Giovanni Pascoli
Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 – Bologna, 6 aprile 1912) è stato un poeta e critico letterario italiano che in gioventù svolse un'intensa militanza nelle fila socialiste ed anarchiche grazie anche alla forte amicizia che lo legava ad Andrea Costa, esponente anarchico di primo piano, che ebbe un ruolo decisivo nell'iniziazione del giovane Pascoli all'ideale anarchico.
Gli anni giovanili e l'anarchismo
Il poeta ebbe i primi contatti con il socialismo già a Rimini, durante gli anni liceali, in una città ricca di fermenti politici: qui conobbe alcuni attivisti con cui strinse amicizia e che lo introdussero negli ambienti dell'Internazionale. Su tale scela di campo potrebbe avere influito la triste videnza personale di Giovanni, il cui padre Ruggero era stato assassinato nel 1867 da sicari rimasti impuniti: la famiglia, colpita anche da altri gravi lutti, aveva subito un declassamento economico e si era ritrovata in gravi difficoltà, tali da spingere Giovanni a nutrire un profondo senso di ingiustizia e oppressione. Fu, però, a Bologna, all'università [1] che il suo impegno politico divenne più concreto: in questa città conobbe, tra gli altri, Andrea Costa (forse nel 1876, dopo un processo per un moto anarchico che lo vide assolto). Insieme a Costa, Pascoli aderì all'Internazionale e sposò la causa dell'anarchismo di Bakunin. Partecipò a riunioni e incontri, scrivendo su un giornale con lo speudonimo di Gianni Schicchi. Le idee socialiste gli ispirarono alcune liriche, come La morte del ricco [2] (in cui un facoltoso moribondo è assediato dai fantasmi dei poveri che ha vessato), da cui emerge una forte critica di classe. Nel 1876 a Pascoli venne tolta la borsa di studio, che gli venne tolta per aver fischiato il ministro dell'istruzione Bonghi durante una visita all'università. Dovette interrompere gli studi. Furono anni difficili: molti suoi compagni furono arrestati e lo stesso Costa dovette riparare all'estero (anche con l'aiuto di Giovanni). Nel 1878 ci fu l'attentato al re Umberto I, in visita a Napoli, ad opera dell'anarchico Giovanni Passannante: a Pascoli fu attribuita un'ode [3] che inneggiava al gesto dell'uomo, anche se la sorella Maria negò in seguito questa paternità. Nel 1879 il poeta venne però arrestato per aver partecipato a una protesta a favore di alcuni anarchici sotto processo, accusati di aver manifestatoa favore di Passannante. Pascoli avrebbe gridato la frase: «Se questi sono i malfattori, viva i malfattori!». Venne incarcerato per tre mesi, venendo alla fine rilasciato dopo una piena assoluzione. La prigionia fu molto dura e lasciò segni profondi sul suo animo, acuendo probabilmente quel senso di ingiustizia che si portava dentro dall'infanzia.
La carriera di insegnante e l'allontanamento dalla militanza
Ripresi gli studi nel 1880, si laureò in lettere nel 1882, iniziando poi la sua carriera di insegnante dapprima nei licei e poi all'università. In quegli anni rallentò il suo impegno politico, soprattutto per ragioni di prudenza. Era anche il periodo di crisi dell'Internazionale e del prevalere del marxismo, la cui visione politica era in parte lontana da quella di Pascoli dei primi anni. Il poeta non rinnegò le idee socialiste, ma evitò in seguito di esporsi in prima persona. Fu lui stesso a chiarire questo punto in una intervista [4] del 1894 a Ugo Ojetti in cui spiegava di aver abbandonato il socialismo militante in quanto non compatibile con la sua professione di docente statale. Ecco le sue parole, non prive di amarezza: «Io sono socialista. Sono stato nel partito militante. Poi mi sono affievolito, da quel lato. E si intende. Sai ch'io sono un insegnante e per mangiare bisogna fare il proprio dovere. Veramente la parola socialismo, come la parola anarchia, ha preso dei significati così varii, a volta pusilli, a volta larghissimi: e non c'è da fidarcisi. Ma nel senso, diremo così, etimologico, io sono socialista. E in quello che scrivo, applico questo pensiero mio».
La maturità e il "socialismo patriottico"
Prova principe del definitivo distacco dalle idee giovanili può essere considarato l'inno Al Re Umberto [5], composto nel 1900, quando Umberto I venne ucciso da Gaetano Bresci [6]: Pascoli, rimasto amareggiato dall'accaduto, accompagnò all'inno, apparso sul settimanale Il Marzocco, una dedica in cui univa i temi del patriottismo a quelli del socialismo, diventando un predecessore del patriottismo socialista o del socialismo nazionale (posizione che da quel momento in avanti mantenne sempre): «Dedico quest'inno al Partito dei giovani, cioè ai giovani senza partito, cioè ai giovani ancor liberi, che vogliono conservare la libertà che è così cara che la vita non è più cara: la libertà dei palpiti del cuore! Sì che il loro cuore può battere per le otto ore di lavoro e per la spedizione in Cina, ed esecrare il domicilio coatto e abominare l'assassinio politico, e alzare il medesimo inno al muratore che cade dal palco e all'artigliere che spira abbracciato al suo cannone. Siate degni di Dante, o figli di Dante!».
Il Pascoli maturo coltivò quindi la sua fede socialista, ma non più in direzione dell'anarchia e della rivoluzione, piuttosto verso una solidarietà umana tra lavoratori, auspicando delle riforme sociali ed economiche che migliorassero la condizione dei poveri. Si interessò ai problemi dei piccoli contadini, spesso privi di terra e costretti a emigrare all'estero, e sperò che una politica di prestiti agevolati consentisse loro di acquistare un podere con cui sostenersi, con un programma umanitario e filantropico. Si trattava di una visione decisamente distante dalle idee giovanili e non molto realistica, dato che la crisi della piccola proprietà agricola si accentuò agli inizi del '900. Ciò spiega in parte la svolta politica di Pascoli degli ultimi anni: Pascoli si convinse che i problemi dei lavoratori si potevano risolvere con la politica coloniale e la lotta tra le nazioni, occupando cioè terre straniere dove i contadini sarebbero stati coloni e non più migranti sfruttati all'estero. In questo senso va letto il discorso «La grande proletaria si è mossa», pronunciato nel 1911 per celebrare i morti e i feriti della guerra di Libia, e in generale il favore accordato a quell'impresa come mezzo per dare speranza agli italiani impoveriti dalla crisi. Dunque la parabola politica di Pascoli non fu priva di contraddizioni, ma la sua militanza giovanile si inseriva in un Paese segnato da gravi tensioni, in cui il problema della povertà era diffuso e almeno in parte vissuto da lui stesso in prima persona. La sua posizione, per certi versi ingenua, ebbe il merito di riflettere nei suoi testi un tema non molto trattato al tempo se non in termini conservatori come, ad esempio, dall'ultimo Verga: nelle opere di Pascoli entrano i poveri e gli emigranti, verso i quali ebbe un sincero interesse.
Note
- ↑ Si era diplomato a Cesena nel 1873 e poté frequentare l'università grazie a una borsa di studi, vinta anche per interessamento di Giosuè Carducci.
- ↑ La morte del ricco
- ↑ L'ode venne subito dopo strappata (probabilmente per timore di essere arrestato o forse per essersi pentito, pensando all'assassinio del padre) e di essa si conoscono solamente gli ultimi due versi tramandati oralmente: «colla berretta d'un cuoco, faremo una bandiera».
- ↑ Alla scoperta dei letterati
- ↑ Al Re Umberto
- ↑ Quando il re Umberto venne colpito a morte, fu lo stesso Pascoli a incaricarsi di dar voce al dolore esterrefatto della nazione, essendo il suo maestro Giosuè Carducci impossibilitato a farlo per via della paralisi provocatagli da un ictus.