Anarchismo e Politica: La revisione di Berneri: differenze tra le versioni

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Per Berneri, il voto è uno strumento utile anche all'interno del mondo libertario e, come già visto, il lodigiano definisce più volte, senza pietà , “cretinismo astensionista” la demonizzazione senza deroghe di tale meccanismo decisionale, a maggior ragione se questo rifiuto è esteso persino all'interno dell'organizzazione specifica. Un rifiuto invalso spesso nelle strutture anarchiche non perché il voto fosse incongruo alla tradizione, bensì per una sorta di “moda” che ha sclerotizzato la militanza. Berneri discrimina poi chiaramente fra voto e voto. Nel caso di liste locali, ed ancor più di plebisciti e referendum, non vede per gli anarchici alcun motivo di possibile avversione: “Se domani si presentasse il caso di un plebiscito (disarmo o difesa nazionale armata, autonomia degli allogeni, abbandono o conservazione delle colonie, ecc.) si troverebbero ancora degli anarchici fossilizzati che crederebbero doveroso astenersi”.
Per Berneri, il voto è uno strumento utile anche all'interno del mondo libertario e, come già visto, il lodigiano definisce più volte, senza pietà , “cretinismo astensionista” la demonizzazione senza deroghe di tale meccanismo decisionale, a maggior ragione se questo rifiuto è esteso persino all'interno dell'organizzazione specifica. Un rifiuto invalso spesso nelle strutture anarchiche non perché il voto fosse incongruo alla tradizione, bensì per una sorta di “moda” che ha sclerotizzato la militanza. Berneri discrimina poi chiaramente fra voto e voto. Nel caso di liste locali, ed ancor più di plebisciti e referendum, non vede per gli anarchici alcun motivo di possibile avversione: “Se domani si presentasse il caso di un plebiscito (disarmo o difesa nazionale armata, autonomia degli allogeni, abbandono o conservazione delle colonie, ecc.) si troverebbero ancora degli anarchici fossilizzati che crederebbero doveroso astenersi”.
Berneri, a proposito della dimensione politica dell'anarchismo, la nobilita senza remore e preferisce certo chi si batte per il successo dell'impostazione libertaria nella storia a quanti, astraendosi dalla politica, riducono il libertarismo ad una mera, sofistica, professione di fede. Il “purismo” mostra tutta la sua inutilità , ed è anzi sinonimo di disimpegno ed autoreferenziale narcisismo: “Chi crede alla possibilità dell'anarchia come sistema politico è anarchico, qualunque siano le sue vedute strategiche, qualunque siano le sue riserve sulle realizzazioni massime della società futura. Ed è anarchico anche se scomunicato dai dottrinari sofistici, ed è anarchico anche se gli si oppone con il termine generico di principi le vedute di questa o di quella scuola, le opinioni di questo o di quel maestro, le abilità polemiche di questo o di quel giornalista autorevole nonché le scandalizzate proteste dei pensanti con la testa altrui”.
Berneri, a proposito della dimensione politica dell'anarchismo, la nobilita senza remore e preferisce certo chi si batte per il successo dell'impostazione libertaria nella storia a quanti, astraendosi dalla politica, riducono il libertarismo ad una mera, sofistica, professione di fede. Il “purismo” mostra tutta la sua inutilità , ed è anzi sinonimo di disimpegno ed autoreferenziale narcisismo: “Chi crede alla possibilità dell'anarchia come sistema politico è anarchico, qualunque siano le sue vedute strategiche, qualunque siano le sue riserve sulle realizzazioni massime della società futura. Ed è anarchico anche se scomunicato dai dottrinari sofistici, ed è anarchico anche se gli si oppone con il termine generico di principi le vedute di questa o di quella scuola, le opinioni di questo o di quel maestro, le abilità polemiche di questo o di quel giornalista autorevole nonché le scandalizzate proteste dei pensanti con la testa altrui”.
Ma come si fa se gli anarchici per primi, immobilizzati dal fondamentalismo, non credono nell'anarchismo politico? La mancanza di sperimentazione è infatti sinonimo di sfiducia nei propri mezzi ed ancor più nelle possibilità interne alla prospettiva libertaria: “La storia è opposizione e sintesi. L'anarchismo, se vuole agire nella storia e diventare un grande fattore di storia, deve aver fede nell'anarchia, come una possibilità sociale che si realizza nelle sue approssimazioni progressive. L'anarchia come sistema religioso (ogni sistema etico è di sua natura religioso) è una ‘verità ‘ di fede, quindi per propria natura, evidente soltanto a chi la può vedere. L'anarchismo è più vivo, più vasto, più dinamico. Egli è un compromesso tra l'Idea e il fatto, tra il domani e l'oggi. L'anarchismo procede in modo polimorfo, perché è nella vita. E le sue deviazioni stesse sono la ricerca di una rotta migliore”. Berneri è quindi “un anarchico che crede all'anarchia e, ancor più, all'anarchismo”. Berneri è un gradualista rivoluzionario perché è ben conscio della futilità del tutto e subito o del “tanto peggio-tanto meglio”, così come dell'irraggiungibilità della perfezione, e tiene distinti l'anarchia (“religione”) e l'anarchismo (l'anarchia nella storia): “l'anarchico comprende che nella storia si agisce sapendo essere popolo per quel tanto che permette di essere compresi e di agire, additando mete immediate, interpretando reali e generali bisogni, rispondendo a sentimenti vivi e comuni”. Berneri non fu mai un massimalista: “A mio parere, il non esercitare un diritto perché è concesso dallo Stato, non creare una situazione migliore dell'attuale perché se ne vorrebbe una migliore di quella conseguibile, vale fossilizzare la nostra azione politica”. Ancora oggi la sinistra “radicale” non sa distinguere fra riformismo e gradualismo.
Ma come si fa se gli anarchici per primi, immobilizzati dal fondamentalismo, non credono nell'anarchismo politico? La mancanza di sperimentazione è infatti sinonimo di sfiducia nei propri mezzi ed ancor più nelle possibilità interne alla prospettiva libertaria: “La storia è opposizione e sintesi. L'anarchismo, se vuole agire nella storia e diventare un grande fattore di storia, deve aver fede nell'anarchia, come una possibilità sociale che si realizza nelle sue approssimazioni progressive. L'anarchia come sistema religioso (ogni sistema etico è di sua natura religioso) è una ‘verità ‘di fede, quindi per propria natura, evidente soltanto a chi la può vedere. L'anarchismo è più vivo, più vasto, più dinamico. Egli è un compromesso tra l'Idea e il fatto, tra il domani e l'oggi. L'anarchismo procede in modo polimorfo, perché è nella vita. E le sue deviazioni stesse sono la ricerca di una rotta migliore”. Berneri è quindi “un anarchico che crede all'anarchia e, ancor più, all'anarchismo”. Berneri è un gradualista rivoluzionario perché è ben conscio della futilità del tutto e subito o del “tanto peggio-tanto meglio”, così come dell'irraggiungibilità della perfezione, e tiene distinti l'anarchia (“religione”) e l'anarchismo (l'anarchia nella storia): “l'anarchico comprende che nella storia si agisce sapendo essere popolo per quel tanto che permette di essere compresi e di agire, additando mete immediate, interpretando reali e generali bisogni, rispondendo a sentimenti vivi e comuni”. Berneri non fu mai un massimalista: “A mio parere, il non esercitare un diritto perché è concesso dallo Stato, non creare una situazione migliore dell'attuale perché se ne vorrebbe una migliore di quella conseguibile, vale fossilizzare la nostra azione politica”. Ancora oggi la sinistra “radicale” non sa distinguere fra riformismo e gradualismo.
Nel corso della rivoluzione spagnola, pur essendo intransigentemente schierato per la difesa e lo sviluppo delle conquiste popolari, delle collettivizzazioni agrarie e della socializzazione delle industrie, il lodigiano seppe comprendere i tentativi della dirigenza cenetista di destreggiarsi nella situazione. Naturalmente questa posizione Berneri la tenne solo fino a quando la CNT dell'epoca seppe conservare la propria autonomia e rimase all'offensiva. Alle prime avvisaglie del precipitare della situazione, egli divenne un critico feroce rispetto ai cedimenti determinati dall'incapacità di fronte alle esigenze della politica.
Nel corso della rivoluzione spagnola, pur essendo intransigentemente schierato per la difesa e lo sviluppo delle conquiste popolari, delle collettivizzazioni agrarie e della socializzazione delle industrie, il lodigiano seppe comprendere i tentativi della dirigenza cenetista di destreggiarsi nella situazione. Naturalmente questa posizione Berneri la tenne solo fino a quando la CNT dell'epoca seppe conservare la propria autonomia e rimase all'offensiva. Alle prime avvisaglie del precipitare della situazione, egli divenne un critico feroce rispetto ai cedimenti determinati dall'incapacità di fronte alle esigenze della politica.
Berneri era un fautore non già della mediazione, bensì della sperimentazione pragmatica, e ben sapeva che i limiti maggiori dell'anarchismo non stavano in presunte mancanze di serietà o d'onestà dei “leaders”, quanto invece nell'impreparazione assoluta di tutto un corpo militante abituato a pensarsi unico padrone del campo di fronte alla rivoluzione: viceversa, in un panorama necessariamente plurale, il progetto comunista libertario va difeso anche con le armi della politica. Così com'era convinto che per il tramite dell'organizzazione anarcosindacalista, proprio ovviando a quest'impreparazione (obiettivo per il quale aveva lavorato tutta la vita), si sarebbe invece potuta restituire a chi di dovere quella famosa, proudhoniana, capacità politica delle classi operaie, sviluppare la quale è la prima ragione della tradizione libertaria.  
Berneri era un fautore non già della mediazione, bensì della sperimentazione pragmatica, e ben sapeva che i limiti maggiori dell'anarchismo non stavano in presunte mancanze di serietà o d'onestà dei “leaders”, quanto invece nell'impreparazione assoluta di tutto un corpo militante abituato a pensarsi unico padrone del campo di fronte alla rivoluzione: viceversa, in un panorama necessariamente plurale, il progetto comunista libertario va difeso anche con le armi della politica. Così com'era convinto che per il tramite dell'organizzazione anarcosindacalista, proprio ovviando a quest'impreparazione (obiettivo per il quale aveva lavorato tutta la vita), si sarebbe invece potuta restituire a chi di dovere quella famosa, proudhoniana, capacità politica delle classi operaie, sviluppare la quale è la prima ragione della tradizione libertaria.  
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L'anarcosindacalismo è per Berneri un elemento di riconoscibilità dell'anarchismo, di sperimentazione della prassi della democrazia diretta, già nel quotidiano della prima fase di costruzione del tessuto connettivo del cambiamento, esattamente come gli altri strumenti per la propaganda specifica, ma con maggiori possibilità d'incidere a partire dall'impatto aggregativo delle vertenze e dalla pratica dei bisogni. Con una strutturazione organizzativa assai più forte, perché più forti sono il legame e la motivazione se non discendono unicamente da elementi di carattere ideologico. Soprattutto grazie alla consapevolezza di divenire gradualmente la base strutturale della riorganizzazione futura. Uno strumento per l'esercizio di un'egemonia reale del mondo del lavoro sui partiti e tutte le nomenclature della politica, operante a mezzo di un'autonomia decisiva anche dallo specifico anarchico (e dalle sue carenze organizzative e chiusure dottrinarie). Cionondimeno, espressione di un socialismo umanista, questo si, di chiaro stampo malatestiano. Nell'ambito di un “sovietismo sociale” capace di nutrirsi non solo dell'apporto dell'associazionismo indipendente, bensì anche delle istituzioni espresse – principalmente sul piano decentrato (ma non solo) – ancora una volta da quella società civile che per il lodigiano va stimolata dall'insieme dell'intervento politico dell'anarchismo nella capacità di darsi strumenti, anche normativi, per un autogoverno che dovrà basarsi su di una prassi libertaria, ma essere politicamente pluralista. La militanza libertaria organizzata, la cui presenza è fondamentale in quanto garante (oggi e domani) della democrazia diretta, non è perciò indirizzata senza consegne tattiche nelle organizzazioni di massa (ovvero con l'unica raccomandazione “frontista” di agire da stimolo per l'azione diretta), bensì deve lavorare alla costruzione di un sindacato autogestionario ben riconoscibile e strutturato.
L'anarcosindacalismo è per Berneri un elemento di riconoscibilità dell'anarchismo, di sperimentazione della prassi della democrazia diretta, già nel quotidiano della prima fase di costruzione del tessuto connettivo del cambiamento, esattamente come gli altri strumenti per la propaganda specifica, ma con maggiori possibilità d'incidere a partire dall'impatto aggregativo delle vertenze e dalla pratica dei bisogni. Con una strutturazione organizzativa assai più forte, perché più forti sono il legame e la motivazione se non discendono unicamente da elementi di carattere ideologico. Soprattutto grazie alla consapevolezza di divenire gradualmente la base strutturale della riorganizzazione futura. Uno strumento per l'esercizio di un'egemonia reale del mondo del lavoro sui partiti e tutte le nomenclature della politica, operante a mezzo di un'autonomia decisiva anche dallo specifico anarchico (e dalle sue carenze organizzative e chiusure dottrinarie). Cionondimeno, espressione di un socialismo umanista, questo si, di chiaro stampo malatestiano. Nell'ambito di un “sovietismo sociale” capace di nutrirsi non solo dell'apporto dell'associazionismo indipendente, bensì anche delle istituzioni espresse – principalmente sul piano decentrato (ma non solo) – ancora una volta da quella società civile che per il lodigiano va stimolata dall'insieme dell'intervento politico dell'anarchismo nella capacità di darsi strumenti, anche normativi, per un autogoverno che dovrà basarsi su di una prassi libertaria, ma essere politicamente pluralista. La militanza libertaria organizzata, la cui presenza è fondamentale in quanto garante (oggi e domani) della democrazia diretta, non è perciò indirizzata senza consegne tattiche nelle organizzazioni di massa (ovvero con l'unica raccomandazione “frontista” di agire da stimolo per l'azione diretta), bensì deve lavorare alla costruzione di un sindacato autogestionario ben riconoscibile e strutturato.
In quanto all'empiriocriticismo, esiste invece un rapporto stretto con Malatesta, anche se Berneri porterà più avanti il discorso, fino alle estreme conseguenze, e con evidenti e ben diverse ricadute – come abbiamo già visto – sulla questione della politica. Scrive in proposito Pietro Adamo: “È il radicamento delle elaborazioni politiche nella sfera dell'epistemologia a costituire uno degli elementi dell'originalità berneriana, con una riflessione che (...) muove direttamente dai problemi posti dalla nuova fisica e dalla nuova filosofia della scienza.
In quanto all'empiriocriticismo, esiste invece un rapporto stretto con Malatesta, anche se Berneri porterà più avanti il discorso, fino alle estreme conseguenze, e con evidenti e ben diverse ricadute – come abbiamo già visto – sulla questione della politica. Scrive in proposito Pietro Adamo: “È il radicamento delle elaborazioni politiche nella sfera dell'epistemologia a costituire uno degli elementi dell'originalità berneriana, con una riflessione che (...) muove direttamente dai problemi posti dalla nuova fisica e dalla nuova filosofia della scienza.
(...) Prendere atto dell'impossibilità di giungere a ‘verità ‘ definite conduce ovviamente alla valorizzazione della tolleranza, della controversia e del dibattito, come vie per evitare le cadute nel dogmatismo e nell'assolutezza dottrinaria e per progredire lungo la strada della conoscenza. Ed è proprio a partire da questa prospettiva che Berneri tenterà di concettualizzare la sua ‘rivisitazione‘ dell'anarchismo, caratterizzandolo come la filosofia politica più adeguata a esprimere le ragioni e le suggestioni che emergevano dalla scienza (...)” (...).
(...) Prendere atto dell'impossibilità di giungere a ‘verità ‘definite conduce ovviamente alla valorizzazione della tolleranza, della controversia e del dibattito, come vie per evitare le cadute nel dogmatismo e nell'assolutezza dottrinaria e per progredire lungo la strada della conoscenza. Ed è proprio a partire da questa prospettiva che Berneri tenterà di concettualizzare la sua ‘rivisitazione‘ dell'anarchismo, caratterizzandolo come la filosofia politica più adeguata a esprimere le ragioni e le suggestioni che emergevano dalla scienza (...)” (...).
Ed ecco, a seguire, il legame epistemologico con Malatesta. Questi, infatti, non solo consentì ed incoraggiò la sperimentazione berneriana perché – nonostante l'intransigenza “anti-politica” – era nel profondo intrinsecamente tollerante e “fidente” nel valore positivo della controversia e del dibattito, ma soprattutto perché lui stesso aveva iniziato dapprima un percorso epistemologico parallelo (che, pur giunto infine all'importante istanza gradualista, non riuscirà a concludersi con i risultati d'impatto politico prodotti da Berneri): “La riflessione di Berneri si situa in un momento storico (gli anni Venti e Trenta del Novecento) in cui gli argomenti degli empiristi radicali e degli empiriocriticisti sono divenuti uno dei principali strumenti dell'attacco alla concezione positivistica della scienza ma anche della politica. La critica dello ‘scientificismo‘, elaborata e divulgata in Italia soprattutto dai pensatori idealisti (Croce primo fra tutti), viene ripresa anche da parte dell'intellighenzia anarchica, in particolare da Malatesta. Quest'ultimo ammette di esser stato in gioventù ‘sotto l'influenza dell'allora prevalente filosofia positivista‘ e di esser caduto, per questo motivo, ‘nella contraddizione in cui si dibattono tutti i cosiddetti deterministi‘, accettando in particolare una visione organicistica del corpo sociale e la fede in una ‘legge sociale‘ analoga, per sua natura, alle leggi naturali. Sottrattosi poi al nefasto ascendente ‘dei sociologi organicisti e dei pregiudizi scientificisti‘, Malatesta giunge a una posizione che, di fatto, è assimilabile non tanto – e non solo – alla posizione idealista, quanto piuttosto alle versioni critiche del valore della scienza a suo tempo proposte da un matematico-scienziato come Jules-Henri Poincaré, e poi riprese e sviluppate nell'ambito del cosiddetto Circolo di Vienna, per non dire delle considerazioni sulla natura fallibile della scienza articolate nel corso degli anni Trenta da Karl Popper in confronto critico, se non in aperto scontro, con gli stessi positivisti logici e con l'impostazione convenzionalistica” (...).
Ed ecco, a seguire, il legame epistemologico con Malatesta. Questi, infatti, non solo consentì ed incoraggiò la sperimentazione berneriana perché – nonostante l'intransigenza “anti-politica” – era nel profondo intrinsecamente tollerante e “fidente” nel valore positivo della controversia e del dibattito, ma soprattutto perché lui stesso aveva iniziato dapprima un percorso epistemologico parallelo (che, pur giunto infine all'importante istanza gradualista, non riuscirà a concludersi con i risultati d'impatto politico prodotti da Berneri): “La riflessione di Berneri si situa in un momento storico (gli anni Venti e Trenta del Novecento) in cui gli argomenti degli empiristi radicali e degli empiriocriticisti sono divenuti uno dei principali strumenti dell'attacco alla concezione positivistica della scienza ma anche della politica. La critica dello ‘scientificismo‘, elaborata e divulgata in Italia soprattutto dai pensatori idealisti (Croce primo fra tutti), viene ripresa anche da parte dell'intellighenzia anarchica, in particolare da Malatesta. Quest'ultimo ammette di esser stato in gioventù ‘sotto l'influenza dell'allora prevalente filosofia positivista‘ e di esser caduto, per questo motivo, ‘nella contraddizione in cui si dibattono tutti i cosiddetti deterministi‘, accettando in particolare una visione organicistica del corpo sociale e la fede in una ‘legge sociale‘ analoga, per sua natura, alle leggi naturali. Sottrattosi poi al nefasto ascendente ‘dei sociologi organicisti e dei pregiudizi scientificisti‘, Malatesta giunge a una posizione che, di fatto, è assimilabile non tanto – e non solo – alla posizione idealista, quanto piuttosto alle versioni critiche del valore della scienza a suo tempo proposte da un matematico-scienziato come Jules-Henri Poincaré, e poi riprese e sviluppate nell'ambito del cosiddetto Circolo di Vienna, per non dire delle considerazioni sulla natura fallibile della scienza articolate nel corso degli anni Trenta da Karl Popper in confronto critico, se non in aperto scontro, con gli stessi positivisti logici e con l'impostazione convenzionalistica” (...).
Infine, quale fu il rapporto fra diretto fra Malatesta e Berneri? Le posizioni del lodigiano non hanno mai portato ad uno “scontro” aperto con Malatesta, che pare invece aver sempre avuto grande considerazione ed affetto per il giovane, indubbiamente considerato più che una promessa per il movimento. E la grande stima era certo ricambiata. Non è mai stata esercitata alcuna “censura” verso Berneri fino a che l'anarchico di Santa Maria Capua Vetere e Luigi Fabbri sono stati in vita.
Infine, quale fu il rapporto fra diretto fra Malatesta e Berneri? Le posizioni del lodigiano non hanno mai portato ad uno “scontro” aperto con Malatesta, che pare invece aver sempre avuto grande considerazione ed affetto per il giovane, indubbiamente considerato più che una promessa per il movimento. E la grande stima era certo ricambiata. Non è mai stata esercitata alcuna “censura” verso Berneri fino a che l'anarchico di Santa Maria Capua Vetere e Luigi Fabbri sono stati in vita.