Ribellione/Rivolta

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La Ribellione o Rivolta è, nella maggior parte dei casi, una manifestazione di rifiuto dell'autorità. Questo rifiuto può variare dalla disobbedienza civile fino ad un conflitto organizzato ed armato per cercare di sovvertire un determinato ordine imposto dall'autorità stabilita.

La ribellione/rivolta è un termine usato con frequenza anche in riferimento alla resistenza armata di un gruppo contro un governo. Coloro che partecipano ad una ribellione vengono chiamati ribelli.

Ribellione e rivoluzione

«Cos'è un ribelle? Un uomo che dice no». (Albert Camus)

Una rivolta/ribellione è una manifestazione di incoformità, un tentativo di opposizione, violenta o non, alle regole (a tutte o a una sola) imposte dall'autorità vigente. Nel suo La ribellione delle masse, il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset sostiene che la rivolta genericamente si indirizza contro gli abusi e lotta per ridurre o eliminare del tutto gli stessi nell'ambito di un sistema politico e sociale.

La rivolta viene distinta dalla rivoluzione in quanto è più circoscritta e non comporta un radicale cambiamento nella forma di governo di un paese. La rivoluzione, diversamente dalla ribellione, ha come obiettivo l'intero sistema sociale e politico e ambisce di conseguenza a distruggerlo.

La rivolta in Sirner e Camus

Il concetto di rivolta è uno dei capisaldi del pensiero filosofico di Max Stirner, il quale, specialmente in L'Unico e la sua Proprietà , ne rimarca più volte la differenza rispetto al concetto di rivoluzione.

«La rivoluzione, come per esempio quella auspicata da Marx, appartiene al popolo e intende sostituire una società con un'altra; la rivolta o ribellione individuale appartiene al singolo individuo. Rivoluzione e Rivolta non devono essere presi per sinonimi. La prima consiste in un rovesciamento dello stato di cose esistente, dello statuto dello Stato o della Società; essa è dunque un atto politico o sociale. La seconda, pur comportando inevitabilmente una trasformazione dell'ordine costituito, non ha in questa trasformazione il suo punto di partenza. Essa deriva dal fatto che gli uomini sono scontenti di sé stessi e di ciò che li circonda. Essa non è una levata di scudi, ma un sollevamento di individui, una ribellione che non si preoccupa assolutamente delle istituzioni che potrà produrre. La rivoluzione ha come obiettivo delle nuove istituzioni. La rivolta ci porta a non lasciarci più amministrare ma ad amministrare da soli. La rivolta non attende le meraviglie delle istituzioni future. Essa è una lotta contro ciò che esiste. Una volta riuscita, ciò che esiste crolla da solo. Essa non fa che liberare il mio Me dallo stato di cose esistente, il quale, dal momento in cui me ne congedo, viene meno e cade in putrefazione! La rivoluzione mira ad un'organizzazione nuova; la ribellione ci porta a non lasciarci più organizzare, ma ad organizzarci da soli come vogliamo, e non ripone fulgide speranze nelle "istituzioni"... Se il mio scopo non è rovesciare un ordine costituito ma innalzarmi al di sopra di esso, il mio proposito e le mie azioni non sono politici e sociali, ma egoistici. La rivoluzione ci comanda di creare istituzioni nuove; la ribellione ci domanda di sollevarci o innalzarci.» [1]

Un altro autore di tendenze libertarie che affrontò il tema della rivolta fu Albert Camus. In particolare lo fece nel suo celebre libro L'uomo in rivolta, in cui distingue la rivolta storica da quella metafisica ed artistica. Nella prima l'uomo non fa altro che sacrificare il valore dell'individuo con quello della storia (vedi nazismo e bolscevismo); in quella metafisica, sostituendo a Dio l'uomo, gli esseri umani trovano nuove giustificazioni alle più atroci ed arbitrarie barbarie. Per camus, l'unica speranza sta nella rivolta artistica, unica possibilità per l'uomo di trovare una risposta ad un mondo dominato dall'assurdo [2].

«Che cos'è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice di sì, fin dal suo primo muoversi. Uno schiavo che in tutta la sua vita ha ricevuto ordini, giudica ad un tratto inaccettabile un nuovo comando. Qual è il contenuto di questo “no”?
Significa, per esempio, “le cose hanno durato troppo”, “fin qui sì, al di là no”, “vai troppo in là” e anche “c'è un limite oltre il quale non andrai”. Insomma questo no afferma l'esistenza di una frontiera. Si ritrova la stessa idea del limite nell'impressione dell'uomo in rivolta che l'altro “esageri”, che estenda il suo diritto al di là di un confine oltre io quale un altro diritto gli fa fronte e lo limita. Così, il movimento di rivolta poggia, ad un tempo, sul rifiuto categorico di un'intrusione giudicata intollerabile e sulla certezza confusa di un buon diritto, o più esattamente sull'impressione, nell'insorto, di avere il “diritto di...”. Non esiste rivolta senza la sensazione d'avere in qualche modo, e da qualche parte, ragione. Appunto in questo lo schiavo in rivolta dice ad un tempo di sì e di no. Egli afferma, insieme alla frontiera, tutto ciò che avverte e vuol preservare al di qua della frontiera. Dimostra, con caparbietà, che c'è in lui qualche cosa per cui “vale la pena di...”, qualche cosa che richiede attenzione. In certo modo, oppone all'ordine che l'opprime una specie di diritto a non essere oppresso al di là di quanto egli possa ammettere... La rivolta, in senso etimologico, è un voltafaccia. In essa, l'uomo che camminava sotto la sferza del padrone, ora fa fronte. Oppone ciò che è preferibile a ciò che non lo è. Non tutti i valori trascinano con sé la rivolta, ma ogni moto di rivolta fa tacitamente appello a un valore. Si tratta almeno di un valore? Per quanto confusamente, dal moto di rivolta nasce una presa di coscienza: la percezione, ad un tratto sfolgorante, che c'è nell'uomo qualche cosa con cui l'uomo può identificarsi, sia pure temporaneamente. Questa identificazione fin qui non era realmente sentita. Tutte le concussioni anteriori al moto d'insurrezione, lo schiavo le sopportava. Sovente, anzi, aveva ricevuto senza reagire ordini più rivoltanti di quello che fa prorompere il suo rifiuto. Portava pazienza, respingendoli forse in sé stesso, ma poiché taceva, si mostrava più sollecito, per il momento, del proprio interesse immediato che cosciente del proprio diritto. Con la perdita della pazienza, con l'impazienza, con l'impazienza, comincia al contrario un movimento che può estendersi a tutto ciò che veniva precedentemente accettato. Questo slancio è quasi sempre retroattivo. Lo schiavo, nell'attimo in cui respinge l'ordine umiliante del suo superiore, respinge insieme la sua stessa condizione di schiavo. Il moto di rivolta lo porta più in là del semplice rifiuto. Egli oltrepassa anche il limite che fissava al suo avversario, chiedendo ora di essere trattato da pari a pari. Quanto era dapprima resistenza irriducibile dell'uomo, diviene l'uomo intero, che con essa vi si identifica e vi si riassume. Quella parte di sé che voleva far rispettare, la mette allora al di sopra del resto, e la proclama preferibile a tutto, anche alla vita. Essa diviene per lui il sommo bene. Prima adagiato in un compromesso, lo schiavo si getta di colpo (“se è così...”) nel Tutto o Niente. La coscienza viene alla luce con la rivolta.» [3]

Le ragioni della rivolta

Esistono numerose ragioni che spingono una o più persone a ribellarsi. Nella storia dell'umanità, le rivolte non furono altro che una pulsione di vita contro le logiche del potere mortifere ed oppressive.

Contro il capitalismo

Ai giorni nostri, il capitalismo è il sistema economico che domina in quasi tutto il globo, comportando così una diffusione di ingiustizie sociali che vanno dalle catastrofi ambientali alle guerre, dalla riduzione dell'essere umano e degli altri animali a mera merce alle vere e proprie stragi sul lavoro. Le ribellioni contro il capitalismo sono per questo assai frequenti in tutti i paesi.

Contro il patriarcato

La rivolta contro il patriarcato implica la rivolta contro tutte le degenerazioni discriminatorie che esso ha generato: sessismo in primis, ma anche classismo, autoritarismo, razzismo, antropocentrismo e specismo

Contro il clero e la religione

Sin dai tempi delle eresie, cristiane e non, numerosi uomini e donne si sono rivoltati contro il clero, il suo potere e le sue astrazioni funzionali al dominio dell'élites privilegiate. Nei tempi a noi più vicini le rivolte anticlericali hanno carattere meno globale, ma comunque esse sono sempre presenti e talvolta assumono anche toni assai radicali.

Rifiuto all'ordine stabilito

La rivolta contro l'ordine stabilito indica un atto di rifiuto dello status quo imposto dalle autorità al potere (vedi altermondialismo). Genericamente è quindi caratterizzata da una matrice antiautoritarie (per esempio contro uno o più leggi dello Stato o contro alcune "tradizioni"), ma nello specifico l'atto di ribellione può indirizzarsi contro la religione, il classismo, il sessismo, l'omofobia e l'antispecismo.

Note

  1. Rivoluzione e rivolta secondo Max Stirner
  2. Sempre di Camus si veda Il mito di Sisifo
  3. Tratto da Albert Camus, L'uomo in rivolta, Bompiani, pp. 17-19.

Bibliografia

  • Michel Onfray, La politica del ribelle. Trattato di resistenza e insubordinazione, Fazi editore, 2008
  • Albert Camus, Il mito di Sisifo, traduzione di Attilio Borelli, collana tascabili, Bompiani, 2001,
  • Max Stirner, L'unico e la sua proprietà, Adelphi, 1999
  • Albert Camus, L'uomo in rivolta, trad. di Liliana Magrini, Milano: Bompiani, 1957, n. ed. con prefazione di Corrado Rosso, ivi, 1980

Voci correlate