Perché non votiamo (di Pasquale Binazzi): differenze tra le versioni

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Comprendiamo che i mali sociali si eliminano eliminando le cause che li generano, quindi logicamente siamo avversi allo Stato, qualunque sia la sua forma, perché questo rappresenta un tiranno che sta sul collo dei cittadini; un grande parassita dalle mille branche che sa tutto assimilarsi, tutto carpire senza nulla dare. Comprendiamo che accettare per principio che altri pensino per noi, studino per noi, facciano per noi è un condannarci all'inattività, è rinunciare alla nostra indipendenza, è lasciarci atrofizzare lo spirito d'iniziativa sia nel campo del pensiero che dell'azione. Un uomo, un popolo è forte, è capace di sostenere efficacemente la lotta per la vita, ed anzi riesce a trionfare sulle difficoltà che gli si parano innanzi, a misura dello spirito d'indipendenza e d'iniziativa di cui è animato. Invece la tattica elezionistica abitua gli uomini ed i popoli alla passività, tutto si limita a fare la fatica di eleggersi un rappresentante, ad accentrare così in poche mani il potere e quindi l'avvenire di un'intera nazione.
Comprendiamo che i mali sociali si eliminano eliminando le cause che li generano, quindi logicamente siamo avversi allo Stato, qualunque sia la sua forma, perché questo rappresenta un tiranno che sta sul collo dei cittadini; un grande parassita dalle mille branche che sa tutto assimilarsi, tutto carpire senza nulla dare. Comprendiamo che accettare per principio che altri pensino per noi, studino per noi, facciano per noi è un condannarci all'inattività, è rinunciare alla nostra indipendenza, è lasciarci atrofizzare lo spirito d'iniziativa sia nel campo del pensiero che dell'azione. Un uomo, un popolo è forte, è capace di sostenere efficacemente la lotta per la vita, ed anzi riesce a trionfare sulle difficoltà che gli si parano innanzi, a misura dello spirito d'indipendenza e d'iniziativa di cui è animato. Invece la tattica elezionistica abitua gli uomini ed i popoli alla passività, tutto si limita a fare la fatica di eleggersi un rappresentante, ad accentrare così in poche mani il potere e quindi l'avvenire di un'intera nazione.


Perciò noi anarchici siamo convinti che la massima indipendenza sia dell'individuo, come di ogni singola collettività umana, sia una condizione indispensabile di rapido progresso e di sviluppo su ogni ramo di attività e una eliminazione di parassitismo e di ogni ingombrante e dannosa burocrazia. Non bisogna metter l'uomo nelle condizioni che possa diventare il padrone dell'altro uomo; non bisogna concedergli né riconcedergli un'autorità, di cui poi tutti debbano sopportare le conseguenze dannose e subire gli errori e le ingiustizie che vengono consumate in nome di un potere da noi stessi eletto. Il potere per sua natura deve sviluppare due grandi mali che paralizzano la vita di un intero popolo, e cioè l'accentramento e la burocrazia. Stabilire che a Roma si debbano discutere, approvare, dare ordini, regolare i rapporti e gli interessi che riguardano collettività che risiedono a Milano, Torino, Palermo, ecc. è quanto di più errato si possa pensare e stabilire. Tutti anche nelle più dolorose circostanze hanno potuto constatare il grande fallimento dello Stato. Infatti questo che viene costituito, secondo i suoi sostenitori, per tutelare con maggiore potenzialità, minor dispendio di forze e unità d'intenti l'interessi delle collettività che deve amministrare, in pratica ha solo saputo meritarsi la critica e l'imprecazione generale, perché invece di scongiurare dei mali, di limitare i danni con pronti provvedimenti, ha dato prova di noncuranza, di una spaventevole lentezza, causata dal suo mostruoso ingranaggio burocratico. Il recente disastro calabro-siculo informi. La logica dei fatti impone dunque di non dover dar mano ad erigere delle istituzioni, il cui esponente rappresenta quanto di male possa colpirci. Ognuno confronti il funzionamento dello Stato, che impone ai suoi rappresentanti ed esecutori l'attesa d'ordini anche nelle circostanze più gravi, col mirabile risultato che sa sempre dare l'iniziativa individuale e collettiva, ed avrà subito una dimostrazione chiara delle verità che noi andiamo da molti anni propagandando e che vengono chiamate utopie, solo perché troppo grandi e perché impongono un mutamento radicale delle attuali condizioni di cose. Tutti si devono convincere che invece dell'inutile e pesante macchina dello Stato, i popoli hanno bisogno per il loro benessere di abbattere tutti gli Stati, siano essi democratici o reazionari, per poter più presto e bene stabilire tra di loro dei rapporti di scambio rapidi, diretti e mutabili a seconda dei bisogni e delle innovazioni che vengono introdotte nelle arti, nelle scienze e nelle industrie.
Perciò noi anarchici siamo convinti che la massima indipendenza sia dell'individuo, come di ogni singola collettività umana, sia una condizione indispensabile di rapido progresso e di sviluppo su ogni ramo di attività e una eliminazione di parassitismo e di ogni ingombrante e dannosa burocrazia. Non bisogna metter l'uomo nelle condizioni che possa diventare il padrone dell'altro uomo; non bisogna concedergli né riconcedergli un'autorità, di cui poi tutti debbano sopportare le conseguenze dannose e subire gli errori e le ingiustizie che vengono consumate in nome di un potere da noi stessi eletto. Il potere per sua natura deve sviluppare due grandi mali che paralizzano la vita di un intero popolo, e cioè l'accentramento e la burocrazia. Stabilire che a Roma si debbano discutere, approvare, dare ordini, regolare i rapporti e gli interessi che riguardano collettività che risiedono a Milano, Torino, Palermo ecc. è quanto di più errato si possa pensare e stabilire. Tutti anche nelle più dolorose circostanze hanno potuto constatare il grande fallimento dello Stato. Infatti questo che viene costituito, secondo i suoi sostenitori, per tutelare con maggiore potenzialità, minor dispendio di forze e unità d'intenti l'interessi delle collettività che deve amministrare, in pratica ha solo saputo meritarsi la critica e l'imprecazione generale, perché invece di scongiurare dei mali, di limitare i danni con pronti provvedimenti, ha dato prova di noncuranza, di una spaventevole lentezza, causata dal suo mostruoso ingranaggio burocratico. Il recente disastro calabro-siculo informi. La logica dei fatti impone dunque di non dover dar mano ad erigere delle istituzioni, il cui esponente rappresenta quanto di male possa colpirci. Ognuno confronti il funzionamento dello Stato, che impone ai suoi rappresentanti ed esecutori l'attesa d'ordini anche nelle circostanze più gravi, col mirabile risultato che sa sempre dare l'iniziativa individuale e collettiva, ed avrà subito una dimostrazione chiara delle verità che noi andiamo da molti anni propagandando e che vengono chiamate utopie, solo perché troppo grandi e perché impongono un mutamento radicale delle attuali condizioni di cose. Tutti si devono convincere che invece dell'inutile e pesante macchina dello Stato, i popoli hanno bisogno per il loro benessere di abbattere tutti gli Stati, siano essi democratici o reazionari, per poter più presto e bene stabilire tra di loro dei rapporti di scambio rapidi, diretti e mutabili a seconda dei bisogni e delle innovazioni che vengono introdotte nelle arti, nelle scienze e nelle industrie.


Lo Stato che in tutti i paesi del mondo non sa far altro che opera paralizzatrice delle individuali energie e il grassatore delle fatiche altrui, deve essere combattuto e non aiutato, deve essere abbattuto e non modificato. Quindi, o lavoratori, quando coloro che ambiscono di diventare i monopolizzatori di tutto, sciorineranno molti sofismi e vi useranno tutte le blandizie che il loro animo d'ipocriti dominatori sa abilmente trovare, ricordatevi che voi non dovete concorrere a dare vita allo Stato; voi non dovete concorrere a nominare gli uomini che lo impersonificheranno; voi se volete far trionfare la libertà e la giustizia non dovete essere né eletti né elettori.
Lo Stato che in tutti i paesi del mondo non sa far altro che opera paralizzatrice delle individuali energie e il grassatore delle fatiche altrui, deve essere combattuto e non aiutato, deve essere abbattuto e non modificato. Quindi, o lavoratori, quando coloro che ambiscono di diventare i monopolizzatori di tutto, sciorineranno molti sofismi e vi useranno tutte le blandizie che il loro animo d'ipocriti dominatori sa abilmente trovare, ricordatevi che voi non dovete concorrere a dare vita allo Stato; voi non dovete concorrere a nominare gli uomini che lo impersonificheranno; voi se volete far trionfare la libertà e la giustizia non dovete essere né eletti né elettori.
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Intanto messi su una falsa via iniziano agitazioni sterili, che non danno né possono dare alcun pratico risultato, vanno dietro ora a questo ora a quell'arruffone politicante; chiedono i pochi soldi di aumento di salario, lusingandosi che tale aumento procaccerà loro maggiore benessere, mentre invece non s'accorgono che per la legge ferrea del salario, derivante dall'attuale sistema di economia politica, essi concorrono a far rialzare artifiziosamente il costo generale della vita - a maggiore vantaggio degli sfruttatori - ed essi rimangono sempre dei poveri diseredati, coloro che tutto devono pagare e che per tutti devono soffrire. Fino a tanto che rimarrà saldo come principio la proprietà privata e il salario costituirà la pietra di paragone del compenso del lavoro umano; fino a tanto che i principi della finanza saranno lasciati i padroni delle ricchezze ed i monopolizzatori di tutti i prodotti, saranno pure i trionfatori del potere, gli alleati, i protetti e gli ispiratori dello Stato e della Chiesa, ed ai lavoratori, ad onta delle apparenti concessioni e miglioramenti, rimarrà soltanto quanto loro necessita per non morir di fame. I pingui e tristi eroi dell'oro cedono soltanto quando sono costretti a farlo, e a tutta quella gente che s'illude ed illude di poter armonizzare il capitale col lavoro, non potrebbe danneggiare maggiormente gli interessi dei non abbienti.
Intanto messi su una falsa via iniziano agitazioni sterili, che non danno né possono dare alcun pratico risultato, vanno dietro ora a questo ora a quell'arruffone politicante; chiedono i pochi soldi di aumento di salario, lusingandosi che tale aumento procaccerà loro maggiore benessere, mentre invece non s'accorgono che per la legge ferrea del salario, derivante dall'attuale sistema di economia politica, essi concorrono a far rialzare artifiziosamente il costo generale della vita - a maggiore vantaggio degli sfruttatori - ed essi rimangono sempre dei poveri diseredati, coloro che tutto devono pagare e che per tutti devono soffrire. Fino a tanto che rimarrà saldo come principio la proprietà privata e il salario costituirà la pietra di paragone del compenso del lavoro umano; fino a tanto che i principi della finanza saranno lasciati i padroni delle ricchezze ed i monopolizzatori di tutti i prodotti, saranno pure i trionfatori del potere, gli alleati, i protetti e gli ispiratori dello Stato e della Chiesa, ed ai lavoratori, ad onta delle apparenti concessioni e miglioramenti, rimarrà soltanto quanto loro necessita per non morir di fame. I pingui e tristi eroi dell'oro cedono soltanto quando sono costretti a farlo, e a tutta quella gente che s'illude ed illude di poter armonizzare il capitale col lavoro, non potrebbe danneggiare maggiormente gli interessi dei non abbienti.


Si prova un profondo disgusto a vedere della gente che vorrebbe passare per sincera e per chiaroveggente, dimenticare i punti sostanziali della questione sociale e per amore di un vile seggio nelle amministrazioni pubbliche o al parlamento smorzare ogni ardore giovanile, soffocare ogni impeto generoso, e, per rendersi accetti a tutti gli elettori delle diverse graduazioni politiche e sociali, smussare tutte le angolosità del proprio pensiero, e anzi fare dei veri sforzi per renderlo incomprensibile e accettabile alla massa amorfa, che non sa pensare né vuole fare sforzi per comprendere. E più disgusto suscitano quei giovani, che dicono di appartenere alle file dell'avanguardia del socialismo, quando si vedono prendere parte attiva agli ibridi connubi ed affannarsi per andare alla ricerca di un candidato qualsiasi, perché questi si prenda il disturbo di fare qualche piccola promessa e qualche insignificante dichiarazione di fede incerta. No, in questo caso meglio è trincerarsi nel silenzio, se non si sa o non si vuole risvegliare l'animo sopito del popolo. Se essi non vogliono essere i pionieri di ardenti verità, se non vogliono essere i pugnaci combattenti contro le cattive presenti istituzioni e conto uomini corruttori e corrotti, almeno non partecipino agli intrighi, abbandonino il popolo a se stesso piuttosto che ingannarlo, piuttosto che trascinarlo in vie contorte che lo fanno allontanare dalla soluzione del tormentoso problema sociale. Se invece veramente amano il popolo, se vogliono educarlo, incoraggiarlo e consigliarlo, essi devono rimanere col popolo e fra il popolo. Da questo trarranno sempre novella audacia ed eviteranno così il pericolo di diventare le giudiziose scimmie ammaestrate del baraccone nazionale.
Si prova un profondo disgusto a vedere della gente che vorrebbe passare per sincera e per chiaroveggente, dimenticare i punti sostanziali della questione sociale e per amore di un vile seggio nelle amministrazioni pubbliche o al parlamento smorzare ogni ardore giovanile, soffocare ogni impeto generoso, e, per rendersi accetti a tutti gli elettori delle diverse graduazioni politiche e sociali, smussare tutte le angolosità del proprio pensiero, e anzi fare dei veri sforzi per renderlo incomprensibile e accettabile alla massa amorfa, che non sa pensare né vuole fare sforzi per comprendere. E più disgusto suscitano quei giovani, che dicono di appartenere alle file dell'avanguardia del socialismo, quando si vedono prendere parte attiva agli ibridi connubi ed affannarsi per andare alla ricerca di un candidato qualsiasi, perché questi si prenda il disturbo di fare qualche piccola promessa e qualche insignificante dichiarazione di fede incerta. No, in questo caso meglio è trincerarsi nel silenzio, se non si sa o non si vuole risvegliare l'animo sopito del popolo. Se essi non vogliono essere i pionieri di ardenti verità, se non vogliono essere i pugnaci combattenti contro le cattive presenti istituzioni e conto uomini corruttori e corrotti, almeno non partecipino agli intrighi, abbandonino il popolo a stesso piuttosto che ingannarlo, piuttosto che trascinarlo in vie contorte che lo fanno allontanare dalla soluzione del tormentoso problema sociale. Se invece veramente amano il popolo, se vogliono educarlo, incoraggiarlo e consigliarlo, essi devono rimanere col popolo e fra il popolo. Da questo trarranno sempre novella audacia ed eviteranno così il pericolo di diventare le giudiziose scimmie ammaestrate del baraccone nazionale.


===III. Che fare? ===
===III. Che fare? ===
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