L'aumento delle cure genera nuove patologie (di Ivan Illich): differenze tra le versioni

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Nel 1974 scrissi la ''Nemesi medica''<ref>Ivan Illich, ''Nemesi medica. L'espropriazione della salute''. Arnoldo Mondadori Editore, 1977.</ref>. Non avevo però scelto la [[medicina sociale|medicina]] come tema, bensì come esempio. In questo libro intendevo proseguire un discorso già avviato sulle istituzioni moderne, in quanto cerimonie creatrici di miti, di liturgie sociali intese a celebrare certezze. In questo senso avevo esaminato la [[scuola]] <ref>Leggere Ivan Illich, ''Descolarizzare la società ''. Arnoldo Mondadori Editore.</ref>, i trasporti e gli alloggi, per comprenderne le funzioni latenti e ineluttabili: ciò che proclamano, piuttosto che ciò che producono; il mito dell'Homo educandus, il mito dell'Homo transportandus, e infine quello dell'uomo incastrato. Ho scelto la medicina come esempio per illustrare livelli distinti del carattere controproducente tipico di tutte le istituzioni del dopoguerra, del loro paradosso tecnico, sociale e culturale: sul piano tecnico, la sinergia terapeutica che produce nuove malattie; su quello sociale, lo sradicamento operato dalla diagnostica, che ossessiona il malato, l'idiota, l'anziano così come chi lentamente si spegne. E soprattutto, sul piano culturale, la promessa del progresso conduce al rifiuto della condizione umana e al disgusto dell'arte di soffrire.
Nel 1974 scrissi la ''Nemesi medica''<ref>Ivan Illich, ''Nemesi medica. L'espropriazione della salute''. Arnoldo Mondadori Editore, 1977.</ref>. Non avevo però scelto la [[medicina sociale|medicina]] come tema, bensì come esempio. In questo libro intendevo proseguire un discorso già avviato sulle istituzioni moderne, in quanto cerimonie creatrici di miti, di liturgie sociali intese a celebrare certezze. In questo senso avevo esaminato la [[scuola]] <ref>Leggere Ivan Illich, ''Descolarizzare la società ''. Arnoldo Mondadori Editore.</ref>, i trasporti e gli alloggi, per comprenderne le funzioni latenti e ineluttabili: ciò che proclamano, piuttosto che ciò che producono; il mito dell'Homo educandus, il mito dell'Homo transportandus, e infine quello dell'uomo incastrato. Ho scelto la medicina come esempio per illustrare livelli distinti del carattere controproducente tipico di tutte le istituzioni del dopoguerra, del loro paradosso tecnico, sociale e culturale: sul piano tecnico, la sinergia terapeutica che produce nuove malattie; su quello sociale, lo sradicamento operato dalla diagnostica, che ossessiona il malato, l'idiota, l'anziano così come chi lentamente si spegne. E soprattutto, sul piano culturale, la promessa del progresso conduce al rifiuto della condizione umana e al disgusto dell'arte di soffrire.


Ho iniziato Nemesi medica con le parole: « L'impresa medica minaccia la salute ». All'epoca, questa affermazione poteva far dubitare della serietà dell'autore, ma aveva anche il potere di provocare stupore e rabbia. A 25 anni di distanza, non potrei più far mia questa frase, per due motivi: i medici non hanno più in mano il timone dello stato biologico, la barra della biocrazia. Se mai si ritrova un medico nei ranghi dei "decisori", la sua presenza serve a legittimare la rivendicazione del sistema industriale di migliorare lo stato della[[]] salute. Oltre tutto, una "salute" non più sentita. Una "salute" paradossale. Il termine "salute" designa un optimum cibernetico. La salute concepita come un equilibrio tra il macrosistema socio-ecologico e la popolazione dei suoi sottosistemi di tipo umano. Nel sottomettersi all'ottimizzazione, il soggetto rinnega se stesso. Oggi, inizierò la mia argomentazione dicendo: «La ricerca della salute è divenuto il fattore patogeno predominante». Sono infatti costretto a prendere in considerazione un'azione controproducente alla quale non potevo pensare all'epoca in cui scrissi Nemesi medica, un paradosso che diviene evidente quando si scava nei rapporti sui progressi dello stato di salute. Bisogna leggerli in senso bifronte, alla maniera di Giano <ref>Giano bifronte, dio romano dal doppio volto. A lui è consacrato il mese di gennaio januarius.</ref>: l'occhio destro rimane colpito dalle statistiche della mortalità e morbilità, il cui calo è interpretato come il risultato delle prestazioni mediche; con il sinistro non si possono più evitare gli studi antropologici che contengono le risposte alla domanda: come va? Non si può più evitare di vedere il contrasto tra la pretesa salute obiettiva e quella soggettiva. E cosa osserviamo? Quanto più aumenta l'offerta di salute, tanto più le persone rispondono adducendo i loro problemi, bisogni, malattie, e chiedendo di essere garantite contro i rischi. E tutto questo quando nelle regioni considerate arretrate i "sottosviluppati" accettano la propria condizione senza problemi. Alla domanda: come va? Rispondono: «Bene, data la mia condizione, la mia età, il mio karma».  
Ho iniziato Nemesi medica con le parole: « L'impresa medica minaccia la salute ». All'epoca, questa affermazione poteva far dubitare della serietà dell'autore, ma aveva anche il potere di provocare stupore e rabbia. A 25 anni di distanza, non potrei più far mia questa frase, per due motivi: i medici non hanno più in mano il timone dello stato biologico, la barra della biocrazia. Se mai si ritrova un medico nei ranghi dei "decisori", la sua presenza serve a legittimare la rivendicazione del sistema industriale di migliorare lo stato della[[]] salute. Oltre tutto, una "salute" non più sentita. Una "salute" paradossale. Il termine "salute" designa un optimum cibernetico. La salute concepita come un equilibrio tra il macrosistema socio-ecologico e la popolazione dei suoi sottosistemi di tipo umano. Nel sottomettersi all'ottimizzazione, il soggetto rinnega stesso. Oggi, inizierò la mia argomentazione dicendo: «La ricerca della salute è divenuto il fattore patogeno predominante». Sono infatti costretto a prendere in considerazione un'azione controproducente alla quale non potevo pensare all'epoca in cui scrissi Nemesi medica, un paradosso che diviene evidente quando si scava nei rapporti sui progressi dello stato di salute. Bisogna leggerli in senso bifronte, alla maniera di Giano <ref>Giano bifronte, dio romano dal doppio volto. A lui è consacrato il mese di gennaio januarius.</ref>: l'occhio destro rimane colpito dalle statistiche della mortalità e morbilità, il cui calo è interpretato come il risultato delle prestazioni mediche; con il sinistro non si possono più evitare gli studi antropologici che contengono le risposte alla domanda: come va? Non si può più evitare di vedere il contrasto tra la pretesa salute obiettiva e quella soggettiva. E cosa osserviamo? Quanto più aumenta l'offerta di salute, tanto più le persone rispondono adducendo i loro problemi, bisogni, malattie, e chiedendo di essere garantite contro i rischi. E tutto questo quando nelle regioni considerate arretrate i "sottosviluppati" accettano la propria condizione senza problemi. Alla domanda: come va? Rispondono: «Bene, data la mia condizione, la mia età, il mio karma».  


E ancora: quanto più l'offerta della pletora clinica risulta da un impegno politico della popolazione, tanto più intensamente è risentita la mancanza di [[salute]]. In altri termini, l'angoscia misura il livello della modernizzazione, e più ancora quello della politicizzazione. L'accettazione sociale della diagnostica "obiettiva" è divenuta patogena in senso soggettivo. E sono precisamente gli economisti fautori di un'economia sociale orientata dai valori della solidarietà che fanno del diritto egualitario alla salute un obiettivo primario. Logicamente, si vedono costretti ad accettare limiti economici per tutti i tipi di cure individuali. Sono loro a dare un'interpretazione etica della ridefinizione del patologico che si opera all'interno della medicina. La ridefinizione attuale della malattia comporta, secondo il professor Sajay Samuel, dell'università Bucknell, «una transizione del corpo fisico verso un corpo fiscale». In effetti, i criteri selezionati che classificano questo o quel caso come passibile di cure clinico-mediche sono, in misura crescente, parametri finanziari. In una prospettiva storica, la diagnostica ha avuto per secoli una funzione eminentemente terapeutica. L'incontro tra il medico e il malato era essenzialmente verbale.  
E ancora: quanto più l'offerta della pletora clinica risulta da un impegno politico della popolazione, tanto più intensamente è risentita la mancanza di [[salute]]. In altri termini, l'angoscia misura il livello della modernizzazione, e più ancora quello della politicizzazione. L'accettazione sociale della diagnostica "obiettiva" è divenuta patogena in senso soggettivo. E sono precisamente gli economisti fautori di un'economia sociale orientata dai valori della solidarietà che fanno del diritto egualitario alla salute un obiettivo primario. Logicamente, si vedono costretti ad accettare limiti economici per tutti i tipi di cure individuali. Sono loro a dare un'interpretazione etica della ridefinizione del patologico che si opera all'interno della medicina. La ridefinizione attuale della malattia comporta, secondo il professor Sajay Samuel, dell'università Bucknell, «una transizione del corpo fisico verso un corpo fiscale». In effetti, i criteri selezionati che classificano questo o quel caso come passibile di cure clinico-mediche sono, in misura crescente, parametri finanziari. In una prospettiva storica, la diagnostica ha avuto per secoli una funzione eminentemente terapeutica. L'incontro tra il medico e il malato era essenzialmente verbale.  


Ancora all'inizio del XVIII secolo, la visita medica era una conversazione. Il paziente raccontava, aspettandosi da parte del medico un ascolto privilegiato. Sapeva ancora parlare di ciò che provava uno squilibrio degli umori, un'alterazione dei flussi, un disorientamento dei sensi, e infine le terrificanti coagulazioni. Quando leggo il diario di questo o quel medico del periodo barocco (XVI-XVII secolo), ogni annotazione evoca una tragedia greca. L'arte medica era un'arte dell'ascolto. Il comportamento del medico era quello che, nella sua Poetica, Aristotele esige dal pubblico di un teatro un punto sul quale si differenzia dal suo maestro Platone. Aristotele è tragico non soltanto per le parole ma per le inflessioni della voce, la melodia, i gesti. È così che il medico rispondeva mimeticamente al paziente, per il quale questa diagnosi mimetica aveva una funzione terapeutica. Ma presto questa risonanza scompare, e l'auscultazione prende il posto dell'ascolto. L'ordine dato cede il posto all'ordine costruito, e non soltanto in medicina. L'[[etica]] dei valori soppianta quella del bene e del male: la sicurezza del sapere declassa la verità così come nella musica l'ascolto della consonanza, che poteva rivelare l'armonia cosmica, scompare sotto l'effetto dell'acustica, una scienza che insegna come far sentire le curve sinusoidali nel registro di mezzo. Questa trasformazione del medico che ascolta una lagnanza in medico che assegna una patologia arriva al suo punto culminante dopo il [[1945]]. Si induce il paziente a guardare se stesso attraverso il diagramma sanitario; ad assoggettarsi, nel senso letterale del termine, a un'autopsia: vedere se stesso con i propri occhi. Questa autovisualizzazione lo indurrà a rinunciare a sentirsi. Le radiografie, le tomografie e la stessa ecografia degli anni 70 lo aiutano a identificarsi con le tavole anatomiche che da bambino vedeva appese alle pareti delle aule scolastiche. La visita medica serve così alla disincarnazione dell'ego.
Ancora all'inizio del XVIII secolo, la visita medica era una conversazione. Il paziente raccontava, aspettandosi da parte del medico un ascolto privilegiato. Sapeva ancora parlare di ciò che provava uno squilibrio degli umori, un'alterazione dei flussi, un disorientamento dei sensi, e infine le terrificanti coagulazioni. Quando leggo il diario di questo o quel medico del periodo barocco (XVI-XVII secolo), ogni annotazione evoca una tragedia greca. L'arte medica era un'arte dell'ascolto. Il comportamento del medico era quello che, nella sua Poetica, Aristotele esige dal pubblico di un teatro un punto sul quale si differenzia dal suo maestro Platone. Aristotele è tragico non soltanto per le parole ma per le inflessioni della voce, la melodia, i gesti. È così che il medico rispondeva mimeticamente al paziente, per il quale questa diagnosi mimetica aveva una funzione terapeutica. Ma presto questa risonanza scompare, e l'auscultazione prende il posto dell'ascolto. L'ordine dato cede il posto all'ordine costruito, e non soltanto in medicina. L'[[etica]] dei valori soppianta quella del bene e del male: la sicurezza del sapere declassa la verità così come nella musica l'ascolto della consonanza, che poteva rivelare l'armonia cosmica, scompare sotto l'effetto dell'acustica, una scienza che insegna come far sentire le curve sinusoidali nel registro di mezzo. Questa trasformazione del medico che ascolta una lagnanza in medico che assegna una patologia arriva al suo punto culminante dopo il [[1945]]. Si induce il paziente a guardare stesso attraverso il diagramma sanitario; ad assoggettarsi, nel senso letterale del termine, a un'autopsia: vedere stesso con i propri occhi. Questa autovisualizzazione lo indurrà a rinunciare a sentirsi. Le radiografie, le tomografie e la stessa ecografia degli anni 70 lo aiutano a identificarsi con le tavole anatomiche che da bambino vedeva appese alle pareti delle aule scolastiche. La visita medica serve così alla disincarnazione dell'ego.


== L'inumano numerico ==
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[[Categoria:Medicina]]
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