zolla», considerato cioè in congiunzione con quel nesso di relazioni di riconoscimento reciproco che lo fanno essere quel «chi» unico e irripetibile che è‘ (...). Le seguenti parole di Lelio Basso – che corrispondevano, nel 1933, a un questionario di Giustizia e Libertà – forniscono, poi, una periodizzazione estremamente significativa: ‘Abbandonare definitivamente il concetto dell'individuo così come è stato elaborato dal pensiero settecentesco e dalla rivoluzione francese, per sostituirvi quello più concreto e completo di personalità , ciascuna diversa e distinta e ciascuna centro di confluenza di rapporti sociali economici spirituali, è, se non m'inganno, un bisogno largamente diffuso fra le giovani generazioni‘ (...).
Potremmo dire che esse costituiscono il dato sul quale si fonda (si radica) l'individuo, divenendo persona (con i suoi legami sociali, culturali ed economici) (...). Ai fini del nostro discorso, risulta particolarmente efficace la definizione di ‘persona‘ che è stata data da Alessandro Ferrara: ‘Individuo «preso con tutta la zolla», considerato cioè in congiunzione con quel nesso di relazioni di riconoscimento reciproco che lo fanno essere quel «chi» unico e irripetibile che è‘ (...). Le seguenti parole di Lelio Basso – che corrispondevano, nel 1933, a un questionario di Giustizia e Libertà – forniscono, poi, una periodizzazione estremamente significativa: ‘Abbandonare definitivamente il concetto dell'individuo così come è stato elaborato dal pensiero settecentesco e dalla rivoluzione francese, per sostituirvi quello più concreto e completo di personalità, ciascuna diversa e distinta e ciascuna centro di confluenza di rapporti sociali economici spirituali, è, se non m'inganno, un bisogno largamente diffuso fra le giovani generazioni‘ (...).
La sensibilità per le modalità della finitudine richiama (e sostanzia) l'opposizione ai regimi totalitari e al volontarismo politico – inteso come onnipotenza verso il dato – che li caratterizza (...). (...) Diviene, allora, possibile individuare con estrema chiarezza i temi della critica sociale di Berneri. Al totalitarismo, egli oppose, da una parte le associazioni involontarie e, dall'altra,  l'autonomismo e il federalismo (...).
La sensibilità per le modalità della finitudine richiama (e sostanzia) l'opposizione ai regimi totalitari e al volontarismo politico – inteso come onnipotenza verso il dato – che li caratterizza (...). (...) Diviene, allora, possibile individuare con estrema chiarezza i temi della critica sociale di Berneri. Al totalitarismo, egli oppose, da una parte le associazioni involontarie e, dall'altra,  l'autonomismo e il federalismo (...).
La riflessione di Berneri ebbe al suo centro l'individuo immerso (come produttore e cittadino) nella società e nei suoi corpi intermedi, territoriali e non territoriali (famiglia, Comune, sindacato ecc.). Individuo radicato (...) in antagonismo con la società , piuttosto che individuo assoluto – ‘eroe liberale‘ (e anarchico) – ‘preso‘ e contrapposto allo Stato. La riflessione sull'individuo radicato in società conduce a una dimensione giuridica (di ‘diritti e responsabilità ‘) (...) avendo in mente ‘la società , con tutte le sue istituzioni: familiari, economiche, religiose, politiche, ecc.‘ (...) e ‘intendendo le leggi come le norme morali e civili che sono più universalmente accettate come base di un'ordinata convivenza, e come quelle necessarie costrizioni della libertà individuale che sono la condizione necessaria della sicurezza e libertà individuali e collettive‘ (...). (...) Proprio la coscienza dell'importanza del diritto si configura come antidoto alla presa esercitata dalle ideologie (...).
La riflessione di Berneri ebbe al suo centro l'individuo immerso (come produttore e cittadino) nella società e nei suoi corpi intermedi, territoriali e non territoriali (famiglia, Comune, sindacato ecc.). Individuo radicato (...) in antagonismo con la società, piuttosto che individuo assoluto – ‘eroe liberale‘ (e anarchico) – ‘preso‘ e contrapposto allo Stato. La riflessione sull'individuo radicato in società conduce a una dimensione giuridica (di ‘diritti e responsabilità ‘) (...) avendo in mente ‘la società, con tutte le sue istituzioni: familiari, economiche, religiose, politiche, ecc.‘ (...) e ‘intendendo le leggi come le norme morali e civili che sono più universalmente accettate come base di un'ordinata convivenza, e come quelle necessarie costrizioni della libertà individuale che sono la condizione necessaria della sicurezza e libertà individuali e collettive‘ (...). (...) Proprio la coscienza dell'importanza del diritto si configura come antidoto alla presa esercitata dalle ideologie (...).
(...) Di fronte al totalitarismo, Ortega y Gasset, come Berneri, dava risalto al fenomeno giuridico (...). Rispetto a questa affinità , la lontananza politica tra i due passa – ai nostri occhi – in secondo piano (...).
(...) Di fronte al totalitarismo, Ortega y Gasset, come Berneri, dava risalto al fenomeno giuridico (...). Rispetto a questa affinità, la lontananza politica tra i due passa – ai nostri occhi – in secondo piano (...).
Con consonanza sorprendente, Ortega y Gasset e Berneri rifiutarono il contrattualismo moderno. Secondo le parole del primo (maggio 1937): ‘Uno degli errori più grandi del pensiero ‘moderno‘, di cui sentiamo ancora gli ultimi riverberi, è stato quello di confondere la società con l'associazione, che è più o meno il suo contrario. Una società non si costituisce per un accordo delle volontà. Al contrario, ogni accordo di volontà presuppone l'esistenza di una società , di gente che convive, e l'accordo non può consistere che nel precisare questa o quella forma di tale convivenza, di tale società preesistente‘ (...).
Con consonanza sorprendente, Ortega y Gasset e Berneri rifiutarono il contrattualismo moderno. Secondo le parole del primo (maggio 1937): ‘Uno degli errori più grandi del pensiero ‘moderno‘, di cui sentiamo ancora gli ultimi riverberi, è stato quello di confondere la società con l'associazione, che è più o meno il suo contrario. Una società non si costituisce per un accordo delle volontà. Al contrario, ogni accordo di volontà presuppone l'esistenza di una società, di gente che convive, e l'accordo non può consistere che nel precisare questa o quella forma di tale convivenza, di tale società preesistente‘ (...).
‘L'errore contrattualista‘ – aveva scritto Berneri – ‘consiste nel confondere l'associazione con la società. Il contratto sociale non fu la base di alcuna società , di alcuno Stato; né lo può essere. Il contratto sociale è lo stabilirsi di una forma politica basata sulla libera volontà dei consociati. È la società che si uniforma nel volere, la società che da natura e storia si fa filosofia. È società utopica che si fa associazione ideale‘ (...).
‘L'errore contrattualista‘ – aveva scritto Berneri – ‘consiste nel confondere l'associazione con la società. Il contratto sociale non fu la base di alcuna società, di alcuno Stato; né lo può essere. Il contratto sociale è lo stabilirsi di una forma politica basata sulla libera volontà dei consociati. È la società che si uniforma nel volere, la società che da natura e storia si fa filosofia. È società utopica che si fa associazione ideale‘ (...).
Potremmo dire che alla volontà del contrattualismo moderno i due autori contrapposero una fatalità del radicamento (della tradizione). La società , secondo le parole di Berneri, è ‘una cosa che si trova‘. Essa comprende un insieme di unioni involontarie: ‘la società sono i genitori, il paese di nascita‘... In questo, ‘non si può cambiare‘ (...). (E le unioni involontarie, è bene ripeterlo, richiamano un sistema di valori comuni). A sua volta, Ortega scriveva: ‘La vita non sceglie il suo mondo, ma vivere vuol dire trovarsi immediatamente in un mondo determinato e incommutabile: questo mondo. Il nostro mondo è la dimensione di fatalità che integra la nostra vita‘ (...).
Potremmo dire che alla volontà del contrattualismo moderno i due autori contrapposero una fatalità del radicamento (della tradizione). La società, secondo le parole di Berneri, è ‘una cosa che si trova‘. Essa comprende un insieme di unioni involontarie: ‘la società sono i genitori, il paese di nascita‘... In questo, ‘non si può cambiare‘ (...). (E le unioni involontarie, è bene ripeterlo, richiamano un sistema di valori comuni). A sua volta, Ortega scriveva: ‘La vita non sceglie il suo mondo, ma vivere vuol dire trovarsi immediatamente in un mondo determinato e incommutabile: questo mondo. Il nostro mondo è la dimensione di fatalità che integra la nostra vita‘ (...).
Quanto abbiamo appena letto, pone un primo discrimine fra volontarismo malatestiano ed impostazione berneriana.
Quanto abbiamo appena letto, pone un primo discrimine fra volontarismo malatestiano ed impostazione berneriana.
Al lume della conoscenza che abbiamo acquisito di lui, potremmo però affermare che il lodigiano si sforza di portare la politica ad “influire sulla fatalità ”, ma in realtà egli semmai inaugura la strada per un tentativo di risocializzazione della società – dalla quale non è dato prescindere – atto a far “scorrere” la “fatalità ”, sapendo che non può sovradeterminarla volontaristicamente. E tali, probabilmente, sono anche le basi del suo “irrazionalismo”. Ma tutto questo non è, come qualcuno tacitamente immagina (l'ortodossia libertaria), o apertamente tenta di dimostrare (qualche liberalsocialista), un allontanamento di Berneri dall'anarchismo, bensì una precisazione dello stesso: una “teoria politica” per il movimento autogestionario. Teoria politica con preminenza etica, ma pur sempre teoria politica. Sono le apparenti contraddizioni del lodigiano: non crede nel volontarismo, eppure è un uomo d'azione; vuole costruire un progetto, ma pretende che “l'anarchia” (il progetto stesso) sia nelle cose: nella società più che nell'associazione.
Al lume della conoscenza che abbiamo acquisito di lui, potremmo però affermare che il lodigiano si sforza di portare la politica ad “influire sulla fatalità ”, ma in realtà egli semmai inaugura la strada per un tentativo di risocializzazione della società – dalla quale non è dato prescindere – atto a far “scorrere” la “fatalità ”, sapendo che non può sovradeterminarla volontaristicamente. E tali, probabilmente, sono anche le basi del suo “irrazionalismo”. Ma tutto questo non è, come qualcuno tacitamente immagina (l'ortodossia libertaria), o apertamente tenta di dimostrare (qualche liberalsocialista), un allontanamento di Berneri dall'anarchismo, bensì una precisazione dello stesso: una “teoria politica” per il movimento autogestionario. Teoria politica con preminenza etica, ma pur sempre teoria politica. Sono le apparenti contraddizioni del lodigiano: non crede nel volontarismo, eppure è un uomo d'azione; vuole costruire un progetto, ma pretende che “l'anarchia” (il progetto stesso) sia nelle cose: nella società più che nell'associazione.
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Il compito dichiarato della struttura specifica è quello di elaborare una prassi evolutiva (ed esserne garante), rivoluzionaria e non riformista, ma di lungo periodo. Non necessariamente da subito funzionale alla rottura rivoluzionaria, che semini invece il germe del divenire per essere modificazione qui ed ora, non solo per preparare lo scontro decisivo: una modificazione dell'oggi che è già parte dello scontro decisivo di domani, senza la necessità impellente di essere immediatamente strumentale allo stesso.  
Il compito dichiarato della struttura specifica è quello di elaborare una prassi evolutiva (ed esserne garante), rivoluzionaria e non riformista, ma di lungo periodo. Non necessariamente da subito funzionale alla rottura rivoluzionaria, che semini invece il germe del divenire per essere modificazione qui ed ora, non solo per preparare lo scontro decisivo: una modificazione dell'oggi che è già parte dello scontro decisivo di domani, senza la necessità impellente di essere immediatamente strumentale allo stesso.  
L'impegno volontaristico, eliminata ogni tentazione autoreferenziale, viene trasferito soprattutto nella militanza, sia nel profondo rispetto degli uomini d'azione (per i quali il riconoscimento di una valenza trainante non viene certo meno in Berneri), sia nella capacità di garantire un'autodisciplina capace di assicurare la costruttività dell'azione e l'elaborazione costante di una linea d'intervento, nella quale però le battaglie d'opinione hanno rilevanza quasi assoluta.  
L'impegno volontaristico, eliminata ogni tentazione autoreferenziale, viene trasferito soprattutto nella militanza, sia nel profondo rispetto degli uomini d'azione (per i quali il riconoscimento di una valenza trainante non viene certo meno in Berneri), sia nella capacità di garantire un'autodisciplina capace di assicurare la costruttività dell'azione e l'elaborazione costante di una linea d'intervento, nella quale però le battaglie d'opinione hanno rilevanza quasi assoluta.  
Un'organizzazione prima di tutto idonea a sedimentare sinergie con il corpo sociale, indipendentemente dall'adesione dello stesso agli ideali anarchici, indicando obiettivi e conquiste immediatamente praticabili, ma anche in grado di elaborare ed aver ben chiaro un progetto strategico che sappia sia promuovere una cultura del cambiamento, dell'autonomia e della libertà , che identificare le necessarie alleanze con quelle altre forze politiche che vengano ritenute utili per aumentare la possibilità di raggiungere tali obiettivi. Forme d'alleanza stabili che richiedono un'approfondita riflessione politica, l'identificazione di una linea di demarcazione (quella rispetto ai totalitarismi), in grado di garantire l'identificazione di obiettivi strategici a medio e lungo termine (come il comunalismo), e quindi non unicamente episodiche e contingenti come sono le alleanze nelle fasi di tensione ed insorgenza sociale. Un'organizzazione non ecumenica, ma decisamente orientata, parallelamente capace però di aprire le porte all'innovazione ed alla sperimentazione pragmatica e di circoscrivere le tendenze fondamentaliste. Nella quale la discriminante ideologica principale viene identificata nell'eliminazione finale dello stato, più che in disegni di trasformazione immediata rigidamente di stampo comunista (l'economia è un campo nel quale il lodigiano è molto più possibilista). Berneri rimprovera a Malatesta la contraddittorietà di un programma molto ideologico ed altrettanto parco nell'approfondimento del peculiare carattere politico (discussione di previsione sulle fasi, sulle tattiche, sulle strutture della società liberata, rimando generalizzato alla “onnicomprensività” della rivoluzione, anche in ambito normativo, sottovalutazione di una politica delle alleanze), ma molto rigido in economia. Tanto rigido da rischiare (nella pratica politica) di esporre il movimento ad opzioni codiste di fronte all'iniziativa di marca giacobina, nella quale la trasformazione economica e del potere prescindono da quella libertaria.
Un'organizzazione prima di tutto idonea a sedimentare sinergie con il corpo sociale, indipendentemente dall'adesione dello stesso agli ideali anarchici, indicando obiettivi e conquiste immediatamente praticabili, ma anche in grado di elaborare ed aver ben chiaro un progetto strategico che sappia sia promuovere una cultura del cambiamento, dell'autonomia e della libertà, che identificare le necessarie alleanze con quelle altre forze politiche che vengano ritenute utili per aumentare la possibilità di raggiungere tali obiettivi. Forme d'alleanza stabili che richiedono un'approfondita riflessione politica, l'identificazione di una linea di demarcazione (quella rispetto ai totalitarismi), in grado di garantire l'identificazione di obiettivi strategici a medio e lungo termine (come il comunalismo), e quindi non unicamente episodiche e contingenti come sono le alleanze nelle fasi di tensione ed insorgenza sociale. Un'organizzazione non ecumenica, ma decisamente orientata, parallelamente capace però di aprire le porte all'innovazione ed alla sperimentazione pragmatica e di circoscrivere le tendenze fondamentaliste. Nella quale la discriminante ideologica principale viene identificata nell'eliminazione finale dello stato, più che in disegni di trasformazione immediata rigidamente di stampo comunista (l'economia è un campo nel quale il lodigiano è molto più possibilista). Berneri rimprovera a Malatesta la contraddittorietà di un programma molto ideologico ed altrettanto parco nell'approfondimento del peculiare carattere politico (discussione di previsione sulle fasi, sulle tattiche, sulle strutture della società liberata, rimando generalizzato alla “onnicomprensività” della rivoluzione, anche in ambito normativo, sottovalutazione di una politica delle alleanze), ma molto rigido in economia. Tanto rigido da rischiare (nella pratica politica) di esporre il movimento ad opzioni codiste di fronte all'iniziativa di marca giacobina, nella quale la trasformazione economica e del potere prescindono da quella libertaria.
L'anarcosindacalismo è per Berneri un elemento di riconoscibilità dell'anarchismo, di sperimentazione della prassi della democrazia diretta, già nel quotidiano della prima fase di costruzione del tessuto connettivo del cambiamento, esattamente come gli altri strumenti per la propaganda specifica, ma con maggiori possibilità d'incidere a partire dall'impatto aggregativo delle vertenze e dalla pratica dei bisogni. Con una strutturazione organizzativa assai più forte, perché più forti sono il legame e la motivazione se non discendono unicamente da elementi di carattere ideologico. Soprattutto grazie alla consapevolezza di divenire gradualmente la base strutturale della riorganizzazione futura. Uno strumento per l'esercizio di un'egemonia reale del mondo del lavoro sui partiti e tutte le nomenclature della politica, operante a mezzo di un'autonomia decisiva anche dallo specifico anarchico (e dalle sue carenze organizzative e chiusure dottrinarie). Cionondimeno, espressione di un socialismo umanista, questo si, di chiaro stampo malatestiano. Nell'ambito di un “sovietismo sociale” capace di nutrirsi non solo dell'apporto dell'associazionismo indipendente, bensì anche delle istituzioni espresse – principalmente sul piano decentrato (ma non solo) – ancora una volta da quella società civile che per il lodigiano va stimolata dall'insieme dell'intervento politico dell'anarchismo nella capacità di darsi strumenti, anche normativi, per un autogoverno che dovrà basarsi su di una prassi libertaria, ma essere politicamente pluralista. La militanza libertaria organizzata, la cui presenza è fondamentale in quanto garante (oggi e domani) della democrazia diretta, non è perciò indirizzata senza consegne tattiche nelle organizzazioni di massa (ovvero con l'unica raccomandazione “frontista” di agire da stimolo per l'azione diretta), bensì deve lavorare alla costruzione di un sindacato autogestionario ben riconoscibile e strutturato.
L'anarcosindacalismo è per Berneri un elemento di riconoscibilità dell'anarchismo, di sperimentazione della prassi della democrazia diretta, già nel quotidiano della prima fase di costruzione del tessuto connettivo del cambiamento, esattamente come gli altri strumenti per la propaganda specifica, ma con maggiori possibilità d'incidere a partire dall'impatto aggregativo delle vertenze e dalla pratica dei bisogni. Con una strutturazione organizzativa assai più forte, perché più forti sono il legame e la motivazione se non discendono unicamente da elementi di carattere ideologico. Soprattutto grazie alla consapevolezza di divenire gradualmente la base strutturale della riorganizzazione futura. Uno strumento per l'esercizio di un'egemonia reale del mondo del lavoro sui partiti e tutte le nomenclature della politica, operante a mezzo di un'autonomia decisiva anche dallo specifico anarchico (e dalle sue carenze organizzative e chiusure dottrinarie). Cionondimeno, espressione di un socialismo umanista, questo si, di chiaro stampo malatestiano. Nell'ambito di un “sovietismo sociale” capace di nutrirsi non solo dell'apporto dell'associazionismo indipendente, bensì anche delle istituzioni espresse – principalmente sul piano decentrato (ma non solo) – ancora una volta da quella società civile che per il lodigiano va stimolata dall'insieme dell'intervento politico dell'anarchismo nella capacità di darsi strumenti, anche normativi, per un autogoverno che dovrà basarsi su di una prassi libertaria, ma essere politicamente pluralista. La militanza libertaria organizzata, la cui presenza è fondamentale in quanto garante (oggi e domani) della democrazia diretta, non è perciò indirizzata senza consegne tattiche nelle organizzazioni di massa (ovvero con l'unica raccomandazione “frontista” di agire da stimolo per l'azione diretta), bensì deve lavorare alla costruzione di un sindacato autogestionario ben riconoscibile e strutturato.
In quanto all'empiriocriticismo, esiste invece un rapporto stretto con Malatesta, anche se Berneri porterà più avanti il discorso, fino alle estreme conseguenze, e con evidenti e ben diverse ricadute – come abbiamo già visto – sulla questione della politica. Scrive in proposito Pietro Adamo: “È il radicamento delle elaborazioni politiche nella sfera dell'epistemologia a costituire uno degli elementi dell'originalità berneriana, con una riflessione che (...) muove direttamente dai problemi posti dalla nuova fisica e dalla nuova filosofia della scienza.
In quanto all'empiriocriticismo, esiste invece un rapporto stretto con Malatesta, anche se Berneri porterà più avanti il discorso, fino alle estreme conseguenze, e con evidenti e ben diverse ricadute – come abbiamo già visto – sulla questione della politica. Scrive in proposito Pietro Adamo: “È il radicamento delle elaborazioni politiche nella sfera dell'epistemologia a costituire uno degli elementi dell'originalità berneriana, con una riflessione che (...) muove direttamente dai problemi posti dalla nuova fisica e dalla nuova filosofia della scienza.
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