Sergej Gennadjevič Nečaev: differenze tra le versioni

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=== Il sepolto vivo ===
=== Il sepolto vivo ===
Ben presto, Nečaev lasciò l'Inghilterra per passare un periodo in Francia. Andò prima a Lione, dove cercò di avere notizie di [[Bakunin]], poi a Parigi, dove si stabilì in una camera del quartiere latino sotto il nome di Stéphane, studente serbo. Ai primi moti della [[Comune]], egli si trovava ancora nella capitale francese. <ref>Cannac, ''Aux sources de la révolution russe'', pp. 108-109</ref> Alla fine preferì, lasciando Parigi, fare ritorno in Svizzera, dove tentò invano di riannodare i rapporti con [[Bakunin]]. Braccato dalla polizia e tradito da un infiltrato (il polacco Adolf Stempkowski, espatriato in Svizzera, dove frequentava molti gruppi socialisti e rivoluzionari, informatore della polizia russa), fu arrestato nei dintorni di Zurigo. Le autorità svizzere accolsero la domanda di estradizione presentata dal governo zarista. Alcuni membri di organizzazioni rivoluzionarie, esiliati serbi e polacchi, condannarono a morte il delatore e tentarono, senza successo di liberare Nečaev al momento della partenza per la Russia. Il processo a Nečaev si svolse a Mosca, l'[[8 gennaio]] [[1873]]. Davanti al tribunale l'imputato tenne testa ai giudici, mostrandosi di volta in volta aggressivo o noncurante, richiamandosi con orgoglio all'ideale rivoluzionario o rifiutando di rispondere ai magistrati, a seconda dei casi. Dato che in Russia era stata abolita la pena di morte, all'imputato fi inflitta una condanna di 20 anni ai lavori forzati, nonché la deportazione a vita in Siberia. <ref>Cannac, ''Aux sources de la révolution russe'', p. 118</ref> Ma lo zar decise di trasformare la condanna in reclusione a vita. Nečaev fu quindi trasferito a San Pietroburgo, nella fortezza Pietro e Paolo, nel lugubre rivellino di Alessio, dove [[Bakunin]] l'aveva preceduto pochi anni prima. Non ne sarebbe mai più uscito vivo. Durante i lunghi anni di reclusione, Nečaev ebbe dei trattamenti mutevoli, a seconda della volontà dell'amministrazione penitenziaria. Per un periodo, al prigioniero fu data la possibilità di prendere in prestito dei libri e gli fu concesso di scrivere. Nečaev ebbe modo così di scrivere in cella alcuni saggi di argomento storico e politico. Redasse anche alcuni scritti letterari, tra i quali qualche romanzo. Secondo un metodo già sperimentato con [[Bakunin]], la polizia cercò di spingerlo a scrivere una confessione. Le autorità erano convinte che un uomo con l'istinto di autodifesa indebolito dalla solitudine e dalla clausura si sarebbe lasciato andare a fare delle rivelazioni, che senza dubbio si sarebbero rivelate utili alla Seconda sezione (la polizia zarista). Ma il calcolo della polizia fallì: Nečaev arrivò perfino a picchiare il capo della gendarmeria che era andato a trovarlo in cella per convincerlo a fare quanto ci si attendeva da lui. <ref>Cannac, ''Aux sources de la révolution russe'', pp. 128-129</ref> In altri periodi, Nečaev fu trattato con metodi di estrema crudeltà. Eppure questo personaggio straordinario riuscì a esercitare sui secondini un vero e proprio ascendente, tanto da indurli perfino a condividre le sue idee. Grazie a loro, Nečaev poté così comunicare con il mondo esterno e prendere contatto con un'organizzazione rivoluzionaria, la ''[[Volontà del popolo]]''. Fu anche preparato un piano d'evasione, ma il progetto fallì. Caso unico negli annali della vita penitenziaria, la guarnigione della prigione fu arrestata per complicità e incarcerata seduta stante nel rivellino: per processare quei seguaci assolutamente anomali di Nečaev  fu istruito un processo speciale. Sottoposto a un regime disumano e a condizioni di detenzione intollerabili, Nečaev morì di fame e malattia il [[21 novembre]] [[1882]].
Ben presto, Nečaev lasciò l'Inghilterra per passare un periodo in Francia. Andò prima a Lione, dove cercò di avere notizie di [[Bakunin]], poi a Parigi, dove si stabilì in una camera del quartiere latino sotto il nome di Stéphane, studente serbo. Ai primi moti della [[Comune]], egli si trovava ancora nella capitale francese. <ref>Cannac, ''Aux sources de la révolution russe'', pp. 108-109</ref> Alla fine preferì, lasciando Parigi, fare ritorno in Svizzera, dove tentò invano di riannodare i rapporti con [[Bakunin]]. Braccato dalla polizia e tradito da un infiltrato (il polacco Adolf Stempkowski, espatriato in Svizzera, dove frequentava molti gruppi socialisti e rivoluzionari, informatore della polizia russa), fu arrestato nei dintorni di Zurigo. Le autorità svizzere accolsero la domanda di estradizione presentata dal governo zarista. Alcuni membri di organizzazioni rivoluzionarie, esiliati serbi e polacchi, condannarono a morte il delatore e tentarono, senza successo di liberare Nečaev al momento della partenza per la Russia. Il processo a Nečaev si svolse a Mosca, l'[[8 gennaio]] [[1873]]. Davanti al tribunale l'imputato tenne testa ai giudici, mostrandosi di volta in volta aggressivo o noncurante, richiamandosi con orgoglio all'ideale rivoluzionario o rifiutando di rispondere ai magistrati, a seconda dei casi. Dato che in Russia era stata abolita la pena di morte, all'imputato fi inflitta una condanna di 20 anni ai lavori forzati, nonché la deportazione a vita in Siberia. <ref>Cannac, ''Aux sources de la révolution russe'', p. 118</ref> Ma lo zar decise di trasformare la condanna in reclusione a vita. Nečaev fu quindi trasferito a San Pietroburgo, nella fortezza Pietro e Paolo, nel lugubre rivellino di Alessio, dove [[Bakunin]] l'aveva preceduto pochi anni prima. Non ne sarebbe mai più uscito vivo. Durante i lunghi anni di reclusione, Nečaev ebbe dei trattamenti mutevoli, a seconda della volontà dell'amministrazione penitenziaria. Per un periodo, al prigioniero fu data la possibilità di prendere in prestito dei libri e gli fu concesso di scrivere. Nečaev ebbe modo così di scrivere in cella alcuni saggi di argomento storico e politico. Redasse anche alcuni scritti letterari, tra i quali qualche romanzo. Secondo un metodo già sperimentato con [[Bakunin]], la polizia cercò di spingerlo a scrivere una confessione. Le autorità erano convinte che un uomo con l'istinto di autodifesa indebolito dalla solitudine e dalla clausura si sarebbe lasciato andare a fare delle rivelazioni, che senza dubbio si sarebbero rivelate utili alla Seconda sezione (la polizia zarista). Ma il calcolo della polizia fallì: Nečaev arrivò perfino a picchiare il capo della gendarmeria che era andato a trovarlo in cella per convincerlo a fare quanto ci si attendeva da lui. <ref>Cannac, ''Aux sources de la révolution russe'', pp. 128-129</ref> In altri periodi, Nečaev fu trattato con metodi di estrema crudeltà. Eppure questo personaggio straordinario riuscì a esercitare sui secondini un vero e proprio ascendente, tanto da indurli perfino a condividre le sue idee. Grazie a loro, Nečaev poté così comunicare con il mondo esterno e prendere contatto con un'organizzazione rivoluzionaria, la ''[[Volontà del Popolo]]''. Fu anche preparato un piano d'evasione, ma il progetto fallì. Caso unico negli annali della vita penitenziaria, la guarnigione della prigione fu arrestata per complicità e incarcerata seduta stante nel rivellino: per processare quei seguaci assolutamente anomali di Nečaev  fu istruito un processo speciale. Sottoposto a un regime disumano e a condizioni di detenzione intollerabili, Nečaev morì di fame e malattia il [[21 novembre]] [[1882]].


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