La Battaglia

La Battaglia è stato un settimanale anarchico di San Paolo (Brasile) fondato e diretto da Oreste Ristori.

Testata de La Battaglia

Storia e pensiero [1]

Fondata nel giugno del 1904 e diretta da Oreste Ristori - un livornese emigrato a Buenos Aires ma riparato, successivamente, in Brasile per sfuggire le repressioni messe in atto dal governo argentino dopo l'approvazione della cosidetta «ley de residencia» - La Battaglia può, a buon diritto, ritenersi il massimo organo di propaganda e d'intervento degli anarchici italo-brasiliani. L'autorevole e ininterrotta collaborazione di noti esponenti libertari, quali Gigi Damiani, Alessandro Cerchiai e Angelo Bandoni, contribuì, d'altronde, a garantire al periodico un livello qualitativamente elevato e quel tono estremamente vivace e combattivo che ne fecero ben presto uno dei fogli più apprezzati fra quelli prodotti dall'emigrazione anarchica italiana nell'America Latina. «Il nuovo settimanale anarchico - scriveva poco dopo la cessazione delle pubblicazioni un cronista del movimento sovversivo italo-brasiliano - ebbe una schietta e simpatica accoglienza in tutti i centri dello Stato e per i suoi propositi e per le sue audacie ben presto si fece largo nel campo proletario. L'apparire de La Battaglia segna veramente l'inizio a un'opera di propaganda metodica e costante, cosa che per il passato non era stato possibile». [2]

Sull'organizzazione

Contrario a tutte le tendenze «esclusiviste» dell'anarchismo (anticlericalismo, sindacalismo, neomalthusianesimo, antimilitarismo ecc.), che frenano - affermava - e limitano l'azione rivoluzionaria, lasciando «nella più beata tranquillità il nemico comune: lo Stato capitalista» [3], il foglio di Ristori, pur richiamandosi ad una linea d'intransigente «ortodossia», evitò sempre di definirsi sulla base di schemi ideologici e tattici precostituiti. Così, sul terreno organizzativo, non espresse mai posizioni precise o proposte concrete, pur essendo come linea di tendenza, favorevole ad un genere d'intervento politico organizzato e coordinato:

«L'incoerenza, per l'anarchico - si legge in Una risposta all'«Avanti!» [4] - [...] non è nell'organizzazione in sé stessa (compatibilissima al certo con tutti i principii dell'anarchia) ma nello spirito autoritario che anima questa organizzazione. Ora, se l'organizzazione che l'anarchico accetta e nella quale svolge la sua attività è libertaria per eccellenza, se non stabilisce delle rinunzie forzose e delle discipline, se nessun potere di maggioranze verrà a soffocare le iniziative individuali, se ciascuno vi potrà agire liberamente, accettare o non accettare un dato principio, un dato metodo di lotta, una data idea, l'anarchico, servendosene, è coerente con sé stesso e con le proprie idealità [...]. Resta a sapersi, ora, se è possibile una organizzazione anarchica, vale a dire anti-autoritaria, in regime borghese. A me pare di sì. Anzi, non pare, è certo. Migliaia di aggruppamenti anarchici, di circoli libertarii, circoli di studi sociali, senza presidenti, senza statuti, senza Commissioni Esecutive, senza plenipotenziari, sono là a dimostrarlo».
 
Oreste Ristori, direttore de La Battaglia dal giugno del 1904 al 7 gennaio del 1912.

Estrema diffidenza mostrò invece il periodico nei confronti dell'organizzazione sindacale e, in genere, della corrente anarco-sindacalista - rappresentata, in Brasile, principalmente da Luigi Magrassi e Giulio Sorelli, segretario, quest'ultimo, della «Federazione Operaia» di San Paolo - contro la quale ebbero modo di pronunziarsi a turno, in epoche e circostanze diverse e con scritti di diverso valore e intonazione, tutti i principali redattori e collaboratori del giornale. Così, ad esempio, Alessandro Cerchiai (Anarchismo o opportunismo? [5]), per il quale il sindacalismo, «la nuova e rancida rincarnazione del corporativismo, è il nuovo verbo pel quale si sdoppiano le coscienze dei novelli anarchici del socialismo, schiere ridicole di ombre vagolanti nell'assurdo, d'impotenti catechizzatori di una prudenza ipocrita, di apostati vigliacchi che preferiscono mistificare un ideale che confessarsi candidamente, senza eufemismi, tali e quali essi sono» (lo scritto provocò varie reazioni, fra cui quella di Aristide Ceccarelli, che da Buenos Aires rispose con una secca protesta, Anarchismo o confusionismo? [6]); Gigi Damiani (Un assioma sbagliato [7]): «Il sindacalismo è una fatalità storica, ne convengo. Senza i socialisti anarcoidi e gli anarchici socialistoidi, ci sarebbe stato lo stesso: risponde ad una necessità sociale ed umana. Le pecore lo praticavano anche prima del diluvio universale. All'approssimarsi dei lupi si serravano in bando e cantavano: forti siamo!! E chi ci guadagnava era il lupo». [8] Estremamente indicativo della scarsa considerazione in cui era tenuta la corrente sindacalista è, d'altronde, il sarcastico commento con cui venne liquidato il 1° Congresso Operaio Brasiliano (Rio de Janeiro, 15-22 aprile 1905). [9]

Sull'individualismo

Netta fu la presa di posizione contro le dottrine degli individualisti neostirneriani. Parole durissime si ritrovano qua e là, sulle colonne del giornale, a stigmatizzare «quella aberrazione della mente» che è il «concetto erroneo dell'anarchico individualista, distruttore della società, nemico di tutte le organizzazioni, isolato da tutto, cospirante da solo contro i fati del cielo e della terra» (Una risposta all'«Avanti!» [4]). Vedi, ad esempio, i duri attacchi polemici di Cerchiai contro gli organi individualisti Vir di Firenze e L'Agitatore di Buenos Aires, rispettivamente negli scritti Utopia e realtà [10] e L'anarchismo enimmatico. [11]

Su politica e società brasiliane

Sul terreno dell'intervento, La Battaglia affrontò tutti i maggiori problemi politici e sociali del Paese, attaccando coraggiosamente le oligarchie dei proprietari terrieri, denunciando la rapacità padronale, gli abusi ed i crimini polizieschi e le porcherie del clero, intervenendo contro il vergognoso sfruttamento della mano d'opera straniera e del lavoro minorile [12] e portando avanti, infine, una lodevole opera di educazione e di sensibilizzazione su molti problemi sociali (fra cui l'alcoolismo, che costituiva, purtroppo, una delle maggiori piaghe del Brasile. [13] Nel corso della seconda annata, il giornale s'impegnò, in particolare, in una violenta campagna contro la massoneria, una delle componenti (col clero e gli organi di polizia) di quella «triplice alleanza» che l'organo anarchico additava quale responsabile della grave crisi economica e politica in cui era piombato il Brasile:

«L'architetto di questo sporco edificio - scriveva Cerchiai, in Preti, poliziotti e massoni [14] - l'ha dato la massoneria e lo sostiene il gesuitismo; la polizia ha l'incarico di castigare i recalcitranti». [15] Da segnalare è ancora lo scritto, di qualche anno più tardi, di Gigi Damiani, Un'altra canaglia della Massoneria [16], diretto a smascherare le mene eversive messe in atto, in quell'anno, dalla coalizione massonica, e l'articolo La massoneria e il movimento operaio [17], con cui si metteva in guardia che «come riflesso di un'azione identica svoltasi in Europa e specialmente in Francia, avremo, o forse abbiamo, anche qui un tentativo d'inquinazione [...] massonica nelle organizzazioni di resistenza proletarie».

Su lavoratori e schiavismo

Dove massimamente si rivela la combattività dell'organo anarchico, è tuttavia nell'intervento in favore dei lavoratori agricoli delle zone caffeifere e nella denuncia del regime feudale e schiavista, di fatto vigente nelle fazendas brasiliane. Su questi due temi, La Battaglia impostò una coraggiosa campagna, portata avanti ininterrottamente per tutta la durata delle pubblicazioni, particolarmente attraverso le rubriche fisse Dalla fazenda maledetta, Dalle Caienne Brasiliane e Dall'interno dello Stato. Valgano, a titolo di esempio di questa appassionata difesa dei diritti dei coloni, gli scritti di Ristori, Retrocessione verso l'animalità primitiva [18], oltre quelli apparsi sotto il titolo generico Gli orrori delle ‘fazendas’ [19], destinati a designare una nuova rubrica, rimasta, invece, senza seguito.

 
Gigi Damiani, direttore de La Battaglia dal 7 gennaio 1912 al maggio del 1913.

Al contrario, non paiono essere approdati a nessun risultato concreto gli sforzi diretti a una penetrazione politica all'interno dell'ambiente colonico stesso. Al fine «di emancipare i coloni dallo stato di abbrutimento morale e vergognosa schiavitù in cui sono immersi», il giornale aveva anche avanzato il progetto di costituire una Lega di Propaganda Libertaria per le ‘fazendas’ [20], ma anche per le obiettive difficoltà a contattare materialmente i lavoratori agricoli delle zone caffeifere, mantenuti in uno stato di pressoché assoluta segregazione (le uniche possibilità d'incontro fra il contingente colonico delle fazendas e l'elemento dimorante in località dell'interno e composto per lo più di piccoli commercianti, si avevano in occasione dello spaccio e dello scambio dei prodotti), l'iniziativa risultò inattuabile. Ancora qualche anno più tardi, i redattori dovevano amaramente constatare che «vi sono delle zone immense, delle intere regioni ove non è per anco penetrato il raggio di un'idea a illuminare le menti; centinaia e centinaia di fazendas, che son vere galere, ove regna un silenzio di morte e una incoscienza esasperante; ove i coloni, assuefatti da tempo a condizioni abbrutenti di schiavitù, idiotizzati dalla religione cristiana e dal prete, non saprebbero concepire né, forse, desiderare una vita meno bestiale di quella cui sono condannati» (La schiavitù dei coloni. Quello che si deve fare [21]).

Di fronte a tale stato di cose ed alla constatata difficoltà di porvi in qualche modo rimedio, La Battaglia si adoperò per impedire almeno l'importazione di nuovi contingenti di lavoratori da destinare alle aziende agricole, sia svolgendo un intenso lavoro di controinformazione fra i connazionali della madrepatria sia e soprattutto opponendosi energicamente alle manovre che il governo brasiliano metteva periodicamente in atto per ottenere la revoca del «decreto Prinetti» (26 marzo 1902), con cui era stata vietata la continuazione delle operazioni d'imbarco gratuito verso il Brasile. [22]

L'addio di Ristori

Alla fine del 1911 Ristori, con decisione «che per la sua irrevocabilità, ci ha lasciato tutti dolorosamente sorpresi», lasciava la redazione de La Battaglia, che dal 7 gennaio del 1912 venne assunta da Gigi Damiani. [23] Alcuni mesi più tardi verrà precisato che Ristori abbandonò l'impegno redazionale «dichiarando di non credere più nella redenzione del popolo e l'ideale considerando come concezione permessa a pochi». [24]

La complicata direzione di Damiani e la chiusura

Coadiuvato da Cerchiai, Damiani tenne la direzione del periodico per poco più di un anno: un arco di tempo relativamente breve ma senza dubbio fra i più tormentati per la vita del giornale, divenuto bersaglio di attacchi ingiuriosi e provocatori e oggetto di critiche e dicerie sotto il profilo, particolarmente, della sua conduzione amministrativa. Nel maggio del 1912 l'organo anarchico Tierra y Libertad di Barcellona era anzi giunto ad accogliere una corrispondenza di certo J. Fernandez Monteiro, nella quale si accusava la vecchia redazione de La Battaglia di essersi appropriata dei fondi di una sottscrizione aperta «pro rivoluzione messicana». Alle «fantastiche e sporche accuse» ospitate sulle colonne del foglio barcellonese, Damiani e Cerchiai avevano risposto con una fiera smentita, in cui si chiedeva altresì una riparazione «al male fattoci sia pure inconsciamente, ma con molta leggerezza». [25] Ma essendosi dovuto constatare il persistere di una marcata diffidenza nei confronti del giornale, venne presa alla fine una serie di provvedimenti, fra cui quello di mutarne il titolo. Il numero 367 del 1° settembre 1912 uscì recando in manchette l'avvertenza che «a cominciare dal prossimo numero La Battaglia cambierà nome e si chiamerà La Barricata»: una decisione - confermava il già citato redazionale Ai compagni ed agli abbonati - presa anche in considerazione del fatto «che intorno a La Battaglia si sono accumulati sospetti e dicerie ed in molti è la certezza che essa sia fonte di tanti guadagni».

La vita del giornale sembra tuttavia che fosse già definitivamente compromessa, tanto che nel marzo dell'anno successivo questi dovette adattarsi ad uscire su due sole pagine, dopo essersi fuso col foglio, di lingua portoghese Germinal!:

«A questa decisione - chiariva una breve nota redazionale [26] - si venne non perché la mancanza di mezzi impedisse la pubblicazione di due settimanali, ma perché attualmente mancano uomini che si possano dedicare esclusivamente al giornale e con cognizioni di quello che devono fare».

La soluzione non ebbe però carattere «transitorio», come si sperava, giacché due mesi più tardi il giornale dovette prendere nota che anche Damiani aveva declinato l'incarico redazionale (le sue dimissioni sono annunciate nel trafiletto Congedo... [27]. Rimasto così privo di tutti i suoi elementi più validi, l'organo anarchico si avviò rapidamente verso la sua cessazione, per sparire definitivamente il 17 agosto 1913.

Note

  1. Fonte principale: Leonardo Bettini, Bibliografia dell'anarchismo
  2. «Martino Stanga» (forse Flavio Venanzi), Il movimento sociale al Brasile. Rassegna cronologica, in La Propaganda Libertaria (San Paolo), a. I, n. 6, del 17 dicembre 1913.
  3. Crf. Alessandro Cerchiai, Dosimetria sovversiva. La rivoluzione in pillole, n. 212, del 21 aprile 1909.
  4. 4,0 4,1 Sul n. 77, del 29 aprile 1906.
  5. Sul n. 69, del 25 febbraio 1906.
  6. Sul n. 74, del 1 aprile 1906.
  7. Sul n. 170, del 31 maggio 1908.
  8. A. Bandoni, Criteri di lotta, n. 136 e 137, dell'8 e 15 settembre 1907.
  9. Sul n. 76, del 22 aprile 1906, sotto il titolo Un Congresso Inter, di batraci a Rio.
  10. Sul n. 134, del 25 agosto 1907.
  11. Sul n. 203, del 14 febbraio 1909.
  12. Crf. La strage degli innocenti, n. 3, del 10 febbraio 1907.
  13. Vedi, per esempio, l'appello Operai, non bevete!, n. 191, dell'8 novembre 1908.
  14. Sul n. 72, del 18 marzo 1906.
  15. Vedi, fra gli altri, gli articoli: Le pagliacciate della massoneria svelate al popolo, n. 52, del 16 settembre 1905; La Massoneria all'apogeo del ridicolo, n. 53, del 30 settembre 1905; La Massoneria è la più maccheronica e chiercuta istituzione borghese, n. 54, del 15 ottobre 1905; La Massoneria sotto processo, n. 60, del 17 dicembre 1905.
  16. Sul n. 228, del 5 settembre 1909.
  17. Sul n. 394 (de La Barricata) del 20 aprile 1913.
  18. Sui n. 85 e 87, dell'8 e 22 luglio 1906.
  19. Sui n. 98 e 100, del 21 ottobre e 11 novembre 1906.
  20. Crf. n. 117, del 31 marzo 1907.
  21. Sul n. 314, del 23 luglio 1911.
  22. Fra i molti scritti destinati a sostenere questa campagna antiemigratoria si citano: Schiavi per le ‘fazendas’, n. 69, del 25 febbraio 1906; Lavoratori, non venite in Brasile!, n. 70, del 4 marzo 1906; Contro l'immigrazione. Appello alla solidarietà degli amici e dei compagni, n. 72, del 18 marzo 1906 (dove viene annunciato che «a cura de La Battaglia sarà pubblicato fra breve un opuscolo, in italiano, in ispagnuolo e in portoghese, in cui saranno condensate le delizie di questa vita felice, agonizzante sotto il bel cielo della Repubblica»); «Mastri Antonio», L'immigrazione, n. 184, del 13 settembre 1908; Gigi Damiani, La parola del ciarlatano, n. 223, del 18 luglio 1909 (a proposito di un tendenzioso intervento di E. Ferri alla Camera, mirante a riproporre l'avvio di una politica emigratoria verso il Brasile).
  23. Cfr. sul n. 336, del 7 gennaio 1912, il trafiletto Poche parole...
  24. Cfr. Ai compagni ed agli abbonati, n. 367, del 1 settembre 1912.
  25. Cfr. Contro un'infamia, in Il Risveglio Socialista-Anarchico (Ginevra), n. 339, del 17 agosto 1912; ed anche Ugo Fedeli, Gigi Damiani. Note biografiche, il suo posto nell'anarchismo, Cesena, 1954, pp. 22-23.
  26. Cose nostre, sul n. dell'8 marzo 1913 de La Barricata.
  27. Sul n. 396, del 10 maggio 1913.

Voci correlate