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{{Biblioteca/Titolo 2|nome=[[Stig Dagerman]]||autore=Stig Dagerman|altro=}}
{{Biblioteca/Titolo 2|nome=''Fabbrica, scuola di potere''||autore=Murray Bookchin|altro=}}
[[File:Stig Dagerman ca 1950.jpg|miniatura|[[Stig Dagerman]]]]
[[Image:Bookchin.jpg|right|thumb|[[Murray Bookchin]]]]
«Non tutti i detrattori dell'[[anarchismo]] hanno la stessa idea del pericolo ideologico che esso rappresenta e questa idea varia in funzione del loro grado di armamento e delle possibilità legali che hanno di farne uso. Mentre in [[Spagna]], tra il [[1936]] e il [[1939]], l'[[anarchico]] era considerato così pericoloso per la [[società]] che conveniva sparargli addosso dai due lati (in effetti, non era esposto solo di fronte ai fucili tedeschi e italiani ma anche, alle spalle, alle pallottole degli «alleati» comunisti), l'[[anarchico]] svedese è considerato in certi ambienti radicali, ed in particolare [[marxisti]], un romantico impenitente, una specie di idealista della politica con complessi liberali profondamente radicati. In modo più o meno cosciente, si chiudono gli occhi sul fatto, pertanto capitale, che l'ideologia [[anarchica]], accoppiata a una teoria economica (il [[sindacalismo]]) è sfociata in Catalogna durante la guerra civile, in un sistema di produzione perfettamente funzionante, basato sull'eguaglianza economica e non sul livellamento mentale, sulla cooperazione pratica senza violenza ideologica e sulla coordinazione razionale senza eliminazione della libertà individuale: concetti contraddittori che sfortunatamente sembrano essere sempre più diffusi sotto forma di sintesi» (da ''Io e l'anarchismo'', [[1946]]).
'''''Fabbrica, scuola di potere''''' è un articolo di [[Murray Bookchin]] in cui viene criticata l'[[scuola|istituzione soclastica]]. L'articolo è stato tratto da ''Interrogations'', n. 17/18, 1979.


'''[[Io e l'anarchismo (di Stig Dagerman)|Vai al testo]]'''
«La fabbrica è una [[scuola]] [[gerarchica]], di obbedienza e di comando, non è [[rivoluzionaria]] e liberatoria. Riproduce in ogni momento, in ogni ora, il servilismo del proletariato, e non il suo slancio [[rivoluzionario]] di portata storica. Non impedisce certo che venga ridotto ad oggetto, ma anzi attenta alla sua individualità, alla sua capacità di trascendere i bisogni. Di conseguenza, visto che l'autodeterminazione, l'iniziativa autonoma e l'individualità sono l'essenza stessa della "dimensione della libertà", esse devono essere negate alla "base materiale" della [[società]], per trovare presumibilmente un'affermazione solo nelle sue "sovrastrutture" - almeno fino a quando la fabbrica e le tecniche della produzione [[capitalista]] saranno concepite esclusivamente dal punto di vista tecnico, come elementi connaturali alla produzione.
Dobbiamo presumere, poi, che questo regno disumanizzante dei bisogni - vagliato da un'"autorità imperiosa" - possa in qualche modo elevare e accrescere la coscienza di classe del lavoratore disumanizzato, trasformandola in una coscienza sociale universale; e che questo operaio, spogliato e privato di ogni individualità da una vita di quotidiano lavoro, possa in qualche modo recuperare l'impegno e la competenza sociali necessari ad un processo [[rivoluzionario]] su vasta scala e alla costruzione di una [[società]] veramente libera, fondata sull'autodeterminazione nel senso più vero del termine. Infine, dobbiamo pensare che questa [[società]] libera possa eliminare la [[gerarchia]] da una parte, mentre la conserva "imperiosa" da un'altra. Portato alla sua logica estrema, il paradosso assume proporzioni assurde. La [[gerarchia]], come una tuta da lavoro, diventa un indumento di cui ci si veste nel "regno della [[libertà]]" per tornare ad indossarlo nel "regno dei bisogni". Come un'altalena, la [[libertà]] oscilla nel punto in cui poniamo il fulcro sociale, magari al centro della tavola, in una determinata "fase" della storia, o più spostata verso l'una o l'altra estremità in un'altra "fase", ma sempre in modo che la misura sia sempre rapportabile alla "giornata lavorativa".
 
Questo fatale paradosso è comune al [[comunismo]] non meno che al [[sindacalismo]]. Ciò che redime quest'ultimo è l'implicita consapevolezza - assai esplicita, invece, nelle opere di [[Charles Fourier]] - della necessità di privare la tecnologia del suo carattere [[gerarchico]] e grigio, monotono, per poter creare una [[società]] libera. Nelle dottrine [[sindacaliste]], tuttavia, questa consapevolezza è spesso distorta dall'accettazione della fabbrica come infrastruttura della nuova società all'interno della vecchia, come paradigma dell'organizzazione della classe operaia e come scuola per l'umanizzazione del proletariato e per la sua mobilitazione come forza sociale rivoluzionaria». [...]
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