Propaganda col fatto: differenze tra le versioni

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* La sera del '''[[31 ottobre]] [[1926]]''', quarto anniversario della sua nomina a primo ministro in seguito alla marcia su Roma, Mussolini si trovava a Bologna, dove si era recato il giorno prima per inaugurare lo stadio Littoriale. Alla fine delle celebrazioni, Mussolini venne accompagnato verso la stazione a bordo di un'automobile scoperta, guidata da Leandro Arpinati. Alle 17.40 il corteo aveva raggiunto l'angolo tra via Rizzoli e via dell'Indipendenza. '''[[Anteo Zamboni]]''', di professione fattorino nella tipografia del padre, era in questa via, appostato tra la folla sotto il primo arco di portico e mentre l'automobile rallentava per svoltare, sparò contro Mussolini, mancandolo. Il proiettile aveva seguito una traiettoria dall'alto verso il basso: colpì il cordone dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro che Mussolini indossava a tracolla, perforò il bavero della giacca del duce, attraversò il cappello a cilindro del sindaco Umberto Puppini (che questi teneva sulle ginocchia) e si conficcò nell'imbottitura della portiera dell'automobile. In reazione a tale gesto, gli squadristi di Leandro Arpinati (fra i quali Arconovaldo Bonacorsi) e gli arditi milanesi capitanati da Albino Volpi, si gettarono sullo studente quindicenne e lo linciarono. Il tenente del 56º fanteria che per primo individuò e bloccò il giovane attentatore fu Carlo Alberto Pasolini, padre di Pier Paolo Pasolini. Il papa Pio XI condannò l'attentato definendolo come «criminale attentato il cui solo pensiero ci rattrista... e ci fa rendere grazie a Dio per il suo fallimento».  
* La sera del '''[[31 ottobre]] [[1926]]''', quarto anniversario della sua nomina a primo ministro in seguito alla marcia su Roma, Mussolini si trovava a Bologna, dove si era recato il giorno prima per inaugurare lo stadio Littoriale. Alla fine delle celebrazioni, Mussolini venne accompagnato verso la stazione a bordo di un'automobile scoperta, guidata da Leandro Arpinati. Alle 17.40 il corteo aveva raggiunto l'angolo tra via Rizzoli e via dell'Indipendenza. '''[[Anteo Zamboni]]''', di professione fattorino nella tipografia del padre, era in questa via, appostato tra la folla sotto il primo arco di portico e mentre l'automobile rallentava per svoltare, sparò contro Mussolini, mancandolo. Il proiettile aveva seguito una traiettoria dall'alto verso il basso: colpì il cordone dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro che Mussolini indossava a tracolla, perforò il bavero della giacca del duce, attraversò il cappello a cilindro del sindaco Umberto Puppini (che questi teneva sulle ginocchia) e si conficcò nell'imbottitura della portiera dell'automobile. In reazione a tale gesto, gli squadristi di Leandro Arpinati (fra i quali Arconovaldo Bonacorsi) e gli arditi milanesi capitanati da Albino Volpi, si gettarono sullo studente quindicenne e lo linciarono. Il tenente del 56º fanteria che per primo individuò e bloccò il giovane attentatore fu Carlo Alberto Pasolini, padre di Pier Paolo Pasolini. Il papa Pio XI condannò l'attentato definendolo come «criminale attentato il cui solo pensiero ci rattrista... e ci fa rendere grazie a Dio per il suo fallimento».  
* Il '''[[2 gennaio]] [[1931]]''' '''[[Michele Schirru]]''', in Francia, si avviò verso l'Italia con l'intenzione di realizzare il piano. L'accompagnò al treno lo stesso Lussu, che descriverà così l'ultimo saluto: «Lì, alla Gare de Lyon, salutandolo dal marciapiede sotto la vettura, dissi arrivederci e gli sorridevo. Anche lui sorrideva, ma triste. Rispose: no, non arrivederci. Addio. Soltanto questo disse, e sollevò il vetro del finestrino». Giunse a Roma la sera del [[12 gennaio]], alloggiando all'albergo Royal, scelto come luogo strategico rispetto agli itinerari abituali di Mussolini, che vi transitava quattro volte al giorno. Per due settimane studiò attentamente il tragitto attraverso Villa Torlonia, Porta Pia, il Viminale, Via Nazionale e Piazza Venezia, senza incrociare una sola volta le trasferte dell'obiettivo. Scoraggiato, conobbe una ballerina ungherese di 24 anni, Anna Lucovszky, della quale s'innamorò e alla quale dedicava le sue giornate. Ma la sera del [[3 febbraio]] venne arrestato da un maresciallo all'Hotel Colonna, luogo degli incontri con Anna. In commissariato tentò il suicidio con la propria pistola: il proiettile trapassò entrambe le gote e Michele sopravvisse, sfigurato. In esecuzione della sentenza del [[28 maggio]] [[1931]] e [[Michele Schirru|Schirru]] vvenne condannato alla pena di morte in quanto: «Chi attenta alla vita del Duce attenta alla grandezza dell'Italia, attenta all'umanità, perché il Duce appartiene all'umanità». L'avvocato presentò domanda di grazia, ma questa non viene nemmeno inoltrata dal comandante a cui era stata affidata. Il [[29 maggio]] [[1931]], venne eseguita la sentenza di morte. Mussolini volle che fossero 24 sardi volontari a sparare all'anarchico. Davanti al plotone d'esecuzione il giovane grida: «Viva l'anarchia, viva la libertà, abbasso il fascismo!».  
* Il '''[[2 gennaio]] [[1931]]''' '''[[Michele Schirru]]''', in Francia, si avviò verso l'Italia con l'intenzione di realizzare il piano. L'accompagnò al treno lo stesso Lussu, che descriverà così l'ultimo saluto: «Lì, alla Gare de Lyon, salutandolo dal marciapiede sotto la vettura, dissi arrivederci e gli sorridevo. Anche lui sorrideva, ma triste. Rispose: no, non arrivederci. Addio. Soltanto questo disse, e sollevò il vetro del finestrino». Giunse a Roma la sera del [[12 gennaio]], alloggiando all'albergo Royal, scelto come luogo strategico rispetto agli itinerari abituali di Mussolini, che vi transitava quattro volte al giorno. Per due settimane studiò attentamente il tragitto attraverso Villa Torlonia, Porta Pia, il Viminale, Via Nazionale e Piazza Venezia, senza incrociare una sola volta le trasferte dell'obiettivo. Scoraggiato, conobbe una ballerina ungherese di 24 anni, Anna Lucovszky, della quale s'innamorò e alla quale dedicava le sue giornate. Ma la sera del [[3 febbraio]] venne arrestato da un maresciallo all'Hotel Colonna, luogo degli incontri con Anna. In commissariato tentò il suicidio con la propria pistola: il proiettile trapassò entrambe le gote e Michele sopravvisse, sfigurato. In esecuzione della sentenza del [[28 maggio]] [[1931]] e [[Michele Schirru|Schirru]] vvenne condannato alla pena di morte in quanto: «Chi attenta alla vita del Duce attenta alla grandezza dell'Italia, attenta all'umanità, perché il Duce appartiene all'umanità». L'avvocato presentò domanda di grazia, ma questa non viene nemmeno inoltrata dal comandante a cui era stata affidata. Il [[29 maggio]] [[1931]], venne eseguita la sentenza di morte. Mussolini volle che fossero 24 sardi volontari a sparare all'anarchico. Davanti al plotone d'esecuzione il giovane grida: «Viva l'anarchia, viva la libertà, abbasso il fascismo!».  
* Nel corso di riunioni tra anarchici '''[[Angelo Pellegrino Sbardellotto]]''', in Belgio, espresse più volte l'intenzione di rientrare in Italia con l'intenzione di uccidere il capo del governo per vendicare la morte di [[Michele Schirru]] che era stato fucilato per l'attentato descritto sopra. Inviato a Parigi presso l'organizzazione Concentrazione antifascista un individuo non certo gli procurò un falso passaporto svizzero intestato ad Angelo Galvini, una pistola e due bombe. Il [[25 ottobre]] [[1931]] Sbardellotto si trovò a Roma in occasione delle celebrazioni per l'anniversario della Marcia su Roma, ma pur avendo tentato di avvicinarsi a Mussolini l'impresa si rivelò impossibile e decise di ritornare in Francia dove si incontrò nuovamente con il misterioso individuo a cui riconsegnò le bombe. In Belgio, la polizia venuta a conoscenza dei suoi propositi di uccidere Mussolini lo arrestò per breve tempo e lo sottopose a un regime di stretta osservanza a Seraing, vicino a Liegi. Nel [[1932]], in occasione delle celebrazioni per il Natale di Roma, fattosi riconsegnare il falso passaporto e le bombe ritornò in Italia ma anche questa volta non riuscì ad avvicinarsi a Mussolini e rientrò a Parigi. [[Angelo Pellegrino Sbardellotto|Sbardellotto]] ritornò in Italia il [[30 maggio]] [[1932]], in occasione della traslazione delle ceneri di Anita Garibaldi a Roma nel monumento sul Gianicolo, per il suo terzo tentativo, ma nuovamente l'occasione venne a mancare e incominciò a girovagare in Piazza Venezia dove il [[4 giugno]] [[1932]] fu casualmente fermato da un agente di polizia, che lo trovò in possesso di una pistola e di un ordigno. Condotto davanti al Tribunale Speciale, ammise di essere venuto in Italia per uccidere Benito Mussolini e, dopo un processo durato due giorni, fu quindi condannato alla pena di morte per l'intenzione di uccidere Mussolini. Fu fucilato il [[17 giugno]] [[1932]] a Forte Bravetta da un drappello di militari capitanati da Armando Giua.
* Nel corso di riunioni tra anarchici '''[[Angelo Pellegrino Sbardellotto]]''', in Belgio, espresse più volte l'intenzione di rientrare in Italia con l'intenzione di uccidere il capo del governo per vendicare la morte di [[Michele Schirru]] che era stato fucilato per l'attentato descritto sopra. Inviato a Parigi presso l'organizzazione Concentrazione antifascista un individuo non certo gli procurò un falso passaporto svizzero intestato ad Angelo Galvini, una pistola e due bombe. Il [[25 ottobre]] [[1931]] [[Angelo Pellegrino Sbardellotto|Sbardellotto]] si trovò a Roma in occasione delle celebrazioni per l'anniversario della Marcia su Roma, ma pur avendo tentato di avvicinarsi a Mussolini l'impresa si rivelò impossibile e decise di ritornare in Francia dove si incontrò nuovamente con il misterioso individuo a cui riconsegnò le bombe. In Belgio, la polizia venuta a conoscenza dei suoi propositi di uccidere Mussolini lo arrestò per breve tempo e lo sottopose a un regime di stretta osservanza a Seraing, vicino a Liegi. Nel [[1932]], in occasione delle celebrazioni per il Natale di Roma, fattosi riconsegnare il falso passaporto e le bombe ritornò in Italia ma anche questa volta non riuscì ad avvicinarsi a Mussolini e rientrò a Parigi. [[Angelo Pellegrino Sbardellotto|Sbardellotto]] ritornò in Italia il [[30 maggio]] [[1932]], in occasione della traslazione delle ceneri di Anita Garibaldi a Roma nel monumento sul Gianicolo, per il suo terzo tentativo, ma nuovamente l'occasione venne a mancare e incominciò a girovagare in Piazza Venezia dove il [[4 giugno]] [[1932]] fu casualmente fermato da un agente di polizia, che lo trovò in possesso di una pistola e di un ordigno. Condotto davanti al Tribunale Speciale, ammise di essere venuto in Italia per uccidere Benito Mussolini e, dopo un processo durato due giorni, fu quindi condannato alla pena di morte per l'intenzione di uccidere Mussolini. Fu fucilato il [[17 giugno]] [[1932]] a Forte Bravetta da un drappello di militari capitanati da Armando Giua.


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