Utopia (concetto): differenze tra le versioni

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{{approff|Utopia}}Il termine utopia è entrato nell'uso comune grazie all'omonima opera di [[Tommaso Moro]] del [[1516]]. Esso deriva dal greco οὐ ("non") e τόπος ("luogo") e significa "non-luogo". Nella parola, coniata da Tommaso Moro, è presente in origine un gioco di parole con l'omofono inglese eutopia, derivato dal greco εὖ ("buono" o "bene") e τόπος ("luogo"), che significa quindi "buon luogo". Questo, dovuto all'identica pronuncia, in inglese, di "utopia" e "eutopia", dà quindi origine ad un doppio significato:
{{approff|Utopia}}
[[File:Bolobolo1.jpg|miniatura|500px|Villaggio utopico detto «bolo», raccontato nel romanzo ''[[bolo'bolo]]'' di [[Hans Widmer.]]]]
[[File:Utopia.jpg|miniatura|350px|left|Rappresentazione dell'isola di Utopia di [[Tommaso Moro]].]]
Il termine utopia è entrato nell'uso comune grazie all'omonima opera di [[Tommaso Moro]] del [[1516]]. Esso deriva dal greco οὐ ("non") e τόπος ("luogo") e significa "non-luogo". Nella parola, coniata da Tommaso Moro, è presente in origine un gioco di parole con l'omofono inglese eutopia, derivato dal greco εὖ ("buono" o "bene") e τόπος ("luogo"), che significa quindi "buon luogo". Questo, dovuto all'identica pronuncia, in inglese, di "utopia" e "eutopia", dà quindi origine ad un doppio significato:
*utopia (nessun luogo),
*utopia (nessun luogo),
*eutopia (buon luogo).
*eutopia (buon luogo).
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== L'utopia di Moro ==
== L'utopia di Moro ==
[[File:Tommaso Moro.jpg|miniatura|150px|[[Tommaso Moro]]]]
In ''[[Utopia (romanzo)|Utopia]]'' (''Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus de optimo rei publicae statu, deque nova insula Utopia'' è il titolo completo), [[Tommaso Moro]] vagheggia l'abolizione della [[La proprietà |proprietà privata]], la libertà di culto e una vita ideale per i cittadini, in cui essi hanno molto tempo da dedicare ai propri piaceri. Non è ben chiaro se Moro intenda l'utopia come «regno perfetto della felicità» o «luogo inesistente» oppure entrambi. Quel che è certo è che in Utopia, [[Stato]] «non soltanto ottimo, ma l'unico che possa a buon diritto attribuirsi il nome di repubblica» permane la presenza di schiavi («prigionieri di guerra» mossa da altri, «quelli la cui scelleraggine finisce in schiavitù», «quelli la cui colpa [...] commessa in città straniere destina all'estremo supplizio», quelli che «se ne vengono da loro a servire di propria iniziativa») e di leggi liberticide, come quella in base alla quale se un uomo o una donna, prima del matrimonio, «vengono convinti di segreta lussuria, sono gravemente puniti e si vieta loro il matrimonio per sempre, a meno che la grazia del principe non perdoni loro il fallo; ma il padre di famiglia e la madre, nella cui casa è stato commesso lo sconcio, sono esposti a gran disonore». E ancora: «Chi profana il matrimonio è colpito dalla più dura schiavitù [...] se l'uno o l'altro, che ha ricevuto il torto, persiste ad amare il proprio coniuge, pur così indegno, non gli vieta la legge di restar unito con lui, purché voglia seguirlo nella condanna all'ergastolo [...] a chi è recidivo per tale delitto è inflitta la morte». Per gli altri delitti: «Le mogli le puniscono i mariti, i figli, i padri, a meno che, nell'interesse della vita morale, debbano esser puniti dallo [[Stato]]. [...] se [i rei] si ribellano [al] trattamento o recalcitrano, allora alfine li scannano come bestie selvagge, cui non può frenare né carcere né catena». <ref>Da ''Utopia'', capitolo ''Sugli schiavi''</ref>
In ''[[Utopia (romanzo)|Utopia]]'' (''Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus de optimo rei publicae statu, deque nova insula Utopia'' è il titolo completo), [[Tommaso Moro]] vagheggia l'abolizione della [[La proprietà |proprietà privata]], la libertà di culto e una vita ideale per i cittadini, in cui essi hanno molto tempo da dedicare ai propri piaceri. Non è ben chiaro se Moro intenda l'utopia come «regno perfetto della felicità» o «luogo inesistente» oppure entrambi. Quel che è certo è che in Utopia, [[Stato]] «non soltanto ottimo, ma l'unico che possa a buon diritto attribuirsi il nome di repubblica» permane la presenza di schiavi («prigionieri di guerra» mossa da altri, «quelli la cui scelleraggine finisce in schiavitù», «quelli la cui colpa [...] commessa in città straniere destina all'estremo supplizio», quelli che «se ne vengono da loro a servire di propria iniziativa») e di leggi liberticide, come quella in base alla quale se un uomo o una donna, prima del matrimonio, «vengono convinti di segreta lussuria, sono gravemente puniti e si vieta loro il matrimonio per sempre, a meno che la grazia del principe non perdoni loro il fallo; ma il padre di famiglia e la madre, nella cui casa è stato commesso lo sconcio, sono esposti a gran disonore». E ancora: «Chi profana il matrimonio è colpito dalla più dura schiavitù [...] se l'uno o l'altro, che ha ricevuto il torto, persiste ad amare il proprio coniuge, pur così indegno, non gli vieta la legge di restar unito con lui, purché voglia seguirlo nella condanna all'ergastolo [...] a chi è recidivo per tale delitto è inflitta la morte». Per gli altri delitti: «Le mogli le puniscono i mariti, i figli, i padri, a meno che, nell'interesse della vita morale, debbano esser puniti dallo [[Stato]]. [...] se [i rei] si ribellano [al] trattamento o recalcitrano, allora alfine li scannano come bestie selvagge, cui non può frenare né carcere né catena». <ref>Da ''Utopia'', capitolo ''Sugli schiavi''</ref>


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[[File:Charles Fourier.gif|thumb|150px|[[Charles Fourier]]]]
[[File:Charles Fourier.gif|thumb|150px|[[Charles Fourier]]]]
Alcune opere successive a quella di Moro auspicavano una sorta di [[comunismo]] idealistico. Tra questi: ''[[Viaggio in Icaria]]'' ([[1840]]) di [[Étienne Cabet]], ''[[La Razza Futura]]'' ([[1871]]) di [[Edward Bulwer-Lytton]] e ''[[Notizie da Nowhere]]'' ([[1890]]) di [[William Morris]].
Alcune opere successive a quella di Moro auspicavano una sorta di [[comunismo]] idealistico. Tra questi: ''[[Viaggio in Icaria]]'' ([[1840]]) di [[Étienne Cabet]], ''[[La Razza Futura]]'' ([[1871]]) di [[Edward Bulwer-Lytton]] e ''[[Notizie da Nowhere]]'' ([[1890]]) di [[William Morris]].
Col passare del tempo la parola utopia assume il significato di "chimera", "impossibile", "irrealizzabile", ecc. Al contempo l'utopia diviene anche una critica della realtà, assumendo le caratteristiche di un'idea tesa al raggiungimento della felicità dei popoli. Questa idealizzazione ha portato allo sviluppo di una sorta di socialismo idealistico, che [[Karl Marx|Marx]] definisce [[socialismo utopistico]], considerato precursore del [[comunismo]] e dell'[[anarchismo]], e di cui si possono ricordare le opere di [[Robert Owen]], [[Saint-Simon]], [[Fourier]] e altri minori.
Col passare del tempo la parola utopia assume il significato di "chimera", "impossibile", "irrealizzabile"ecc. Al contempo l'utopia diviene anche una critica della realtà, assumendo le caratteristiche di un'idea tesa al raggiungimento della felicità dei popoli. Questa idealizzazione ha portato allo sviluppo di una sorta di socialismo idealistico, che [[Karl Marx|Marx]] definisce [[socialismo utopistico]], considerato precursore del [[comunismo]] e dell'[[anarchismo]], e di cui si possono ricordare le opere di [[Robert Owen]], [[Saint-Simon]], [[Fourier]] e altri minori.


== Ideologia e utopia ==
== Ideologia e utopia ==
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:«Presso i figli di questo nuovo mondo, non vi è né divinità né papato, né regalità, né dei, re o preti. Non volendo essere schiavi, non vogliono padroni. Essando libero, hanno solo il culto della [[Libertà]], così la praticano sin dall'infanzia e la professano in tutti i momenti, e fino agli ultimi istanti della vita. La loro comunione [[anarchica]] non ha bisogno di bibbie o di codici; ciascuno di essi porta in sé la sua legge e il suo profeta, il suo cuore e la sua intelligenza. Non fanno ad altri quello che non vorrebbero altri facessero a loro, e fanno agli altri ciò che vorrebbero altri facessero loro. Volendo il bene per sé, fanno il bene degli altri. Non volendo che si attenti alla loro libera volontà, non attentano alla libera volontà degli altri. Amando, amati, vogliono crescere nell'amore e moltiplicarsi attraverso l'amore. Uomini, restituiscono, centuplicato, all'Umanità ciò che, bambini, sono ad essa costati in cure; e al loro vicino, le simpatie che gli sono dovute: sguardo per sguardo, sorriso per sorriso, bacio per bacio e, al bisogno, morso per morso. Sanno che hanno una madre comune, l'Umanità, che sono tutti fratelli, e che la fraternità li obbliga. Hanno coscienza che l'armonia non può esistere se non con il concorso delle volontà individuali, che la legge naturale delle attrazioni è la legge degli infinitamente piccoli come degli infinitamente grandi, che nulla di ciò che è sociale può muoversi se non dalla [[società]], che essa è il pensiero universale, l'unità delle unità, la sfera delle sfere, immanente e permanente nell'eterno movimento; e dicono: al di fuori dell'[[anarchia]] non vi è salvezza! E aggiungono: la felicità è del nostro mondo. E sono tutti felici, e tutti incontrano sul loro cammino le soddisfazioni che cercano. Bussano, e tutte le prote si aprono; la simpatia, l'amore, il piacere e le gioie rispondono ai battiti del loro vuore, alle pulsazioni del cervello, ai colpi di martello delle braccia; e, in piedi sulle soglie, salutano il fratello, l'amante, il lavoratore; e la Scienza, come un'umile schiava, li guida innanzi, nel vestibolo dell'Ignoto. [...] In questa [[società]] [[anarchica]], la famiglia legale e la [[proprietà]] legale sono istituzioni morte, geografie di cui si è perso il senso: una e indivisibile è la famiglia, una e indivisibile è la [[proprietà]]. In questa comunione fraterna, libero è il lavoro e libero è l'amore. Tutto ciò che è opera del braccio e dell'intelligenza, tutto ciò che è ogetto di produzione e di consumo, capitale comune, [[proprietà]] collettiva, ''appartiene a tutti e a ciascuno''. Tutto ciò che è opera del cuore, tutto ciò che è essenza intima, sensazione e sentimento individuali, capitale particolare, [[proprietà]] corporale, tutto ciò che è uomo, infine, nella sua accezione propria, qualunque sia la sua età o il suo sesso, ''si appartiene''».
:«Presso i figli di questo nuovo mondo, non vi è né divinità né papato, né regalità, né dei, re o preti. Non volendo essere schiavi, non vogliono padroni. Essando libero, hanno solo il culto della [[Libertà]], così la praticano sin dall'infanzia e la professano in tutti i momenti, e fino agli ultimi istanti della vita. La loro comunione [[anarchica]] non ha bisogno di bibbie o di codici; ciascuno di essi porta in sé la sua legge e il suo profeta, il suo cuore e la sua intelligenza. Non fanno ad altri quello che non vorrebbero altri facessero a loro, e fanno agli altri ciò che vorrebbero altri facessero loro. Volendo il bene per sé, fanno il bene degli altri. Non volendo che si attenti alla loro libera volontà, non attentano alla libera volontà degli altri. Amando, amati, vogliono crescere nell'amore e moltiplicarsi attraverso l'amore. Uomini, restituiscono, centuplicato, all'Umanità ciò che, bambini, sono ad essa costati in cure; e al loro vicino, le simpatie che gli sono dovute: sguardo per sguardo, sorriso per sorriso, bacio per bacio e, al bisogno, morso per morso. Sanno che hanno una madre comune, l'Umanità, che sono tutti fratelli, e che la fraternità li obbliga. Hanno coscienza che l'armonia non può esistere se non con il concorso delle volontà individuali, che la legge naturale delle attrazioni è la legge degli infinitamente piccoli come degli infinitamente grandi, che nulla di ciò che è sociale può muoversi se non dalla [[società]], che essa è il pensiero universale, l'unità delle unità, la sfera delle sfere, immanente e permanente nell'eterno movimento; e dicono: al di fuori dell'[[anarchia]] non vi è salvezza! E aggiungono: la felicità è del nostro mondo. E sono tutti felici, e tutti incontrano sul loro cammino le soddisfazioni che cercano. Bussano, e tutte le prote si aprono; la simpatia, l'amore, il piacere e le gioie rispondono ai battiti del loro vuore, alle pulsazioni del cervello, ai colpi di martello delle braccia; e, in piedi sulle soglie, salutano il fratello, l'amante, il lavoratore; e la Scienza, come un'umile schiava, li guida innanzi, nel vestibolo dell'Ignoto. [...] In questa [[società]] [[anarchica]], la famiglia legale e la [[proprietà]] legale sono istituzioni morte, geografie di cui si è perso il senso: una e indivisibile è la famiglia, una e indivisibile è la [[proprietà]]. In questa comunione fraterna, libero è il lavoro e libero è l'amore. Tutto ciò che è opera del braccio e dell'intelligenza, tutto ciò che è ogetto di produzione e di consumo, capitale comune, [[proprietà]] collettiva, ''appartiene a tutti e a ciascuno''. Tutto ciò che è opera del cuore, tutto ciò che è essenza intima, sensazione e sentimento individuali, capitale particolare, [[proprietà]] corporale, tutto ciò che è uomo, infine, nella sua accezione propria, qualunque sia la sua età o il suo sesso, ''si appartiene''».


== bolo'bolo ==
== ''bolo'bolo'' ==
{{approff|Bolo'bolo }}
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[[Image:Bolo_bolo.jpg|thumb|150px|''[[bolo'bolo]]'' è un romanzo anarchico dello scrittore svizzero anarchico conosciuto come [[P.M.]]]]
[[Image:Bolo_bolo.jpg|thumb|150px|''[[bolo'bolo]]'' è un romanzo dello svizzero [[Hans Widmer]], conosciuto come «p.m.»]]
'''''bolo'bolo''''' è il titolo del romanzo dello scrittore anarchico svizzero conosciuto con lo pseudonimo di «p.m.» ed appartenente al collettivo "Midnight Notes", pubblicato nel [[1983]] per l'editore ''Paranoia City Verlag'' di Zurigo e diventato poi un romanzo anarchico "classico" tradotto in numerosissime lingue, tra cui l'italiano.  
'''''bolo'bolo''''' è il titolo del romanzo dello scrittore svizzero [[Hans Widmer]], conosciuto con lo pseudonimo di «p.m.» ed appartenente al collettivo "Midnight Notes", pubblicato nel [[1983]] per l'editore ''Paranoia City Verlag'' di Zurigo e diventato poi un romanzo anarchico "classico" tradotto in numerosissime lingue, tra cui l'italiano.  


''bolo'bolo'' racconta di un'[[utopia]], ma non è utopico, anzi. Propone una accattivante alternativa al [[capitalismo]] e ad una vita dominata dall'economia, presentando una serie di esperienze, di progetti di sovversione e soprattutto di costruzione, di nuovi percorsi, non attuabili con la politica e che non si basano su una teoria particolare, ma che si possono sviluppare solo con la contemporanea paralisi ed eliminazione del controllo della ''macchina-lavoro planetaria'', la rappresentazione del dominio della merce e del lavoro.  
''bolo'bolo'' racconta di un'[[utopia]], ma non è utopico, anzi. Propone una accattivante alternativa al [[capitalismo]] e ad una vita dominata dall'economia, presentando una serie di esperienze, di progetti di sovversione e soprattutto di costruzione, di nuovi percorsi, non attuabili con la politica e che non si basano su una teoria particolare, ma che si possono sviluppare solo con la contemporanea paralisi ed eliminazione del controllo della ''macchina-lavoro planetaria'', la rappresentazione del dominio della merce e del lavoro.  
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Tale rappresentazione in chiave miracolistica dell'[[anarchismo]] <ref>In questo quadro, l'utopica società anarchica appare l'auto-proclamato luogo del bene assoluto ('''ευ τοπος'''), che è tratteggiabile solo attraverso lo speculare rovesciamento di ogni male sociale esistente; ma, in quanto puro rovesciamento, è, nel contempo, anche un non luogo ('''ου τοπος'''), in quanto la sua realizzazione non solo presuppone bensì necessita l'assunzione (e l'avverarsi) dell''''ipotesi indimostrabile per la quale l'essere umano liberato dal dominio sviluppa immediatamente intrinseche capacità autoregolamentative in assenza di ogni istituzione coercitiva'''. In tal modo, la struttura utopica si lega a quella ideologica, non potendo l'una sorreggersi in assenza dell'altra; infatti, al di fuori di questa ipotesi antropologica (ed in assenza della totale negazione dell'esistente) la società anarchica non potrebbe né precognizzarsi, né, tanto meno, realizzarsi e, quindi, sia pure in altre forme, si perpetuerebbe il dominio dell'uomo sull'uomo.</ref> va pertanto, per un verso, demistificata, per altro, nettamente rigettata, al fine non soltanto di favorire l'emergere di una immagine dell'[[anarchismo]] depurata da tali fantasie, ma anche, e soprattutto, di riconoscere nell'[[anarchismo]] un genuino (in quanto dialettico) '''approccio critico alla realtà sociale'''.
Tale rappresentazione in chiave miracolistica dell'[[anarchismo]] <ref>In questo quadro, l'utopica società anarchica appare l'auto-proclamato luogo del bene assoluto ('''ευ τοπος'''), che è tratteggiabile solo attraverso lo speculare rovesciamento di ogni male sociale esistente; ma, in quanto puro rovesciamento, è, nel contempo, anche un non luogo ('''ου τοπος'''), in quanto la sua realizzazione non solo presuppone bensì necessita l'assunzione (e l'avverarsi) dell''''ipotesi indimostrabile per la quale l'essere umano liberato dal dominio sviluppa immediatamente intrinseche capacità autoregolamentative in assenza di ogni istituzione coercitiva'''. In tal modo, la struttura utopica si lega a quella ideologica, non potendo l'una sorreggersi in assenza dell'altra; infatti, al di fuori di questa ipotesi antropologica (ed in assenza della totale negazione dell'esistente) la società anarchica non potrebbe né precognizzarsi, né, tanto meno, realizzarsi e, quindi, sia pure in altre forme, si perpetuerebbe il dominio dell'uomo sull'uomo.</ref> va pertanto, per un verso, demistificata, per altro, nettamente rigettata, al fine non soltanto di favorire l'emergere di una immagine dell'[[anarchismo]] depurata da tali fantasie, ma anche, e soprattutto, di riconoscere nell'[[anarchismo]] un genuino (in quanto dialettico) '''approccio critico alla realtà sociale'''.


È stato sottolineato che lo stesso «[[Malatesta]] sintetizza la forma mentis dell'argomentare utopico che, anteponendo sempre il dover essere all'essere, si sottrae al confronto immediato col presente, in quanto critica questo non in rapporto alle sue possibilità reali, ma rispetto ad un ipotetico futuro, cioè con il criterio di un stato di cose totalmente diverso. In altri termini, non privilegia la trasformazione delle possibilità insite nella realtà data, ma le virtualità di un modello teorico così come comanda il dover essere». <ref> Giampietro Berti, ''Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento'', Manduria-Bari-Roma, 1998, p. 437</ref> Pare, invece, che proprio [[Malatesta]] riesca a cogliere – sia pur parzialmente – l'aporia di un pensare utopico sul quale poggiare la prassi sociale. Infatti, pur animato da una forte tensione morale (il dover essere), egli rifugge dall'idea dello speculare rovesciamento dell'esistente, ma cerca invece di intervenire su questo ritenendo che sia assurdo ed impossibile abbandonare tutto ciò che ha caratterizzato la vita in una società sostanzialmente autoritaria per approdare a "mondi" nella società anarchica. In questo senso, '''su una parte non irrilevante dell'essere va effettuato un intervento sì critico, ma non per questo distruttivo'''. <ref>[[Malatesta]], il [[1° giugno]] [[1926]], sulle pagine di ''[[Pensiero e Volontà]]'', rileva: «appare l'idea, purtroppo assai sparsa in mezzo ai nostri compagni, che compito degli anarchici sia semplicemente quello di demolire, lasciando ai posteri l'opera di ricostruzione. Ed è idea nefasta. La vita sociale, come la vita individuale, non ammette interruzioni». Sulla stessa rivista, il [[16 giugno]] dello stesso anno, dichiara: «distruggiamo i monopoli, d'accordo, ma i monopoli, quando non sieno quelli dei bottoncini da camicia o del rossetto per le labbra di certe signorine, i grossi monopoli (acqua, elettricità, carbone, trasporti di terra e di mare, ecc.) rispondono sempre ad un servizio pubblico necessario; e non si distruggono quei monopoli, o se ne produce il sollecito ritorno, se nell'atto stesso che si mandan via i monopolisti non si continua il servizio e, possibilmente, in modo migliore di quello che avveniva sotto di loro».</ref> Per certi versi, si possono, quindi, intravedere fra le righe malatestiane intenti dialettici rispetto all'esistente e non, cosa in vero rigettata dal nostro, una (vana) speranza di automatico accomodamento delle cose quotidiane nella società liberata.
È stato sottolineato che lo stesso «[[Malatesta]] sintetizza la forma mentis dell'argomentare utopico che, anteponendo sempre il dover essere all'essere, si sottrae al confronto immediato col presente, in quanto critica questo non in rapporto alle sue possibilità reali, ma rispetto ad un ipotetico futuro, cioè con il criterio di un stato di cose totalmente diverso. In altri termini, non privilegia la trasformazione delle possibilità insite nella realtà data, ma le virtualità di un modello teorico così come comanda il dover essere». <ref> Giampietro Berti, ''Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento'', Manduria-Bari-Roma, 1998, p. 437</ref> Pare, invece, che proprio [[Malatesta]] riesca a cogliere – sia pur parzialmente – l'aporia di un pensare utopico sul quale poggiare la prassi sociale. Infatti, pur animato da una forte tensione morale (il dover essere), egli rifugge dall'idea dello speculare rovesciamento dell'esistente, ma cerca invece di intervenire su questo ritenendo che sia assurdo ed impossibile abbandonare tutto ciò che ha caratterizzato la vita in una società sostanzialmente autoritaria per approdare a "mondi" nella società anarchica. In questo senso, '''su una parte non irrilevante dell'essere va effettuato un intervento sì critico, ma non per questo distruttivo'''. <ref>[[Malatesta]], il [[1° giugno]] [[1926]], sulle pagine di ''[[Pensiero e Volontà]]'', rileva: «appare l'idea, purtroppo assai sparsa in mezzo ai nostri compagni, che compito degli anarchici sia semplicemente quello di demolire, lasciando ai posteri l'opera di ricostruzione. Ed è idea nefasta. La vita sociale, come la vita individuale, non ammette interruzioni». Sulla stessa rivista, il [[16 giugno]] dello stesso anno, dichiara: «distruggiamo i monopoli, d'accordo, ma i monopoli, quando non sieno quelli dei bottoncini da camicia o del rossetto per le labbra di certe signorine, i grossi monopoli (acqua, elettricità, carbone, trasporti di terra e di mare ecc.) rispondono sempre ad un servizio pubblico necessario; e non si distruggono quei monopoli, o se ne produce il sollecito ritorno, se nell'atto stesso che si mandan via i monopolisti non si continua il servizio e, possibilmente, in modo migliore di quello che avveniva sotto di loro».</ref> Per certi versi, si possono, quindi, intravedere fra le righe malatestiane intenti dialettici rispetto all'esistente e non, cosa in vero rigettata dal nostro, una (vana) speranza di automatico accomodamento delle cose quotidiane nella società liberata.


Pertanto, nonostante il pensiero comune, l'[[anarchia]] non è un'utopia (nell'accezione di progetto irrealizzabile). Per gran parte della sua storia l'umanità è vissuta senza alcuna '''archia''' (“potere”, “dominio”), poi, anche in epoche successive, vi sono state numerose esperienze anarchiche (vedi, per esempio, [[Ucraina libertaria]] e [[la Rivoluzione spagnola (1936-39)|Rivoluzione spagnola]]); infine, l'anarchico può vivere immediatamente, seppur con i limiti e le contraddizioni che naturalmente si ingenerano in un [[capitalismo|sistema capitalistico]], il suo [[Anarchia#Anarchia e anarchismo|essere anarchico]].
Pertanto, nonostante il pensiero comune, l'[[anarchia]] non è un'utopia (nell'accezione di progetto irrealizzabile). Per gran parte della sua storia l'umanità è vissuta senza alcuna '''archia''' (“potere”, “dominio”), poi, anche in epoche successive, vi sono state numerose esperienze anarchiche (vedi, per esempio, [[Ucraina libertaria]] e [[la Rivoluzione spagnola (1936-39)|Rivoluzione spagnola]]); infine, l'anarchico può vivere immediatamente, seppur con i limiti e le contraddizioni che naturalmente si ingenerano in un [[capitalismo|sistema capitalistico]], il suo [[Anarchia#Anarchia e anarchismo|essere anarchico]].
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