Io e l'anarchismo (di Stig Dagerman): differenze tra le versioni

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È dunque stabilito che lo Stato democratico contemporaneo rappresenta una varietà  completamente nuova di inumanità  che non sfigura affatto confrontata ai regimi autocratici delle epoche precedenti. Il principio «dividi ed impera» non è certo stato abbandonato ma l’angoscia risultante dalla fame l’angoscia risultante dalla sete, l’angoscia risultante dall’inquisizione sociale ha, almeno di principio, dovuto cedere il posto – in quanto mezzo di sovranità  nell’ambito dello Stato provvidenza – all’angoscia, risultante dall’incertezza e dall’incapacitdi disporre dell’essenziale del proprio destino, da parte dell’individuo. Intrappolato nel blocco dello Stato, l’individuo è incessantemente in preda a un lancinante sentimento d’incertezza e di impotenza che ricorda la situazione del guscio di noce nel maelström o quella di un vagone ferroviario attaccato ad una locomotiva impazzita dotato di pensiero, ma che non possiede la possibilità  di comprendere i segnali né di riconoscere gli scambi. Alcuni hanno tentato di definire l’analisi ossessiva dell’angoscia che caratterizza il mio libro ''Il Serpente'' come una specie di «romanticismo dell’angoscia», ma il romanticismo implica un’incoscienza analitica, un modo deliberato di ignorare ogni fatto che rischia di non quadrare con l’idea che ci si è fatti delle cose. Mentre il romantico dell’angoscia – preso da una gioia segreta di vedere improvvisamente concordare tutto – desidera incorporare l’insieme nel suo sistema di angoscia, l’analista dell’angoscia combatte contro questo insieme, con la sua analisi come un baluardo, mettendo a nudo con il suo stiletto tutte le ramificazioni segrete.  
È dunque stabilito che lo Stato democratico contemporaneo rappresenta una varietà  completamente nuova di inumanità  che non sfigura affatto confrontata ai regimi autocratici delle epoche precedenti. Il principio «dividi ed impera» non è certo stato abbandonato ma l’angoscia risultante dalla fame l’angoscia risultante dalla sete, l’angoscia risultante dall’inquisizione sociale ha, almeno di principio, dovuto cedere il posto – in quanto mezzo di sovranità  nell’ambito dello Stato provvidenza – all’angoscia, risultante dall’incertezza e dall’incapacitdi disporre dell’essenziale del proprio destino, da parte dell’individuo. Intrappolato nel blocco dello Stato, l’individuo è incessantemente in preda a un lancinante sentimento d’incertezza e di impotenza che ricorda la situazione del guscio di noce nel maelström o quella di un vagone ferroviario attaccato ad una locomotiva impazzita dotato di pensiero, ma che non possiede la possibilità  di comprendere i segnali né di riconoscere gli scambi. Alcuni hanno tentato di definire l’analisi ossessiva dell’angoscia che caratterizza il mio libro ''Il Serpente'' come una specie di «romanticismo dell’angoscia», ma il romanticismo implica un’incoscienza analitica, un modo deliberato di ignorare ogni fatto che rischia di non quadrare con l’idea che ci si è fatti delle cose. Mentre il romantico dell’angoscia – preso da una gioia segreta di vedere improvvisamente concordare tutto – desidera incorporare l’insieme nel suo sistema di angoscia, l’analista dell’angoscia combatte contro questo insieme, con la sua analisi come un baluardo, mettendo a nudo con il suo stiletto tutte le ramificazioni segrete.  


Sul piano politico, questo implica che il romantico, che accetta tutto quello che può alimentare i bracieri della sua fede, non può rimproverare nulla ad un sistema sociale basato sull’angoscia e lo fa persino suo con una gioia fatalista. Per me, che al contrario sono un analista dell’angoscia, è stato necessario, con l’aiuto di un metodo analitico di successive esclusioni, trovare una soluzione nella quale ogni macchina sociale possa funzionare senza dover ricorrere all’angoscia o alla paura come fonte di energia. Certamente questo suppone una dimensione completamente nuova che deve essere sbarazzata dalle convenzioni che abitualmente consideriamo indispensabili. La psicologia sociologica deve darsi il compito di distruggere il mito dell’«efficacia» del centralismo: la nevrosi, causata dalla mancanza di prospettive e dall’impossibilità  di identificare la propria situazione nella società ,non può essere controbilanciata da vantaggi materiali puramente apparenti. La frammentazione della macro-collettività  in piccole unità  individualiste, cooperanti tra di esse ma autonome, che preconizza l’anarcosindacalismo, è la sola soluzione psicologica possibile in un mondo nevrotico dove il peso della sovrastruttura politica fa vacillare l’individuo. L’obiezione secondo cui la cooperazione internazionale sarebbe intralciata dalla distruzione dei diversi Stati non resiste all’analisi; perché nessuno potrebbe osare sostenere che la politica estera, condotta sul piano mondiale dagli Stati, abbia contribuito ad avvicinare le nazioni le une alle altre. Più seria è l’obiezione secondo cui l’umanità  non sarebbe, qualitativamente parlando, capace di far funzionare una società  anarchica. È forse vero fino ad un certo punto: il riflesso del gruppo, inculcato dall’educazione, così come la paralisi dell’iniziative hanno avuto degli effetti totalmente nefasti per un pensiero politico uscito dai sentieri battuti (È per questa ragione che ho scelto di esporre le mie idee sull’anarchismo principalmente nella forma negati va). Ma dubito che l’autoritarismo e il centralismo siano innati nell’uomo. Al contrario, credo piuttosto che un nuovo pensiero che – in mancanza di meglio, chiamerò “primitivismo intellettuale” – con un’analisi molto dettagliata procederebbe ad una radiografia delle principali convenzioni lasciate da parte dal suo progenitore il primitivismo sessuale, potrebbe finire per fare proseliti tra tutti coloro i quali, al costo tra altre cose di nevrosi e di guerre mondiali, vogliono far coincidere i loro calcoli con quelli di Marx, di Adam Smith o del papa. Questo suppone forse a sua volta una nuova dimensione letteraria di cui varrebbe senza dubbio la pena di esplorare i principi.
Sul piano politico, questo implica che il romantico, che accetta tutto quello che può alimentare i bracieri della sua fede, non può rimproverare nulla ad un sistema sociale basato sull’angoscia e lo fa persino suo con una gioia fatalista. Per me, che al contrario sono un analista dell’angoscia, è stato necessario, con l’aiuto di un metodo analitico di successive esclusioni, trovare una soluzione nella quale ogni macchina sociale possa funzionare senza dover ricorrere all’angoscia o alla paura come fonte di energia. Certamente questo suppone una dimensione completamente nuova che deve essere sbarazzata dalle convenzioni che abitualmente consideriamo indispensabili. La psicologia sociologica deve darsi il compito di distruggere il mito dell’«efficacia» del centralismo: la nevrosi, causata dalla mancanza di prospettive e dall’impossibilità  di identificare la propria situazione nella società ,non può essere controbilanciata da vantaggi materiali puramente apparenti. La frammentazione della macro-collettività  in piccole unità  individualiste, cooperanti tra di esse ma autonome, che preconizza l’anarcosindacalismo, è la sola soluzione psicologica possibile in un mondo nevrotico dove il peso della sovrastruttura politica fa vacillare l’individuo. L’obiezione secondo cui la cooperazione internazionale sarebbe intralciata dalla distruzione dei diversi Stati non resiste all’analisi; perché nessuno potrebbe osare sostenere che la politica estera, condotta sul piano mondiale dagli Stati, abbia contribuito ad avvicinare le nazioni le une alle altre. Più seria è l’obiezione secondo cui l’umanità  non sarebbe, qualitativamente parlando, capace di far funzionare una società  anarchica. È forse vero fino ad un certo punto: il riflesso del gruppo, inculcato dall’educazione, così come la paralisi dell’iniziative hanno avuto degli effetti totalmente nefasti per un pensiero politico uscito dai sentieri battuti (È per questa ragione che ho scelto di esporre le mie idee sull’anarchismo principalmente nella forma negati va). Ma dubito che l’autoritarismo e il centralismo siano innati nell’uomo. Al contrario, credo piuttosto che un nuovo pensiero che – in mancanza di meglio, chiamerò “primitivismo intellettuale” – con un’analisi molto dettagliata procederebbe ad una radiografia delle principali convenzioni lasciate da parte dal suo progenitore il primitivismo sessuale, potrebbe finire per fare proseliti tra tutti coloro i quali, al costo tra altre cose di nevrosi e di guerre mondiali, vogliono far coincidere i loro calcoli con quelli di Marx, di Adam Smith o del papa. Questo suppone forse a sua volta una nuova dimensione letteraria di cui varrebbe senza dubbio la pena di esplorare i principi.


Lo scrittore anarchico (forzatamente pessimista, poiché cosciente del fatto che il suo contributo può essere solo simbolico) può per il momento attribuirsi in buona coscienza il modesto ruolo del lombrico nell’humus culturale che, senza di lui, resterebbe sterile a causa dell’aridità  delle convenzioni. Essere il politico dell’impossibile, in un mondo dove quelli del possibile sono fin troppo numerosi, è malgrado tutto un ruolo che mi soddisferebbe sia in quanto essere sociale che come individuo e come autore de ''Il Serpente''.
Lo scrittore anarchico (forzatamente pessimista, poiché cosciente del fatto che il suo contributo può essere solo simbolico) può per il momento attribuirsi in buona coscienza il modesto ruolo del lombrico nell’humus culturale che, senza di lui, resterebbe sterile a causa dell’aridità  delle convenzioni. Essere il politico dell’impossibile, in un mondo dove quelli del possibile sono fin troppo numerosi, è malgrado tutto un ruolo che mi soddisferebbe sia in quanto essere sociale che come individuo e come autore de ''Il Serpente''.
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