Angelo Sbardellotto: differenze tra le versioni

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Rientrato in [[Italia]], viene arrestato il [[4 giugno]] del [[1932]] perché trovato in possesso di un passaporto falso, a nome di tale Angelo Galvini di Bellinzona, di una pistola e un'ordigno. Sottoposto a ripetuti e probabilmente violenti interrogatori <ref name="parlare">Secondo [[Angelo Garosci]], Sbardellotto fu torturato, [[Cesare Rossi]] non ne fa menzione nei suoi scritti, tuttavia egli sostiene che l'anarchico «finì per parlare». Quel “''finì per parlare''” suona particolarmente sinistro e forse un'indiretta ammissione della tortura a cui fu sottoposto Sbardellotto</ref>, Angelo ammette la sua vera identità, raccontando un complicato intrigo per un'attentato a [[Benito Mussolini|Mussolini]] che egli stesso avrebbe dovuto eseguire. Il suo "desiderio" d'altronde era stato espresso chiaramente in una sua lettera, datata [[27 aprile]] [[1932]]:  
Rientrato in [[Italia]], viene arrestato il [[4 giugno]] del [[1932]] perché trovato in possesso di un passaporto falso, a nome di tale Angelo Galvini di Bellinzona, di una pistola e un'ordigno. Sottoposto a ripetuti e probabilmente violenti interrogatori <ref name="parlare">Secondo [[Angelo Garosci]], Sbardellotto fu torturato, [[Cesare Rossi]] non ne fa menzione nei suoi scritti, tuttavia egli sostiene che l'anarchico «finì per parlare». Quel “''finì per parlare''” suona particolarmente sinistro e forse un'indiretta ammissione della tortura a cui fu sottoposto Sbardellotto</ref>, Angelo ammette la sua vera identità, raccontando un complicato intrigo per un'attentato a [[Benito Mussolini|Mussolini]] che egli stesso avrebbe dovuto eseguire. Il suo "desiderio" d'altronde era stato espresso chiaramente in una sua lettera, datata [[27 aprile]] [[1932]]:  
:«...Non v'è possibilità di scelta. Per essere liberi bisogna abbattere la tirannia. Per costruire domani un nuovo ordine in cui tutti possano godere i frutti del loro lavoro e liberamente esprimere il proprio pensiero, bisogna distruggere oggi tutte le ingiustizie che lo rendono impossibile».
:«...Non v'è possibilità di scelta. Per essere liberi bisogna abbattere la tirannia. Per costruire domani un nuovo ordine in cui tutti possano godere i frutti del loro lavoro e liberamente esprimere il proprio pensiero, bisogna distruggere oggi tutte le ingiustizie che lo rendono impossibile».


Subito dilaga la solita e infame campagna di stampa. Sbardelloto è definito «ceffo criminale», «assassino prezzolato», «sciagurato sicario», «uomo divenuto straniero in patria», uomo dallo «sguardo bieco e sinistro», inventandosi pure, secondo l'"idiozia lombrosiana", che aveva pure la fronte bassa.
Subito dilaga la solita e infame campagna di stampa. Sbardelloto è definito «ceffo criminale», «assassino prezzolato», «sciagurato sicario», «uomo divenuto straniero in patria», uomo dallo «sguardo bieco e sinistro», inventandosi pure, secondo l'"idiozia lombrosiana", che aveva pure la fronte bassa.
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[[Guido Leto]], un alto funzionario dell'[[Ovra]], nel suo libro ''L'Ovra'', così descrive Sbardellotto:  
[[Guido Leto]], un alto funzionario dell'[[Ovra]], nel suo libro ''L'Ovra'', così descrive Sbardellotto:  
: «Sbardellotto era un giovanissimo operaio nativo di un comune della provincia di Belluno che era espatriato in Belgio in cerca di lavoro e che, appena cominciò a maturare il progetto di uccidere Mussolini, non scrisse nemmeno più alla madre. Era assolutamente ignoto alla polizia, sia per la sua giovine età, sia perché, all'estero, non si era in alcun modo messo in vista nel campo politico. Era, quindi, nelle più favorevoli condizioni per portare a compimento il progetto che si era prefissato. Venne difatti in Italia e nessuno ne rilevò - e non poteva essere diversamente, diversamente, anche se non avesse usato il passaporto straniero intestato ad altro nominativo - l'ingresso e il soggiorno. Per suggerimento forse avuto da coloro che ne guidarono l'azione e che rimasero sempre ignoti, lo Sbardellotto non prese alloggio a Roma, ma vi giunse il mattino in cui si celebrava, mi pare, una certa cerimonia al Gianicolo, al monumento di Anita Garibaldi. Riteneva, lo Sbardellotto, che ad essa partecipasse Mussolini e forse i giornali ne avevano dato notizia. Egli vi si recò con la ferma intenzione di lanciare le bombe che erano abilmente nascoste nella cintura dei calzoni, opportunamente sagomate, e che erano sfuggite alla visita doganale di frontiera. Non riuscendo, per i servizi d'ordine e per la folla, ad arrivare in prima linea per assicurarsi se Mussolini fosse o meno presente alla cerimonia, ritornò nei pressi di piazza Venezia sperando di cogliere il momento del passaggio della macchina presidenziale per effettuare l'attentato. Senonché a piazza Venezia funzionava con particolare intensità il servizio generico di vigilanza già da tempo effettuato, un vero cordone sanitario, sicché, dopo brevissimo tempo che lo Sbardellotto si aggirava, sia pure con aria di innocuo turista, nei dintorni di Palazzo Venezia, fu fermato da un agente e condotto per l'identificazione, come era d'uso, ed eventualmente per una perquisizione nel portone del vicino palazzo Bonaparte, dove funzionava un rudimentale ufficio di PS che era munito di una rubrica speciale col nome di tutte le persone sospette o ritenute capaci di compiere atti di violenza. Lo Sbardellotto era munito di un passaporto svizzero che figurava rilasciato a Bellinzona, ma che presentava qualche grossolana anomalia: sta di fatto che gli agenti operanti si accinsero a fare una perquisizione personale che fruttò l'immediato rinvenimento di due bombe e di una pistola carica e pronta al fuoco. Lo Sbardellotto fu subito tradotto in questura, che aveva allora sede nelle immediate vicinanze di palazzo Venezia, al Collegio Romano, e sottoposto a rapido interrogatorio d'identità. Dopo qualche schermaglia, egli ebbe a dichiarare che il passaporto era falso, che egli non era affatto ticinese ma italiano, che era anarchico e che era venuto in Italia dal Belgio per uccidere Mussolini».
: «Sbardellotto era un giovanissimo operaio nativo di un comune della provincia di Belluno che era espatriato in Belgio in cerca di lavoro e che, appena cominciò a maturare il progetto di uccidere Mussolini, non scrisse nemmeno più alla madre. Era assolutamente ignoto alla polizia, sia per la sua giovine età, sia perché, all'estero, non si era in alcun modo messo in vista nel campo politico. Era, quindi, nelle più favorevoli condizioni per portare a compimento il progetto che si era prefissato. Venne difatti in Italia e nessuno ne rilevò - e non poteva essere diversamente, diversamente, anche se non avesse usato il passaporto straniero intestato ad altro nominativo - l'ingresso e il soggiorno. Per suggerimento forse avuto da coloro che ne guidarono l'azione e che rimasero sempre ignoti, lo Sbardellotto non prese alloggio a Roma, ma vi giunse il mattino in cui si celebrava, mi pare, una certa cerimonia al Gianicolo, al monumento di Anita Garibaldi. Riteneva, lo Sbardellotto, che ad essa partecipasse Mussolini e forse i giornali ne avevano dato notizia. Egli vi si recò con la ferma intenzione di lanciare le bombe che erano abilmente nascoste nella cintura dei calzoni, opportunamente sagomate, e che erano sfuggite alla visita doganale di frontiera. Non riuscendo, per i servizi d'ordine e per la folla, ad arrivare in prima linea per assicurarsi se Mussolini fosse o meno presente alla cerimonia, ritornò nei pressi di piazza Venezia sperando di cogliere il momento del passaggio della macchina presidenziale per effettuare l'attentato. Senonché a piazza Venezia funzionava con particolare intensità il servizio generico di vigilanza già da tempo effettuato, un vero cordone sanitario, sicché, dopo brevissimo tempo che lo Sbardellotto si aggirava, sia pure con aria di innocuo turista, nei dintorni di Palazzo Venezia, fu fermato da un agente e condotto per l'identificazione, come era d'uso, ed eventualmente per una perquisizione nel portone del vicino palazzo Bonaparte, dove funzionava un rudimentale ufficio di PS che era munito di una rubrica speciale col nome di tutte le persone sospette o ritenute capaci di compiere atti di violenza. Lo Sbardellotto era munito di un passaporto svizzero che figurava rilasciato a Bellinzona, ma che presentava qualche grossolana anomalia: sta di fatto che gli agenti operanti si accinsero a fare una perquisizione personale che fruttò l'immediato rinvenimento di due bombe e di una pistola carica e pronta al fuoco. Lo Sbardellotto fu subito tradotto in questura, che aveva allora sede nelle immediate vicinanze di palazzo Venezia, al Collegio Romano, e sottoposto a rapido interrogatorio d'identità. Dopo qualche schermaglia, egli ebbe a dichiarare che il passaporto era falso, che egli non era affatto ticinese ma italiano, che era anarchico e che era venuto in Italia dal Belgio per uccidere Mussolini».


La relativa facilità con cui Angelo Sbardellotto entrò in [[Italia]] mise in crisi profondamente la direzione della polizia [[fascismo|fascista]], infatti Leto, riferendosi a Bocchini (il capo della polizia), scrive: «Temeva sempre l'attentato politico come l'unica cosa seria a cui dovesse provvedere. Egli non considerò mai un pericolo per il regime fascista le discussioni o la propaganda scritta o verbale di tutta la gamma degli antifascisti verso cui fu sempre tollerante. (!) Bocchini, invece, fu sempre attentissimo alle voci, anche le più inverosimili e più stravaganti, che si riferissero a propositi violenti contro Mussolini. E su questo tasto, con noi, suoi collaboratori, fu sempre ossessionante».
La relativa facilità con cui Angelo Sbardellotto entrò in [[Italia]] mise in crisi profondamente la direzione della polizia [[fascismo|fascista]], infatti Leto, riferendosi a Bocchini (il capo della polizia), scrive: «Temeva sempre l'attentato politico come l'unica cosa seria a cui dovesse provvedere. Egli non considerò mai un pericolo per il regime fascista le discussioni o la propaganda scritta o verbale di tutta la gamma degli antifascisti verso cui fu sempre tollerante. (!) Bocchini, invece, fu sempre attentissimo alle voci, anche le più inverosimili e più stravaganti, che si riferissero a propositi violenti contro Mussolini. E su questo tasto, con noi, suoi collaboratori, fu sempre ossessionante».
==Note==
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