Alceste De Ambris: differenze tra le versioni

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l'azione sindacalista -per De Ambris-  è nello stesso tempo lotta economica per l'emancipazione dei lavoratori e lotta politica contro l'organizzazione capitalista dello [[Stato]]. Egli, nel solco della tradizione socialista rivoluzionaria, considera lo [[Stato]] come la forma specifica della dominazione borghese sul [[proletariato]] poiché le sue leggi sono sempre dirette alla conservazione dell'ordine presente, alla difesa della [[proprietà  privata]], ad affermare l'intangibilità  del privilegio capitalistico. Perciò è necessario «che il proletariato -mentre combatte la lotta capitalistica- non si stanchi di aggredire e di disorganizzare cotesta macchina borghese, indebolendola quanto più è possibile e disgregandone con ogni mezzo i congegni, poiché indebolendo lo Stato ed infrangendone gli ingranaggi, si indebolisce e si infrange la più valida difesa della borghesia». Lo strumento che il [[proletariato]] ha nelle sue mani per combattere e vincere questa lotta è il [[movimento operaio|sindacato operaio]]. Scrive infatti De Ambris che il sindacato operaio è l'unico organismo capace di accogliere l'intera classe lavoratrice disciplinandone le forze per lo scopo immediato della conquista di migliori condizioni di vita, senza però dimenticare la finalità  più vasta e più lontana della [[Rivoluzione sociale]]. Nel più puro spirito soreliano, per De Ambris, sarà  lo [[sciopero generale]] lo strumento che «coronerà  in un epico momento la terribile lotta che la classe lavoratrice combatte contro la classe borghese ... Noi siamo consci -scrive De Ambris- di ciò che Carlo Marx ha lapidariamente dimostrato: che tutte le sovrastrutture politiche, giuridiche e morali poggiano sul fondamento economico "perciò noi che vogliamo distrutto questo mostruoso edificio di iniquità  che è l'ordine presente dobbiamo minarne anzitutto le fondamenta, attaccare la società  borghese nel suo privilegio essenziale da cui derivano tutti gli altri privilegi».  
l'azione sindacalista -per De Ambris-  è nello stesso tempo lotta economica per l'emancipazione dei lavoratori e lotta politica contro l'organizzazione capitalista dello [[Stato]]. Egli, nel solco della tradizione socialista rivoluzionaria, considera lo [[Stato]] come la forma specifica della dominazione borghese sul [[proletariato]] poiché le sue leggi sono sempre dirette alla conservazione dell'ordine presente, alla difesa della [[proprietà  privata]], ad affermare l'intangibilità  del privilegio capitalistico. Perciò è necessario «che il proletariato -mentre combatte la lotta capitalistica- non si stanchi di aggredire e di disorganizzare cotesta macchina borghese, indebolendola quanto più è possibile e disgregandone con ogni mezzo i congegni, poiché indebolendo lo Stato ed infrangendone gli ingranaggi, si indebolisce e si infrange la più valida difesa della borghesia». Lo strumento che il [[proletariato]] ha nelle sue mani per combattere e vincere questa lotta è il [[movimento operaio|sindacato operaio]]. Scrive infatti De Ambris che il sindacato operaio è l'unico organismo capace di accogliere l'intera classe lavoratrice disciplinandone le forze per lo scopo immediato della conquista di migliori condizioni di vita, senza però dimenticare la finalità  più vasta e più lontana della [[Rivoluzione sociale]]. Nel più puro spirito soreliano, per De Ambris, sarà  lo [[sciopero generale]] lo strumento che «coronerà  in un epico momento la terribile lotta che la classe lavoratrice combatte contro la classe borghese ... Noi siamo consci -scrive De Ambris- di ciò che Carlo Marx ha lapidariamente dimostrato: che tutte le sovrastrutture politiche, giuridiche e morali poggiano sul fondamento economico "perciò noi che vogliamo distrutto questo mostruoso edificio di iniquità  che è l'ordine presente dobbiamo minarne anzitutto le fondamenta, attaccare la società  borghese nel suo privilegio essenziale da cui derivano tutti gli altri privilegi».  


I detentori dei mezzi di produzione e di scambio, possono imporre a coloro che non hanno altra ricchezza che le proprie braccia, un salario che è sempre inferiore al valore dell'opera prestata appropriandosi della differenza. La [[lotta di classe]] è dunque lotta essenzialmente economica, che tende a ridurre a proprozioni sempre minori il [[capitalismo|profitto capitalistico]], la cui limitazione va intesa come una espropriazione parziale [[anti-capitalismo|anticapitalistica]], allo scopo di prepararne l'espropriazione totale. Le Leghe, le Federazioni di mestiere, le Camere del lavoro sono le fucine nelle quali si "forgia" e si "tempra" la coscienza proletaria, cioè la consapevolezza di questa realtà  e la volontà  del suo abbattimento. È in queste organizzazioni di resistenza che si crea l'anima nuova, ribelle ed audace del [[proletariato]] che si spoglia del servilismo indotto da secoli di dominio, acquisendo una dignità  prima sconosciuta. Ma perché questo avvenga è necessario che il sindacato superi il gretto [[corporativismo]] e diffonda il concetto vivificatore della negazione dell'ordine esistente affinché le masse proletarie allarghino i propri orizzonti e abbraccino la lotta di classe, per la loro definitiva emancipazione. Con lo [[sciopero generale]], che sarà  l'ultimo gesto di battaglia, sarà  vinta la guerra della classe proletaria. Esso «segnerà  il passaggio del potere economico -e conseguentemente del potere politico e legale- dalle mani del capitalismo alle mani del proletariato. Contro il capitalismo, contro lo stato...contro tutto ciò che incarna o sostiene il triste passato e il doloroso presente -dichiara De Ambris- noi risolleviamo la vecchia bandiera della gloriosa Internazionale, nel cui drappo fiammante sta scritto che l'emancipazione del lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi».
I detentori dei mezzi di produzione e di scambio, possono imporre a coloro che non hanno altra ricchezza che le proprie braccia, un salario che è sempre inferiore al valore dell'opera prestata appropriandosi della differenza. La [[lotta di classe]] è dunque lotta essenzialmente economica, che tende a ridurre a proprozioni sempre minori il [[capitalismo|profitto capitalistico]], la cui limitazione va intesa come una espropriazione parziale [[anti-capitalismo|anticapitalistica]], allo scopo di prepararne l'espropriazione totale. Le Leghe, le Federazioni di mestiere, le Camere del lavoro sono le fucine nelle quali si "forgia" e si "tempra" la coscienza proletaria, cioè la consapevolezza di questa realtà  e la volontà  del suo abbattimento. È in queste organizzazioni di resistenza che si crea l'anima nuova, ribelle ed audace del [[proletariato]] che si spoglia del servilismo indotto da secoli di dominio, acquisendo una dignità  prima sconosciuta. Ma perché questo avvenga è necessario che il sindacato superi il gretto [[corporativismo]] e diffonda il concetto vivificatore della negazione dell'ordine esistente affinché le masse proletarie allarghino i propri orizzonti e abbraccino la lotta di classe, per la loro definitiva emancipazione. Con lo [[sciopero generale]], che sarà  l'ultimo gesto di battaglia, sarà  vinta la guerra della classe proletaria. Esso «segnerà  il passaggio del potere economico -e conseguentemente del potere politico e legale- dalle mani del capitalismo alle mani del proletariato. Contro il capitalismo, contro lo stato... contro tutto ciò che incarna o sostiene il triste passato e il doloroso presente -dichiara De Ambris- noi risolleviamo la vecchia bandiera della gloriosa Internazionale, nel cui drappo fiammante sta scritto che l'emancipazione del lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi».


== De Ambris e il riformismo parlamentare ==
== De Ambris e il riformismo parlamentare ==
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Il [[13 maggio]] [[1915]] De Ambris era a Parma per annunciare alla città  dove era stato eletto deputato il suo voto per i crediti militari nella seduta della camera che si sarebbe tenuta il [[24 maggio]]. Sarà  la seconda volta, dopo il giuramento di due anni prima, che entrerà  in parlamento. Il giorno precedente, il [[23 maggio]], le truppe italiane erano entrate in guerra. De Ambris parte volontario per La Spezia, assegnato col grado di caporale al 2° reggimento Artiglieria da fortezza. Questa scelta, condivisa da tutti gli interventisti, era la naturale conseguenza della propaganda che essi avevano fatto ed una risposta ai socialisti pacifisti poco inclini a  credere che alle loro idee avrebbero poi fatto seguire i fatti. Dall'ottobre 1915 apparvero su ''Il Popolo D'Italia'' sue corrispondenze quasi quotidiane dal fronte che infiammavano i giovani rivoluzionari interventisti di scuola sindacalista. Nel dicembre del [[1915]] approfittò di una licenza speciale, che si prolungò sino a fine gennaio, per organizzare diverse commemorazioni di [[Filippo Corridoni]], caduto durante un assalto alle linee austriache assieme ad altri volontari interventisti.
Il [[13 maggio]] [[1915]] De Ambris era a Parma per annunciare alla città  dove era stato eletto deputato il suo voto per i crediti militari nella seduta della camera che si sarebbe tenuta il [[24 maggio]]. Sarà  la seconda volta, dopo il giuramento di due anni prima, che entrerà  in parlamento. Il giorno precedente, il [[23 maggio]], le truppe italiane erano entrate in guerra. De Ambris parte volontario per La Spezia, assegnato col grado di caporale al 2° reggimento Artiglieria da fortezza. Questa scelta, condivisa da tutti gli interventisti, era la naturale conseguenza della propaganda che essi avevano fatto ed una risposta ai socialisti pacifisti poco inclini a  credere che alle loro idee avrebbero poi fatto seguire i fatti. Dall'ottobre 1915 apparvero su ''Il Popolo D'Italia'' sue corrispondenze quasi quotidiane dal fronte che infiammavano i giovani rivoluzionari interventisti di scuola sindacalista. Nel dicembre del [[1915]] approfittò di una licenza speciale, che si prolungò sino a fine gennaio, per organizzare diverse commemorazioni di [[Filippo Corridoni]], caduto durante un assalto alle linee austriache assieme ad altri volontari interventisti.


Queste scelte patriottiche del deputato socialista, leader del movimento sindacale parmense, creavano perplessità  in qualche area dei militanti e si manifestavano critiche alla revisione teorica in atto. Ma per De Ambris non si trattava di negare la centralità  dell'emancipazione operaia ma di legarla al più complessivo movimento di rinnovamento nazionale. Nel Convegno Nazionale Repubblicano di Roma del [[27 gennaio|27]] e [[28 gennaio]] [[1916]], alcuni compagni affini al leader sindacalista, che non era presente, sostennero le sue posizioni. In quel Convegno si discusse un Odg che, sulla questione movimento operaio ed esercito, chiedeva la «trasformazione immediata dell'esercito in Nazione Armata...e di favorire in ogni modo un movimento operaio a forte base ideale capace di imporre - senza illusioni riformiste - la soluzione delle questioni del lavoro e di preparare le ulteriori, definitive conquiste di libertà  e di giustizia sociale». <ref>Serventi Longhi. Op. cit.</ref> In un successivo Congresso interventista del [[2 luglio|2]], [[3 luglio|3]] e [[4 luglio]] [[1917]] queste posizioni di De Ambris portarono ad una vera e propria resa dei conti fra l'orientamento sociale e repubblicano e quello nazionalista filomonarchico. Si votò un Odg che sosteneva che la guerra doveva sfociare in un governo di popolo.
Queste scelte patriottiche del deputato socialista, leader del movimento sindacale parmense, creavano perplessità  in qualche area dei militanti e si manifestavano critiche alla revisione teorica in atto. Ma per De Ambris non si trattava di negare la centralità  dell'emancipazione operaia ma di legarla al più complessivo movimento di rinnovamento nazionale. Nel Convegno Nazionale Repubblicano di Roma del [[27 gennaio|27]] e [[28 gennaio]] [[1916]], alcuni compagni affini al leader sindacalista, che non era presente, sostennero le sue posizioni. In quel Convegno si discusse un Odg che, sulla questione movimento operaio ed esercito, chiedeva la «trasformazione immediata dell'esercito in Nazione Armata... e di favorire in ogni modo un movimento operaio a forte base ideale capace di imporre - senza illusioni riformiste - la soluzione delle questioni del lavoro e di preparare le ulteriori, definitive conquiste di libertà  e di giustizia sociale». <ref>Serventi Longhi. Op. cit.</ref> In un successivo Congresso interventista del [[2 luglio|2]], [[3 luglio|3]] e [[4 luglio]] [[1917]] queste posizioni di De Ambris portarono ad una vera e propria resa dei conti fra l'orientamento sociale e repubblicano e quello nazionalista filomonarchico. Si votò un Odg che sosteneva che la guerra doveva sfociare in un governo di popolo.


== Sindacato e Stato ==
== Sindacato e Stato ==
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== L'Impresa fiumana ==
== L'Impresa fiumana ==
{{vedi|Aspetti libertari dell'impresa di Fiume}}
{{vedi|Aspetti libertari dell'impresa di Fiume}}
«Finalmente l'evento si era compiuto, ed erano le 11.45 del 12 settembre 1919, un venerdì...al primo nucleo dei centonovantasei granatieri di Ronchi si erano uniti lungo la via altri soldati, bersaglieri, arditi e anche civili orgogliosi delle loro armi raccogliticce...entrava in Fiume una falange di non meno di duemilacinquecento persone che la conquistava senza sparare un colpo di fucile.» <ref>Antonio Spinosa. ''D'Annunzio. Il poeta armato.'' Oscar Mondadori, seconda edizione Oscar storia febbraio 2013.</ref>
«Finalmente l'evento si era compiuto, ed erano le 11.45 del 12 settembre 1919, un venerdì... al primo nucleo dei centonovantasei granatieri di Ronchi si erano uniti lungo la via altri soldati, bersaglieri, arditi e anche civili orgogliosi delle loro armi raccogliticce... entrava in Fiume una falange di non meno di duemilacinquecento persone che la conquistava senza sparare un colpo di fucile.» <ref>Antonio Spinosa. ''D'Annunzio. Il poeta armato.'' Oscar Mondadori, seconda edizione Oscar storia febbraio 2013.</ref>
D'Annunzio si era determinato a compiere questa impresa poiché la vittoria gli appariva «mutilata». Egli intendeva rivendicare per l'Italia la propria naturale potestà  sull'Adriatico fino a Valona al di là  del Patto che era stato firmato a Londra nel [[1915]], al momento dell'entrata in guerra accanto a [[Gran Bretagna]], [[Francia]] e [[Russia]] contro la [[Germania]] e l'Austia-Ungheria. In un ''Cantico'' apparso sul «Corriere della Sera» reclamava l'intera Dalmazia. Inoltre il patto escludeva Fiume dai compensi territoriali non potendo essere prevedibile, a quel momento, la dissoluzione dell'Impero austroungarico a cui la città  apparteneva.
D'Annunzio si era determinato a compiere questa impresa poiché la vittoria gli appariva «mutilata». Egli intendeva rivendicare per l'Italia la propria naturale potestà  sull'Adriatico fino a Valona al di là  del Patto che era stato firmato a Londra nel [[1915]], al momento dell'entrata in guerra accanto a [[Gran Bretagna]], [[Francia]] e [[Russia]] contro la [[Germania]] e l'Austia-Ungheria. In un ''Cantico'' apparso sul «Corriere della Sera» reclamava l'intera Dalmazia. Inoltre il patto escludeva Fiume dai compensi territoriali non potendo essere prevedibile, a quel momento, la dissoluzione dell'Impero austroungarico a cui la città  apparteneva.
[[File:Reggenza Italiana del Carnaro.jpg|195px|left|thumb|Bandiera della Reggenza Italiana del Carnaro.]]
[[File:Reggenza Italiana del Carnaro.jpg|195px|left|thumb|Bandiera della Reggenza Italiana del Carnaro.]]
Dalla dissoluzione dell'Impero austroungarico stava nascendo il nuovo regno serbo, croato, sloveno. Gli jugoslavi negavano l'italianità  di Fiume e affermavano che avevano assolutamente bisogno del suo porto che era l'unico scalo marittimo utlilizzabile per il nuovo [[Stato]]. Sui confini da assegnare all'[[Italia]] e quindi su Fiume si discuteva nella Conferenza della pace in corso a Parigi. L'[[Italia]] chiedeva l'applicazione del Patto di Londra <ref>[http://it.wikipedia.org/wiki/Patto_di_Londra Patto di Londra]</ref>con la correzione dell'inclusione della città  di Fiume nelle frontiere italiane, ma le altre potenze furono sorde a queste richieste. I rappresentanti italiani abbandonarono allora la Conferenza e furono accolti in Patria con acclamazioni di entusiasmo. D'Annunzio aveva esltato il loro gesto e dichiarato in un fervente discorso: «Non è più tempo di parole...abbiamo fatto troppo sperpero di eloquenza...oggi ogni combattente riprende il suo posto...e pronti...la bandiera di Fiume non parla ma comanda. Oggi una sola domanda è da rivolgere a questa Italia...per difendere il tuo diritto sei pronta a ricombattere?» <ref>Antonio Spinosa. Op.cit.</ref> Fino al novembre del 1919, De Ambris non aveva avuto l'occasione di conoscere personalmemnte Gabriele D'Annunzio e non ne apprezzava neanche particolarmente l'arte. «Ma vennero le elezioni generali del novembre 1919. Io avevo rifiutato ogni candidatura -scriverà  in un opuscolo-  più che per le mie convinzioni antiparlamentariste, per la nausea che mi suscitava la lotta svolta da un lato con la più sconcia demagogia ''neutralista'' , e dall'altro con l'intenzione non dissimulata di trar profitto dall'interventismo praticato, o almeno predicato, durante la guerra. La nausea mi vinse a tal punto che sentii il bisogno di cercare un pò d'aria respirabile e mi parve che avrei potuto trovarla a Fiume.»<ref> Note per un opuscolo. ''Fiume (un tentativo incompreso e vilipeso)'', mai pubblicato. Da Serventi Longhi. Op.cit.</ref> D'altra parte, nonostante il controllo che aveva sulla Uil come segretario e il desiderio che lo animava di preservare il sindacato da derive bolsceviche si rese conto che la debolezza dell'organizzazione, emarginata dal governo e dalle organizzazioni internazionali, non gli avrebbe più consentito di avere un ruolo da protagonista nella scena politica nazionale. Il fatto nuovo che poteva affascinare il movimento operaio e rivoluzionario italiano e significare qualcosa di importante per quel processo di cambiamento istituzionale e sociale tante volte ricercato, era proprio l'occupazione dannunziana  di Fiume. De Ambris poteva essere la figura adatta ad evitare il pericolo di accentramento nazionalista e autoritario del potere e a collocare intorno a D'Annunzio uomini lontani dalle derive ultranazionalistiche e reazionarie che potevano favorire ipotesi golpiste. Il socialista Turati aveva detto, in modo sprezzante, quando alla camera qualcuno aveva paragonato D'Annunzio a Garibaldi: «C'è una certa differenza fra Giuseppe Garibaldi e Gabriele Rapagnetta [vero cognome di D'Annunzio]...quella era la rivoluzione e questa è la reazione militare» e la sua compagna Anna Kuliscioff gli scriveva da Milano: «Il fattaccio di Fiume non è tanto temibile per le ragioni dette[alla Camera]...quanto per le ragioni non dette... ed è la minaccia di un pronunziamento militare anche a Roma». <ref>Antonio Spinosa. Op.cit.</ref>
Dalla dissoluzione dell'Impero austroungarico stava nascendo il nuovo regno serbo, croato, sloveno. Gli jugoslavi negavano l'italianità  di Fiume e affermavano che avevano assolutamente bisogno del suo porto che era l'unico scalo marittimo utlilizzabile per il nuovo [[Stato]]. Sui confini da assegnare all'[[Italia]] e quindi su Fiume si discuteva nella Conferenza della pace in corso a Parigi. L'[[Italia]] chiedeva l'applicazione del Patto di Londra <ref>[http://it.wikipedia.org/wiki/Patto_di_Londra Patto di Londra]</ref>con la correzione dell'inclusione della città  di Fiume nelle frontiere italiane, ma le altre potenze furono sorde a queste richieste. I rappresentanti italiani abbandonarono allora la Conferenza e furono accolti in Patria con acclamazioni di entusiasmo. D'Annunzio aveva esltato il loro gesto e dichiarato in un fervente discorso: «Non è più tempo di parole... abbiamo fatto troppo sperpero di eloquenza... oggi ogni combattente riprende il suo posto... e pronti... la bandiera di Fiume non parla ma comanda. Oggi una sola domanda è da rivolgere a questa Italia... per difendere il tuo diritto sei pronta a ricombattere?» <ref>Antonio Spinosa. Op.cit.</ref> Fino al novembre del 1919, De Ambris non aveva avuto l'occasione di conoscere personalmemnte Gabriele D'Annunzio e non ne apprezzava neanche particolarmente l'arte. «Ma vennero le elezioni generali del novembre 1919. Io avevo rifiutato ogni candidatura -scriverà  in un opuscolo-  più che per le mie convinzioni antiparlamentariste, per la nausea che mi suscitava la lotta svolta da un lato con la più sconcia demagogia ''neutralista'' , e dall'altro con l'intenzione non dissimulata di trar profitto dall'interventismo praticato, o almeno predicato, durante la guerra. La nausea mi vinse a tal punto che sentii il bisogno di cercare un pò d'aria respirabile e mi parve che avrei potuto trovarla a Fiume.»<ref> Note per un opuscolo. ''Fiume (un tentativo incompreso e vilipeso)'', mai pubblicato. Da Serventi Longhi. Op.cit.</ref> D'altra parte, nonostante il controllo che aveva sulla Uil come segretario e il desiderio che lo animava di preservare il sindacato da derive bolsceviche si rese conto che la debolezza dell'organizzazione, emarginata dal governo e dalle organizzazioni internazionali, non gli avrebbe più consentito di avere un ruolo da protagonista nella scena politica nazionale. Il fatto nuovo che poteva affascinare il movimento operaio e rivoluzionario italiano e significare qualcosa di importante per quel processo di cambiamento istituzionale e sociale tante volte ricercato, era proprio l'occupazione dannunziana  di Fiume. De Ambris poteva essere la figura adatta ad evitare il pericolo di accentramento nazionalista e autoritario del potere e a collocare intorno a D'Annunzio uomini lontani dalle derive ultranazionalistiche e reazionarie che potevano favorire ipotesi golpiste. Il socialista Turati aveva detto, in modo sprezzante, quando alla camera qualcuno aveva paragonato D'Annunzio a Garibaldi: «C'è una certa differenza fra Giuseppe Garibaldi e Gabriele Rapagnetta [vero cognome di D'Annunzio]... quella era la rivoluzione e questa è la reazione militare» e la sua compagna Anna Kuliscioff gli scriveva da Milano: «Il fattaccio di Fiume non è tanto temibile per le ragioni dette[alla Camera]... quanto per le ragioni non dette... ed è la minaccia di un pronunziamento militare anche a Roma». <ref>Antonio Spinosa. Op.cit.</ref>


== La Carta del Carnaro ==
== La Carta del Carnaro ==
[[File:Caratcarnaro.gif|295px|thumb|''Frontespizio Carta Carnaro'']]
[[File:Caratcarnaro.gif|295px|thumb|''Frontespizio Carta Carnaro'']]
Il Capo di Gabinetto a Fiume era Giovanni Giuriati. Sotto la sua spinta vi erano state varie iniziative diplomatiche e cospirative
Il Capo di Gabinetto a Fiume era Giovanni Giuriati. Sotto la sua spinta vi erano state varie iniziative diplomatiche e cospirative
sostenute dai comitati pro-Fiume di ispirazione [[nazionalista]] e [[militarismo|militarista]]. Questi gruppi erano stati l'ossatura dell'organizzazione fiumana del primo periodo. Ma il fallimento di queste iniziative avevano smorzato, almeno in parte, l'entusiasmo che circondava l'[[Aspetti libertari dell'impresa di Fiume|impresa di Fiume]]. Molte forze nel paese, economiche e politiche erano contrarie all'avventura del rovesciamento del potere in [[Italia]], anche se non si dimostravano ostili alla battaglia di D'Annunzio. Lo stesso Mussolini, pur appoggiando formalmente l'impresa del Comandante, in realtà  vedeva in D'Annunzio un pericoloso concorrente in vista dei suoi progetti futuri sull'[[Italia]]. In questa situazione di stallo e di confuse pulsioni nazionaliste e combattentistiche che, in maniera contraddittoria, si manifestavano in un contesto di assoluta libertà  e di rivendicazioni sociali, trovò spazio l'opera di De Ambris. Tra tutti i sindacalisti interventisti egli era quello che, nel suo percorso ideologico, era giunto, più lucidamente di tutti, alla sintesi tra l'idea di nazione - come comunità  di produttori e valore sopra gli interessi di parte - e l'idea di emancipazione economica e politica delle classi lavoratrici come liberazione della società  dal parassitismo delle rendite fondiarie e finanziarie e in cui la proprietà  privata doveva assumere una funzione sociale, pena l'esproprio. «Il 21 dicembre il "Comandante" chiamò De Ambris, con il compito...di sostituire Giuriati alla carica di Capo di Gabinetto. La sua chiamata fu certo frutto del raffreddamento dei rapporti con l'area moderata del Comando, nonché del deterioramento delle relazioni con il Consiglio nazionale fiumano, interessato solo all'annessione». <ref>Serventi Longhi. Op.cit.</ref> Ma D'Annunzio aveva anche interpretato gli umori più profondi dei suoi ufficiali, e cioé il desiderio diffuso di trasformare l'[[Aspetti libertari dell'impresa di Fiume|impresa di Fiume]] in qualcosa di assolutamente innovativo per gli equilibri della società  italiana.  
sostenute dai comitati pro-Fiume di ispirazione [[nazionalista]] e [[militarismo|militarista]]. Questi gruppi erano stati l'ossatura dell'organizzazione fiumana del primo periodo. Ma il fallimento di queste iniziative avevano smorzato, almeno in parte, l'entusiasmo che circondava l'[[Aspetti libertari dell'impresa di Fiume|impresa di Fiume]]. Molte forze nel paese, economiche e politiche erano contrarie all'avventura del rovesciamento del potere in [[Italia]], anche se non si dimostravano ostili alla battaglia di D'Annunzio. Lo stesso Mussolini, pur appoggiando formalmente l'impresa del Comandante, in realtà  vedeva in D'Annunzio un pericoloso concorrente in vista dei suoi progetti futuri sull'[[Italia]]. In questa situazione di stallo e di confuse pulsioni nazionaliste e combattentistiche che, in maniera contraddittoria, si manifestavano in un contesto di assoluta libertà  e di rivendicazioni sociali, trovò spazio l'opera di De Ambris. Tra tutti i sindacalisti interventisti egli era quello che, nel suo percorso ideologico, era giunto, più lucidamente di tutti, alla sintesi tra l'idea di nazione - come comunità  di produttori e valore sopra gli interessi di parte - e l'idea di emancipazione economica e politica delle classi lavoratrici come liberazione della società  dal parassitismo delle rendite fondiarie e finanziarie e in cui la proprietà  privata doveva assumere una funzione sociale, pena l'esproprio. «Il 21 dicembre il "Comandante" chiamò De Ambris, con il compito... di sostituire Giuriati alla carica di Capo di Gabinetto. La sua chiamata fu certo frutto del raffreddamento dei rapporti con l'area moderata del Comando, nonché del deterioramento delle relazioni con il Consiglio nazionale fiumano, interessato solo all'annessione». <ref>Serventi Longhi. Op.cit.</ref> Ma D'Annunzio aveva anche interpretato gli umori più profondi dei suoi ufficiali, e cioé il desiderio diffuso di trasformare l'[[Aspetti libertari dell'impresa di Fiume|impresa di Fiume]] in qualcosa di assolutamente innovativo per gli equilibri della società  italiana.  


Queste istanze di rinnovamento radicale trovano la loro espressione più alta e significativa nella Carta del Carnaro del [[1920]], la Costituzione per l'ordinamento politico ed amministrativo del territorio della città  di Fiume, elaborata da Alceste De Ambris e che esprime nella maniera più compiuta la sua visione della società , nello stesso tempo nazionale e sociale. «Il popolo della Libera Città  di Fiume - scrive De Ambris nella Premessa - in nome...dell'inalienabile diritto di autodecisione, riconferma di voler far parte integrante dello Stato Italiano mediante un esplicito atto di annessione; ma poiché l'altrui prepotenza gli vieta per ora il compimento di questa legittima volontà , delibera di darsi una Costituzione...». Questo, documento tra i più significativi
Queste istanze di rinnovamento radicale trovano la loro espressione più alta e significativa nella Carta del Carnaro del [[1920]], la Costituzione per l'ordinamento politico ed amministrativo del territorio della città  di Fiume, elaborata da Alceste De Ambris e che esprime nella maniera più compiuta la sua visione della società , nello stesso tempo nazionale e sociale. «Il popolo della Libera Città  di Fiume - scrive De Ambris nella Premessa - in nome... dell'inalienabile diritto di autodecisione, riconferma di voler far parte integrante dello Stato Italiano mediante un esplicito atto di annessione; ma poiché l'altrui prepotenza gli vieta per ora il compimento di questa legittima volontà , delibera di darsi una Costituzione... ». Questo, documento tra i più significativi
dell'epoca, non è stato adeguatamente studiato e valutato dalla storiografia nazionale se si pensa che molti dei suoi contenuti li ritroviamo, quasi nella identica formulazione, nell'attuale Costituzione della Repubblica Italiana. Basta citare anche solo sinteticamente qualche comma degli articoli della Parte generale per rendersene conto: '''Art.2 - La Repubblica del Carnaro è una democrazia diretta che ha per base il lavoro produttivo...e decentra per quanto è possibile i poteri dello Stato. Art.3 - La Re pubblica si propone... di provvedere alla difesa...della libertà  e dei diritti comuni...di promuovere una più alta dignità  morale ed una maggiore prosperità  materiale di tutti i cittadini... Art.5 - La Costituzione garantisce... a tutti i cittadini senza distinzione di sesso, l'istruzione primaria, il lavoro compensato con un minimo di salario sufficiente alla vita, l'assistenza in caso di malattia o D'involontaria disoccupazione, la pensione per la vecchiaia...l'inviolabilità  del domicilio...Art.6 - La Repubblica considera la proprietà  come una funzione sociale, non come un assoluto diritto o privilegio individuale. Perciò il solo titolo legittimo di proprietà  su qualsiasi mezzo di produzione e di scambio è il lavoro che rende la proprietà  stessa fruttifera a beneficio dell'economia generale.''' <ref>Costituzione della Repubblica Italiana. Art.1 - l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro...Art.2 - La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo...Art.3 - È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale [che] impediscono il pieno sviluppo della persona umana...Art.5 La Repubblica...attua...il più ampio decentramento amministrativo...Art.14 - Il domicilio è inviolabile...Art.34 - l'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita...Art.36 - Il Lavoratore ha diritto ad una retribuzione...sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa...Art.38 - I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità  e vecchiaia, disoccupazione involontaria...Art.42 - La proprietà  privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi D'acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale...La proprietà  privata...salvo indennizzo [può essere] espropriata per motivi di interesse generale...</ref>
dell'epoca, non è stato adeguatamente studiato e valutato dalla storiografia nazionale se si pensa che molti dei suoi contenuti li ritroviamo, quasi nella identica formulazione, nell'attuale Costituzione della Repubblica Italiana. Basta citare anche solo sinteticamente qualche comma degli articoli della Parte generale per rendersene conto: '''Art.2 - La Repubblica del Carnaro è una democrazia diretta che ha per base il lavoro produttivo... e decentra per quanto è possibile i poteri dello Stato. Art.3 - La Re pubblica si propone... di provvedere alla difesa... della libertà  e dei diritti comuni... di promuovere una più alta dignità  morale ed una maggiore prosperità  materiale di tutti i cittadini... Art.5 - La Costituzione garantisce... a tutti i cittadini senza distinzione di sesso, l'istruzione primaria, il lavoro compensato con un minimo di salario sufficiente alla vita, l'assistenza in caso di malattia o D'involontaria disoccupazione, la pensione per la vecchiaia... l'inviolabilità  del domicilio... Art.6 - La Repubblica considera la proprietà  come una funzione sociale, non come un assoluto diritto o privilegio individuale. Perciò il solo titolo legittimo di proprietà  su qualsiasi mezzo di produzione e di scambio è il lavoro che rende la proprietà  stessa fruttifera a beneficio dell'economia generale.''' <ref>Costituzione della Repubblica Italiana. Art.1 - l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro... Art.2 - La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo... Art.3 - È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale [che] impediscono il pieno sviluppo della persona umana... Art.5 La Repubblica... attua... il più ampio decentramento amministrativo... Art.14 - Il domicilio è inviolabile... Art.34 - l'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita... Art.36 - Il Lavoratore ha diritto ad una retribuzione... sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa... Art.38 - I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità  e vecchiaia, disoccupazione involontaria... Art.42 - La proprietà  privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi D'acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale... La proprietà  privata... salvo indennizzo [può essere] espropriata per motivi di interesse generale...</ref>


== Il Trattato di Rapallo ==
== Il Trattato di Rapallo ==
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In occasione del Congresso del Partito, riunitosi a Napoli il [[24 ottobre]] [[1922]], erano presenti 40.000 miliziani in divisa ad accogliere il Duce. Al Teatro San Carlo Mussolini pronunciò un discorso alla presenza non solo dei militanti fascisti ma anche delle autorità  locali, di deputati e senatori dei partiti governativi e membri delle professioni liberali e dei circoli industriali, intellettuali come il filosofo e storico [[Benedetto Croce]]. Ricordò con forza quali fossero le rivendicazioni minime dei fascisti: riforma elettorale, scioglimento immediato della Camera, nuove elezioni e formazione di un governo nel quale il [[fascismo|PNF]] doveva detenere gli Affari Esteri, l'Interno, la Guerra, la Marina e i Lavori Pubblici. «Noi fascisti, gridò tra gli Evviva, non intendiamo andare al potere per la porta di servizio; noi fascisti, non intendiamo rinunciare alla nostra formidabile primogenitura ideale per un piatto di lenticchie ministeriali.» <ref>''Il Popolo D'Italia'', 25 ottobre 1922. Citato da Pierre Milza.'' Mussolini''. La Biblioteca di Repubblica.</ref> Nel pomeriggio dello stesso giorno, dopo averle passate in rivista, si mise alla testa delle legioni per una sfilata di parecchie ore per le vie di Napoli, poi pronunciò un nuovo discorso in piazza del Plebiscito. Spinto dall'entusiasmo della folla, alla fine pronunciò le parole che tutti si aspettavano di ascoltare: «Insomma o ci danno il potere o scendiamo su Roma.» <ref>Pierre Milza. Op.cit.</ref> La sera stessa, in una riunione dei capi fascisti all'Hotel Vesuvio, si cominciò a discutere del piano. Il quadrunvirato formato da Bianchi, Balbo, De Bono e De Vecchi dalla città  di Perugia avrebbe assunto tutti i poteri. La mobilitazione sarebbe iniziata il 27 e, una volta occupate le località  chiave, il 28 avrebbe avuto luogo la marcia su Roma. Qualche mese prima, a Milano, D'Annunzio aveva tenuto un discorso dal balcone di palazzo Marino,  sede del Comune a maggioranza socialista e che da poche ore era stato occupato dai fascisti. Nonostante le intenzioni del comandante fossero quelle di favorire l'unione delle forze operaie e militari per il bene nazionale che superasse l'interesse delle fazioni e quindi di una convergenza tra l'azione dei fascisti e dei [[Impresa di Fiume|legionari fiumani]] per realizzare una repubblica che si ispirasse ai valori sanciti nella [[Impresa di Fiume|Reggenza di Fiume]], molti interpretarono quell'intervento come una adesione del poeta al fascismo. De Ambris aveva tentato in tutti i modi di convincere D'Annunzio a mettersi alla testa di un movimento che raccogliesse quelle forze che si erano mobilitate per Fiume cercando di coinvolgere le associazioni degli arditi e quelle dei legionari che non si erano lasciate sedurre dalla superiore capacità  del fascismo all'azione e alla mobilitazione dei suoi militanti. Le tante esitazioni e contraddizioni del comandante avevano resi sterili tutti i suoi tentativi. Quando poi l'11 ottobre dopo un incontro a Gardone con Mussolini, D'Annunzio aveva suggerito e accettato le dimissioni del comitato centrale della federazione dei Legionari e aveva mandato l'ordine di scioglimento delle squadre legionarie «per eliminare ogni dubbio sul possibile carattere socialistico della marcia, non turbare la famiglia reale e scongiurare l'intervento dell'esercito» <ref>Serventi Longhi. Op.cit.</ref> la disillusione di De Ambris nei suoi confronti fu totale e capì che ormai la strada, per la presa del potere da parte del Fascismo, era spianata. De Ambris, che dopo la parentesi dell'impresa di Fiume, era tornato all sua militanza sindacalista ed era stato nuovcamente eletto segretario della Camera del Lavoro di Parma, aveva cercato di veicolare all'interno della sua organizzazione e del movimento operaio più in generale, i contenuti legionari e la nuova cultura civile dannunziana come egli l'intendeva. Si trattava, in fondo, di continuare la sua opera di orientamento del movimento dannunziano verso contenuti nazionali, repubblicani, sindacalisti sulla base degli intenti della Carta del Carnaro. Egli aveva sempre pensato a D'Annunzio come ad un'alternativa a Mussolini e non poteva quindi, una volta venuta meno questa opzione, aderire al [[Fascismo]]. Molto tempo era passato dalla fondazione-da parte dei sindacalisti- dei primi Fasci di combattimento di cui egli aveva contribuito a scrivere il programma, pur senza aderirvi. Nel suo percorso verso la presa del potere il [[Fascismo]] per combattere la [[bolscevismo|sovversione bolscevica]] era diventato antisocialista, per non urtare l'esercito fortemente devoto, nella maggior parte delle sue componenti al Re, da repubblicano si era fatto monarchico, da movimento rivoluzionario contrario ai partiti conservatori tradizionali era diventato parlamentarista disposto ai compromessi con le forze liberali e reazionarie. Da ciò la decisione di De Ambris di disimpegnarsi nella vita politica italiana.
In occasione del Congresso del Partito, riunitosi a Napoli il [[24 ottobre]] [[1922]], erano presenti 40.000 miliziani in divisa ad accogliere il Duce. Al Teatro San Carlo Mussolini pronunciò un discorso alla presenza non solo dei militanti fascisti ma anche delle autorità  locali, di deputati e senatori dei partiti governativi e membri delle professioni liberali e dei circoli industriali, intellettuali come il filosofo e storico [[Benedetto Croce]]. Ricordò con forza quali fossero le rivendicazioni minime dei fascisti: riforma elettorale, scioglimento immediato della Camera, nuove elezioni e formazione di un governo nel quale il [[fascismo|PNF]] doveva detenere gli Affari Esteri, l'Interno, la Guerra, la Marina e i Lavori Pubblici. «Noi fascisti, gridò tra gli Evviva, non intendiamo andare al potere per la porta di servizio; noi fascisti, non intendiamo rinunciare alla nostra formidabile primogenitura ideale per un piatto di lenticchie ministeriali.» <ref>''Il Popolo D'Italia'', 25 ottobre 1922. Citato da Pierre Milza.'' Mussolini''. La Biblioteca di Repubblica.</ref> Nel pomeriggio dello stesso giorno, dopo averle passate in rivista, si mise alla testa delle legioni per una sfilata di parecchie ore per le vie di Napoli, poi pronunciò un nuovo discorso in piazza del Plebiscito. Spinto dall'entusiasmo della folla, alla fine pronunciò le parole che tutti si aspettavano di ascoltare: «Insomma o ci danno il potere o scendiamo su Roma.» <ref>Pierre Milza. Op.cit.</ref> La sera stessa, in una riunione dei capi fascisti all'Hotel Vesuvio, si cominciò a discutere del piano. Il quadrunvirato formato da Bianchi, Balbo, De Bono e De Vecchi dalla città  di Perugia avrebbe assunto tutti i poteri. La mobilitazione sarebbe iniziata il 27 e, una volta occupate le località  chiave, il 28 avrebbe avuto luogo la marcia su Roma. Qualche mese prima, a Milano, D'Annunzio aveva tenuto un discorso dal balcone di palazzo Marino,  sede del Comune a maggioranza socialista e che da poche ore era stato occupato dai fascisti. Nonostante le intenzioni del comandante fossero quelle di favorire l'unione delle forze operaie e militari per il bene nazionale che superasse l'interesse delle fazioni e quindi di una convergenza tra l'azione dei fascisti e dei [[Impresa di Fiume|legionari fiumani]] per realizzare una repubblica che si ispirasse ai valori sanciti nella [[Impresa di Fiume|Reggenza di Fiume]], molti interpretarono quell'intervento come una adesione del poeta al fascismo. De Ambris aveva tentato in tutti i modi di convincere D'Annunzio a mettersi alla testa di un movimento che raccogliesse quelle forze che si erano mobilitate per Fiume cercando di coinvolgere le associazioni degli arditi e quelle dei legionari che non si erano lasciate sedurre dalla superiore capacità  del fascismo all'azione e alla mobilitazione dei suoi militanti. Le tante esitazioni e contraddizioni del comandante avevano resi sterili tutti i suoi tentativi. Quando poi l'11 ottobre dopo un incontro a Gardone con Mussolini, D'Annunzio aveva suggerito e accettato le dimissioni del comitato centrale della federazione dei Legionari e aveva mandato l'ordine di scioglimento delle squadre legionarie «per eliminare ogni dubbio sul possibile carattere socialistico della marcia, non turbare la famiglia reale e scongiurare l'intervento dell'esercito» <ref>Serventi Longhi. Op.cit.</ref> la disillusione di De Ambris nei suoi confronti fu totale e capì che ormai la strada, per la presa del potere da parte del Fascismo, era spianata. De Ambris, che dopo la parentesi dell'impresa di Fiume, era tornato all sua militanza sindacalista ed era stato nuovcamente eletto segretario della Camera del Lavoro di Parma, aveva cercato di veicolare all'interno della sua organizzazione e del movimento operaio più in generale, i contenuti legionari e la nuova cultura civile dannunziana come egli l'intendeva. Si trattava, in fondo, di continuare la sua opera di orientamento del movimento dannunziano verso contenuti nazionali, repubblicani, sindacalisti sulla base degli intenti della Carta del Carnaro. Egli aveva sempre pensato a D'Annunzio come ad un'alternativa a Mussolini e non poteva quindi, una volta venuta meno questa opzione, aderire al [[Fascismo]]. Molto tempo era passato dalla fondazione-da parte dei sindacalisti- dei primi Fasci di combattimento di cui egli aveva contribuito a scrivere il programma, pur senza aderirvi. Nel suo percorso verso la presa del potere il [[Fascismo]] per combattere la [[bolscevismo|sovversione bolscevica]] era diventato antisocialista, per non urtare l'esercito fortemente devoto, nella maggior parte delle sue componenti al Re, da repubblicano si era fatto monarchico, da movimento rivoluzionario contrario ai partiti conservatori tradizionali era diventato parlamentarista disposto ai compromessi con le forze liberali e reazionarie. Da ciò la decisione di De Ambris di disimpegnarsi nella vita politica italiana.


'''«Ho deciso di astenermi per ora, e finché non veda più chiaro nelle faccende italiane - da ogni partecipazione alla vita politica - che non ho più alcuna fiducia in un'azione svolta sotto l'egida del nome di D'Annunzio, la cui condotta perpetuamente oscillante ed ambigua, riesce incomprensibile e sembra fatta apposta per disorientare e scoraggiare anche i più volonterosi...Perciò non voglio assolutamente più saperne di seguire l'''uomo''; che si dimostra così inferiore al compito assuntosi...»''' <ref>Serventi Longhi Op. cit. ''Alceste De Ambris a Umberto Calosci'', Parigi,10 agosto 1923, in Archivio Guastoni - De Ambris </ref>
'''«Ho deciso di astenermi per ora, e finché non veda più chiaro nelle faccende italiane - da ogni partecipazione alla vita politica - che non ho più alcuna fiducia in un'azione svolta sotto l'egida del nome di D'Annunzio, la cui condotta perpetuamente oscillante ed ambigua, riesce incomprensibile e sembra fatta apposta per disorientare e scoraggiare anche i più volonterosi... Perciò non voglio assolutamente più saperne di seguire l'''uomo''; che si dimostra così inferiore al compito assuntosi... »''' <ref>Serventi Longhi Op. cit. ''Alceste De Ambris a Umberto Calosci'', Parigi,10 agosto 1923, in Archivio Guastoni - De Ambris </ref>


Gli attacchi di De Ambris al suo antico comandante superavano ormai le sole considerazioni politiche e  riguardavano tutta la figura personale e morale di D'Annunzio che aveva miseramente accettato un titolo nobiliare di dubbio gusto (Principe di Montenevoso) poche settimane prima delle elezioni dell'Aprile 1924 e numerose sovvenzioni da parte del Regime. Attacchi durissimi, figli della delusione di De Ambris per la scelta di D'Annunzio di non accettare il ruolo di Duce della nuova [[Italia]] che i rivoluzionari fiumani avevano desiderato.
Gli attacchi di De Ambris al suo antico comandante superavano ormai le sole considerazioni politiche e  riguardavano tutta la figura personale e morale di D'Annunzio che aveva miseramente accettato un titolo nobiliare di dubbio gusto (Principe di Montenevoso) poche settimane prima delle elezioni dell'Aprile 1924 e numerose sovvenzioni da parte del Regime. Attacchi durissimi, figli della delusione di De Ambris per la scelta di D'Annunzio di non accettare il ruolo di Duce della nuova [[Italia]] che i rivoluzionari fiumani avevano desiderato.
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