La Comune di Fiume (da anarcotico.net): differenze tra le versioni

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== Gabriele D'Annunzio anarco-individualista (articolo pubblicato sulla rubrica «L'Individualista» di ''anarcotico.net'')==
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[[Alceste De Ambris]] ([[1874]]-[[1934]]), il sindacalista rivoluzionario italiano che consacrò l'intera sua esistenza alla lotta senza esclusione di colpi e senza requie contro lo Stato borghese prima, contro il fascismo e le sue vigliacche e tiranniche consorterie poi, morendo in esilio, in Francia, così come decessi in esilio, vittime dell'ostracismo espresso e sanzionato dall'infida plebe, furono i migliori tra gli esseri umani che calcarono la nostra brulla terra, da Dante Alighieri a Napoleone I Bonaparte, da Nestor Makhno a Lucio Sergio Catilina, Alceste dunque scriveva a questo modo in un articolo emesso su "L'Internazionale", organo della Camera del Lavoro sindacalista rivoluzionaria di Parma, già una delle voci dell'interventismo rivoluzionario del 1914-1918 e poi del sindacalismo dannunziano, intitolato "D'Annunzio e il proletariato" e pubblicato il 3 Dicembre 1922: «L'amico Tommaso Bruno, in un suo articolo "Chiarificazione" ha espresso con riguardosa franchezza le preoccupazioni che tormentano l'animo di molti lavoratori quando pensano a D'Annunzio. Molti fra i più sinceri militanti della causa proletaria, sono infatti divisi fra la speranza e il timore, e chiedono perciò "che si chiuda il ciclo malinconico di induzioni, indagini e ricerche sul pensiero dannunziano; pensiero che tutti forse interpretano in modo più rispondente alle proprie aspirazioni, ai propri sentimenti, che non ai sentimenti ed alle aspirazioni dell'uomo stesso, verso cui tanti sguardi si protendono».
[[Alceste De Ambris]] ([[1874]]-[[1934]]), il sindacalista rivoluzionario italiano che consacrò l'intera sua esistenza alla lotta senza esclusione di colpi e senza requie contro lo Stato borghese prima, contro il fascismo e le sue vigliacche e tiranniche consorterie poi, morendo in esilio, in Francia, così come decessi in esilio, vittime dell'ostracismo espresso e sanzionato dall'infida plebe, furono i migliori tra gli esseri umani che calcarono la nostra brulla terra, da Dante Alighieri a Napoleone I Bonaparte, da Nestor Makhno a Lucio Sergio Catilina, Alceste dunque scriveva a questo modo in un articolo emesso su "L'Internazionale", organo della Camera del Lavoro sindacalista rivoluzionaria di Parma, già una delle voci dell'interventismo rivoluzionario del 1914-1918 e poi del sindacalismo dannunziano, intitolato "D'Annunzio e il proletariato" e pubblicato il [[3 dicembre]] [[1922]]: «L'amico Tommaso Bruno, in un suo articolo "Chiarificazione" ha espresso con riguardosa franchezza le preoccupazioni che tormentano l'animo di molti lavoratori quando pensano a D'Annunzio. Molti fra i più sinceri militanti della causa proletaria, sono infatti divisi fra la speranza e il timore, e chiedono perciò "che si chiuda il ciclo malinconico di induzioni, indagini e ricerche sul pensiero dannunziano; pensiero che tutti forse interpretano in modo più rispondente alle proprie aspirazioni, ai propri sentimenti, che non ai sentimenti ed alle aspirazioni dell'uomo stesso, verso cui tanti sguardi si protendono».


Io comprendo questo stato d'animo pur senza condividerlo; ma credo che si possa trovare la certezza richiesta con tanta ansia anche senza pretendere da Gabriele D'Annunzio una definizione geometrica del suo pensiero, che repugna alla natura del pensiero stesso.
Io comprendo questo stato d'animo pur senza condividerlo; ma credo che si possa trovare la certezza richiesta con tanta ansia anche senza pretendere da Gabriele D'Annunzio una definizione geometrica del suo pensiero, che repugna alla natura del pensiero stesso.
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Il Trattato di Rapallo <ref>[https://web.archive.org/web/20120818102223/http://www.pbmstoria.it/dizionari/storia_mod/r/r902.htm I trattati di Rapallo]</ref>, finalmente suggellato il [[12 novembre]] [[1920]], risolveva la questione adriatica con un vile compromesso che accontentava i maggiorenti delle borghesie italiana e jugoslava e poneva sostanzialmente termine alla clamorosa avventura fiumana.
Il Trattato di Rapallo <ref>[https://web.archive.org/web/20120818102223/http://www.pbmstoria.it/dizionari/storia_mod/r/r902.htm I trattati di Rapallo]</ref>, finalmente suggellato il [[12 novembre]] [[1920]], risolveva la questione adriatica con un vile compromesso che accontentava i maggiorenti delle borghesie italiana e jugoslava e poneva sostanzialmente termine alla clamorosa avventura fiumana.
Di primo acchito e in un momento di profondo sconforto e di dolente incertezza, D'Annunzio dichiarò di preferire la morte alla resa. Fedele al motto che aveva coniato per i suoi baldi legionari - ''Mori citius quam deserere'' - per qualche settimana egli si cullò nella visione di una Fine Eroica e Gloriosa. «Per Fiume, per le Isole, per la Dalmazia, noi otterremo tutto quello che è giusto», declamò il Comandante il 5 Dicembre 1920, alla notizia dei disordini di Zara. E proseguiva: «Ma, se questo non potessimo ottenere, se non potessimo superare con un balzo prodigioso l'iniquità degli uomini e l'avversità delle sorti, io vi dico sul mio onore che tra l'Italia e Fiume, tra l'Italia e le Isole, tra l'Italia e la Dalmazia resterà per sempre il mio corpo sanguinante».
Di primo acchito e in un momento di profondo sconforto e di dolente incertezza, D'Annunzio dichiarò di preferire la morte alla resa. Fedele al motto che aveva coniato per i suoi baldi legionari - ''Mori citius quam deserere'' - per qualche settimana egli si cullò nella visione di una Fine Eroica e Gloriosa. «Per Fiume, per le Isole, per la Dalmazia, noi otterremo tutto quello che è giusto», declamò il Comandante il [[5 dicembre]] [[1920]], alla notizia dei disordini di Zara. E proseguiva: «Ma, se questo non potessimo ottenere, se non potessimo superare con un balzo prodigioso l'iniquità degli uomini e l'avversità delle sorti, io vi dico sul mio onore che tra l'Italia e Fiume, tra l'Italia e le Isole, tra l'Italia e la Dalmazia resterà per sempre il mio corpo sanguinante».


Tre settimane dopo, durante i tragici giorni del [[Aspetti_libertari_dell%27impresa_di_Fiume#Il_Natale_di_sangue|Natale di Sangue]], durante il bombardamento di Fiume dal mare, una cannonata dell'"Andrea Doria" poco mancò di realizzare questo orrendo ed infame proposito, risolvendo d'un tratto ogni controversia e liberando d'ogni molestia il Governo del Re e della Borghesia con l'eliminazione del più impavido ed eroico individuo generato nel Secolo Diciannovesimo tra le italiche genti.
Tre settimane dopo, durante i tragici giorni del [[Aspetti_libertari_dell%27impresa_di_Fiume#Il_Natale_di_sangue|Natale di Sangue]], durante il bombardamento di Fiume dal mare, una cannonata dell'"Andrea Doria" poco mancò di realizzare questo orrendo ed infame proposito, risolvendo d'un tratto ogni controversia e liberando d'ogni molestia il Governo del Re e della Borghesia con l'eliminazione del più impavido ed eroico individuo generato nel Secolo Diciannovesimo tra le italiche genti.
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Con la consueta supponenza arrogante e settaria, l'organo che sarebbe poi diventato l'attuale bollettino rivoltante e nauseabondo della F.A.I., per mezzo di una nota redazionale chiosava, quello stesso giorno e a commento dell'intervista, che sarebbe stato meglio se D'Annunzio fosse andato "a far dei versi". Notazione ineccepibile, sempre che coloro che l'avessero fatta fossero stati poi in grado di fare quella Rivoluzione di cui si accusava il Poeta di essere incapace di attuare, perso nelle sue "fisime medievali". Ma in ogni momento, e quindi anche in quello, i malatestiani dimostrarono di non smentirsi mai; e in un certo qual modo, la coerenza della loro costante miopia va pertanto riconosciuta.
Con la consueta supponenza arrogante e settaria, l'organo che sarebbe poi diventato l'attuale bollettino rivoltante e nauseabondo della F.A.I., per mezzo di una nota redazionale chiosava, quello stesso giorno e a commento dell'intervista, che sarebbe stato meglio se D'Annunzio fosse andato "a far dei versi". Notazione ineccepibile, sempre che coloro che l'avessero fatta fossero stati poi in grado di fare quella Rivoluzione di cui si accusava il Poeta di essere incapace di attuare, perso nelle sue "fisime medievali". Ma in ogni momento, e quindi anche in quello, i malatestiani dimostrarono di non smentirsi mai; e in un certo qual modo, la coerenza della loro costante miopia va pertanto riconosciuta.


Frattanto, quegli italiani che sentirono la vergogna del bombardamento di Fiume e che cercarono di «sollevarsi e compiere infine giustizia», così come aveva invocato il Comandante, si fecero vivi in quel di Milano, dove la sorveglianza esercitata nei confronti dei sovversivi era svolta con modalità oltremodo ossessionanti. Così il 28 Dicembre 1920, informato del fatto che la sera prima una decina di persone aveva tenuto un misterioso e carbonaro convegno dietro le scuole dei bastioni di Porta Volta, il questore preparò un'imboscata che, col favore di una nebbia fittissima, riuscì alla perfezione. Il quotidiano radicale di Milano ''Il Secolo'' nel suo numero del 31 Dicembre 1920 in questa guisa ricostruiva la vicenda:
Frattanto, quegli italiani che sentirono la vergogna del bombardamento di Fiume e che cercarono di «sollevarsi e compiere infine giustizia», così come aveva invocato il Comandante, si fecero vivi in quel di Milano, dove la sorveglianza esercitata nei confronti dei sovversivi era svolta con modalità oltremodo ossessionanti. Così il [[28 dicembre]] [[1920]], informato del fatto che la sera prima una decina di persone aveva tenuto un misterioso e carbonaro convegno dietro le scuole dei bastioni di Porta Volta, il questore preparò un'imboscata che, col favore di una nebbia fittissima, riuscì alla perfezione. Il quotidiano radicale di Milano ''Il Secolo'' nel suo numero del [[31 dicembre]] [[1920]] in questa guisa ricostruiva la vicenda:
: «Gli agenti si appostarono dietro le piante, circondarono la scuola, vigilarono senza essere visti tutti gli accessi. Mano mano che delle persone spuntavano agli ingressi della trappola tesa, venivano acciuffate. Un camion era pronto, a una certa distanza, a raccogliere gli arrestati. L'operazione di sorpresa riuscì benissimo, in silenzio, animandosi soltanto allorchè comparve l'anarchico Annunzio Filippi, fratello di quel Bruno Filippi che morì sfracellato dalla bomba da lui deposta dentro un ammezzato della Galleria Vittorio Emanuele. Avendo il Filippi scorto gli agenti nell'ombra, si diede alla fuga. Per riuscire meglio estrasse una rivoltella carica, come fu visto poi, di sette colpi. Il Filippi riuscì a percorrere un breve tratto di corsa; ma vedendo che da ogni albero sbucavano guardie pronte a sbarrargli il passo si fermò, abbassando l'arma. Fu preso. Nelle tasche aveva una scatola di zinco contenente materie esplosive. L'arrestato possedeva anche otto detonatori».
: «Gli agenti si appostarono dietro le piante, circondarono la scuola, vigilarono senza essere visti tutti gli accessi. Mano mano che delle persone spuntavano agli ingressi della trappola tesa, venivano acciuffate. Un camion era pronto, a una certa distanza, a raccogliere gli arrestati. L'operazione di sorpresa riuscì benissimo, in silenzio, animandosi soltanto allorchè comparve l'anarchico Annunzio Filippi, fratello di quel Bruno Filippi che morì sfracellato dalla bomba da lui deposta dentro un ammezzato della Galleria Vittorio Emanuele. Avendo il Filippi scorto gli agenti nell'ombra, si diede alla fuga. Per riuscire meglio estrasse una rivoltella carica, come fu visto poi, di sette colpi. Il Filippi riuscì a percorrere un breve tratto di corsa; ma vedendo che da ogni albero sbucavano guardie pronte a sbarrargli il passo si fermò, abbassando l'arma. Fu preso. Nelle tasche aveva una scatola di zinco contenente materie esplosive. L'arrestato possedeva anche otto detonatori».


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Il 5 Gennaio 1921 il questore, secondo una prassi divenuta ormai abituale, chiedeva al procuratore del re sei giorni di proroga per le indagini. Scaduti i sei giorni della proroga, la pratica passava al giudice istruttore. Tranne Cerati, Tromba e Filippi, tutti gli arrestati venivano rimessi in libertà. L'intero caso si sgonfiava e le cose prendevano una piega diversa, fermo restando l'insolita intesa creatasi che ricordava alcuni complotti anarrepubblicani che avevano avuto luogo a Roma nel 1919. Dei tre inquisiti non si parlò più fino all'estate, quando fu celebrato il processo.
Il 5 Gennaio 1921 il questore, secondo una prassi divenuta ormai abituale, chiedeva al procuratore del re sei giorni di proroga per le indagini. Scaduti i sei giorni della proroga, la pratica passava al giudice istruttore. Tranne Cerati, Tromba e Filippi, tutti gli arrestati venivano rimessi in libertà. L'intero caso si sgonfiava e le cose prendevano una piega diversa, fermo restando l'insolita intesa creatasi che ricordava alcuni complotti anarrepubblicani che avevano avuto luogo a Roma nel 1919. Dei tre inquisiti non si parlò più fino all'estate, quando fu celebrato il processo.


Il 21 Luglio 1921 i tre imputati comparvero davanti alla Corte d'Assise di Milano dopo quasi sette mesi di carcere preventivo, insieme a Mario Carli e ad un altro futurista, imputati a piede libero, di complotto contro la sicurezza dello Stato. Essi avevano, secondo l'atto d'accusa ripreso da ''Il Secolo'' del 21 Luglio medesimo, «concertato e stabilito di commettere il fatto diretto a far sorgere in armi gli abitanti del Regno contro i poteri dello Stato, incitando con la stampa la cittadinanza a prendere le armi contro i detti poteri per la questione di Fiume, radunando persone a convegno a Milano le sere del 27 e 28 Dicembre 1920, munendosi di armi da fuoco e di un ordigno esplosivo e stampando un supplemento straordinario del periodico ''La Testa di Ferro'', con un vibrato appello alla sommossa a mano armata».
Il 21 Luglio 1921 i tre imputati comparvero davanti alla Corte d'Assise di Milano dopo quasi sette mesi di carcere preventivo, insieme a Mario Carli e ad un altro futurista, imputati a piede libero, di complotto contro la sicurezza dello Stato. Essi avevano, secondo l'atto d'accusa ripreso da ''Il Secolo'' del 21 Luglio medesimo, «concertato e stabilito di commettere il fatto diretto a far sorgere in armi gli abitanti del Regno contro i poteri dello Stato, incitando con la stampa la cittadinanza a prendere le armi contro i detti poteri per la questione di Fiume, radunando persone a convegno a Milano le sere del [[27 dicembre|27]] e [[28 dicembre]] [[1920]], munendosi di armi da fuoco e di un ordigno esplosivo e stampando un supplemento straordinario del periodico ''La Testa di Ferro'', con un vibrato appello alla sommossa a mano armata».


Il dibattimento ridusse il complotto alle giuste proporzioni. Cerati disse che lo scopo della riunione era quello di preparare delle dimostrazioni per indurre il governo a togliere il blocco di Fiume. Annunzio Filippi, la cui rivoltella era pure guasta, dichiarò di non sapere che la scatola era una bomba e che gliela aveva affidata uno sconosciuto e che non gli sarebbe stato difficile liberarsene prima della cattura. Tromba, che l'anno prima era stato assolto in istruttoria dall'accusa di complicità nell'attentato compiuto da Bruno Filippi al Caffè Biffi, asserì di essere stato arrestato mentre curiosava in Piazza Lega Lombarda. Carli, il più lucido e puntuale di tutti nel corso del processo, spiegò che in quelle settimane il suo giornale si era proposto di "riunire tutti i partiti rivoluzionari per purificare l'Italia e liberarla dal giogo della democrazia, Antitesi dell'Eroico". Filippo Tommaso Marinetti e Alceste De Ambris, citati come testimoni, giustificarono infiammati e virili come sempre i propositi degli imputati. Il secondo tentò di leggere un messaggio di solidarietà agli imputati vergato da D'Annunzio, ma il Pubblico Ministero si oppose e il Presidente della Corte glielo impedì. Scritta a Gardone Riviera il 20 Luglio 1921, la lettera del Comandante ricordava come, mentre a Fiume ferveva una battaglia disperata, «l'eroismo solitario di Pochi» si fosse alzato «contro la sommessione di tutto il pavido regno». Egli così seguitava: «Tra quei pochi erano questi giovani legionari che, lontani dalla battaglia, non potendo accorrere, tentarono di riscuotere intorno a loro il popolo ingannato ed addormentato, cercarono di gridare la verità sanguinosa contro la congiura del silenzio. Questi accusati, soli contro l'incuranza di tutti, soli contro l'insensibilità di tutti, soli con il loro dolore e il loro furore, vollero gettare il loro grido, vollero testimoniare la loro devozione a quei fratelli che laggiù cadevano sorridendo verso le stelle annunziatrici del Figliuol d'uomo. Cadendo, morendo, erano essi i più forti. E questi giovani, che non hanno altra colpa se non di avere passato il limite in generoso delirio, questi giovani che per la Causa Santa e Bella hanno sofferto senza un lamento la prigionia e l'oppressione, oggi sono anch'essi i più forti». D'Annunzio non aveva torto a sperare nella clemenza dei "buoni giudici", che infatti assolsero tutti gli imputati dal reato più grave, la congiura. Cerati subì una lieve condanna per porto abusivo di rivoltella. Ma Annunzio Filippi, degno epigono del compianto congiunto, pagò per tutti buscandosi due anni di reclusione e uno di vigilanza speciale per la bomba.
Il dibattimento ridusse il complotto alle giuste proporzioni. Cerati disse che lo scopo della riunione era quello di preparare delle dimostrazioni per indurre il governo a togliere il blocco di Fiume. Annunzio Filippi, la cui rivoltella era pure guasta, dichiarò di non sapere che la scatola era una bomba e che gliela aveva affidata uno sconosciuto e che non gli sarebbe stato difficile liberarsene prima della cattura. Tromba, che l'anno prima era stato assolto in istruttoria dall'accusa di complicità nell'attentato compiuto da Bruno Filippi al Caffè Biffi, asserì di essere stato arrestato mentre curiosava in Piazza Lega Lombarda. Carli, il più lucido e puntuale di tutti nel corso del processo, spiegò che in quelle settimane il suo giornale si era proposto di "riunire tutti i partiti rivoluzionari per purificare l'Italia e liberarla dal giogo della democrazia, Antitesi dell'Eroico". Filippo Tommaso Marinetti e Alceste De Ambris, citati come testimoni, giustificarono infiammati e virili come sempre i propositi degli imputati. Il secondo tentò di leggere un messaggio di solidarietà agli imputati vergato da D'Annunzio, ma il Pubblico Ministero si oppose e il Presidente della Corte glielo impedì. Scritta a Gardone Riviera il 20 Luglio 1921, la lettera del Comandante ricordava come, mentre a Fiume ferveva una battaglia disperata, «l'eroismo solitario di Pochi» si fosse alzato «contro la sommessione di tutto il pavido regno». Egli così seguitava: «Tra quei pochi erano questi giovani legionari che, lontani dalla battaglia, non potendo accorrere, tentarono di riscuotere intorno a loro il popolo ingannato ed addormentato, cercarono di gridare la verità sanguinosa contro la congiura del silenzio. Questi accusati, soli contro l'incuranza di tutti, soli contro l'insensibilità di tutti, soli con il loro dolore e il loro furore, vollero gettare il loro grido, vollero testimoniare la loro devozione a quei fratelli che laggiù cadevano sorridendo verso le stelle annunziatrici del Figliuol d'uomo. Cadendo, morendo, erano essi i più forti. E questi giovani, che non hanno altra colpa se non di avere passato il limite in generoso delirio, questi giovani che per la Causa Santa e Bella hanno sofferto senza un lamento la prigionia e l'oppressione, oggi sono anch'essi i più forti». D'Annunzio non aveva torto a sperare nella clemenza dei "buoni giudici", che infatti assolsero tutti gli imputati dal reato più grave, la congiura. Cerati subì una lieve condanna per porto abusivo di rivoltella. Ma Annunzio Filippi, degno epigono del compianto congiunto, pagò per tutti buscandosi due anni di reclusione e uno di vigilanza speciale per la bomba.
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