Batteria di rapinatori: differenze tra le versioni

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Lo stile di vita di questi giovani di quartiere li porta inevitabilmente in carcere, quando non muoiono nei conflitti a fuoco con le forze dell'ordine. Con questi ultimi vi è una sfida continua, come testimonia questo episodio:
Lo stile di vita di questi giovani di quartiere li porta inevitabilmente in carcere, quando non muoiono nei conflitti a fuoco con le forze dell'ordine. Con questi ultimi vi è una sfida continua, come testimonia questo episodio:


: «Era un po' che alla sera si piazzavano nelle nostre zone e se fermavano dei nostri amici gli facevano delle prepotenze e dei soprusi. [...] questi non erano della batteria, erano i nostri amici del quartiere, quelli con cui siamo cresciuti e che fino a quando noi non abbiamo svoltato si stava tutti insieme. Dopo si era rimasti amici. Capitava di incontrarci però, per forza di cose, si stava poco insieme. Noi facevamo rapine, loro andavano a lavorare, noi eravamo ricercati o in bandiera e loro no. [...]  Se dovevano tifare, tifavano più per noi che per gli sbirri. Questo le madame lo sapevano e così, visto che con noi se lo menavano, si rifacevano su chi gli capitava sotto. Anche per questo decidiamo di agire. Così una sera mandiamo prima uno regolare a farsi un giro, per vedere se ci sono, quanti sono e dove sono. Torna e dice che ci sono due volanti che stanno facendo un blocco nella nostra zona. In totale quattro uomini. Uno, affiancato da un altro con il mitra, paletta le macchine, uno in macchina controlla i documenti e un altro, sul lato opposto della strada, tiene sotto controllo la situazione. Anche questo è armato di mitra. [...] Formiamo due macchine e partiamo. Siamo in otto, abbiamo tutti un'arma lunga, mitra o fucile e un paio di pezzi corti a testa. Alla macchina di testa avevamo tolto il lunotto posteriore, in questo modo i due che stavano dietro potevano tirare fuori i pezzi, rimanendo in macchina. L'operazione è molto semplice. Quando arriviamo ci sono delle auto incolonnate. [...] Quando è il turno della nostra macchina di testa, questa dà  un'improvvisa accelerata. Noi dietro saltiamo immediatamente giù e puntiamo subito quello con il mitra che stava in posizione un po' defilata. Era lui quello che poteva dare i problemi maggiori. I due che bloccavano le auto si ritrovano sotto li tiro dei mitra che spuntano dalla parte posteriore della prima auto, mentre l'addetto ai documenti è preso sotto tiro, con un fucile a pompa, da quello davanti. L'autista scende e va a disarmarlo. Gli togliamo le armi e gli consigliamo di non farsi più vedere in zona. Consiglio che raccolgono, visto che per un bel po' di tempo non si fanno vedere. Quando lo fanno mobilitano un esercito».<ref>M., rapinatore milanese. In: Emilio Quadrelli, ''Andare ai resti'', Edizioni DeriveApprodi, pp. 35-36.</ref>
: «Era un po' che alla sera si piazzavano nelle nostre zone e se fermavano dei nostri amici gli facevano delle prepotenze e dei soprusi. [...] questi non erano della batteria, erano i nostri amici del quartiere, quelli con cui siamo cresciuti e che fino a quando noi non abbiamo svoltato si stava tutti insieme. Dopo si era rimasti amici. Capitava di incontrarci però, per forza di cose, si stava poco insieme. Noi facevamo rapine, loro andavano a lavorare, noi eravamo ricercati o in bandiera e loro no. [...]  Se dovevano tifare, tifavano più per noi che per gli sbirri. Questo le madame lo sapevano e così, visto che con noi se lo menavano, si rifacevano su chi gli capitava sotto. Anche per questo decidiamo di agire. Così una sera mandiamo prima uno regolare a farsi un giro, per vedere se ci sono, quanti sono e dove sono. Torna e dice che ci sono due volanti che stanno facendo un blocco nella nostra zona. In totale quattro uomini. Uno, affiancato da un altro con il mitra, paletta le macchine, uno in macchina controlla i documenti e un altro, sul lato opposto della strada, tiene sotto controllo la situazione. Anche questo è armato di mitra. [...] Formiamo due macchine e partiamo. Siamo in otto, abbiamo tutti un'arma lunga, mitra o fucile e un paio di pezzi corti a testa. Alla macchina di testa avevamo tolto il lunotto posteriore, in questo modo i due che stavano dietro potevano tirare fuori i pezzi, rimanendo in macchina. L'operazione è molto semplice. Quando arriviamo ci sono delle auto incolonnate. [...] Quando è il turno della nostra macchina di testa, questa dà  un'improvvisa accelerata. Noi dietro saltiamo immediatamente giù e puntiamo subito quello con il mitra che stava in posizione un po' defilata. Era lui quello che poteva dare i problemi maggiori. I due che bloccavano le auto si ritrovano sotto li tiro dei mitra che spuntano dalla parte posteriore della prima auto, mentre l'addetto ai documenti è preso sotto tiro, con un fucile a pompa, da quello davanti. L'autista scende e va a disarmarlo. Gli togliamo le armi e gli consigliamo di non farsi più vedere in zona. Consiglio che raccolgono, visto che per un bel po' di tempo non si fanno vedere. Quando lo fanno mobilitano un esercito». <ref>M., rapinatore milanese. In: Emilio Quadrelli, ''Andare ai resti'', Edizioni DeriveApprodi, pp. 35-36.</ref>


== Bibliografia ==
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