L'aumento delle cure genera nuove patologie (di I. Illich): differenze tra le versioni

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== Dal corpo fisico al corpo fiscale ==
== Dal corpo fisico al corpo fiscale ==


Per parlare di questa "[[salute]]" metaforica, occorre intanto accettare due punti. Storica non è soltanto la nozione di salute, ma anche quella di metafora. Il primo punto dovrebbe risultare evidente, il saggista Northrop Frye <ref>Northrop Frye (1912- 1990), già  professore all'università  di Toronto e uno dei più influenti critici letterari di lingua inglese. Autore, tra l'altro, di: ''Anatomia della critica'', (Einaudi, 1972); ''Il potere delle parole. Nuovi studi su Bibbia e letteratura'' (La Nuova Italia, 1994); ''La duplice visione. Linguaggio e significato nelle religioni'' (Marsilio, 1993)</ref> mi ha fatto comprendere il secondo: la metafora ha una portata assai diversa tra i greci e i cristiani primitivi, per i quali evoca rispettivamente le dee Hygeia <ref>Hygeia. Personificazione della salute, figlia di Asclepio, il dio greco della medicina.</ref> e Hygia, e i cristiani medievali, invitati alla salvezza grazie a un solo creatore e salvatore crocefisso; ma ?? ancora diversa laddove crea il bisogno di terapie in un mondo impregnato dell'ideale strumentale della scienza. Nella misura in cui si accetta una siffatta storicità  della metafora, è il caso di chiedersi se, in quest'ultimo scorcio del millennio, è ancora legittimo parlare di una metafora sociale. Ed ecco la mia tesi: verso la metà  del XX secolo, la nozione di una "ricerca della salute" implicava significati del tutto diversi che ai giorni nostri. Secondo la nozione che si afferma oggi, l'essere umano bisognoso di salute è considerato come un sottosistema della biosfera, un sistema immunitario che deve essere controllato, regolato, ottimalizzato, come "una vita". Non è più questione di porre in luce ciò che costituisce l'esperienza "di essere vivente". Con la sua riduzione a "una vita", il soggetto cade in un vuoto che lo soffoca. Per parlare della salute nel 1999, bisogna comprendere la ricerca della salute come l'opposto di quella della salvezza; comprenderla come una liturgia societaria, al servizio di un idolo che spegne il soggetto.
Per parlare di questa "[[salute]]" metaforica, occorre intanto accettare due punti. Storica non è soltanto la nozione di salute, ma anche quella di metafora. Il primo punto dovrebbe risultare evidente, il saggista Northrop Frye <ref>Northrop Frye (1912- 1990), già  professore all'università  di Toronto e uno dei più influenti critici letterari di lingua inglese. Autore, tra l'altro, di: ''Anatomia della critica'', (Einaudi, 1972); ''Il potere delle parole. Nuovi studi su Bibbia e letteratura'' (La Nuova Italia, 1994); ''La duplice visione. Linguaggio e significato nelle religioni'' (Marsilio, 1993)</ref> mi ha fatto comprendere il secondo: la metafora ha una portata assai diversa tra i greci e i cristiani primitivi, per i quali evoca rispettivamente le dee Hygeia <ref>Hygeia. Personificazione della salute, figlia di Asclepio, il dio greco della medicina.</ref> e Hygia, e i cristiani medievali, invitati alla salvezza grazie a un solo creatore e salvatore crocefisso; ma è ancora diversa laddove crea il bisogno di terapie in un mondo impregnato dell'ideale strumentale della scienza. Nella misura in cui si accetta una siffatta storicità  della metafora, è il caso di chiedersi se, in quest'ultimo scorcio del millennio, è ancora legittimo parlare di una metafora sociale. Ed ecco la mia tesi: verso la metà  del XX secolo, la nozione di una "ricerca della salute" implicava significati del tutto diversi che ai giorni nostri. Secondo la nozione che si afferma oggi, l'essere umano bisognoso di salute è considerato come un sottosistema della biosfera, un sistema immunitario che deve essere controllato, regolato, ottimalizzato, come "una vita". Non è più questione di porre in luce ciò che costituisce l'esperienza "di essere vivente". Con la sua riduzione a "una vita", il soggetto cade in un vuoto che lo soffoca. Per parlare della salute nel 1999, bisogna comprendere la ricerca della salute come l'opposto di quella della salvezza; comprenderla come una liturgia societaria, al servizio di un idolo che spegne il soggetto.


Nel 1974 scrissi la ''Nemesi medica''<ref>Ivan Illich, ''Nemesi medica. L'espropriazione della salute''. Arnoldo Mondadori Editore, 1977.</ref>. Non avevo però scelto la [[medicina sociale|medicina]] come tema, bensì come esempio. In questo libro intendevo proseguire un discorso già  avviato sulle istituzioni moderne, in quanto cerimonie creatrici di miti, di liturgie sociali intese a celebrare certezze. In questo senso avevo esaminato la [[scuola]] <ref>Leggere Ivan Illich, ''Descolarizzare la società ''. Arnoldo Mondadori Editore.</ref>, i trasporti e gli alloggi, per comprenderne le funzioni latenti e ineluttabili: ciò che proclamano, piuttosto che ciò che producono; il mito dell'Homo educandus, il mito dell'Homo transportandus, e infine quello dell'uomo incastrato. Ho scelto la medicina come esempio per illustrare livelli distinti del carattere controproducente tipico di tutte le istituzioni del dopoguerra, del loro paradosso tecnico, sociale e culturale: sul piano tecnico, la sinergia terapeutica che produce nuove malattie; su quello sociale, lo sradicamento operato dalla diagnostica, che ossessiona il malato, l'idiota, l'anziano così come chi lentamente si spegne. E soprattutto, sul piano culturale, la promessa del progresso conduce al rifiuto della condizione umana e al disgusto dell'arte di soffrire.
Nel 1974 scrissi la ''Nemesi medica''<ref>Ivan Illich, ''Nemesi medica. L'espropriazione della salute''. Arnoldo Mondadori Editore, 1977.</ref>. Non avevo però scelto la [[medicina sociale|medicina]] come tema, bensì come esempio. In questo libro intendevo proseguire un discorso già  avviato sulle istituzioni moderne, in quanto cerimonie creatrici di miti, di liturgie sociali intese a celebrare certezze. In questo senso avevo esaminato la [[scuola]] <ref>Leggere Ivan Illich, ''Descolarizzare la società ''. Arnoldo Mondadori Editore.</ref>, i trasporti e gli alloggi, per comprenderne le funzioni latenti e ineluttabili: ciò che proclamano, piuttosto che ciò che producono; il mito dell'Homo educandus, il mito dell'Homo transportandus, e infine quello dell'uomo incastrato. Ho scelto la medicina come esempio per illustrare livelli distinti del carattere controproducente tipico di tutte le istituzioni del dopoguerra, del loro paradosso tecnico, sociale e culturale: sul piano tecnico, la sinergia terapeutica che produce nuove malattie; su quello sociale, lo sradicamento operato dalla diagnostica, che ossessiona il malato, l'idiota, l'anziano così come chi lentamente si spegne. E soprattutto, sul piano culturale, la promessa del progresso conduce al rifiuto della condizione umana e al disgusto dell'arte di soffrire.


Ho iniziato Nemesi medica con le parole: « L'impresa medica minaccia la salute ». All'epoca, questa affermazione poteva far dubitare della serietà  dell'autore, ma aveva anche il potere di provocare stupore e rabbia. A 25 anni di distanza, non potrei più far mia questa frase, per due motivi: i medici non hanno più in mano il timone dello stato biologico, la barra della biocrazia. Se mai si ritrova un medico nei ranghi dei "decisori", la sua presenza serve a legittimare la rivendicazione del sistema industriale di migliorare lo stato della[[]] salute. Oltre tutto, una "salute" non più sentita. Una "salute" paradossale. Il termine "salute" designa un optimum cibernetico. La salute concepita come un equilibrio tra il macrosistema socio-ecologico e la popolazione dei suoi sottosistemi di tipo umano. Nel sottomettersi all'ottimizzazione, il soggetto rinnega se stesso. Oggi, inizierò la mia argomentazione dicendo: «La ricerca della salute è divenuto il fattore patogeno predominante». Sono infatti costretto a prendere in considerazione un'azione controproducente alla quale non potevo pensare all'epoca in cui scrissi Nemesi medica, un paradosso che diviene evidente quando si scava nei rapporti sui progressi dello stato di salute. Bisogna leggerli in senso bifronte, alla maniera di Giano <ref>Giano bifronte, dio romano dal doppio volto. A lui è consacrato il mese di gennaio januarius.</ref>: l'occhio destro rimane colpito dalle statistiche della mortalità?? e morbilità , il cui calo è interpretato come il risultato delle prestazioni mediche; con il sinistro non si possono più evitare gli studi antropologici che contengono le risposte alla domanda: come va? Non si può più evitare di vedere il contrasto tra la pretesa salute obiettiva e quella soggettiva. E cosa osserviamo? Quanto più aumenta l'offerta di salute, tanto più le persone rispondono adducendo i loro problemi, bisogni, malattie, e chiedendo di essere garantite contro i rischi. E tutto questo quando nelle regioni considerate arretrate i "sottosviluppati" accettano la propria condizione senza problemi. Alla domanda: come va? Rispondono: «Bene, data la mia condizione, la mia età , il mio karma».  
Ho iniziato Nemesi medica con le parole: « L'impresa medica minaccia la salute ». All'epoca, questa affermazione poteva far dubitare della serietà  dell'autore, ma aveva anche il potere di provocare stupore e rabbia. A 25 anni di distanza, non potrei più far mia questa frase, per due motivi: i medici non hanno più in mano il timone dello stato biologico, la barra della biocrazia. Se mai si ritrova un medico nei ranghi dei "decisori", la sua presenza serve a legittimare la rivendicazione del sistema industriale di migliorare lo stato della[[]] salute. Oltre tutto, una "salute" non più sentita. Una "salute" paradossale. Il termine "salute" designa un optimum cibernetico. La salute concepita come un equilibrio tra il macrosistema socio-ecologico e la popolazione dei suoi sottosistemi di tipo umano. Nel sottomettersi all'ottimizzazione, il soggetto rinnega se stesso. Oggi, inizierò la mia argomentazione dicendo: «La ricerca della salute è divenuto il fattore patogeno predominante». Sono infatti costretto a prendere in considerazione un'azione controproducente alla quale non potevo pensare all'epoca in cui scrissi Nemesi medica, un paradosso che diviene evidente quando si scava nei rapporti sui progressi dello stato di salute. Bisogna leggerli in senso bifronte, alla maniera di Giano <ref>Giano bifronte, dio romano dal doppio volto. A lui è consacrato il mese di gennaio januarius.</ref>: l'occhio destro rimane colpito dalle statistiche della mortalità e morbilità, il cui calo è interpretato come il risultato delle prestazioni mediche; con il sinistro non si possono più evitare gli studi antropologici che contengono le risposte alla domanda: come va? Non si può più evitare di vedere il contrasto tra la pretesa salute obiettiva e quella soggettiva. E cosa osserviamo? Quanto più aumenta l'offerta di salute, tanto più le persone rispondono adducendo i loro problemi, bisogni, malattie, e chiedendo di essere garantite contro i rischi. E tutto questo quando nelle regioni considerate arretrate i "sottosviluppati" accettano la propria condizione senza problemi. Alla domanda: come va? Rispondono: «Bene, data la mia condizione, la mia età , il mio karma».  


E ancora: quanto più l'offerta della pletora clinica risulta da un impegno politico della popolazione, tanto più intensamente è risentita la mancanza di [[salute]]. In altri termini, l'angoscia misura il livello della modernizzazione, e più ancora quello della politicizzazione. L'accettazione sociale della diagnostica "obiettiva" è divenuta patogena in senso soggettivo. E sono precisamente gli economisti fautori di un'economia sociale orientata dai valori della solidarietà  che fanno del diritto egualitario alla salute un obiettivo primario. Logicamente, si vedono costretti ad accettare limiti economici per tutti i tipi di cure individuali. Sono loro a dare un'interpretazione etica della ridefinizione del patologico che si opera all'interno della medicina. La ridefinizione attuale della malattia comporta, secondo il professor Sajay Samuel, dell'università  Bucknell, «una transizione del corpo fisico verso un corpo fiscale». In effetti, i criteri selezionati che classificano questo o quel caso come passibile di cure clinico-mediche sono, in misura crescente, parametri finanziari. In una prospettiva storica, la diagnostica ha avuto per secoli una funzione eminentemente terapeutica. L'incontro tra il medico e il malato era essenzialmente verbale.  
E ancora: quanto più l'offerta della pletora clinica risulta da un impegno politico della popolazione, tanto più intensamente è risentita la mancanza di [[salute]]. In altri termini, l'angoscia misura il livello della modernizzazione, e più ancora quello della politicizzazione. L'accettazione sociale della diagnostica "obiettiva" è divenuta patogena in senso soggettivo. E sono precisamente gli economisti fautori di un'economia sociale orientata dai valori della solidarietà  che fanno del diritto egualitario alla salute un obiettivo primario. Logicamente, si vedono costretti ad accettare limiti economici per tutti i tipi di cure individuali. Sono loro a dare un'interpretazione etica della ridefinizione del patologico che si opera all'interno della medicina. La ridefinizione attuale della malattia comporta, secondo il professor Sajay Samuel, dell'università  Bucknell, «una transizione del corpo fisico verso un corpo fiscale». In effetti, i criteri selezionati che classificano questo o quel caso come passibile di cure clinico-mediche sono, in misura crescente, parametri finanziari. In una prospettiva storica, la diagnostica ha avuto per secoli una funzione eminentemente terapeutica. L'incontro tra il medico e il malato era essenzialmente verbale.  
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