Julian Beck: differenze tra le versioni

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Il suo è un teatro politico, della gioia, teatro di liberazione, teatro della rivoluzione che nasce dal distacco della mondana Broadway, influenzando generazioni di artisti e attivisti, dai poeti della beat generation degli "anni Cinquanta" fino a [[Jim Morrison]], presente nei turbolenti e selvaggi "anni Sessanta", nelle prigioni del [[Brasile]] negli "anni Settanta" e ancora oggi in Europa, i componenti del Living continuano ad esplorare, sfidare e definire ciò che significa essere un artista. Dopo la sua morte, il gruppo continua ad essere diretto da [[Judith Malina]] insieme al suo nuovo compagno di vita [[Hanon Reznikov]], uno degli allievi di Julian Beck e attore del Living a partire dal [[1968]].
Il suo è un teatro politico, della gioia, teatro di liberazione, teatro della rivoluzione che nasce dal distacco della mondana Broadway, influenzando generazioni di artisti e attivisti, dai poeti della beat generation degli "anni Cinquanta" fino a [[Jim Morrison]], presente nei turbolenti e selvaggi "anni Sessanta", nelle prigioni del [[Brasile]] negli "anni Settanta" e ancora oggi in Europa, i componenti del Living continuano ad esplorare, sfidare e definire ciò che significa essere un artista. Dopo la sua morte, il gruppo continua ad essere diretto da [[Judith Malina]] insieme al suo nuovo compagno di vita [[Hanon Reznikov]], uno degli allievi di Julian Beck e attore del Living a partire dal [[1968]].


«Crediamo in un teatro come luogo d'esperienza intensa fra sogno e rituale, durante il quale lo spettatore perviene ad una comprensione intima di se stesso, al di là  del conscio e dell'inconscio, sino alla comprensione della natura delle cose. Ci pare che solo il linguaggio della poesia arrivi a questo: solo la poesia o un linguaggio carico di simboli e molto distante dal nostro linguaggio quotidiano può condurci al di là  del presente che non ha la chiave della conoscenza di questi regni». Questa affermazione di poetica da parte di Julian Beck - desunta dal numero di dicembre [[1961]] di Theatre Arts - comprova un'istanza riformista che coinvolge, insieme al codice gestuale e prossemico, anche il linguaggio, così come era già  accaduto per le altre arti visive, ad opera di [[Duchamp]], [[Ernst]], [[Leger]], [[Chagall]] e [[Jackson Pollock]], ossia gli artisti che Beck aveva incontrato negli "anni '40" a New York.
«Crediamo in un teatro come luogo d'esperienza intensa fra sogno e rituale, durante il quale lo spettatore perviene ad una comprensione intima di se stesso, al di là  del conscio e dell'inconscio, sino alla comprensione della natura delle cose. Ci pare che solo il linguaggio della poesia arrivi a questo: solo la poesia o un linguaggio carico di simboli e molto distante dal nostro linguaggio quotidiano può condurci al di là  del presente che non ha la chiave della conoscenza di questi regni». Questa affermazione di poetica da parte di Julian Beck - desunta dal numero di dicembre [[1961]] di Theatre Arts - comprova un'istanza riformista che coinvolge, insieme al codice gestuale e prossemico, anche il linguaggio, così come era già  accaduto per le altre arti visive, ad opera di [[Duchamp]], [[Ernst]], [[Leger]], [[Chagall]] e [[Jackson Pollock]], ossia gli artisti che Beck aveva incontrato negli "anni '40" a New York.


La contestazione nei confronti del teatro commerciale e istituzionale era del resto già  stata prefigurata in senso estetico da [[Antonin Artaud]]: secondo l'artista il processo di disintegrazione del teatro tradizionale doveva scalfire il monopolio del parlato, per riqualificare la spontaneità  della tensione drammatica manifestabile mediante il gesto, il suono e l'espressività  corporea in senso lato. La concezione crudelmente surrealista di Artaud identificava gli stessi attori nel ruolo di vittime sacrificali, "da bruciare sul rogo": anche la ritualità  tribale degli spettacoli del [[Living Theatre]] ha ereditato qualche aspetto di tale esasperata ossessione oblativa.
La contestazione nei confronti del teatro commerciale e istituzionale era del resto già  stata prefigurata in senso estetico da [[Antonin Artaud]]: secondo l'artista il processo di disintegrazione del teatro tradizionale doveva scalfire il monopolio del parlato, per riqualificare la spontaneità  della tensione drammatica manifestabile mediante il gesto, il suono e l'espressività  corporea in senso lato. La concezione crudelmente surrealista di Artaud identificava gli stessi attori nel ruolo di vittime sacrificali, "da bruciare sul rogo": anche la ritualità  tribale degli spettacoli del [[Living Theatre]] ha ereditato qualche aspetto di tale esasperata ossessione oblativa.
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