Il Risveglio Anarchico: differenze tra le versioni

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[[File:Le revéil anarchiste-il riveglio anarchico.jpg|thumb|300 px|Il Risveglio Anarchico]]Il '''Risveglio Anarchico / Le Révéil Anarchiste''' è stato un [[stampa anarchica|periodico anarchico]] bilingue (italiano e francese). Diretto da [[Luigi Bertoni]] è stato l'organo di riferimento dell'[[anarchismo svizzero|movimento anarchico svizzero]]. <ref>Articolo in gran parte estratto dalla voce dedicata a [[Luigi Bertoni]] nel ''Dizionario biografico degli anarchici italiani''</ref>
'''''Il Risveglio Anarchico''''' / '''''Le Révéil Anarchiste''''' è stato un [[stampa anarchica|periodico anarchico]] bilingue (italiano e francese). Diretto da [[Luigi Bertoni]], è stato l'organo di riferimento dell'[[anarchismo svizzero|movimento anarchico svizzero]].
== Storia del "Risveglio/Révéil" ==
[[File:Luigi Bertoni.jpg|thumb|left|180 px|[[Luigi Bertoni]]]]
Il bimensile «Il Risveglio Anarchico» fu fondato nel luglio [[1900]] a Ginevra ed era inizialmente redatto da esuli italiani, poi dagli immigrati in [[Svizzera]]; la [[stampa anarchica|rivista]] si rivolgeva alla numerosa comunità di immigrati italiani. Contemporaneamente nacque anche «Le Réveil socialiste anarchiste», che si avvaleva della collaborazione di alcuni anziani di anarchici romandi. Il redattore responsabile dei due periodici, organi ufficiali del [[movimento anarchico]] in [[Svizzera]], era [[Luigi Bertoni]], nei primi anni con la collaborazione regolare degli emigrati italiani Barchiesi, [[Mario Bassadonna]], [[Vivaldo Lacchini]], [[Nino Samaja]], [[Antonio Cavallazzi]], [[Pietro Tempia]] e [[Felice Mezzani]] (dalla [[Francia]]) e degli svizzeri Gross, [[Jean Wintsch]], [[Eugène Steiger]] e soprattutto [[Georges Herzig]].


Il [[stampa anarchica|periodico]], che fino al [[1910]] era un quindicinale bilingue (ma dal [[1905]] al [[1908]] divenne settimanale), si trasformò poi in due quindicinali distinti, con tiratura totale di 4.000 copie.
== Storia ==
[[File:Luigi Bertoni.jpg|thumb|left|250px|[[Luigi Bertoni]]]]
[[File:Ris1.jpg|thumb|500px|La testata de '''''Il Risveglio Socialista Anarchico''''' del [[7 luglio]] del [[1900]] (primo numero).]]
[[File:Ris2.jpg|thumb|500px|La testata de '''''Il Risveglio Comunista Anarchico''''' del [[1° maggio]] [[1913]].]]
[[File:Ris3.jpg|thumb|500px|La testata de '''''Il Risveglio Anarchico''''' del [[1° maggio]] [[1926]].]]
'''''Il Risveglio Socialista Anarchico''''' / '''''Le Réveil Socialiste Anarchiste''''' fu fondato il [[7 luglio]] del [[1900]] a Ginevra ed era inizialmente redatto da esuli italiani, poi dagli immigrati in [[Svizzera]]; la [[stampa anarchica|rivista]] si rivolgeva alla numerosa comunità di immigrati italiani, col proposito «di compiere un doppio lavoro: partecipare in maniera costante all'organizzazione economica, all'educazione sociale e alla propaganda fra gli operai italiani emigrati nei paesi d'Europa; contribuire alla propaganda [[socialista]] [[anarchica]] in [[Italia]] a mezzo di libri ed opuscoli e commentando, senza le reticenze imposte dal fisco, la situazione attuale del regno». <ref>''Dopo un anno'', a. II, n. 15, del 20 luglio 1901.</ref>


Nel corso degli anni la testata subì alcuni mutamenti: nato come ''Il Risveglio [[socialista]] anarchico'', dal [[1913]]-[[1914]] assunse il titolo di «Il Risveglio comunista anarchico/Le Révéil comuniste anarchiste». Nel [[1925]], per eliminare qualsiasi ambiguità rispetto al termine "comunista", assunse la testata di «Il Risveglio anarchico\ Le Révéil anarchiste». In questa fase [[Carlo Frigerio]] e [[Carlo Vanza]] furono alcuni dei principali collaboratori.
Contemporaneamente nacque anche ''Le Réveil Socialiste Anarchiste'', che si avvaleva della collaborazione di alcuni anziani di [[anarchici]] romandi. Il redattore responsabile dei due periodici, organi ufficiali del [[movimento anarchico]] in [[Svizzera]], era [[Luigi Bertoni]], nei primi anni con la collaborazione regolare degli emigrati italiani [[Lavinio Barchiesi]], [[Mario Bassadonna]], [[Vivaldo Lacchini]], [[Nino Samaja]], [[Antonio Cavallazzi]], [[Pietro Tempia]] e [[Felice Mezzani]] (dalla [[Francia]]) e degli svizzeri [[Jacques Gross]], [[Jean Wintsch]], [[Eugène Steiger]] e soprattutto [[Georges Herzig]].
[[File:Pietro Ferrua.jpg|thumb|200px|[[Pietro Ferrua]]]]
Non contrario all'[[organizzazioni anarchiche|organizzazione anarchica]], ''Il Risveglio'' fu attivamente affianco delle lotte del [[movimento operaio]] svizzero, pur entrando in polemica con sia con l'anarcosindacalismo e sia con i socialisti dell'''Avvenire del lavoratore'', diretto da [[Giacinto Menotti Serrati]]. Allo scoppio della prima guerra mondiale si schierò contro gli interventisti anarchici del [[Manifesto dei Sedici]] e vicino agli [[antimilitarismo|antimilitaristi]] europei ed in seguito contro la deriva autoritaria [[bolscevismo|bolscevica]] in [[rivoluzione russa|Russia]] e la possibilità di costituire un fronte unico rivoluzionario contro il [[fascismo]] e il [[nazismo]].


== Fine delle attività e tentativi di ristampa ==
Nel [[1910]] il [[stampa anarchica|periodico]], quindicinale bilingue (settimanale dall'[[8 luglio]] [[1905]] al [[22 agosto]] [[1908]]), si trasformò in due quindicinali distinti, con tiratura totale di 4.000 copie.
Il [[24 agosto]] [[1940]] comparve l'ultimo ultimo numero della rivista a causa della repressione istituzionale, ma altri numeri usciranno clandestinamente in formato opuscolo fino al [[1946]] con la dicitura ''Quelque part en Suisse''. Dal [[1947]] al [[1950]] sono [[Carlo Frigerio]] e [[Alfred Amiguet]] a provare a rilanciare la rivista, ma per problemi vari devono interrompere le pubblicazioni.


In seguito, a partire dal [[1957]], l'anarchico ed [[obiettore di coscienza]] italiano [[Pietro Ferrua]], insieme a [[Caludio Cantini]] e allo stesso Frigerio, provò a ridare alle stampe la rivista, ma la pubblicazione fu possibile portarla avanti tra mille difficoltà solo per tre anni. A questo punto la rivista cessò definitivamente di essere editata.
Nel corso degli anni la testata subì alcuni mutamenti: dal [[1° maggio]] [[1913]] assunse il titolo di '''''Il Risveglio Comunista Anarchico''''' / '''''Le Révéil Comuniste Anarchiste'''''. Il [[1° maggio]] [[1926]], per eliminare qualsiasi ambiguità rispetto al termine "comunista", assunse la testata '''''Il Risveglio Anarchico''''' / '''''Le Révéil Anarchiste'''''. In questa fase [[Carlo Frigerio]] e [[Carlo Vanza]] furono alcuni dei principali collaboratori.
 
Non contrario all'[[organizzazioni anarchiche|organizzazione anarchica]], ''Il Risveglio'' fu attivamente a fianco delle lotte del [[movimento operaio]] svizzero, pur entrando in polemica con sia con l'[[anarcosindacalismo]] sia con i [[socialisti]] dell'''Avvenire del lavoratore'', diretto da [[Giacinto Menotti Serrati]]. Allo scoppio della Prima guerra mondiale si schierò contro gli interventisti [[anarchici]] del [[Manifesto dei Sedici]] e vicino agli [[antimilitarismo|antimilitaristi]] europei ed in seguito contro la deriva autoritaria [[bolscevismo|bolscevica]] in [[rivoluzione russa|Russia]] e la possibilità di costituire un fronte unico [[rivoluzionario]] contro il [[fascismo]] e il [[nazismo]].
 
=== Fine delle attività e tentativi di ristampa ===
Il [[24 agosto]] [[1940]] comparve l'ultimo ultimo numero della rivista a causa della repressione istituzionale (un decreto del Consiglio Federale, sollecitato dal procuratore generale della Confederazione) <ref>La nuova disposizione liberticida delle autorità elvetiche, non era giunta inaspettata, tanto che [[Luigi Bertoni|Bertoni]], licenziando alle stampe l'ultimo numero del suo giornale scriveva di non farsi in proposito «la più lontana illusione», dichiarando, al tempo stesso, che in ogni caso non avrebbe rinunciato al suo diritto alla libertà di parola (cfr. ''Dopo 650 anni di libertà leggendarie'', n. 1054, del 24 agosto 1940).</ref>, ma altri numeri uscirono clandestinamente in formato opuscolo fino al [[1946]] con la dicitura '''''Quelque part en Suisse'''''; l'ultima «brochures», la n. 148, uscì alla vigilia della morte di [[Luigi Bertoni|Bertoni]], avvenuta a Ginevra il [[19 gennaio]] [[1947]].
 
Dal maggio del [[1947]] all'agosto del [[1950]] furono [[Carlo Frigerio]] e [[Alfred Amiguet]] a provare a rilanciare la rivista, ma per problemi vari dovettero interrompere le pubblicazioni (riuscirono a pubblicarne 25 numeri).
 
In seguito, fra il gennaio del [[1957]] e il dicembre del [[1960]], l'[[anarchico]] ed [[obiettore di coscienza]] italiano [[Pietro Ferrua]], insieme a [[Caludio Cantini]] e allo stesso [[Carlo Frigerio|Frigerio]], provò a ridare alle stampe la rivista, ma fu possibile portare avanti la pubblicazione, tra mille difficoltà, solo per tre anni, con l'apparizione, stentata e saltuaria, di poco più che una ventina di numeri. A questo punto la rivista cessò definitivamente la sua attività.
 
== Pensiero <ref>Fonte principale: [[Leonardo Bettini]], ''[https://bettini.ficedl.info/article880.html Bibliografia dell'anarchismo]''</ref> ==
L'organo ginevrino seppe mantenere, per tutta la durata delle pubblicazioni, una impostazione di estrema coerenza con la propria linea programmatica, che si richiamava alla vecchia tradizione internazionalista dei [[giurassiani]], di cui si considerava, d'altronde, l'erede ed il diretto continuatore:
:«Quando abbiamo fondato ''Il Risveglio'' - ebbe modo di puntualizzare la redazione, rispondendo alla domanda di un lettore - fu con l'intenzione ben precisa di risvegliare il vecchio [[movimento anarchico]], come era già stato compreso da [[Bakunin|Bakounine]], [[Adhémar Schwitzguébel|Schwitzguebel]] e [[James Guillaume|Guillaume]] prima, da [[Élisée Reclus|Reclus]], [[Kropotkin|Kropotkine]] ed altri ancora dopo di loro». <ref>Cfr. nel n. 243, del 28 novembre 1908, la rubrica ''Domande e Risposte''.</ref>
 
Di tale condotta, mantenuta nonostante il «deviazionismo» di alcuni fra i più prestigiosi collaboratori del giornale (basti pensare alla posizione interventista di [[Kropotkin]], durante la Prima guerra mondiale), [[Luigi Bertoni|Bertoni]] potè a buon diritto vantarsi molti anni più tardi, quando, rispondendo a un attacco polemico, mossogli dalle colonne de ''[[L'Adunata dei Refrattari]]'', scrisse:
:«Ahimè! Abbiamo dovuto rompere coi [[James Guillaume|Guillaume]], coi [[Kropotkin|Kropotkine]], con altri, a cui ci legavano da anni stima ed affetto, e lo abbiamo dolorosamente, ma recisamente fatto. Quando [[James Guillaume|Guillaume]] volle farci ammettere per [[anarchismo]] il [[sindacalismo]] della famosa [[Confédération_Générale_du_Travail|C.G.T. francese]], rispondemmo no; quando [[René Chaugui|Chaugui]] ed altri dei ''[[Les Temps Nouveaux|Temps Nouveaux]]'' ci vollero far ingoiare la candidatura antiparlamentare [[Alceste De Ambris|De Ambris]] dicemmo loro di tenersela per proprio conto; quando il ciarlatano [[Gustave Hervé|Hervé]], popolarissimo fra i compagni francesi, ci capitò a Ginevra, gli dicemmo sul muso pubblicamente la verità... E l'enumerazione potrebbe continuare». <ref>''Una cattiva azione'', suppl. al n. 748, del 7 luglio 1928.</ref>
 
=== Il problema organizzativo ===
Erede, come detto, di una vecchia tradizione di stampo [[internazionalista]] e [[bakuniniano]], ''Il Risveglio'' vi si attenne anche per quanto concernevano gli schemi organizzativi (non a caso, ripubblicherà in opuscolo, nel [[1914]], lo scritto di [[Bakunin]] su ''L'Organisation de l'Internationale''), senza lasciarsi minimamente influenzare da quel clima di infatuazione [[nietzschiana]] e [[neostirneriana]] che caratterizzò l'[[anarchismo]] italiano durante l'epoca giolittiana:
:«Lo scopo dell'organizzazione è anzitutto di creare un ambiente nostro per una propaganda ed un'azione nostra. Gli [[antiorganizzatori]] quel che fanno lo debbono organizzare a un dipresso come noi, e più un'organizzazione è individuale, più evidentemente è autoritaria, non lasciando ai cooperatori indispensabili che di fornire denaro e attività in una evidente posizione di dipendenza, volontaria fin che si vuole, ma che non sopprime perciò la realtà stessa della dipendenza. Come è pura metafisica considerare l'[[individuo]] a sé e in sé [...] così va considerato l'uomo come membro di una data [[società]] e in tutti i suoi rapporti con essa. L'isolato si troverà a non contare più nulla o a subire suo malgrado dei successivi assorbimenti d'altri ambienti in mancanza d'un proprio. Più gli [[anarchici]] sono capaci di cooperazione e di [[solidarietà]] fra loro e più potranno salvaguardare la loro individualità e caratteristica d'[[anarchici]], senza contare che l'unione - unione attiva, intendiamoci bene - fa la forza non solo materialmente, ma ancor più moralmente». <ref>''Alcune spiegazioni'', suppl. al n. 716, del 16 aprile 1927 (in polemica con un gruppo [[antiorganizzatore]] del nordamerica.</ref>
 
In altra occasione, alla tesi sostenuta dagli [[anarco-individualisti|individualisti]], che associazione è sinonimo di autoritarismo, il giornale ebbe modo di ribattere che, al contrario:
:«[...] si può esercitarne uno grandissimo all'infuori d'ogni aggruppamento [...]. Diremo di più. In mancanza d'organizazzione, l'autoritarismo è inevitabile. Il compagno più capace o intraprendente mette gli altri in presenza d'una sua iniziativa già presa, e non hanno tempo né modo di discuterla. Non resta loro che appoggiarla incondizionatamente [...]. Sono appunto gli autoritari che negano la possibilità d'un'unione senza capi, e certi compagni nostri vengono indirettamente a dar loro ragione col terrore che dimostrano per ogni qualsiasi intesa un po' allargata». <ref>Cfr. ''In tema d'organizzazione'' (risposta della redazione a un intervento di «Prometeo»), n. 599, del 14 ottobre 1922. Cfr. altresì ''Vecchio tema'', n. 608, del 10 febbraio 1923; ''Per uno schiarimento'', n. 610, del 10 marzo 1923; ''Vecchio tema'', n. 653, dell'8 novembre 1923. Una chiara sintesi della concezione [[bertoniana]] dell'organizzazione (compresa «l'organizzazione sindacale - sulla quale sono più che mai divisi gli organizzatori stessi - e l'organizzazione, chiamiamola così, politica»), si ritrova, comunque, nel lungo scritto ''Anarchia e Associazione'', pubblicato a puntate sul suppl. ai n. 753, 754 e 755, rispettivamente del 22 settembre, 6 e 20 ottobre 1928, nel quale vengono altresì denunciate, come antianarchiche, le formule e gli eccessi organizzativi degli «arscinovisti»: «I compagni russi che hanno fatto la dolorosa esperienza di una rivoluzione, hanno sentito talmente la mancanza di un'organizzazione [...] dal volerne una anche in contraddizione coi principi anarchici». Per le posizioni di [[Luigi Bertoni|Bertoni]] nei confronti dell'[[individualismo anarchico]], si veda, infine, l'articolo ''Metafisca dell'Individualismo'', pubblicato in «Pensiero e Volontà» (Roma), a. II, n. 1 (1 gennaio 1925), pp. 6-7.</ref>
 
In sintesi, gli schemi organizzativi sostenuti da ''Il Risveglio'', possono essere considerati, a partire dagli anni '20, sostanzialmente conformi a quelli formulati dal'[[Unione Anarchica Italiana]], anche se a tale organismo il foglio ginevrino non fece mai atto di formale adesione, onde evitare dissensi e possibili spaccature all'interno del movimento italo-elvetico. Tale, almeno, la giustificazione più tardi addotta dallo stesso [[Luigi Bertoni|Bertoni]], quando, costretto a una nuova presa di posizione sulla spinosa questione, ebbe modo di precisare che:
:«Se io avessi proposto ai compagni della [[Svizzera]] un'adesione in blocco all'[[Unione Anarchica Italiana]], avrei sollevato opposizioni, attriti, divisioni; risposi dunque che senza adesione formale, l'[[U.A.I.]] ci tenesse al corrente di tutta l'azione sua, che noi l'avremmo volta per volta appoggiata, facendo, se del caso, controproposte o proposte originali nostre. Il risultato era identico, trattandosi di aggruppamenti lontani e non aventi sede in una città o borgata italiana, dove già esistesse una sezione dell'UAI». <ref>''Dibattito vano'', n. 885, del 4 novembre 1933.</ref>
 
=== Sindacalismo ===
Per quanto favorevole ad un'attiva partecipazione [[anarchica]] alle lotte ed alle rivendicazioni operaie, il periodico non si lasciò mai invischiare nell'ingranaggio [[sindacale]], di cui intravvide, fin dall'inizio, i pericolosi limiti riformisti. Fin dai primi numeri, i redattori avevano infatti chiarito che:
:«Noi non siamo dei riformisti, ma siamo dei [[rivoluzionari]]. Tariffe locali e regionali, cassa di disoccupazione, di resistenza, di viatico, minimo di salario, diminuzione d'orario ecc., non hanno per noi che un'importanza relativa e sono d'altronde questioni difficili a trattare in linea generale, perché la loro soluzione dipende da un cumulo di circostanze particolari che variano assai secondo i paesi e secondo le professioni. Col dire ai compagni: ''Sindacatevi!'' non intendiamo certo consigliar loro di accettare il salariato. Vogliamo solo col migliorare le condizioni nella misura del possibile, poter quindi disporre di maggiori forze per abbatterlo». <ref>''Gli anarchici e i sindacati'', a. I, n. 7, del 29 settembre 1900.</ref>
 
Tali vedute non significavano, tuttavia, la rinuncia a un intervento nelle lotte e nell'azione organizzata dalla classe lavoratrice, tanto che alcuni anni più tardi, rispondendo a un lettore che chiedeva se «un anarchico non dovrebbe agire individualmente senza ricorrere ad un sindacato, il cui statuto e le cui decisioni rappresentano una nuova legge», il foglio ginevrino, meglio chiarendo la propria posizione, affermava che:
:«Con o senza l'adesione degli [[anarchici]], il [[sindacato]] si forma ed intraprende un dato movimento. Possiamo disinteressarcene? No. Per influire sulla sua linea di condotta, saremo noi meglio in grado di farlo dentro o fuori del [[sindacato]]? La risposta non può essere dubbia. Membri del [[sindacato]] potremo controllarne e seguirne l'opera giorno per giorno, darle una certa direzione, fare intendere la nostra voce d'incoraggiamento o di protesta secondo i casi. Non appartenendovi, ci troveremo il più delle volte in faccia di decisioni già prese, che sarà ben difficile modificare. Quei benedetti statuti che paiono spaventare assai molti compagni, in realtà non contano gran cosa e, col sottrarsi ad essi, non ci si sottrae poi a certi contratti di lavoro, che siamo costretti di subire, a meno d'intenderci col padrone contro altri operai». <ref>Cfr. sul n. 256, del 5 giugno 1909, la rubrica ''Domande e Risposte''.</ref>
 
La concezione [[bertoniana]] del [[sindacalismo]] è meglio chiarita, tuttavia, in una serie di scritti polemici contro la posizione riformista del gruppo francese della ''Vie ouvrière'' ([[Pierre Monatte|Monatte]]-[[Alfred Rosmer|Rosmer]]) e la troviamo riassunta nel testo di una conferenza tenuta da [[Luigi Bertoni|Bertoni]] a Parigi il [[28 gennaio]] [[1914]] (poi pubblicata, col titolo '''''Notre syndicalisme''''', nella parte francese de ''Le Réveil'', n. 377, del [[7 febbraio]] [[1914]] e seguenti). I «mezzi e lo scopo del [[sindacalismo]]» vi erano così sintetizzati: <ref>''Notre syndicalisme'', n. 380, del 21 marzo 1914.</ref>
* «1. Realizzare la più netta separazione possibile fra sfruttati e sfruttatori, per rendere la lotta più estesa, più intensa e più manifesta [...]».
* «2. Opporsi ad ogni intromissione ed alle direttive date dal di fuori, non creando dei poteri centrali e distinguendo nettamente il [[sindacato]] da ogni partito politico. Ogni controparola o segnale d'azione deve provenire dalla stessa assemblea e non deve presentarsi come l'imposizione di una qualsivoglia autorità».
* «3. Il principio dell'azione diretta deve essere applicato sempre ed ovunque dagli stessi interessati e devono essere evitate il più possibile le rappresentanze e le deleghe di potere [...]».
* «4. Costituzione di un organismo, assolutamente indipendente dall'organismo [[statale]] e da tutte le istituzioni borghesi, che si opponga ad ogni intervento legale, rifiutando ogni sovvenzione ufficiale e combatta, soprattutto, la tendenza ad affidare delle nuove funzioni allo [[Stato]]. Questo perchè l'organizzazione operaia si realizza a misura che l'organizzazione statale perde d'importanza e diviene inutile mano a mano che il lavoro prende il posto del potere, dell'officina e del governo [...]».
* «5. Fondare una morale nuova, basata sul lavoro, la funzione più importante della vita, e sviluppare il senso di responsabilità di fronte al mestiere che esercitiamo, delle faccende che compiamo tutti i giorni. Denunciare anche il lavoro antisociale, quello cioè che nuoce ai nostri simili e che ci viene imposto al fine di mantenere l'attuale stato di miseria, di oppressione e di sfruttamento».
* «6. Formulare un diritto nuovo, per sviluppare nei lavoratori la coscienza sempre più netta della loro inferiorità e pertanto d'indegnità, contro la quale essi sono chiamati a rivoltarsi per ottenere con l'uguaglianza di fatto, il benessere e la [[libertà]]. Non si tratta, ben inteso, di un diritto scritto, ma della rivendicazione pratica per tutti dei beni e dei godimenti riservati oggi a pochi privilegiati».
 
=== La Prima guerra mondiale ===
Al profilarsi della minaccia della conflagrazione europea, di cui l'organo [[anarchico]] denunciò, fra i primi, l'incombente pericolo (rivelerà, poi, di avere ricevuto, in anteprima, notizie e documentazioni da [[Kropotkin]], «conoscitore profondo delle rivalità fra gli [[Stati]] e sovente bene informato in materia d'intrighi diplomatici» <ref name="SB">Crf. ''Spieghiamoci bene'', n. 477, del 4 novembre 1916.</ref>). Di fronte all'urgenza ed alla gravità del problema, balzato sull'orizzonte politico internazionale, il periodico dovette pertanto accantonare i temi usuali della propaganda, per impegnarsi a fondo nella campagna contro la guerra, sollecitando il proletariato internazionale a boicottare la corsa agli armamenti delle potenze belligeranti ed a troncare le mire guerraiole della borghesia, ricorrendo allo sciopero generale:
:«La preoccupazione della guerra divenuta anche per noi la maggiore di tutte - scriverà più tardi [[Luigi Bertoni|Bertoni]] <ref name="SB"></ref> - sentimmo essere puerile quasi l'affannarsi troppo per le conquiste [[sindacali]], poiché tanta minaccia incombeva su tutti i proletari. E da allora lanciammo il grido d'allarme: ''O la rivoluzione o la guerra!'' e su questo dilemma abbiamo imperniata tutta la propaganda orale e scritta».
 
In realtà, già verso la fine del [[1912]], l'organo [[anarchico]] aveva lanciato la parola d'ordine «lo sciopero generale prima della guerra», perché - affermava - «una volta la mobilitazione annunciata, la generale battuta, l'allarme dato, gli ordini di marcia spediti, l'opinione pubblica soggiogata, il proletariato non sarà più in grado di riparare al mal fatto». <ref>''La Guerra'', n. 344, del 26 ottobre 1912.</ref>
 
Scoppiato il conflitto, ''Le Réveil'' - uscito in quel periodo nella sola edizione francese - lanciò il manifesto '''''Au Prolétariat International''''' (''Al Proletariato Internazionale'') <ref>Numeri 397 e 398, del 14 e 28 novembre 1914.</ref>, perché alla guerra che è «la rottura borghese della legalità interstatale», questi opponesse «la Rivoluzione, la rottura proletaria internazionale contro tutte le leggi del privilegio e dell'oppressione in nome della giustizia, nell'interesse di tutti».
 
La posizione di intransigente antibellicismo (non neutralismo, come è sovente precisato, «perché il neutralismo [[statale]] non è e non può essere che una menzogna, e poi perché abbiamo in mediocre stima quei pacifisti che non vogliono colpita la guerra nelle sue due profonde cause: il [[capitale]] e lo [[Stato]]») venne sostenuta, senza tentennamenti, durante tutti gli anni in cui perdurò il conflitto.
Particolarmente vivace, fu lo scontro polemico sostenuto dal giornale contro la deviazione interventista di quelle frangie di sovversivi - fra cui [[Jean Wintsch]], [[Jean Grave]] e lo stesso [[Kropotkin]] - che, «vinti dalla febbre della guerra», si erano pronunciati per una partecipazione [[anarchica]] a favore della triplice alleanza franco-anglo-russa, sostenendo ch'era una necessaria difesa contro il dispotismo tedesco e un mezzo per abbattare il militarismo. <ref>Vedi ad esempio, ''Ai guerrafondai sedicenti sovversivi'', n. 418, 419 e 420, dell'11 e 25 settembre e 9 ottobre 1915, nonché la risposta di [[Luigi Bertoni|Bertoni]] (''Soldats ou insurgés'', n. 401, del 9 gennaio 1915) alle posizioni di [[Jean Grave]], che andava sostenendo che «se è vero che tutti i governi sono uguali, non è meno vero che l'autorità del vincitore è più difficile da sopportare, ché è un forte aggravamento dell'autorità semplice» (''Il n'y a pas d'absolu'', n. 400, del 26 dicembre 1914). Per la più benevola posizione del giornale nei confronti di [[Kropotkin]] - che, come noto, era stato uno dei firmatari del «[[Manifesto dei Sedici]]» - e spiegabile per i sentimenti di amicizia e di stima che da anni legavano [[Luigi Bertoni|Bertoni]] al vecchio rivoluzionario russo, vedi, invece, ''Spieghiamoci bene'', n. 477, del 4 novembre 1916.</ref>
 
=== La polemica antibolscevica ===
Dopo la fine del conflitto mondiale, l'attenzione degli ambienti [[rivoluzionari]] era stata ovviamente polarizzata dagli eventi della Russia [[bolscevica]]. Poco incline a condividere gli entusiasmi e l'eccessivo ottimismo, generalmente espresso da tutte le correnti rivoluzionarie, compresi alcuni [[anarchici]], nei confronti della nuova realtà sovietica, il foglio ginevrino si pronunciò subito contro «la dittatura del proletariato», perché contraria - affermava - ai principi del [[socialismo]] e perché tale formula «significa in realtà [...] delegazione di potere a qualche [[individuo]] che deve agire nell'interesse del proletariato». <ref>Cfr. F. P. ([[Francesco Porcelli]]), ''Anarchia e Dittatura'', n. 510, del 5 aprile 1919 (lo scritto esprimeva la posizione redazionale, dal momento che [[Francesco Porcelli|Porcelli]] sostituiva all'epoca, [[Luigi Bertoni|Bertoni]], in carcere dal [[1918]], per il caso delle «bombe di Zurigo»; in tal senso, d'altronde, lo stesso [[Luigi Bertoni|Bertoni]] lo rivendicherà, più tardi, pienamente, ripubblicandolo sul n. 554, del 25 dicembre 1920, con la precisazione che l'articolista aveva definito «subito in modo concludente la nostra posizione»).</ref>
 
Da critico, l'atteggiamento del giornale nei confronti del [[bolscevismo]] divenne apertamente ostile non appena fu chiara la politica di repressione condotta dal nuovo regime sovietico contro tutte le forze [[rivoluzionarie]], di fede non [[bolscevica]]: <ref> Vedi, ad esempio, ''Documenti rivoluzionari'', n. 529, del 3 gennaio 1920; ''Involuzione bolscevica'', n. 532, del 14 febbraio 1920.</ref>
:«L'errore di alcuni [[anarchici]] - si legge, in particolare, in una postilla redazionale a una corrispondenza di «Numitore» ([[Leonida Mastrodicasa]]) - fu di non aver subito attaccato con vigore la dittatura sedicente [[rivoluzionaria]], conformemente al programma elaborato da più di cinquant'anni. Ora non c'è possibilità d'accordo coi capi neo-comunisti [...]. I giacobini della [[rivoluzione russa]] si sono ormai trasformati essi stessi in termidoriani per rimanere al potere». <ref>''Per la rivoluzione'', n. 577, del 26 novembre 1921.</ref>
 
La frattura coi [[comunisti]] era, a questo punto, chiaramente irreparabile. L'intolleranza [[bolscevica]] aveva d'altronde confermato, alla prova dei fatti, l'inconciliabilità - sia nei mezzi che nei fini - di due opposte concezioni del [[socialismo]]; ed in pratica si lasciava interpretare come un serio avvertimento a diffidare, anche in avvenire, di possibili accordi, per quanto temporanei, con le forze [[marxiste]], se questi si fossero ripresentati in vista di nuove esperienze rivoluzionarie. Più che mai significativa è, d'altronde, la decisione presa al convegno di Zurigo del [[4 luglio|4]]-[[5 luglio]] [[1925]], di sopprimere dalla testata del giornale la parola "comunista", onde non lasciare dubbi sull'assoluta autonomia del programma politico portato avanti dall'organo ginevrino ed evitare, per il futuro, l'insorgere di pericolosi malintesi:
:«[[Malatesta]] - si legge nel resoconto post-congressuale - aveva accennato lui pure alla necessità di dirci ormai semplicemente [[anarchici]], a scanso di ogni equivoco. Per esserci detti, noi soli, comunisti, durante quasi mezzo secolo, quando gli stessi [[Marx]] ed Engels, senza contare poi [[Lenin]], non si dicevano più tali, potremmo insistere a rivendicare la qualità di comunisti, ma non ne risulterebbe che un grave danno per noi [...]. Oggi che il comunismo significa per i più la dittatura di [[Stato]] di un partito che lo rivendica, anche se non vuole in fondo che aggiungere al [[capitalismo]] privato un [[capitalismo]] di [[Stato]] sempre più potente, col dirci comunisti la massa ignara di storia e di dottrina potrebbe farsi il più falso concetto dell'[[anarchismo]] o magari rimproverarci le più incredibili contraddizioni». <ref>''Il nostro Convegno'', supplemento al n. 672, del 31 luglio 1925. Crf. anche la lettera di [[Luigi Bertoni|Bertoni]] a [[Emilio Grassini]], in data 2 gennaio 1947, pubblicata in ''[[L'Adunata dei Refrattari]]'' (New York) del 17 ottobre 1964, p. 3.</ref>
 
È da ritenersi pertanto corretta e conforme a questa linea di pensiero (e non «purezza dottrinaria» o «coerenza di principi» per partito preso), la posizione assunta dal giornale nei confronti di quella corrente di [[anarchici]] « terzointernazionalisti » che sosteneva l'opportunità di un «fronte unico rivoluzionario» con le forze [[marxiste]] <ref>Crf. nel n. 528, del 20 dicembre 1919, la rubrica ''Manrovesci e battimani''.</ref>, per il pericolo insito in questo genere di coalizione, di dover abdicare ai criteri tattici e teorici dell'[[anarchismo]], «per diventare volta a volta zimmerwaldiani, kienthaliani, [[bolscevichi]], terzinternazionalisti, dittatoristi, e non sappiamo cos'altro ancora». <ref>''Unione non unità'', n. 553, del 28 febbraio 1920.</ref>
 
=== Fascismo ===
[[File:Ris4.jpg|thumb|300px|La prima pagina de '''''Il Risveglio Anarchico''''' del [[1° maggio]] [[1926]], dedicata al duce: «Mussolini: La pace sociale regna e le opposiziani sono polvere vile».]]
Già con l'avvento al potere di Giolitti («voluto da quanti sperano in lui per soffocare le ribellioni popolari» <ref>Crf. ''Pugno di ferro'', n. 542, del 3 luglio 1920.</ref>), l’organo [[anarchico]] non aveva nascosta la sua preoccupazione per l'involuzione reazionaria della politica italiana. In realtà, nell'arco di pochi mesi, la breve stagione rossa del proletariato italiano potè dirsi a tutti gli effetti conclusa, con la più completa sconfitta delle forze operaie e il deciso contrattacco della borghesia, reso più grave dalla complice acquiescenza del Partito Socialista, di cui ''Il Risveglio'' criticò, senza mezzi termini, l'atteggiamento «[[tolstoiano]]» e la politica di incertezze e di compromessi. Di fronte alla progressiva recrudescenza delle [[violenze]] squadriste, la redazione ginevrina del giornale non esitò, al contrario, a sollecitare un'energica risposta popolare alle provocazioni [[fasciste]], quale unica alternativa possibile, per stroncare sul nascere le mene reazionarie in atto; e invitò, al tempo stesso, a diffidare da eventuali interventi legali contro la criminalità [[fascista]], la quale «se non ufficiale e legale, è per lo meno ufficiosa e al servizio d'un potere»:
:«Per conto nostro - scriveva la redazione, commentando i fatti di Sarzana del 21 luglio 1921 - diciamo apertamente che non solo ogni trattativa di pace coi [[fascisti]] ci ripugna, ma che non desideriamo affatto che sia la forza [[statale]] a farla finita col [[fascismo]]. È indispensabile che questo finisca per insurrezione e furore di popolo. Altrimenti è facile prevedere quel che accadrà». <ref>''Dopo Sarzana'', n. 570, del 6 agosto 1921. Si consultino anche gli scritti: ''La violenza'' (dal n. 566, dell'11 giugno 1921 al n. 569, del 23 luglio 1921) e ''L'Esplosione'', n. 561, del 2 aprile 1921 (in difesa degli [[Strage del Teatro Diana|attentatori del Diana]]).</ref>
 
Dopo l'avvento al potere del [[fascismo]], l'organo [[anarchico]] dovette prendere atto che, per i mutati rapporti di forza, «l'azione esterna e di piazza è in certa misura ben ardua» <ref>Crf. ''Sul momento attuale'', n. 605, del 30 dicembre 1922.</ref>; e, in vista di una lotta che si presentava a più lunga scadenza, rielaborò il proprio atteggiamento tattico, in base ad alcune direttive d'indole generale, che troviamo così formulate:
:«Isolare il [[fascismo]], togliere ogni fiducia in una soluzione parlamentare, esercitare ogni giorno la più larga [[solidarietà]] difensiva, moltiplicare le resistenze, aumentare la pressione popolare, finché venga a scoppiare in circostanze che non mancheranno certamente». <ref>''Che fare?'', supplemento al n. 669, del 20 giugno 1925.</ref>
 
Nettissimo fu, al tempo stesso, il rifiuto de ''Il Risveglio'' per una partecipazione [[anarchica]] alla costituzione di un «Fronte Unico», in quanto - affermava - «non crediamo esista formula teorica che possa unire tutti gli [[antifascisti]]». <ref>''Lotta antifascista'', supplemento al n. 699, del 21 agosto 1926.</ref> Un anno più tardi, rispondendo a un appello lanciato dalle colonne de l'''Avanti!'' dalla direzione del Partito Socialista, a comunisti, republicani ed [[anarchici]], «per l'unità proletaria nella lotta [[antifascista]]», replicava che gli [[anarchici]] non possono aderirvi, perché:
:«[...] è evidente che l'accordo non può farsi che per determinati atti, il cui sviluppo sarà quel che sarà, secondo circostanze ed opportunità, forze e possibilità, ma sarebbe assurdo esigere da chiunque di rinunciare ad influire sugli avvenimenti in senso proprio, soprattutto quando si tratta, come nel caso nostro, di salvaguardare la maggiore [[libertà]] per tutti [...]. I gruppi senza confondersi e seguendo ciascuno il proprio cammino possono convergere tutti contro il [[fascismo]] [...]. L'azione [[insurrezionale]] deve partire dai più diversi punti della periferia e non da un centro, quasi sempre esitante e ritardatario». <ref>Vedi, sul supplemento al n. 713, del 5 marzo 1927, la rubrica ''Manrovesci e Battimani'', nonché, sullo stesso numero, l'intervento di C. B. ([[Camillo Berneri]]) ''L'Antifascismo in Francia. Il fronte unico''.</ref>
 
=== La [[rivoluzione spagnola]] ===
Con le dimissioni di Primo De Rivera e la caduta della monarchia ([[1931]]), l'attenzione dei redattori dell'organo ginevrino cominciò a rivolgersi agli avvenimenti spagnoli, tanto che a partire dal n. 822, del [[16 maggio]] [[1931]], ''Il Risveglio'' iniziò a pubblicare regolarmente i comunicati da Barcellona, dell'«Ufficio libertario di corrispondenza», formato, allora, da [[Pietro Bruzzi|Bruzzi]], [[Virgilio Gozzoli|Gozzoli]] e [[Emilio Castellani|Castellani]]. È, tuttavia, solo dopo il tentato colpo di mano militare del [[19 luglio]] [[1936]] che il problema spagnolo balzò al centro degli interessi del giornale, divenendone anzi il tema dominante, non appena fu possibile intuire la gravità e la reale dimensione che andava assumendo il movimento [[insurrezionale]].
 
Osservatore attento e solitamente bene informato, [[Luigi Bertoni|Bertoni]] - che nell'ottobre di quell'anno aveva anzi varcato i Pirenei, per rendersi conto di persona dello stato di cose - comprese subito che le sorti del conflitto si stavano in realtà decidendo negli ambienti della diplomazia internazionale e che esso avrebbe avuto il suo epilogo, una volta raggiunto l'accordo fra le potenze interessate. L'organo [[anarchico]] non esitò, infatti, a manifestare serie apprensioni per le conseguenze di questa colossale congiura ai danni dell'[[antifascismo]], non solo spagnolo; e a denunciare apertamente sia l'appoggio tacitamente accordato al [[franchismo]], dalla coalizione dei paesi [[capitalisti]], sia il «mostruoso equivoco» e le manovre dei dirigenti moscoviti, che «nella stupida illusione d'imbonirsi l'[[Italia]] contro la [[Germania]], [loro] dichiarata nemica», avevano chiesto, per primi, la soppressione delle sanzioni contro l'[[Italia]] [[fascista]] e dato il via a un intervento politico sempre più spudoratamente controrivoluzionario. <ref name="QS">Cfr. ''Questioni spinose'', n. 961, del 28 novembre 1936; ed anche ''La crisi catalana'', n. 963, del 26 dicembre 1936.</ref>
 
Giustificato era pertanto il pessimismo sull'esito della [[rivoluzione]] antifranchista, manifestato dal giornale in forma sempre meno larvata, fin dall'autunno del [[1936]]; ed altresì comprensibili i frequenti appelli a diffidare dell'alleanza con gli stalinisti (giacché «[[Solidaridad Obrera]] ci pare esagerare nel senso di «unione sacra» e soprattutto nell'incensare la [[Russia]]» <ref name="QS"></ref>, il cui sospetto comportamento rendeva più che mai leciti i timori di un loro repentino voltafaccia:
:«Quel che favorisce i nemici dei nostri compagni è soprattutto l'importanza presa dal Partito Comunista, che prima del [[19 luglio]] era minuscola frazione in [[Spagna]] ed ora già spadroneggia, come lo provò l'ultima crisi della Generalità catalana. I più [...] dimenticano [...] l'attitudine ambigua del [[bolscevismo]], che nel mondo intero protestava contro il blocco della [[Spagna]], mentre Litvinoff con l'aderirvi lo giustificava. E non si chiedono angosciati se da un momento all'altro non possono essere vittime di un tradimento come lo fu l'[[Etiopia]], quando la [[Russia]] per la prima propose di rinunciare alle sanzioni contro Mussolini, sanzioni che non aveva del resto mai seriamente applicate». <ref>''Vederci chiaro'', n. 966, del 3 febbraio 1937; cfr. anche ''Parliamo chiaro'', n. 961, del 28 novembre 1936.</ref>
 
Sui primi del [[1937]], comunque, per l'organo ginevrino non v'erano più dubbi che le forze controrivoluzionarie stessero per avere un netto sopravvento; sicché, dopo la caduta di Malaga ed un'ulteriore constatazione che «la guerra italo-tedesca contro la [[Spagna]] continua col tacito consenso di [[Francia]] ed [[Inghilterra]], che fingono di non vedere», [[Luigi Bertoni|Bertoni]] dovette prendere atto, con amarezza, che «la tragedia spagnola non permette più illusioni di sorta». <ref>''Guerra civile, sociale e rivoluzionaria'', n. 967, del 26 febbraio 1937.</ref> Circa tre mesi più tardi, commentando la notizia dell'assassinio di [[Camillo Berneri]], aggiungeva:
:«È inutile che i nostri compagni spagnoli tentino di diminuire l'amara verità: la controrivoluzione ha avuto un primo innegabile successo; il popolo [[rivoluzionario]] viene disarmato e la forza [[poliziesca]] del governo borghese è notevolmente accresciuta. Diciamo borghese, esclusivamente borghese, perché anche i sedicenti comunisti che lo compongono hanno espressamente dichiarato di volere far ritorno al [[capitalismo]], e di non mirare ad una [[rivoluzione]] sociale, e l'hanno provato con un ostinato lavorio di restaurazione in tutti i campi [...]. Ma fra non molto cadranno le maschere e risulterà evidente la manovra controrivoluzionaria eseguita dagli staliniani per conto proprio e del [[capitalismo]] inglese e francese». <ref>''Camillo Berneri e la Controrivoluzione'', n. 974, del 29 maggio 1937.</ref>
 
Da segnalare è altresì l'ampia documentazione fornita dal giornale, lungo questo arco di mesi, sull'andamento delle operazioni militari e corredata, per di più, da notizie di prima mano ed analisi dal vivo, della situazione, fatte pervenire dalla [[Spagna]], dai corrispondenti del foglio ginevrino (tra i più assidui, «Tranquillo» [[Giuseppe Ruozzi]] e [[Domenico Ludovici]]).
 
Interessante da seguire, per una maggiore comprensione della posizione, non solo ideologica ma anche tattica, del foglio di [[Luigi Bertoni|Bertoni]], è altresì l'intervento nella polemica scatenatasi negli ambienti libertari alla notizia che le organizzazioni [[anarchiche]] e [[anarco-sindacaliste]] avevano accettato di partecipare al governo della Generalitat di Catalogna e, quindi, a quello centrale di Madrid. All'intransigenza dell'ala «purista» che si era affrettata a scagliare anatemi contro i compagni spagnoli, il cui cedimento era stato interpretato come un'abiura all'«ideologia antistatale», ''Il Risveglio'' oppose una più serena e tollerante comprensione per l'operato dei propri correligionari - costretti ad agire, sottolineava, in condizioni del tutto particolari ed in pratica sotto la pressione di «un vero e proprio ricatto, Madrid disponendo sola d'armi e di denaro» - ma non celando, per questo, perplessità e riserve, anche sul terreno dei principi:
:«Confessiamo - si legge nel l'editoriale ''Questioni spinose'' - che si tratta di un esperimento che c'inspira seri timori, malgrado l'intera fiducia negli uomini. Sappiamo che il governo attuale di [[Spagna]] differisce assai da un governo ordinario, ma quanto avremmo preferito la partecipazone ad un semplice Consiglio di difesa, la cui esistenza è limitata al periodo di guerra».
 
Tuttavia, vi si aggiungeva, subito dopo:
:«[...] per aver visto le cose da vicino ed essere stati informati della reale situazione, noi non condanniamo i nostri saliti o piuttosto scesi [...] al potere. Necessità non ha legge. Cosa immaginare di più drammatico d'una richiesta per telefono dal fronte di munizioni, a cui non si può rispondere con l'immediato invio? E a cosa non ci si sobbarcherebbe per essere invece in grado di darvi seguito? È così che va posta la questione e non altrimenti, se non si vogliono fare delle vane dissertazioni e pronunciare invece un equo giudizio».
 
A sostegno di tali vedute, [[Luigi Bertoni|Bertoni]] aveva anche riproposto alla riflessione dei suoi oppositori il vecchio scritto di [[Malatesta]] ''Verso l'Anarchia'' ([[1910]]), ripubblicandolo sul n. 959, del [[31 ottobre]] [[1936]], con una postilla redazionale in cui si precisava che «diamo una volta di più questo penetrante articolo di [[Malatesta]] per quei compagni che rimproverano alla [[Confederación_Nacional_del_Trabajo|C.N.T.]] ed alla [[Federación_Anarquista_Ibérica|F.A.I.]] di non aver realizzato l'[[anarchia]] d'un solo colpo e che trovano inamissibili le concezioni che hanno finito per fare con gravi strappi ai principi». Costretto, dall'inasprimento della polemica, a risollevare più volte la questione, [[Luigi Bertoni|Bertoni]] ribadì, in tali occasioni, che i compagni spagnoli «hanno dovuto semplicemente cedere a mostruose necessità d'una guerra che da civile è diventata internazionale»; e che, in ultima analisi, non sussistevano alternative al mantenimento della forma statale, «voluta del resto dalla maggioranza del popolo», dal momento che «la [[Spagna]] non poteva rompere i suoi rapporti diplomatici e [[statali]] col resto del mondo, per l'ovvia ragione che facendolo il potere legittimo diventava quello di Franco». <ref>Vedi, in particolare, su questo interessante dibattito, ''Polemica'', n. 961, del 12 dicembre 1936; e ''In margine alla polemica'', n. 967, del 26 febbraio 1937.</ref>
 
== Firme illustri ==
 
''Il Risveglio'', nel corso dei suoi quarant'anni di esistenza potè fregiarsi di importanti collaborazioni internazionali.
[[File:Kropotkin.jpg|right|thumb|250px|[[Pëtr Kropotkin]]]]
Tra le firme più autorevoli, va in primo luogo ricordata quella di [[Kropotkin]], di cui ''Il Risveglio'' pubblicò, negli anni anteriori alla Grande Guerra, numerosi scritti, fra cui ''L'Anarchia'' <ref>In Appendice dal n. 1, a. I, del 7 luglio 1900, al n. 6, del 16 settembre 1900.</ref> e ''L'Azione anarchica nella rivoluzione''. <ref>Numeri 389 e 390, del 18 e 29 luglio 1914 e, quindi, dal n. 420, del 9 ottobre 1915, al n. 422, del 6 novembre 1915.</ref>
 
Da ricordare sono ancora i nomi di [[Louis Avennier]], [[François Rouge]], [[Otto Karmin]], oltre quello di [[Georges Biolley]], che durante lo sciopero generale del [[1902]], quando [[Luigi Bertoni|Bertoni]] fu condannato, s'incaricò di redigere la parte italiana del giornale. <ref>Cfr. Il necrologio di [[Georges Biolley]] sul n. 1033, del 4 novembre 1939.</ref>
 
Per restare, comunque, nel solo campo dei collaboratori italiani, si citano i nomi di [[Luigi Fabbri]] («Catilina», «Adamas»), le cui corrispondenze al giornale s'infittirono particolarmente nel corso degli anni '30 <ref>Vedi, ad esempio, ''Alcuni doveri dei rivoluzionari'' e ''Che cosa preparano Mussolini e Stalin?'', n. 789, dell'8 febbraio 1930; ''La situazione nella Repubblica Argentina'', n. 822, del 16 maggio 1931; ''La marcia del fascismo nel mondo'', n. 830, del 5 settembre 1931; ''Che cos'è il Fascismo'', n. 865, del 14 gennaio 1933; ''Teoria e volontà di libertà'', n. 866, del 28 gennaio 1933; ''Fascismo e Democrazia'', n. 883, del 7 ottobre 1933.</ref>, [[Camillo Berneri]] <ref>Vedi ''Sanfedismo e fascismo'', n. 749, del 21 luglio 1928; ''La nostra ora'', n. 770, del 18 maggio 1929; ''Interventismo e fascismo'', n. 771, del 1 giugno 1929.</ref>, [[Ugo Fedeli]] (« Hugo Trene»), [[Giuseppe Bifolchi]] («G. B.», «X»), [[Leonida Mastrodicasa]] («Numitore»), che a partire dal settembre [[1920]] inviò regolari corrispondenze al giornale, [[Carlo Frigerio]] e [[Bruno Misefari]], che profugo in [[Svizzera]], dov'era espatriato il [[19 giugno]] [[1917]] per essersi rifiutato d'indossare la divisa militare, collaborò per qualche tempo al periodico sotto lo pseudonimo di «Furio Sbarnemi». Per non parlare della collaborazione di [[Malatesta]]. <ref>Bibliografia malatestiana di [[Ugo Fedeli]], pp. 284-287 (in appendice a [[Luigi Fabbri]], ''Malatesta. L'uomo e il pensiero'', Napoli, 1951).</ref>
 
Da segnalare è anche la larga ospitalità concessa dal giornale a molti importanti lavori di carattere storico e documentario e l'ampia scelta antologica di scritti «classici» dell'[[anarchismo]]. Si segnalano, in particolare: la riproduzione dell'opuscolo di [[Francesco Saverio Merlino]] ''Perché siamo anarchici'' <ref>''Perché siamo anarchici'' (New York, 1892), dal 15 marzo 1902 (a. III, n. 45) al 19 luglio 1902 (a. III, n. 54).</ref>, la versione italiana dell'opera di [[Victor Dave]] ''Michele Bakounine e Carlo Marx'' (Parigi, [[1900]]) <ref>''Michele Bakounine e Carlo Marx'', 16 agosto 1902 (a. III, n. 56 e seguenti).</ref>, la traduzione integrale («tanto più che la parziale edizione italiana uscita finora è scorretta») de ''L'Evoluzione, la Rivoluzione e l'Ideale anarchico'' di [[Élisée Reclus]] <ref>''L'Evoluzione, la Rivoluzione e l'Ideale anarchico'' (dal n. 423, del 20 gennaio 1915, al n. 440, del 22 luglio 1916).</ref>, i due brevi scritti, dello stesso autore, ''Il popolo e l'arte'' e ''Internazionalismo'' <ref>Pubblicati entrambi sul n. 793, del 5 aprile 1930, in occasione de ''Il Centenario d'Eliseo Reclus''.</ref> e, infine, due anticipazioni alla maggiore opera di [[James Guillaume]], ''Il collettivismo nell'Internazionale'' <ref>''Il collettivismo nell'Internazionale'' (n. 114, del 12 novembre 1904 e seguenti).</ref> e ''La Federazione Italiana dell'Internazionale, 1872-1878''. <ref>''La Federazione Italiana dell'Internazionale, 1872-1878'' (dal n. 183, dell'8 settembre 1906, al n. 271, del 1 gennaio 1910).</ref>
 
Da ricordare è ancora la serie d'importanti documenti, relativi i più, alla [[Prima Internazionale]], pubblicati dall'organo [[anarchico]] nel corso della sua lunga esistenza. Fra i molti si segnalano: ''Una lettera di Bakounine'' <ref>Sul n. 90, del 19 dicembre 1903.</ref> (testo di una lettera «Ai compagni della Federazione del Giura» che era apparsa sul supplemento del ''[[Bulletin de la Fédération Jurassienne]]'' del [[12 ottobre]] [[1873]]); il lavoro di [[Bakunin]] ''Organizzazione dell'Internazionale'' <ref>Sui n. 221 e 222, del 25 gennaio e 8 febbraio 1908 (tradotto dall'''Almanach du Peuple pour 1872'').</ref>; brani di una lettera «mai terminata, né spedita», scritta da [[Bakunin]] a Zurigo nel [[1872]] (''Vecchia critica'' <ref>Sul n. 536, del 10 aprile 1920.</ref>); brani di altra lettera, sempre di [[Bakunin]], scritta nel [[1869]] «in risposta alle calunnie lanciategli da [[Marx]]» (''Polemica storica'' <ref>Sul n. 550, del 30 ottobre 1920.</ref>); uno scritto di [[Bakunin]] del [[1870]] (''Sistema del mondo'' <ref>Sul n. 555, dell'8 gennaio 1921.</ref>); il testo di un manifesto redatto da [[Bakunin]] nel [[1874]] per l'[[Internazionale antiautoritaria]] (''Cosa vogliamo'' <ref>Sul n. 640, del 1 maggio 1924.</ref>); una lettera di [[Andrea Costa]] «A nome dei socialisti detenuti a Bologna» inviata da Imola il [[25 giugno]] [[1876]] alla Sezione di Neuchâtel ed una, in data [[29 agosto]] [[1877]], dei membri del «Circolo di Studi Economico-Sociali di Città di Castello» inviata all'«Ufficio federale dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori» per notificare la delega accordata a [[Andrea Costa|Costa]] quale loro rappresentante al IX Congresso dell'[[Associazione Internazionale dei Lavoratori]] (Verviers, [[4 settembre]] [[1877]]), pubblicate entrambe sotto il titolo ''Due documenti della Prima Internazionale''. <ref>Nel n. 701, del 4 settembre 1926.</ref> <ref>Nel numero del 1° maggio 1927 era intenzione dei redattori inserire una «breve storia della Prima Internazionale nel Ticino», ma essendo «mancato il tempo per farlo», venne stabilito di pubblicare, in sostituzione di questa, due documenti parimenti interessanti: una lettera di [[James Guillaume]] a [[Carlo Cafiero]] (datata: Neuchâtel, 18 marzo 1876), relativa alle vittime del traforo del Gottardo del [[28 luglio]] [[1875]], e la traduzione di una circolare, redatta in francese da [[Carlo Salvioni]], a nome della «Sezione di Bellinzona», in data 7 ottobre 1876, ed inviata alla Federazione del Giura per denunciare l'orientamento antibakuniniano assunto dalla sezione Ceresio di Lugano.</ref>
 
In ultimo, non è da passare sotto silenzio l'intensa attività editoriale, affiancata alle pubblicazioni del giornale. Per ''Il Risveglio'' uscirono in epoche diverse opere di notevole impegno, fra cui la traduzione italiana de ''La Grande Rivoluzione'' di [[Kropotkin]] (Ginevra, [[1911]]); sempre dello stesso autore, ''La scienza moderna e l'anarchia'' (Ginevra, [[1913]]); il lavoro di [[Max Nettlau]] ''Bakunin e l'Internazionale in Italia dal 1864 al 1872'' (Ginevra, [[1928]]); i primi tre volumi degli scritti di [[Malatesta]] (Ginevra, [[1934]]-[[1936]]) oltre un numero incredibile di opuscoli. <ref>Fra i quali: G. Conti - G. Gallien, ''Lo sciopero rosso. Dramma in un atto'' (1912); [[Francisco Ferrer]], ''Lo sciopero generale, compilazione degli articoli di F. Ferrer (Cero) pubblicati nella «Fluelga General» di Barcellona'' ([[1914]]); [[Luigi Bertoni]], ''Cesarismo e fascismo'' ([[1928]]).</ref>


==Note==
==Note==
<references/>
<references/>
== Bibliografia==
== Bibliografia==
*Maurizio Antonioli, Giampietro Berti, Santi Fedele, Pasquale Luso, ''Dizionario biografico degli anarchici italiani'' - Volume 1, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2004.
*G. Bottinelli, [https://www.bfscollezionidigitali.org/entita/13063 ''Luigi Bertoni''], in ''Dizionario biografico degli anarchici italiani'', Tomo I, Pisa, BFS, 2003, pp. 159-164
*Gianpiero Bottinelli, ''Luigi Bertoni, la coerenza di un anarchico'', La Baronata, Lugano, 1997.
*Gianpiero Bottinelli, ''Luigi Bertoni, la coerenza di un anarchico'', La Baronata, Lugano, 1997.
*Jean-Louis Amar, ''Le Réveil anarchiste, organe d'un mouvement libertaire genevois'', 1900-1980 (in francese), ''Mémoire de licence histoire'', Univ. Genève, 1981.
*Jean-Louis Amar, ''Le Réveil anarchiste, organe d'un mouvement libertaire genevois'', 1900-1980 (in francese), ''Mémoire de licence histoire'', Univ. Genève, 1981.
*Furio Biagini, ''Il Risveglio (1900-1922): storia di un giornale anarchico dall'attentato di Bresci all'avvento del fascismo'', Piero Lacaita Editore, 1991.
*Furio Biagini, ''Il Risveglio (1900-1922): storia di un [[giornale anarchico]] dall'attentato di Bresci all'avvento del fascismo'', Piero Lacaita Editore, 1991.


== Voci correlate ==
== Voci correlate ==
*[[L'Assiette au Beurre]]
*[[Luigi Bertoni]]
*[[L'En Dehors]]
*[[Stampa anarchica]]
*[[Umanità Nova]]
*[[Anarchismo in Svizzera]]
 
== Collegamenti esterni ==
*[https://archivesautonomies.org/spip.php?rubrique634 I numeri de ''Il Risveglio'' (1900-1946)]


[[Categoria:Stampa anarchica]]
[[Categoria:Stampa anarchica]]
[[Categoria:Anarchismo in Italia]]
[[Categoria:Anarchismo in Svizzera]]
[[Categoria:Antimilitarismo]]
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