Il marxismo come ideologia borghese (di Murray Bookchin): differenze tra le versioni

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Il [[marxismo]], forse il più notevole tentativo di demistificazione della società borghese, si è rivelato a sua volta la più astuta e sottile mistificazione del capitalismo della nostra epoca. Non mi riferisco, con ciò, al "positivismo" latente nel pensiero di [[Marx]], né a un riconoscimento a posteriori dei suoi "limiti storici". Una seria critica del marxismo deve prendere le mosse dalla sua intrinseca natura di prodotto più avanzato - anzi, di momento culminante - dell'Illuminismo borghese. Non è più sufficiente vedere in Marx un punto di partenza per la nuova critica sociale, accettare la validità del suo "metodo" nonostante il contenuto limitato che poteva abbracciare nel suo periodo storico, considerarne liberatori gli obiettivi scindendoli dai mezzi e attribuirne gli errori e le manchevolezze ai seguaci e agli epigoni.
Il [[marxismo]], forse il più notevole tentativo di demistificazione della società borghese, si è rivelato a sua volta la più astuta e sottile mistificazione del capitalismo della nostra epoca. Non mi riferisco, con ciò, al "positivismo" latente nel pensiero di [[Marx]], né a un riconoscimento a posteriori dei suoi "limiti storici". Una seria critica del marxismo deve prendere le mosse dalla sua intrinseca natura di prodotto più avanzato - anzi, di momento culminante - dell'Illuminismo borghese. Non è più sufficiente vedere in Marx un punto di partenza per la nuova critica sociale, accettare la validità del suo "metodo" nonostante il contenuto limitato che poteva abbracciare nel suo periodo storico, considerarne liberatori gli obiettivi scindendoli dai mezzi e attribuirne gli errori e le manchevolezze ai seguaci e agli epigoni.


In realtà, il "fallimento" di Marx nella creazione e nello sviluppo di una critica radicale del capitalismo e di una pratica rivoluzionaria non si può neppure definire tale nel senso di un'impresa inadeguata agli obiettivi che si era proposti. Al contrario, nei suoi aspetti migliori, il marxismo tradisce se stesso, poiché assimila inavvertitamente i caratteri più dubbi del pensiero illuminista ed è sorprendentemente vulnerabile dalle sue implicazioni borghesi. Nei suoi aspetti peggiori, invece, la teoria marxista rappresenta l'apologia di un'epoca storica nuova, testimone della fusione tra "libero mercato" e pianificazione economica, tra proprietà privata e proprietà nazionalizzata, tra competitività e manipolazione oligopolistica della produzione e dei consumi, tra economia e stato - in breve, l'epoca moderna del capitalismo di stato. La sorprendente congruenza del "socialismo scientifico" di Marx - un [[socialismo]] che considerava la razionalizzazione economica, la pianificazione produttiva e lo "stato proletario" come obiettivi prioritari del progetto rivoluzionario - con l'intrinseco sviluppo del capitalismo verso il monopolio, verso il controllo politico e verso un apparente "stato di benessere" ha già fatto sì che alcune sue correnti istituzionalizzate, come la social-democrazia e l'eurocomunismo, contribuissero attivamente alla stabilizzazione di un'epoca di grande razionalizzazione del capitalismo. In effetti, ci basta una lieve modifica prospettica per essere in grado di valerci dell'ideologia marxista per definire "socialista" l'era capitalista in cui viviamo.
In realtà, il "fallimento" di Marx nella creazione e nello sviluppo di una critica radicale del capitalismo e di una pratica rivoluzionaria non si può neppure definire tale nel senso di un'impresa inadeguata agli obiettivi che si era proposti. Al contrario, nei suoi aspetti migliori, il marxismo tradisce stesso, poiché assimila inavvertitamente i caratteri più dubbi del pensiero illuminista ed è sorprendentemente vulnerabile dalle sue implicazioni borghesi. Nei suoi aspetti peggiori, invece, la teoria marxista rappresenta l'apologia di un'epoca storica nuova, testimone della fusione tra "libero mercato" e pianificazione economica, tra proprietà privata e proprietà nazionalizzata, tra competitività e manipolazione oligopolistica della produzione e dei consumi, tra economia e stato - in breve, l'epoca moderna del capitalismo di stato. La sorprendente congruenza del "socialismo scientifico" di Marx - un [[socialismo]] che considerava la razionalizzazione economica, la pianificazione produttiva e lo "stato proletario" come obiettivi prioritari del progetto rivoluzionario - con l'intrinseco sviluppo del capitalismo verso il monopolio, verso il controllo politico e verso un apparente "stato di benessere" ha già fatto sì che alcune sue correnti istituzionalizzate, come la social-democrazia e l'eurocomunismo, contribuissero attivamente alla stabilizzazione di un'epoca di grande razionalizzazione del capitalismo. In effetti, ci basta una lieve modifica prospettica per essere in grado di valerci dell'ideologia marxista per definire "socialista" l'era capitalista in cui viviamo.


Questa mutazione prospettica può essere liquidata come "volgarizzazione", come "tradimento" del marxismo? Oppure realizza in pieno le tesi principali di Marx - secondo una logica che Marx stesso non fu in grado di cogliere? Quando [[Lenin]] descrive il socialismo come "nulla più che un monopolio capitalista di stato volto a favore del popolo", volgarizza anch'egli il pensiero marxista e ne contamina l'integrità? O rivela invece le premesse che vi sono insite, e che ne fanno, storicamente, l'ideologia più sofisticata del capitalismo avanzato? Il senso di queste domande consiste nell'appurare se esistono elementi condivisi da tutti i marxisti, tali da costituire una base reale per la socialdemocrazia, l'eurocomunismo e le idee di Lenin. Una teoria che viene così spesso "volgarizzata", "tradita" e, peggio, istituzionalizzata in forme di potere burocratico da quasi tutti i suoi seguaci fa pensare che questi suoi "tradimenti" siano, tutto sommato, ''una condizione normale della sua esistenza''. Ciò che appare come una "volgarizzazione", un "tradimento" e una manifestazione burocratica nel fervore incandescente delle dispute dottrinali può invece rivelarsi, alla fredda luce della storia, una fedele realizzazione dei suoi obiettivi. In ogni caso, oggi, tutti i ruoli storici sembrano essere stati male assegnati. Può darsi che non sia il marxismo a doversi rinnovare per mettersi nuovamente al passo con le fasi più avanzate del capitalismo, ma invece queste ultime, nelle società borghesi più tradizionali, a dover guadagnare ancora terreno per raggiungere il marxismo, la più sofisticata anticipazione ''ideologica'' dello sviluppo capitalista.
Questa mutazione prospettica può essere liquidata come "volgarizzazione", come "tradimento" del marxismo? Oppure realizza in pieno le tesi principali di Marx - secondo una logica che Marx stesso non fu in grado di cogliere? Quando [[Lenin]] descrive il socialismo come "nulla più che un monopolio capitalista di stato volto a favore del popolo", volgarizza anch'egli il pensiero marxista e ne contamina l'integrità? O rivela invece le premesse che vi sono insite, e che ne fanno, storicamente, l'ideologia più sofisticata del capitalismo avanzato? Il senso di queste domande consiste nell'appurare se esistono elementi condivisi da tutti i marxisti, tali da costituire una base reale per la socialdemocrazia, l'eurocomunismo e le idee di Lenin. Una teoria che viene così spesso "volgarizzata", "tradita" e, peggio, istituzionalizzata in forme di potere burocratico da quasi tutti i suoi seguaci fa pensare che questi suoi "tradimenti" siano, tutto sommato, ''una condizione normale della sua esistenza''. Ciò che appare come una "volgarizzazione", un "tradimento" e una manifestazione burocratica nel fervore incandescente delle dispute dottrinali può invece rivelarsi, alla fredda luce della storia, una fedele realizzazione dei suoi obiettivi. In ogni caso, oggi, tutti i ruoli storici sembrano essere stati male assegnati. Può darsi che non sia il marxismo a doversi rinnovare per mettersi nuovamente al passo con le fasi più avanzate del capitalismo, ma invece queste ultime, nelle società borghesi più tradizionali, a dover guadagnare ancora terreno per raggiungere il marxismo, la più sofisticata anticipazione ''ideologica'' dello sviluppo capitalista.
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Queste parole potrebbero essere tratte direttamente dalla concezione di D'Holbach della natura come "immenso laboratorio", dal peana di D'Alembert nei confronti della nuova scienza, che "travolge tutto dinanzi a sé... come un fiume che ha rotto gli argini", dall'ipostatizzazione di Diderot del ruolo della tecnica nel progresso umano, dall'atteggiamento favorevole di Montesquieu verso la violenza alla natura - atteggiamento che, combinato ad arte con la metafora di William Petty sulla natura come "madre" e sul lavoro come "padre" di tutti i beni materiali, rivela chiaramente la matrice illuminista del pensiero marxiano. Come osservò Ernst Cassirer a proposito dell'Illuminismo: "Tutto il diciottesimo secolo fu permeato da questa convinzione, e cioè che fosse giunto ormai il momento di privare la natura dei suoi segreti, tanto accuratamente celati, non lasciarla più nell'oscurità, come un mistero incomprensibile, dinanzi al quale provare meraviglia, di sottoporla finalmente alla chiara luce della ragione e di analizzarne tutte le forze fondamentali". (''La filosofia dell'Illuminismo'').
Queste parole potrebbero essere tratte direttamente dalla concezione di D'Holbach della natura come "immenso laboratorio", dal peana di D'Alembert nei confronti della nuova scienza, che "travolge tutto dinanzi a sé... come un fiume che ha rotto gli argini", dall'ipostatizzazione di Diderot del ruolo della tecnica nel progresso umano, dall'atteggiamento favorevole di Montesquieu verso la violenza alla natura - atteggiamento che, combinato ad arte con la metafora di William Petty sulla natura come "madre" e sul lavoro come "padre" di tutti i beni materiali, rivela chiaramente la matrice illuminista del pensiero marxiano. Come osservò Ernst Cassirer a proposito dell'Illuminismo: "Tutto il diciottesimo secolo fu permeato da questa convinzione, e cioè che fosse giunto ormai il momento di privare la natura dei suoi segreti, tanto accuratamente celati, non lasciarla più nell'oscurità, come un mistero incomprensibile, dinanzi al quale provare meraviglia, di sottoporla finalmente alla chiara luce della ragione e di analizzarne tutte le forze fondamentali". (''La filosofia dell'Illuminismo'').


Anche prescindendo dalle radici illuministiche della dottrina marxista, la concezione della natura come "oggetto" che l'"uomo" deve usare porta non solo alla totale materializzazione della natura, ma anche dell'"uomo" stesso. In realtà, i processi storici si muovono, anche più di quanto Marx fosse disposto ad ammettere, ciecamente, come quelli naturali, nel senso che entrambi mancano di ogni consapevolezza. L'ordine sociale si sviluppa secondo leggi che sono sovrumane tanto quanto l'ordine naturale. La teoria marxista considera l'"uomo" come l'impersonificazione di due aspetti della realtà materiale: in primo luogo, come produttore, che definisce se stesso attraverso il lavoro; in secondo luogo, come essere sociale, con funzioni prevalentemente economiche. Quando Marx dichiara che "gli uomini si distinguono dagli animali perché sono dotati di una coscienza, perché seguono una religione, o per qualsiasi altra ragione, (tuttavia essi stessi) cominciarono a distinguersi dagli altri animali quando iniziarono a produrre i mezzi per il proprio sostentamento" (''L'ideologia tedesca''), egli si riferisce all'umanità come a una "forza" del processo produttivo, distinta dalle altre "forze" materiali solo in conseguenza della capacità dell'"uomo" di concettualizzare le operazioni produttive che gli animali compiono istintivamente. È difficile stabilire con esattezza quanto questa concezione dell'umanità si distacchi da quella classica. Per Aristotele, l'"uomo" esprimeva la propria umanità per il fatto di vivere in polis e perché era in grado di "rendere bella la propria esistenza". Tutto il periodo greco distingueva gli "uomini" dagli animali per le loro facoltà razionali. Se il "modo di produzione" non deve essere considerato semplicemente un mezzo per la sopravvivenza, bensì un "modo di vita", tale per cui l'"uomo" si identifica con "ciò che produce e con il modo di produrre" (''L'ideologia tedesca''), allora l'umanità può essere considerata uno strumento di produzione. La dominazione dell'"uomo sull'uomo" è soprattutto un fenomeno tecnico, piuttosto che un fenomeno etico. Secondo questa concezione incredibilmente riduttiva, la validità della dominazione dell'"uomo sull'uomo" si deve valutare solo in termini di bisogni e possibilità tecniche, per quanto sgradito avrebbe potuto essere un simile criterio anche a Marx, se ne avesse compreso appieno la brutale evidenza. Anche la dominazione, come vedremo a proposito del saggio di Engels, "Sull'autorità ", diviene così un fenomeno tecnico necessario alla realizzazione della libertà.
Anche prescindendo dalle radici illuministiche della dottrina marxista, la concezione della natura come "oggetto" che l'"uomo" deve usare porta non solo alla totale materializzazione della natura, ma anche dell'"uomo" stesso. In realtà, i processi storici si muovono, anche più di quanto Marx fosse disposto ad ammettere, ciecamente, come quelli naturali, nel senso che entrambi mancano di ogni consapevolezza. L'ordine sociale si sviluppa secondo leggi che sono sovrumane tanto quanto l'ordine naturale. La teoria marxista considera l'"uomo" come l'impersonificazione di due aspetti della realtà materiale: in primo luogo, come produttore, che definisce stesso attraverso il lavoro; in secondo luogo, come essere sociale, con funzioni prevalentemente economiche. Quando Marx dichiara che "gli uomini si distinguono dagli animali perché sono dotati di una coscienza, perché seguono una religione, o per qualsiasi altra ragione, (tuttavia essi stessi) cominciarono a distinguersi dagli altri animali quando iniziarono a produrre i mezzi per il proprio sostentamento" (''L'ideologia tedesca''), egli si riferisce all'umanità come a una "forza" del processo produttivo, distinta dalle altre "forze" materiali solo in conseguenza della capacità dell'"uomo" di concettualizzare le operazioni produttive che gli animali compiono istintivamente. È difficile stabilire con esattezza quanto questa concezione dell'umanità si distacchi da quella classica. Per Aristotele, l'"uomo" esprimeva la propria umanità per il fatto di vivere in polis e perché era in grado di "rendere bella la propria esistenza". Tutto il periodo greco distingueva gli "uomini" dagli animali per le loro facoltà razionali. Se il "modo di produzione" non deve essere considerato semplicemente un mezzo per la sopravvivenza, bensì un "modo di vita", tale per cui l'"uomo" si identifica con "ciò che produce e con il modo di produrre" (''L'ideologia tedesca''), allora l'umanità può essere considerata uno strumento di produzione. La dominazione dell'"uomo sull'uomo" è soprattutto un fenomeno tecnico, piuttosto che un fenomeno etico. Secondo questa concezione incredibilmente riduttiva, la validità della dominazione dell'"uomo sull'uomo" si deve valutare solo in termini di bisogni e possibilità tecniche, per quanto sgradito avrebbe potuto essere un simile criterio anche a Marx, se ne avesse compreso appieno la brutale evidenza. Anche la dominazione, come vedremo a proposito del saggio di Engels, "Sull'autorità ", diviene così un fenomeno tecnico necessario alla realizzazione della libertà.


La società, a sua volta, diviene un modo di lavorare, da valutarsi in rapporto alla sua capacità di soddisfare i bisogni materiali. La società di classe non potrà essere eliminata finché il "modo di produrre" non consentirà di disporre di tempo libero e di benessere materiali sufficienti a realizzare l'emancipazione dell'uomo. Finché non raggiungerà un livello tecnico soddisfacente, il processo evolutivo dell'"uomo" non sarà completo. In questo senso, gli ideali comunitari delle epoche passate erano pura ideologia, poiché un tentativo prematuro di realizzare una società egualitaria "generalizzerebbe solo i bisogni, e con i bisogni si riprodurrebbero inevitabilmente i conflitti e tutti i vecchi problemi" (''L'ideologia tedesca'').
La società, a sua volta, diviene un modo di lavorare, da valutarsi in rapporto alla sua capacità di soddisfare i bisogni materiali. La società di classe non potrà essere eliminata finché il "modo di produrre" non consentirà di disporre di tempo libero e di benessere materiali sufficienti a realizzare l'emancipazione dell'uomo. Finché non raggiungerà un livello tecnico soddisfacente, il processo evolutivo dell'"uomo" non sarà completo. In questo senso, gli ideali comunitari delle epoche passate erano pura ideologia, poiché un tentativo prematuro di realizzare una società egualitaria "generalizzerebbe solo i bisogni, e con i bisogni si riprodurrebbero inevitabilmente i conflitti e tutti i vecchi problemi" (''L'ideologia tedesca'').


Infine, anche qualora si raggiungesse un livello tecnico adeguato, "la libertà non potrà realizzarsi finché il bisogno e le necessità esterne renderanno indispensabile il lavoro dell'uomo. È nella natura stessa delle cose che la libertà risieda al di fuori della sfera della produzione materiale, nel significato più comune del termine. Anche l'uomo civilizzato, come il selvaggio, deve lottare con la natura per soddisfare i propri bisogni, per salvaguardare la propria vita e per riprodurla, e ciò è vero in tutte le società e con qualsiasi modo di produzione. Con il progresso, si ampliano anche le necessità naturali, perché aumentano i bisogni, ma nel contempo si accrescono anche le forze produttive, per mezzo delle quali i bisogni vengono soddisfatti. In una situazione cosiffatta, la libertà può consistere solo nel fatto che l'uomo socializzato e i prodotti associati regolino i loro scambi con la natura in modo razionale e la assoggettino al comune controllo, invece di farsi governare da essa come da una forza cieca e incontrollata; infine, nel fatto che essi assolvano questo compito col minore spreco di energie e nelle condizioni più adeguate e più consone alla natura umana. Tuttavia, ciò attiene ancora alla dimensione del bisogno, della necessità. Oltre questa dimensione ha inizio lo sviluppo della potenzialità umana, fine a se stesso, ovvero la dimensione della libertà, che tuttavia può realizzarsi solo sulle fondamenta della necessità e del bisogno. Premessa e condizione essenziale a questo sviluppo è la riduzione dell'orario di lavoro" (''Il capitale'', vol. III). Lo schema concettuale borghese raggiunge qui il suo punto culminante nelle immagini del "selvaggio che deve lottare con la natura", dell'espansione illimitata dei bisogni contrapposta alla limitazione "ideologica" degli stessi (ovvero, alla concezione ellenica di misura, di equilibrio e di autosufficienza), della razionalizzazione della produzione e del lavoro come obiettivi fini a se stessi di una natura puramente tecnica, della netta dicotomia tra libertà e necessità e del conflitto con la natura come condizione della vita sociale in tutte le sue forme: di classe e non di classe, privatistica o comunitaria.
Infine, anche qualora si raggiungesse un livello tecnico adeguato, "la libertà non potrà realizzarsi finché il bisogno e le necessità esterne renderanno indispensabile il lavoro dell'uomo. È nella natura stessa delle cose che la libertà risieda al di fuori della sfera della produzione materiale, nel significato più comune del termine. Anche l'uomo civilizzato, come il selvaggio, deve lottare con la natura per soddisfare i propri bisogni, per salvaguardare la propria vita e per riprodurla, e ciò è vero in tutte le società e con qualsiasi modo di produzione. Con il progresso, si ampliano anche le necessità naturali, perché aumentano i bisogni, ma nel contempo si accrescono anche le forze produttive, per mezzo delle quali i bisogni vengono soddisfatti. In una situazione cosiffatta, la libertà può consistere solo nel fatto che l'uomo socializzato e i prodotti associati regolino i loro scambi con la natura in modo razionale e la assoggettino al comune controllo, invece di farsi governare da essa come da una forza cieca e incontrollata; infine, nel fatto che essi assolvano questo compito col minore spreco di energie e nelle condizioni più adeguate e più consone alla natura umana. Tuttavia, ciò attiene ancora alla dimensione del bisogno, della necessità. Oltre questa dimensione ha inizio lo sviluppo della potenzialità umana, fine a stesso, ovvero la dimensione della libertà, che tuttavia può realizzarsi solo sulle fondamenta della necessità e del bisogno. Premessa e condizione essenziale a questo sviluppo è la riduzione dell'orario di lavoro" (''Il capitale'', vol. III). Lo schema concettuale borghese raggiunge qui il suo punto culminante nelle immagini del "selvaggio che deve lottare con la natura", dell'espansione illimitata dei bisogni contrapposta alla limitazione "ideologica" degli stessi (ovvero, alla concezione ellenica di misura, di equilibrio e di autosufficienza), della razionalizzazione della produzione e del lavoro come obiettivi fini a se stessi di una natura puramente tecnica, della netta dicotomia tra libertà e necessità e del conflitto con la natura come condizione della vita sociale in tutte le sue forme: di classe e non di classe, privatistica o comunitaria.


In conseguenza di ciò, oggi il socialismo si muove entro un'orbita nella quale, per usare le parole di Max Horkheimer, "la dominazione della natura comporta la dominazione dell'uomo" non solo "la sottomissione della natura esterna, umana e non umana", ma anche della natura interiore dell'uomo (''L'eclisse della ragione''). In seguito alla separazione dal mondo naturale, l'"uomo" non può sperare di redimersi dalla società di classe e dallo sfruttamento finché lui stesso, come forza tecnica tra le forze tecniche create dal suo stesso ingegno, non riuscirà a trascendere la propria oggettivazione. La condizione preliminare e necessaria a questo superamento è quantitativamente commensurabile: "premessa e condizione essenziale a questo sviluppo è la riduzione dell'orario di lavoro". Finché ciò non si sarà realizzato, l'"uomo" sarà sottoposto alla tirannia della legge sociale, alla schiavitù del bisogno e della necessità di sopravvivenza.
In conseguenza di ciò, oggi il socialismo si muove entro un'orbita nella quale, per usare le parole di Max Horkheimer, "la dominazione della natura comporta la dominazione dell'uomo" non solo "la sottomissione della natura esterna, umana e non umana", ma anche della natura interiore dell'uomo (''L'eclisse della ragione''). In seguito alla separazione dal mondo naturale, l'"uomo" non può sperare di redimersi dalla società di classe e dallo sfruttamento finché lui stesso, come forza tecnica tra le forze tecniche create dal suo stesso ingegno, non riuscirà a trascendere la propria oggettivazione. La condizione preliminare e necessaria a questo superamento è quantitativamente commensurabile: "premessa e condizione essenziale a questo sviluppo è la riduzione dell'orario di lavoro". Finché ciò non si sarà realizzato, l'"uomo" sarà sottoposto alla tirannia della legge sociale, alla schiavitù del bisogno e della necessità di sopravvivenza.
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