François Rabelais: differenze tra le versioni

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Il sincretismo linguistico di Rabelais trova la sua giustificazione in una sintesi tra le idee di Aristotele sulla convenzionalità delle parole e quelle di Platone, secondo il quale i nomi sono le immagini delle cose: per Rabelais i nomi, recuperati alla loro etimologia naturale, divengono i veicoli della verità rivelata. Come è stato notato, l'uso della lingua in Rabelais implica sempre i due livelli del metaforico e del comico, e solamente questa duplice lettura consente di cogliere il significato dei prologhi, in cui la percezione immediata della risata si unisce all'interpretazione simbolica per illuminare l'oscurità del testo. Il riconoscimento di molteplici livelli presenti nel testo permette così di andare oltre la descrizione dello stile grottesco tentata da Bachtin, incentrata sugli elementi carnevaleschi dell'esagerazione, dell'iperbolicità, della buffoneria e del burlesco. Oltre alla "grammatica giocosa" e al linguaggio della vitalità, esiste in Rabelais il linguaggio del silenzio e delle "parole gelate" che rappresentano l'impossibilità presente del dire o del trovare parole adeguate al reale.
Il sincretismo linguistico di Rabelais trova la sua giustificazione in una sintesi tra le idee di Aristotele sulla convenzionalità delle parole e quelle di Platone, secondo il quale i nomi sono le immagini delle cose: per Rabelais i nomi, recuperati alla loro etimologia naturale, divengono i veicoli della verità rivelata. Come è stato notato, l'uso della lingua in Rabelais implica sempre i due livelli del metaforico e del comico, e solamente questa duplice lettura consente di cogliere il significato dei prologhi, in cui la percezione immediata della risata si unisce all'interpretazione simbolica per illuminare l'oscurità del testo. Il riconoscimento di molteplici livelli presenti nel testo permette così di andare oltre la descrizione dello stile grottesco tentata da Bachtin, incentrata sugli elementi carnevaleschi dell'esagerazione, dell'iperbolicità, della buffoneria e del burlesco. Oltre alla "grammatica giocosa" e al linguaggio della vitalità, esiste in Rabelais il linguaggio del silenzio e delle "parole gelate" che rappresentano l'impossibilità presente del dire o del trovare parole adeguate al reale.
== L'utopia di Rabelais secondo [[Maria Luisa Berneri]] <ref>Testo tratto da "Viaggio attraverso Utopia" di [[Maria Luisa Berneri]].</ref>==
Lo stesso Rabelais è un tipico uomo del Rinascimento. La sua cultura enciclopedica, la sua profonda ammirazione per la letteratura greca, il suo odio per le dottrine scolastiche, il suo cristianesimo pagano, il suo disprezzo per la vita monastica, il suo amore per la [[libertà]] e la bellezza, sono tutte caratteristiche degli umanisti italiani. Come loro, egli aveva una vera passione per la conoscenza e non solo studiò letteratura e filosofia, ma anche medicina e giurisprudenza. Inoltre, come la maggior parte degli umanisti, non provava alcun interesse per i «problemi sociali». La sua ribellione fu puramente individuale e non l'associò ad una rivolta contro il sistema di [[società]]. Vide i mali della [[società]] del suo tempo, ma non cercò di trovare la loro causa né escogitò rimedi per essi. Il Rinascimento non fu un movimento di riforma, fu una ribellione di individui che cercavano la [[libertà]] principalmente per loro stessi. Nonostante il loro nome, gli umanisti non s'interessavano dell'umanità, ma della loro individualità e dei mezzi per esprimerla, si irritavano profondamente per qualsiasi interferenza da parte delle autorità civili o religiose ed erano profondamente consapevoli dei loro diritti, ma non lottavano per la [[libertà]] o per i diritti delle masse.
L'Abbazia di Telème è qualcosa di più che una descrizione di una corte ideale, o di un ideale collegio, o, come l'interpretò Mumford, di un'ideale casa di campagna. È l'[[utopia]] della nuova aristocrazia del Rinascimento, un'aristocrazia basata sull'intelligenza e sulla conoscenza piuttosto che sul potere o la ricchezza. Rabelais descrive come vivevano questi uomini e donne di buona famiglia, educati, dotati e di bell'aspetto. Per loro non c'è bisogno di leggi e di legislatori, di politici e di predicatori, di denaro e di usurai, di religione e di monaci. Non han bisogno di alcuna norma perché essi sanno come impiegare il loro tempo nel modo più utile e piacevole, non han bisogno di alcuna costrizione morale esterna perché sono naturalmente onesti e pieni di nobili sentimenti. Godono di piena libertà e di completa parità tra uomini e donne. Nulla può esser troppo meraviglioso e sontuoso per uomini e donne che sono, per così dire, il fiore dell'umanità. Vivono in un castello che supera per magnificenza quelli della Turenna, son vestiti cogli abiti più ricchi, hanno un benefattore i cui fondi sono evidentemente senza fine ed un esercito di inservienti e di artigiani che li servono e forniscono loro ogni cosa di cui abbiano necessità [...]. L'educazione ricevuta dai telemiti è tale da confarsi a futuri prìncipi o uomini di corte ed è del tutto simile a
quella prescritta dal Castiglione per l'ideale cortigiano del Rinascimento [...]. Questa educazione, come quella ricevuta dai «monaci e dalle monache» dell'Abbazia di Teleme, può creare un alto livello di perfezione individuale, ma è curiosamente slegata da qualsiasi fine utilitaristico. I telemiti non paiono esser destinati ad intraprendere alcuna utile professione o mestiere, ma ad avere per tutta la loro vita uno stuolo di servitori ai loro comandi. È anche improbabile che troveranno molto gusto in un lavoro che è semplicemente l'esercizio del corpo o della mente, ma che non è finalizzato a creare qualcosa di utile. Non si può fare a meno di aver l'impressione che, nonostante tutta la sua magnificenza, la vita nell'Abbazia di Rabelais ben presto sarebbe divenuta monotona e la noia si sarebbe impadronita dei telemiti, come in effetti s'impadronì di molti prìncipi e cortigiani anche nelle corti più brillanti. Ad onore di Rabelais si deve ricordare, tuttavia, che nella sua comunità ideale non esiste né re né principe da adulare e divertire. Queste osservazioni sarebbero state superflue se molti, spinti dall'entusiasmo per il famoso motto rabelaisiano «Fa quel che vuoi», non si fossero dimenticati che egli lo riservava solamente per i: «[...] freschi, giocondi, allegri, piacevoli, graziosi: e tutti in generale gentili compagnoni [...] dame d'alta stirpe, con franco cuore e liete,
fiori di bellezza dal viso celeste, dal corpo snello, dal fare onesto e saggio».


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