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: [[Errico Malatesta]] | : [[Errico Malatesta]] | ||
Se non fossimo profondamente insoddisfatti di questo mondo, noi non scriveremmo su questo giornale e voi non leggereste questo articolo. È inutile quindi spendere ulteriori parole per ribadire la nostra avversione al [[potere]] e alle sue manifestazioni. Ciò che invece non ci sembra inutile è cercare di capire se sia possibile una rivolta che non si ponga apertamente, risolutamente, contro lo [[Stato]] e il [[potere]]. | Se non fossimo profondamente insoddisfatti di questo mondo, noi non scriveremmo su questo giornale e voi non leggereste questo articolo. È inutile quindi spendere ulteriori parole per ribadire la nostra avversione al [[potere]] e alle sue manifestazioni. Ciò che invece non ci sembra inutile è cercare di capire se sia possibile una [[rivolta]] che non si ponga apertamente, risolutamente, contro lo [[Stato]] e il [[potere]]. | ||
La domanda non deve sembrare peregrina. C’è infatti chi nella lotta contro lo [[Stato]] non vede che una ulteriore conferma di quanto esso sia entrato dentro di noi, riuscendo a determinare — seppure in negativo — le nostre azioni. Con la sua ingombrante presenza lo [[Stato]] ci distrarrebbe da quello che dovrebbe costituire il nostro vero obiettivo: vivere la vita a modo nostro. Se pensiamo di abbattere lo [[Stato]], di ostacolarlo, di combatterlo, non abbiamo il tempo di riflettere su cosa vogliamo fare noi. Anziché tentare di realizzare i nostri desideri e i nostri sogni qui ed ora, seguiamo lo [[Stato]] ovunque vada, diventandone l’ombra e procrastinando all’infinito la concretizzazione dei nostri progetti. A furia di essere antagonisti, di essere contro, finiamo col non essere più protagonisti, a favore di qualcosa. Se vogliamo quindi essere noi stessi, dobbiamo cessare di contrapporci allo [[Stato]] ed iniziare a considerarlo non più con ostilità, ma con indifferenza. Piuttosto che darci da fare per distruggere il suo mondo — il mondo dell’autorità — è meglio costruire il nostro, quello della [[libertà]]. Bisogna smettere di pensare al nemico, a cosa fa, a dove si trova, a come fare per colpirlo, e dedicarci a noi, al nostro “vissuto quotidiano”, ai nostri rapporti, ai nostri spazi che bisogna estendere e migliorare sempre di più . Altrimenti non faremo mai altro che seguire le scadenze del [[potere]]. | La domanda non deve sembrare peregrina. C’è infatti chi nella lotta contro lo [[Stato]] non vede che una ulteriore conferma di quanto esso sia entrato dentro di noi, riuscendo a determinare — seppure in negativo — le nostre azioni. Con la sua ingombrante presenza lo [[Stato]] ci distrarrebbe da quello che dovrebbe costituire il nostro vero obiettivo: vivere la vita a modo nostro. Se pensiamo di abbattere lo [[Stato]], di ostacolarlo, di combatterlo, non abbiamo il tempo di riflettere su cosa vogliamo fare noi. Anziché tentare di realizzare i nostri desideri e i nostri sogni qui ed ora, seguiamo lo [[Stato]] ovunque vada, diventandone l’ombra e procrastinando all’infinito la concretizzazione dei nostri progetti. A furia di essere antagonisti, di essere contro, finiamo col non essere più protagonisti, a favore di qualcosa. Se vogliamo quindi essere noi stessi, dobbiamo cessare di contrapporci allo [[Stato]] ed iniziare a considerarlo non più con ostilità, ma con indifferenza. Piuttosto che darci da fare per distruggere il suo mondo — il mondo dell’autorità — è meglio costruire il nostro, quello della [[libertà]]. Bisogna smettere di pensare al nemico, a cosa fa, a dove si trova, a come fare per colpirlo, e dedicarci a noi, al nostro “vissuto quotidiano”, ai nostri rapporti, ai nostri spazi che bisogna estendere e migliorare sempre di più . Altrimenti non faremo mai altro che seguire le scadenze del [[potere]]. | ||
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Questo non vuol dire che dobbiamo tralasciare di crearci spazi che siano nostri in cui sperimentare i rapporti che preferiamo. Significa solo che questi spazi, questi rapporti, non rappresentano la [[libertà]] assoluta che vogliamo, per noi come per tutti. Sono un passo, un primo passo, ma non l’ultimo, tanto meno il definitivo. Una [[libertà]] che finisce sulla soglia della nostra casa occupata, della nostra comune “libera”, non ci basta, non ci soddisfa. Una simile [[libertà]] è illusoria perché ci renderebbe liberi soltanto di starcene a casa, di non uscire dai confini che ci siamo imposti. Se non consideriamo la necessità di attaccare lo [[Stato]] (e su questo concetto di “attacco” molto ci sarebbe da dire), in definitiva non facciamo che permettergli di fare il comodo suo in eterno, limitandoci a sopravvivere nella piccola “isola felice” che ci saremo costruiti. Tenersi distanti dallo [[Stato]] significa conservare la vita, affrontarlo significa vivere. | Questo non vuol dire che dobbiamo tralasciare di crearci spazi che siano nostri in cui sperimentare i rapporti che preferiamo. Significa solo che questi spazi, questi rapporti, non rappresentano la [[libertà]] assoluta che vogliamo, per noi come per tutti. Sono un passo, un primo passo, ma non l’ultimo, tanto meno il definitivo. Una [[libertà]] che finisce sulla soglia della nostra casa occupata, della nostra comune “libera”, non ci basta, non ci soddisfa. Una simile [[libertà]] è illusoria perché ci renderebbe liberi soltanto di starcene a casa, di non uscire dai confini che ci siamo imposti. Se non consideriamo la necessità di attaccare lo [[Stato]] (e su questo concetto di “attacco” molto ci sarebbe da dire), in definitiva non facciamo che permettergli di fare il comodo suo in eterno, limitandoci a sopravvivere nella piccola “isola felice” che ci saremo costruiti. Tenersi distanti dallo [[Stato]] significa conservare la vita, affrontarlo significa vivere. | ||
Nell’indifferenza verso lo [[Stato]] è implicita la nostra capitolazione. È come se ammettessimo che lo [[Stato]] è il più forte, è invincibile, è incontrastabile, quindi tanto vale deporre le armi e pensare a coltivare il proprio orticello. È possibile chiamare ciò rivolta? A noi sembra piuttosto un atteggiamento tutto interiore, circoscritto ad una sorta di diffidenza, di incompatibilità e di disinteresse per ciò che ci circonda. Ma in un simile atteggiamento rimane implicita la rassegnazione. Una rassegnazione sprezzante, se si vuole, ma pur sempre di rassegnazione si tratta. | Nell’indifferenza verso lo [[Stato]] è implicita la nostra capitolazione. È come se ammettessimo che lo [[Stato]] è il più forte, è invincibile, è incontrastabile, quindi tanto vale deporre le armi e pensare a coltivare il proprio orticello. È possibile chiamare ciò [[rivolta]]? A noi sembra piuttosto un atteggiamento tutto interiore, circoscritto ad una sorta di diffidenza, di incompatibilità e di disinteresse per ciò che ci circonda. Ma in un simile atteggiamento rimane implicita la rassegnazione. Una rassegnazione sprezzante, se si vuole, ma pur sempre di rassegnazione si tratta. | ||
Come un pugile ormai suonato che si limita a parare i colpi, senza nemmeno tentare di abbattere l’avversario che pure odia. Ma il nostro avversario non ci dà tregua. Noi non possiamo scendere da quel ring e continuiamo a fargli da bersaglio. Bisogna subire o abbattere l’avversario: scansarlo ed esprimergli il nostro disappunto non è sufficiente. | Come un pugile ormai suonato che si limita a parare i colpi, senza nemmeno tentare di abbattere l’avversario che pure odia. Ma il nostro avversario non ci dà tregua. Noi non possiamo scendere da quel ring e continuiamo a fargli da bersaglio. Bisogna subire o abbattere l’avversario: scansarlo ed esprimergli il nostro disappunto non è sufficiente. |