Carmelo Bene: differenze tra le versioni

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Tutto il teatro di Carmelo Bene rappresenta un gesto sovversivo nei confronti dei paradigmi dominanti del teatro convenzionale. Alle unità aristoteliche di tempo, di luogo e d'azione Bene contrappone rispettivamente il rifiuto della storia, <ref>Bene scaglia anatemi ed improperi contro il teatro dell'azione o del "moto a luogo", che viene a svolgersi nel tempo '''''Kronos''''', contro gli "spazzini del proscenio" (così definisce gli attori) del teatro di regia, a cui contrappone quello della "scrittura di scena" (e in seguito quello della "macchina attoriale"), che accade nel tempo '''''Aion'''''. Sulla dicotomia ''Kronos''/''Aion'' è forte l'influenza di Gilles Deleuze, che in ''Logica del senso'' ([[1969]]) ne sviluppò la teorizzazione a partire dal pensiero degli Stoici.</ref> il teatro come "non-luogo" <ref>In quello che Bene definisce "Grande Teatro" agisce, o meglio, viene agito il "non-attore" o la "macchina attoriale", non vi è rappresentazione e rappresentanza, divisione dei ruoli, messaggio più o meno sociale, psicodrammaticità. In questa [[utopia]] o "'''non-luogo'''" viene a imporsi l'osceno (fuori scena e fuori di sé) e l'assenza, il porno (l'aldilà del desiderio: in tal senso Bene ha definito [[Franz Kafka]] il più grande pornografo).</ref> e l'atto. <ref>Bene sostiene l'impossibilità di una qualunque azione di realizzare appieno uno scopo, se non smarrendosi nell'atto. L''''atto''' è ciò che tenta di negare, di ostacolare, di sgambettare l'azione, che resta orfana del suo artefice.</ref> All'Io contrappone la "macchina attoriale" <ref>La "macchina attoriale" (o "C.B.") è la conseguenza dell'attore che si è svestito delle umane capacità espressive corporee (vocalità, espressione del viso, gestualità ecc.) per indossare una veste amplificata sia sonora che visiva. La "macchina attoriale" è una fusione tra macchina e attore: l'amplificazione non è una mera protesi ma un'estensione organica ulteriore dove la voce ormai non è più caratterizzata dalla sua fisicità ma prevalentemente dal meccanismo sonoro.</ref>, al testo a monte la "scrittura di scena" <ref>Quello di Bene è un tetro del dire e non del detto. Per Bene il teatro del già detto, che [[Artaud]], a cui Bene si è ispirato, definì "un teatro di invertiti", non dice niente di nuovo, è solo un citare a memoria parole scritte altrove. Bene sostiene che l'importanza del testo nella "scrittura di scena" è del tutto uguale a qualsiasi altro oggetto, più o meno significativo, che si trova sulla scena. Il testo a monte, invece, non è nient'altro che il testo originale, riproposto così in maniera più o meno fedele. Per Bene il teatro di regia rappresenta dunque un progetto, una direzione, contrariamente al campo minato e allo sprogettare della "scrittura di scena".</ref> e al teatro di rappresentazione la "sospensione del tragico". <ref>Il teatro della rappresentazione cerca di rendere la tragedia attendibile, credibile, con mezzi, modi e maniere: per Bene si tratta di minare il suo senso dalle fondamenta. Sono fondamentali perciò tutta una serie di ''handicap'', appositamente creati sulla scena, che consentono di trasgredire quanto prescritto e consolidato dalla tradizione. Anche sul piano dei monologhi e dialoghi monologati c'è questo sgambettarsi, questo cortocircuitarsi del linguaggio, tale da rendere inattendibile l'evento. La tragedia viene ecceduta dal comico: esiste una continuità tra il tragico e il comico e non un'effettiva apparente dissonanza; più che due facce della stessa medaglia, si tratta di una gradazione di infiniti doppi. Non c'è un margine che possa arginare il comico dal tragico o viceversa: si è in balia della trasgressione. Perciò, nel teatro di Carmelo Bene, soltanto la "macchina attoriale" può essere assoggettata a questa variabilità, perturbabilità fondante e non l'Io, che è rappresentativo, svolgendo un ruolo istituzionale e di controllo, anche quando sembra voglia trasgredire.</ref> Da questo punto di vista l'opera di Bene è caratterizzata da un piglio [[nichilista]] decisamente più ''costruens'' che ''destruens'' <ref>«Il mio è un [[nichilismo]] attivo, non negativo. Ognuno di noi cerca quello che non ha, quello che non è, perché ognuno di noi è quello che non è. Il mio nuovo libro ''La voce di Narciso'' inizia con questa frase: "Non esisto, dunque sono"» (''Carmelo Bene anzi benissimo'', Renato Palazzi, ''Corriere della Sera illustrato'', [[21 novembre]] [[1981]]).</ref> e dall'incomunicabilità di quanto rappresentato ("rappresentazione senza spettacolo"): Bene sosteneva che, proprio a causa di questo «vuoto» (da non confondersi - ribadiva - col ''nihil'' filosofico) di fronte al quale veniva a trovarsi, lo spettatore subiva un'esperienza traumatica che non era in grado di riferire.
Tutto il teatro di Carmelo Bene rappresenta un gesto sovversivo nei confronti dei paradigmi dominanti del teatro convenzionale. Alle unità aristoteliche di tempo, di luogo e d'azione Bene contrappone rispettivamente il rifiuto della storia, <ref>Bene scaglia anatemi ed improperi contro il teatro dell'azione o del "moto a luogo", che viene a svolgersi nel tempo '''''Kronos''''', contro gli "spazzini del proscenio" (così definisce gli attori) del teatro di regia, a cui contrappone quello della "scrittura di scena" (e in seguito quello della "macchina attoriale"), che accade nel tempo '''''Aion'''''. Sulla dicotomia ''Kronos''/''Aion'' è forte l'influenza di Gilles Deleuze, che in ''Logica del senso'' ([[1969]]) ne sviluppò la teorizzazione a partire dal pensiero degli Stoici.</ref> il teatro come "non-luogo" <ref>In quello che Bene definisce "Grande Teatro" agisce, o meglio, viene agito il "non-attore" o la "macchina attoriale", non vi è rappresentazione e rappresentanza, divisione dei ruoli, messaggio più o meno sociale, psicodrammaticità. In questa [[utopia]] o "'''non-luogo'''" viene a imporsi l'osceno (fuori scena e fuori di sé) e l'assenza, il porno (l'aldilà del desiderio: in tal senso Bene ha definito [[Franz Kafka]] il più grande pornografo).</ref> e l'atto. <ref>Bene sostiene l'impossibilità di una qualunque azione di realizzare appieno uno scopo, se non smarrendosi nell'atto. L''''atto''' è ciò che tenta di negare, di ostacolare, di sgambettare l'azione, che resta orfana del suo artefice.</ref> All'Io contrappone la "macchina attoriale" <ref>La "macchina attoriale" (o "C.B.") è la conseguenza dell'attore che si è svestito delle umane capacità espressive corporee (vocalità, espressione del viso, gestualità ecc.) per indossare una veste amplificata sia sonora che visiva. La "macchina attoriale" è una fusione tra macchina e attore: l'amplificazione non è una mera protesi ma un'estensione organica ulteriore dove la voce ormai non è più caratterizzata dalla sua fisicità ma prevalentemente dal meccanismo sonoro.</ref>, al testo a monte la "scrittura di scena" <ref>Quello di Bene è un tetro del dire e non del detto. Per Bene il teatro del già detto, che [[Artaud]], a cui Bene si è ispirato, definì "un teatro di invertiti", non dice niente di nuovo, è solo un citare a memoria parole scritte altrove. Bene sostiene che l'importanza del testo nella "scrittura di scena" è del tutto uguale a qualsiasi altro oggetto, più o meno significativo, che si trova sulla scena. Il testo a monte, invece, non è nient'altro che il testo originale, riproposto così in maniera più o meno fedele. Per Bene il teatro di regia rappresenta dunque un progetto, una direzione, contrariamente al campo minato e allo sprogettare della "scrittura di scena".</ref> e al teatro di rappresentazione la "sospensione del tragico". <ref>Il teatro della rappresentazione cerca di rendere la tragedia attendibile, credibile, con mezzi, modi e maniere: per Bene si tratta di minare il suo senso dalle fondamenta. Sono fondamentali perciò tutta una serie di ''handicap'', appositamente creati sulla scena, che consentono di trasgredire quanto prescritto e consolidato dalla tradizione. Anche sul piano dei monologhi e dialoghi monologati c'è questo sgambettarsi, questo cortocircuitarsi del linguaggio, tale da rendere inattendibile l'evento. La tragedia viene ecceduta dal comico: esiste una continuità tra il tragico e il comico e non un'effettiva apparente dissonanza; più che due facce della stessa medaglia, si tratta di una gradazione di infiniti doppi. Non c'è un margine che possa arginare il comico dal tragico o viceversa: si è in balia della trasgressione. Perciò, nel teatro di Carmelo Bene, soltanto la "macchina attoriale" può essere assoggettata a questa variabilità, perturbabilità fondante e non l'Io, che è rappresentativo, svolgendo un ruolo istituzionale e di controllo, anche quando sembra voglia trasgredire.</ref> Da questo punto di vista l'opera di Bene è caratterizzata da un piglio [[nichilista]] decisamente più ''costruens'' che ''destruens'' <ref>«Il mio è un [[nichilismo]] attivo, non negativo. Ognuno di noi cerca quello che non ha, quello che non è, perché ognuno di noi è quello che non è. Il mio nuovo libro ''La voce di Narciso'' inizia con questa frase: "Non esisto, dunque sono"» (''Carmelo Bene anzi benissimo'', Renato Palazzi, ''Corriere della Sera illustrato'', [[21 novembre]] [[1981]]).</ref> e dall'incomunicabilità di quanto rappresentato ("rappresentazione senza spettacolo"): Bene sosteneva che, proprio a causa di questo «vuoto» (da non confondersi - ribadiva - col ''nihil'' filosofico) di fronte al quale veniva a trovarsi, lo spettatore subiva un'esperienza traumatica che non era in grado di riferire.


== Contro lo Stato democratico==
=== Contro lo Stato democratico===


Non mancano le sferzate di Bene contro la [[democrazia]] rappresentativa: «La tirannia consiste nel fatto che il popolo è preso a calci per conto di uno solo; l'oligarchia per conto di un piccolo numero. In [[democrazia]] il popolo è preso a calci dal popolo per conto del popolo. Per questa ragione alcuni cercano di guardare oltre, per esempio cercano un’alternativa nel [[socialismo]]» (''I vescovi entusiasti di Carmelo'', Ugo Volli, ''la Repubblica'', [[30 giugno]] [[1994]]). E ancora: «Che educazione è questa. Un'educazione di [[Stato]], quel figlio di puttana che è il nostro [[Stato]] [[democratico]]. Se la [[democrazia]] deve essere questo, il disconoscimento di certe cose... E allora è finita... » (''Io, la voce-orchestra'', Filippo Arriva, ''La Sicilia'', [[3 agosto]] [[1994]]). E ancora: «La [[democrazia]], così come è intesa, non ha senso: significa eleggere liberamente i propri bastonatori, ci si crede liberi in uno [[Stato]] di [[polizia]]» (''Il teatro è una noia, salvo solo Ronconi'', Emilia Costantini, ''Corriere della Sera'', [[4 agosto]] [[1997]]).
Non mancano le sferzate di Bene contro la [[democrazia]] rappresentativa: «La tirannia consiste nel fatto che il popolo è preso a calci per conto di uno solo; l'oligarchia per conto di un piccolo numero. In [[democrazia]] il popolo è preso a calci dal popolo per conto del popolo. Per questa ragione alcuni cercano di guardare oltre, per esempio cercano un’alternativa nel [[socialismo]]» (''I vescovi entusiasti di Carmelo'', Ugo Volli, ''la Repubblica'', [[30 giugno]] [[1994]]). E ancora: «Che educazione è questa. Un'educazione di [[Stato]], quel figlio di puttana che è il nostro [[Stato]] [[democratico]]. Se la [[democrazia]] deve essere questo, il disconoscimento di certe cose... E allora è finita... » (''Io, la voce-orchestra'', Filippo Arriva, ''La Sicilia'', [[3 agosto]] [[1994]]). E ancora: «La [[democrazia]], così come è intesa, non ha senso: significa eleggere liberamente i propri bastonatori, ci si crede liberi in uno [[Stato]] di [[polizia]]» (''Il teatro è una noia, salvo solo Ronconi'', Emilia Costantini, ''Corriere della Sera'', [[4 agosto]] [[1997]]).
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