Il marxismo come ideologia borghese (di Murray Bookchin): differenze tra le versioni

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Per colmo d'ironia, Marx completò il pensiero illuminista riportando nella società il cosmo di Laplace - non in modo rozzamente meccanicistico, ma certamente da scienziato, in aperta e violenta opposizione con ogni forma di utopia sociale. Assai più significativo dell'idea di Marx, secondo il quale egli avrebbe dato al socialismo una base scientifica, è il fatto, secondo il quale egli diede basi scientifiche al "destino" sociale. Di conseguenza, gli "uomini" erano da considerarsi (secondo le parole dello stesso Marx nella prefazione a ''Il capitale'') la "personificazione delle categorie economiche, i portatori di interessi di classe particolari", e non individui dotati di volontà e capaci di perseguire finalità etiche. L'umanità era divenuta l'oggetto di una legge sociale, una legge privata di ogni significato morale, come la legge cosmica di Laplace. La scienza non era più semplicemente un mezzo per descrivere la società, ma era divenuta il destino stesso della società.
Per colmo d'ironia, Marx completò il pensiero illuminista riportando nella società il cosmo di Laplace - non in modo rozzamente meccanicistico, ma certamente da scienziato, in aperta e violenta opposizione con ogni forma di utopia sociale. Assai più significativo dell'idea di Marx, secondo il quale egli avrebbe dato al socialismo una base scientifica, è il fatto, secondo il quale egli diede basi scientifiche al "destino" sociale. Di conseguenza, gli "uomini" erano da considerarsi (secondo le parole dello stesso Marx nella prefazione a ''Il capitale'') la "personificazione delle categorie economiche, i portatori di interessi di classe particolari", e non individui dotati di volontà e capaci di perseguire finalità etiche. L'umanità era divenuta l'oggetto di una legge sociale, una legge privata di ogni significato morale, come la legge cosmica di Laplace. La scienza non era più semplicemente un mezzo per descrivere la società, ma era divenuta il destino stesso della società.


Ciò che appare particolarmente significativo in questa sovversione del contenuto etico della legge - in questa sovversione della dialettica - è il modo in cui la dominazione è elevata a fatto naturale. Essa è connessa alla libertà, come condizione preliminare e necessaria all'emancipazione sociale. Marx, che in un certo senso si avvicinò alla concezione hegeliana, secondo la quale la realizzazione delle potenzialità umane passava attraverso la consapevolezza e la libertà, non possiede un criterio morale o spirituale intrinseco per affermare questo destino. Tutta la sua teoria è prigioniera della riduzione dell'[[etica]] a legge, della soggettività ad oggettività, della libertà a necessità. La dominazione diviene ammissibile come condizione preliminare e necessaria alla libertà, il capitalismo come condizione preliminare e necessaria al socialismo, la centralizzazione come condizione preliminare e necessaria alla decentralizzazione, lo stato come condizione preliminare e necessaria al comunismo. Sarebbe stato sufficiente affermare che il progresso materiale e tecnologico è condizione preliminare e necessaria alla libertà, ma Marx, come vedremo, dice molto di più e in modo tale che se ne possono trarre implicazioni sinistre per la realizzazione della libertà. I limiti che il pensiero libertario più puro poneva ad ogni trasgressione oltre i confini morali dell'agire sono bollati come "ideologia" e liquidati. Naturalmente, anche Marx avrebbe considerato una società totalitaria come una malefica deviazione dalla sua visione sociale; tuttavia, il suo apparato teoretico non contiene formulazioni etiche tali da escludere il concetto di dominazione dalla sua analisi sociale. Secondo l'ottica marxiana, una esclusione di questo genere avrebbe dovuto essere la conseguenza di una legge sociale oggettiva - del processo della "storia naturale" -, cioè di una legge moralmente neutrale. Perciò il concetto di dominazione non può essere criticato nei termini di un'etica che si richiami intrinsecamente alla giustizia e alla libertà; lo si può criticare - o convalidare - solo sulla base di leggi oggettive con una loro propria validità, che esistono, cioè, al di sopra degli "uomini" e al di sopra delle "ideologie". Questo errore, che trascende il problema dello "scientismo" marxista, si rivela fatale, poiché apre la via alla dominazione, che diviene l'incubo latente in ogni forma e in ogni successiva rielaborazione dell'ideale marxista.
Ciò che appare particolarmente significativo in questa sovversione del contenuto etico della legge - in questa sovversione della dialettica - è il modo in cui la dominazione è elevata a fatto naturale. Essa è connessa alla libertà, come condizione preliminare e necessaria all'emancipazione sociale. Marx, che in un certo senso si avvicinò alla concezione hegeliana, secondo la quale la realizzazione delle potenzialità umane passava attraverso la consapevolezza e la libertà, non possiede un criterio morale o spirituale intrinseco per affermare questo destino. Tutta la sua teoria è prigioniera della riduzione dell'[[etica]] a legge, della soggettività ad oggettività, della libertà a necessità. La dominazione diviene ammissibile come condizione preliminare e necessaria alla libertà, il capitalismo come condizione preliminare e necessaria al socialismo, la centralizzazione come condizione preliminare e necessaria alla decentralizzazione, lo stato come condizione preliminare e necessaria al comunismo. Sarebbe stato sufficiente affermare che il progresso materiale e tecnologico è condizione preliminare e necessaria alla libertà, ma Marx, come vedremo, dice molto di più e in modo tale che se ne possono trarre implicazioni sinistre per la realizzazione della libertà. I limiti che il pensiero libertario più puro poneva ad ogni trasgressione oltre i confini morali dell'agire sono bollati come "ideologia" e liquidati. Naturalmente, anche Marx avrebbe considerato una società totalitaria come una malefica deviazione dalla sua visione sociale; tuttavia, il suo apparato teoretico non contiene formulazioni etiche tali da escludere il concetto di dominazione dalla sua analisi sociale. Secondo l'ottica marxiana, una esclusione di questo genere avrebbe dovuto essere la conseguenza di una legge sociale oggettiva - del processo della "storia naturale" - cioè di una legge moralmente neutrale. Perciò il concetto di dominazione non può essere criticato nei termini di un'etica che si richiami intrinsecamente alla giustizia e alla libertà; lo si può criticare - o convalidare - solo sulla base di leggi oggettive con una loro propria validità, che esistono, cioè, al di sopra degli "uomini" e al di sopra delle "ideologie". Questo errore, che trascende il problema dello "scientismo" marxista, si rivela fatale, poiché apre la via alla dominazione, che diviene l'incubo latente in ogni forma e in ogni successiva rielaborazione dell'ideale marxista.


=== La conquista della natura ===
=== La conquista della natura ===
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Il proletariato, come tutte le altre classi, è prigioniero dei processi impersonali della storia. Come classe maggiormente soggetta alla disumanizzazione operata dalla società borghese, esso può trascendere la propria oggettivazione solo attraverso il carattere "urgente, non più mistificabile e assolutamente imperativo dei propri bisogni...". Per Marx, "il problema non è ciò che questo o quel proletariato, o anche tutto il proletariato, considera come suo obiettivo. Il problema è che cosa è il proletariato e che cosa, in conseguenza del suo essere, deve fare". (''La sacra famiglia'') Il suo "essere", qui, è un oggetto, e la legge sociale non è "destino", ma necessità. La soggettività del proletariato è un prodotto della sua oggettività - concezione, questa, che per colmo d'ironia trova una sorta di conferma nel fatto che ogni appello rivoluzionario rivolto esclusivamente a fattori oggettivi che intervengono nella formazione della "coscienza proletaria" o coscienza di classe si ritorcono come un boomerang contro il socialismo, in forma di una classe lavoratrice che ha "aderito al capitalismo" e che reclama la sua parte di benessere nel sistema. Così, come l'azione si fonda sulla reazione e la motivazione si fonda sul bisogno, lo spirito borghese diviene lo "spirito terreno" del marxismo.
Il proletariato, come tutte le altre classi, è prigioniero dei processi impersonali della storia. Come classe maggiormente soggetta alla disumanizzazione operata dalla società borghese, esso può trascendere la propria oggettivazione solo attraverso il carattere "urgente, non più mistificabile e assolutamente imperativo dei propri bisogni...". Per Marx, "il problema non è ciò che questo o quel proletariato, o anche tutto il proletariato, considera come suo obiettivo. Il problema è che cosa è il proletariato e che cosa, in conseguenza del suo essere, deve fare". (''La sacra famiglia'') Il suo "essere", qui, è un oggetto, e la legge sociale non è "destino", ma necessità. La soggettività del proletariato è un prodotto della sua oggettività - concezione, questa, che per colmo d'ironia trova una sorta di conferma nel fatto che ogni appello rivoluzionario rivolto esclusivamente a fattori oggettivi che intervengono nella formazione della "coscienza proletaria" o coscienza di classe si ritorcono come un boomerang contro il socialismo, in forma di una classe lavoratrice che ha "aderito al capitalismo" e che reclama la sua parte di benessere nel sistema. Così, come l'azione si fonda sulla reazione e la motivazione si fonda sul bisogno, lo spirito borghese diviene lo "spirito terreno" del marxismo.


La disillusione della natura porta alla disillusione dell'umanità. L'"uomo" diviene un agglomerato di interessi e la coscienza di classe diviene la generalizzazione di questi interessi a livello di coscienza. Nella misura in cui il concetto classico di realizzazione di individuo attraverso la polis perde terreno di fronte al concetto di auto-conservazione attraverso il socialismo, il pensiero borghese acquista un grado tale di sofisticazione, che i suoi primi portavoce (Hobbes, Locke) sembrano quasi degli ingenui. Ora l'incubo della dominazione si rivela in tutta la sua logica autoritaria. Come la necessità diviene il fondamento della libertà, così l'autorità diviene il fondamento di ogni coordinazione razionale. Questo concetto, già implicito nella netta separazione operata da Marx tra la dimensione della necessità e quella della libertà - una separazione che sarà aspramente criticata da Fourier -, viene definito in termini espliciti nel saggio di Engels, Sull'autorità. Per Engels, la fabbrica è un fatto naturale della tecnica, non un modo specificatamente borghese per razionalizzare il lavoro: di conseguenza, essa dovrà esistere nella società comunista, così come in quella capitalista, "indipendentemente dall'organizzazione sociale". Perché sia possibile coordinare l'attività della fabbrica, è necessario che le maestranze rinuncino ad ogni "autonomia" e "obbediscano ciecamente". Nella società classista e nella società senza classi, la dimensione della necessità sarà sempre una dimensione di autorità e di obbedienza, di governanti e governati. In modo assolutamente coerente all'ideologia di classe, Engels considera l'abbinamento tra socialismo, autoritarismo e comando come un fatto perfettamente naturale. Da attributo sociale, la dominazione diviene condizione essenziale alla sopravvivenza in una società tecnicamente avanzata.
La disillusione della natura porta alla disillusione dell'umanità. L'"uomo" diviene un agglomerato di interessi e la coscienza di classe diviene la generalizzazione di questi interessi a livello di coscienza. Nella misura in cui il concetto classico di realizzazione di individuo attraverso la polis perde terreno di fronte al concetto di auto-conservazione attraverso il socialismo, il pensiero borghese acquista un grado tale di sofisticazione, che i suoi primi portavoce (Hobbes, Locke) sembrano quasi degli ingenui. Ora l'incubo della dominazione si rivela in tutta la sua logica autoritaria. Come la necessità diviene il fondamento della libertà, così l'autorità diviene il fondamento di ogni coordinazione razionale. Questo concetto, già implicito nella netta separazione operata da Marx tra la dimensione della necessità e quella della libertà - una separazione che sarà aspramente criticata da Fourier - viene definito in termini espliciti nel saggio di Engels, Sull'autorità. Per Engels, la fabbrica è un fatto naturale della tecnica, non un modo specificatamente borghese per razionalizzare il lavoro: di conseguenza, essa dovrà esistere nella società comunista, così come in quella capitalista, "indipendentemente dall'organizzazione sociale". Perché sia possibile coordinare l'attività della fabbrica, è necessario che le maestranze rinuncino ad ogni "autonomia" e "obbediscano ciecamente". Nella società classista e nella società senza classi, la dimensione della necessità sarà sempre una dimensione di autorità e di obbedienza, di governanti e governati. In modo assolutamente coerente all'ideologia di classe, Engels considera l'abbinamento tra socialismo, autoritarismo e comando come un fatto perfettamente naturale. Da attributo sociale, la dominazione diviene condizione essenziale alla sopravvivenza in una società tecnicamente avanzata.


=== [[gerarchia|Gerarchia]] e dominazione ===
=== [[gerarchia|Gerarchia]] e dominazione ===
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