François Rabelais: differenze tra le versioni

Jump to navigation Jump to search
nessun oggetto della modifica
Nessun oggetto della modifica
Riga 47: Riga 47:
L'idea fondamentale sulla quale Rabelais cerca di costruire la sua opera, è che la natura è buona e benigna all'uomo. Rabelais proclamerà sempre che bisogna seguire la natura con fiducia e che bisogna stare in guardia contro quelle severe discipline sempre invocate per giustificare pretenziose sorveglianze, il cui scopo è di correggere la signora perbene. In questo modo Rabelais riabilita l'uomo, quell'altro mondo, come egli si compiace definirlo nel corso di tutta la sua opera. Dell'uomo, centro di gravità, magnifica scoperta che il Rinascimento esalterà con passione, Rabelais dirà tutto il valore supremo, quel valore che deve essere rispettato a tutti i costi. Non sorprende, quindi, di trovare in Rabelais l'odio per la guerra «ciò che i Saraceni ed i Barbari una volta chiamavano eroismo noi ora lo chiamiamo brigantaggio e cattiveria». Questo odio lo riporta sui conquistatori la cui mentalità insensata e criminale si esprime in tutto il suo ''Gargantua''. Così l'uomo ha il suo vero posto e Rabelais gli restituisce la sua [[libertà]] intera e gli dice: «Fa' quello che tu vorrai». Tutto questo è essenzialmente [[rivoluzionario]] e necessita un nuovo indirizzo nell'educazione.
L'idea fondamentale sulla quale Rabelais cerca di costruire la sua opera, è che la natura è buona e benigna all'uomo. Rabelais proclamerà sempre che bisogna seguire la natura con fiducia e che bisogna stare in guardia contro quelle severe discipline sempre invocate per giustificare pretenziose sorveglianze, il cui scopo è di correggere la signora perbene. In questo modo Rabelais riabilita l'uomo, quell'altro mondo, come egli si compiace definirlo nel corso di tutta la sua opera. Dell'uomo, centro di gravità, magnifica scoperta che il Rinascimento esalterà con passione, Rabelais dirà tutto il valore supremo, quel valore che deve essere rispettato a tutti i costi. Non sorprende, quindi, di trovare in Rabelais l'odio per la guerra «ciò che i Saraceni ed i Barbari una volta chiamavano eroismo noi ora lo chiamiamo brigantaggio e cattiveria». Questo odio lo riporta sui conquistatori la cui mentalità insensata e criminale si esprime in tutto il suo ''Gargantua''. Così l'uomo ha il suo vero posto e Rabelais gli restituisce la sua [[libertà]] intera e gli dice: «Fa' quello che tu vorrai». Tutto questo è essenzialmente [[rivoluzionario]] e necessita un nuovo indirizzo nell'educazione.
Rabelais se n'era reso conto perfettamente poiché iniziava un nuovo sistema pedagogico. Che egli sia rimasto incompreso dai suoi contemporanei, egli che tentava di sostituire alla maniera scolastica di moda un'educazione naturale, non c'è affatto da stupirsi. È ancora Rabelais che enuncerà quel meraviglioso pensiero: «Scienza senza coscienza non è che la rovina dell'anima».
Rabelais se n'era reso conto perfettamente poiché iniziava un nuovo sistema pedagogico. Che egli sia rimasto incompreso dai suoi contemporanei, egli che tentava di sostituire alla maniera scolastica di moda un'educazione naturale, non c'è affatto da stupirsi. È ancora Rabelais che enuncerà quel meraviglioso pensiero: «Scienza senza coscienza non è che la rovina dell'anima».
Egli è l'iniziatore di una nuova filosofia e questa filosofia (espressa nel Pantagruel) è la vittoria progressiva dell'uomo sulla natura. Non cerchiamo tuttavia di scoprire in ''Gargantua'' e in ''Pantagruel'' di Rabelais un'esposizione di dottrine politiche o sociologiche. Niente di tutto questo e neppure qualche cosa di prossimo. Ma cercando bene vi si scoprirà qualche cosa di meglio, gli elementi di ciò che io chiamerei una politica personale. La sua opera rimane, quindi, un contributo prezioso per il suo tempo e si presenta indiscutibilmente come un rinnovamento del libero pensiero.
Egli è l'iniziatore di una nuova filosofia e questa filosofia (espressa nel ''Pantagruel'') è la vittoria progressiva dell'uomo sulla natura. Non cerchiamo tuttavia di scoprire in ''Gargantua'' e in ''Pantagruel'' di Rabelais un'esposizione di dottrine politiche o sociologiche. Niente di tutto questo e neppure qualche cosa di prossimo. Ma cercando bene vi si scoprirà qualche cosa di meglio, gli elementi di ciò che io chiamerei una politica personale. La sua opera rimane, quindi, un contributo prezioso per il suo tempo e si presenta indiscutibilmente come un rinnovamento del libero pensiero.
La letteratura scritta su Rabelais è grandiosa. Quella che io ho utilizzato per questo mio lavoro, lo posso dire senza falsa modestia, ed in onore di chi mi ha aiutato a comprendere Rabelais, è la migliore e la più ragionevole, se faccio eccezione di qualche opera secondaria. Ho provato un immenso piacere di trovare fra tutte le opere da me consultate lo studio di Ginguené ''De l'autorité de Rabelais dans la revolution présente et dans la constitution civile du Clergé'' ([[1879]]). Della sua introduzione riproduco qualche brano che ci conferma tutto quello che noi abbiamo intravisto, leggendo, meditando, ripensando ed annotando l'insieme dell'opera di Rabelais. «Voglio dare a Rabelais solo ciò che gli è dovuto, tirarlo fuori dall'oblio in cui è lasciato, ricordare che aveva disprezzato il culto di certi idoli che noi abbiamo adorato ancora due secoli dopo di lui, e che la sua autorità dev'essere messa tra quella dei saggi che hanno preparato la distruzione delle nostre sciocchezze politiche e religiose». Il merito di Ginguené è di aver attirato l'attenzione sul contenuto del pensiero dell'opera di Rabelais e si può affermare che dopo quell'opuscolo, molti cessarono di considerare il libro sotto un aspetto unicamente umoristico d'un raccontatore spiritoso e divertente. Ho sentito dire che, nel [[1853]], Eusèbe Salverte pubblicò otto articoli nella ''Revue Encyclopedique'' in cui non solo lodò il pregiato scrittore, ma anche il pensatore, «il più gaio dei filosofi francesi che si è servito della follia per interpretare la saggezza. Certamente che egli ha avuto il presentimento che senza agire in quel modo, non sarebbe stato ascoltato. Erasmo, prima di lui, aveva seguito lo stesso metodo nell'Elogio della pazzia».
La letteratura scritta su Rabelais è grandiosa. Quella che io ho utilizzato per questo mio lavoro, lo posso dire senza falsa modestia, ed in onore di chi mi ha aiutato a comprendere Rabelais, è la migliore e la più ragionevole, se faccio eccezione di qualche opera secondaria. Ho provato un immenso piacere di trovare fra tutte le opere da me consultate lo studio di Ginguené ''De l'autorité de Rabelais dans la revolution présente et dans la constitution civile du Clergé'' ([[1879]]). Della sua introduzione riproduco qualche brano che ci conferma tutto quello che noi abbiamo intravisto, leggendo, meditando, ripensando ed annotando l'insieme dell'opera di Rabelais. «Voglio dare a Rabelais solo ciò che gli è dovuto, tirarlo fuori dall'oblio in cui è lasciato, ricordare che aveva disprezzato il culto di certi idoli che noi abbiamo adorato ancora due secoli dopo di lui, e che la sua autorità dev'essere messa tra quella dei saggi che hanno preparato la distruzione delle nostre sciocchezze politiche e religiose». Il merito di Ginguené è di aver attirato l'attenzione sul contenuto del pensiero dell'opera di Rabelais e si può affermare che dopo quell'opuscolo, molti cessarono di considerare il libro sotto un aspetto unicamente umoristico d'un raccontatore spiritoso e divertente. Ho sentito dire che, nel [[1853]], Eusèbe Salverte pubblicò otto articoli nella ''Revue Encyclopedique'' in cui non solo lodò il pregiato scrittore, ma anche il pensatore, «il più gaio dei filosofi francesi che si è servito della follia per interpretare la saggezza. Certamente che egli ha avuto il presentimento che senza agire in quel modo, non sarebbe stato ascoltato. Erasmo, prima di lui, aveva seguito lo stesso metodo nell'Elogio della pazzia».
Félix Dubois, nel capitolo "La Dottrina" del suo libro ''Le peril anarchiste'' ricorda i precursori dell'[[anarchia]]. Senza risalire a Platone, egli si accontenta di raccogliere nel sedicesimo secolo e ricorda che l'[[anarchismo]] ha preso da Rabelais la famosa frase: «Fa ciò che vuoi». E seguita, presentandoci il Nostro come precursore dell'ideale anarchico: «L'allegro curato di Meudon ha creato nell'abbazia di Telemaco una società ideale, una riunione di uomini ubbidienti agli stessi istinti, che si compiace di ricordare la propria esistenza... Così, dice Rabelais, nessun vincolo, nessuno di quegli statuti fondamentali delle così dette società organizzate; nessun limite alla [[libertà]] individuale; gli anarchici non predicano diversamente».
Félix Dubois, nel capitolo "La Dottrina" del suo libro ''Le peril anarchiste'' ricorda i precursori dell'[[anarchia]]. Senza risalire a Platone, egli si accontenta di raccogliere nel sedicesimo secolo e ricorda che l'[[anarchismo]] ha preso da Rabelais la famosa frase: «Fa ciò che vuoi». E seguita, presentandoci il Nostro come precursore dell'ideale anarchico: «L'allegro curato di Meudon ha creato nell'abbazia di Telemaco una società ideale, una riunione di uomini ubbidienti agli stessi istinti, che si compiace di ricordare la propria esistenza... Così, dice Rabelais, nessun vincolo, nessuno di quegli statuti fondamentali delle così dette società organizzate; nessun limite alla [[libertà]] individuale; gli anarchici non predicano diversamente».
66 514

contributi

I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi. Utilizzando i nostri servizi, accetti il nostro utilizzo dei cookie.

Menu di navigazione