Anarchismo: differenze tra le versioni

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Tale rappresentazione in chiave miracolistica dell'anarchismo <ref>In questo quadro, l'utopica società anarchica appare l'auto-proclamato luogo del bene assoluto ('''ευ τοπος'''), che è tratteggiabile solo attraverso lo speculare rovesciamento di ogni male sociale esistente; ma, in quanto puro rovesciamento, è, nel contempo, anche un non luogo ('''ου τοπος'''), in quanto la sua realizzazione non solo presuppone bensì necessita l'assunzione (e l'avverarsi) dell''''ipotesi indimostrabile per la quale l'essere umano liberato dal dominio sviluppa immediatamente intrinseche capacità autoregolamentative in assenza di ogni istituzione coercitiva'''. In tal modo, la struttura utopica si lega a quella ideologica, non potendo l'una sorreggersi in assenza dell'altra; infatti, al di fuori di questa ipotesi antropologica (ed in assenza della totale negazione dell'esistente) la società anarchica non potrebbe né precognizzarsi, né, tanto meno, realizzarsi e, quindi, sia pure in altre forme, si perpetuerebbe il dominio dell'uomo sull'uomo.</ref> va pertanto, per un verso, demistificata, per altro, nettamente rigettata, al fine non soltanto di favorire l'emergere di una immagine dell'anarchismo depurata da tali fantasie, ma anche, e soprattutto, di riconoscere nell'anarchismo un genuino (in quanto dialettico) '''approccio critico alla realtà sociale'''.
Tale rappresentazione in chiave miracolistica dell'anarchismo <ref>In questo quadro, l'utopica società anarchica appare l'auto-proclamato luogo del bene assoluto ('''ευ τοπος'''), che è tratteggiabile solo attraverso lo speculare rovesciamento di ogni male sociale esistente; ma, in quanto puro rovesciamento, è, nel contempo, anche un non luogo ('''ου τοπος'''), in quanto la sua realizzazione non solo presuppone bensì necessita l'assunzione (e l'avverarsi) dell''''ipotesi indimostrabile per la quale l'essere umano liberato dal dominio sviluppa immediatamente intrinseche capacità autoregolamentative in assenza di ogni istituzione coercitiva'''. In tal modo, la struttura utopica si lega a quella ideologica, non potendo l'una sorreggersi in assenza dell'altra; infatti, al di fuori di questa ipotesi antropologica (ed in assenza della totale negazione dell'esistente) la società anarchica non potrebbe né precognizzarsi, né, tanto meno, realizzarsi e, quindi, sia pure in altre forme, si perpetuerebbe il dominio dell'uomo sull'uomo.</ref> va pertanto, per un verso, demistificata, per altro, nettamente rigettata, al fine non soltanto di favorire l'emergere di una immagine dell'anarchismo depurata da tali fantasie, ma anche, e soprattutto, di riconoscere nell'anarchismo un genuino (in quanto dialettico) '''approccio critico alla realtà sociale'''.


È stato sottolineato che lo stesso «[[Malatesta]] sintetizza la forma mentis dell'argomentare utopico che, anteponendo sempre il dover essere all'essere, si sottrae al confronto immediato col presente, in quanto critica questo non in rapporto alle sue possibilità reali, ma rispetto ad un ipotetico futuro, cioè con il criterio di un stato di cose totalmente diverso. In altri termini, non privilegia la trasformazione delle possibilità insite nella realtà data, ma le virtualità di un modello teorico così come comanda il dover essere». <ref> Giampietro Berti, ''Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento'', Manduria-Bari-Roma, 1998, p. 437</ref> Pare, invece, che proprio [[Malatesta]] riesca a cogliere – sia pur parzialmente – l'aporia di un pensare utopico sul quale poggiare la prassi sociale. Infatti, pur animato da una forte tensione morale (il dover essere), egli rifugge dall'idea dello speculare rovesciamento dell'esistente, ma cerca invece di intervenire su questo ritenendo che sia assurdo ed impossibile abbandonare tutto ciò che ha caratterizzato la vita in una società sostanzialmente autoritaria per approdare a "mondi" nella società anarchica. In questo senso, '''su una parte non irrilevante dell'essere va effettuato un intervento sì critico, ma non per questo distruttivo'''. <ref>[[Malatesta]], il [[1° giugno]] [[1926]], sulle pagine di ''[[Pensiero e Volontà]]'', rileva: «appare l'idea, purtroppo assai sparsa in mezzo ai nostri compagni, che compito degli anarchici sia semplicemente quello di demolire, lasciando ai posteri l'opera di ricostruzione. Ed è idea nefasta. La vita sociale, come la vita individuale, non ammette interruzioni». Sulla stessa rivista, il [[16 giugno]] dello stesso anno, dichiara: «distruggiamo i monopoli, d'accordo, ma i monopoli, quando non sieno quelli dei bottoncini da camicia o del rossetto per le labbra di certe signorine, i grossi monopoli (acqua, elettricità, carbone, trasporti di terra e di mare, ecc.) rispondono sempre ad un servizio pubblico necessario; e non si distruggono quei monopoli, o se ne produce il sollecito ritorno, se nell'atto stesso che si mandan via i monopolisti non si continua il servizio e, possibilmente, in modo migliore di quello che avveniva sotto di loro».</ref> Per certi versi, si possono, quindi, intravedere fra le righe malatestiane intenti dialettici rispetto all'esistente e non, cosa in vero rigettata dal nostro, una (vana) speranza di automatico accomodamento delle cose quotidiane nella società liberata.
È stato sottolineato che lo stesso «[[Malatesta]] sintetizza la forma mentis dell'argomentare utopico che, anteponendo sempre il dover essere all'essere, si sottrae al confronto immediato col presente, in quanto critica questo non in rapporto alle sue possibilità reali, ma rispetto ad un ipotetico futuro, cioè con il criterio di un stato di cose totalmente diverso. In altri termini, non privilegia la trasformazione delle possibilità insite nella realtà data, ma le virtualità di un modello teorico così come comanda il dover essere». <ref> Giampietro Berti, ''Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento'', Manduria-Bari-Roma, 1998, p. 437</ref> Pare, invece, che proprio [[Malatesta]] riesca a cogliere – sia pur parzialmente – l'aporia di un pensare utopico sul quale poggiare la prassi sociale. Infatti, pur animato da una forte tensione morale (il dover essere), egli rifugge dall'idea dello speculare rovesciamento dell'esistente, ma cerca invece di intervenire su questo ritenendo che sia assurdo ed impossibile abbandonare tutto ciò che ha caratterizzato la vita in una società sostanzialmente autoritaria per approdare a "mondi" nella società anarchica. In questo senso, '''su una parte non irrilevante dell'essere va effettuato un intervento sì critico, ma non per questo distruttivo'''. <ref>[[Malatesta]], il [[1° giugno]] [[1926]], sulle pagine di ''[[Pensiero e Volontà]]'', rileva: «appare l'idea, purtroppo assai sparsa in mezzo ai nostri compagni, che compito degli anarchici sia semplicemente quello di demolire, lasciando ai posteri l'opera di ricostruzione. Ed è idea nefasta. La vita sociale, come la vita individuale, non ammette interruzioni». Sulla stessa rivista, il [[16 giugno]] dello stesso anno, dichiara: «distruggiamo i monopoli, d'accordo, ma i monopoli, quando non sieno quelli dei bottoncini da camicia o del rossetto per le labbra di certe signorine, i grossi monopoli (acqua, elettricità, carbone, trasporti di terra e di mareecc.) rispondono sempre ad un servizio pubblico necessario; e non si distruggono quei monopoli, o se ne produce il sollecito ritorno, se nell'atto stesso che si mandan via i monopolisti non si continua il servizio e, possibilmente, in modo migliore di quello che avveniva sotto di loro».</ref> Per certi versi, si possono, quindi, intravedere fra le righe malatestiane intenti dialettici rispetto all'esistente e non, cosa in vero rigettata dal nostro, una (vana) speranza di automatico accomodamento delle cose quotidiane nella società liberata.


Pertanto, nonostante il pensiero comune, l'[[anarchia]] non è un'utopia (nell'accezione di progetto irrealizzabile). Per gran parte della sua storia l'umanità è vissuta senza alcuna '''archia''' (“potere”, “dominio”), poi, anche in epoche successive, vi sono state numerose esperienze anarchiche (vedi, per esempio, [[Ucraina libertaria]] e [[la Rivoluzione spagnola (1936-39)|Rivoluzione spagnola]]); infine, l'anarchico può vivere immediatamente, seppur con i limiti e le contraddizioni che naturalmente si ingenerano in un [[capitalismo|sistema capitalistico]], il suo [[Anarchia#Anarchia e anarchismo|essere anarchico]].
Pertanto, nonostante il pensiero comune, l'[[anarchia]] non è un'utopia (nell'accezione di progetto irrealizzabile). Per gran parte della sua storia l'umanità è vissuta senza alcuna '''archia''' (“potere”, “dominio”), poi, anche in epoche successive, vi sono state numerose esperienze anarchiche (vedi, per esempio, [[Ucraina libertaria]] e [[la Rivoluzione spagnola (1936-39)|Rivoluzione spagnola]]); infine, l'anarchico può vivere immediatamente, seppur con i limiti e le contraddizioni che naturalmente si ingenerano in un [[capitalismo|sistema capitalistico]], il suo [[Anarchia#Anarchia e anarchismo|essere anarchico]].
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Il pensiero anarchico è dunque ben lontano dal negare il problema dell'importanza dell'organizzazione, ma esso si pone come obiettivo un'altra forma di organizzazione con la quale rispondere agli imperativi collettivi. Alla base, il [[federalismo]] si poggia sull'autonomia dei lavoratori e delle industrie così come delle comuni. Gli uni e le altre si associano per garantirsi vicendevolmente e per provvedere ai bisogni individuali e collettivi. Così, se l'autogestione nelle imprese rende possibile la sostituzione del salariato con la realizzazione del lavoro associato, l'organizzazione federativa dei produttori, delle comuni, delle regioni permette la sostituzione dello [[Stato]].  
Il pensiero anarchico è dunque ben lontano dal negare il problema dell'importanza dell'organizzazione, ma esso si pone come obiettivo un'altra forma di organizzazione con la quale rispondere agli imperativi collettivi. Alla base, il [[federalismo]] si poggia sull'autonomia dei lavoratori e delle industrie così come delle comuni. Gli uni e le altre si associano per garantirsi vicendevolmente e per provvedere ai bisogni individuali e collettivi. Così, se l'autogestione nelle imprese rende possibile la sostituzione del salariato con la realizzazione del lavoro associato, l'organizzazione federativa dei produttori, delle comuni, delle regioni permette la sostituzione dello [[Stato]].  


Essa intende presentarsi come il complemento indispensabile per la realizzazione del [[socialismo]] e la migliore garanzia della [[libertà]] individuale. Il fondamento di tale organizzazione è il contratto, uguale e reciproco, volontario, non "teorico" ma effettivo, che si può modificare per volontà dei contraenti (''associazioni dei produttori e dei consumatori, ecc.'') e capace di riconoscere il diritto di iniziativa di tutti i componenti della società.
Essa intende presentarsi come il complemento indispensabile per la realizzazione del [[socialismo]] e la migliore garanzia della [[libertà]] individuale. Il fondamento di tale organizzazione è il contratto, uguale e reciproco, volontario, non "teorico" ma effettivo, che si può modificare per volontà dei contraenti (''associazioni dei produttori e dei consumatoriecc.'') e capace di riconoscere il diritto di iniziativa di tutti i componenti della società.


Così definito, il contratto federativo permette di precisare anche i diritti e i doveri di ciascuno e di sviluppare i principi di un vero diritto sociale in grado di regolamentare gli eventuali conflitti che possono sorgere tra individui, gruppi o collettività, o anche fra regioni, senza per altro rimettere in causa l'autonomia dei suoi componenti, il che permette all'organizzazione federalista di opporsi tanto al centralismo che al "lasciar fare" dell'[[individualismo]] liberale.
Così definito, il contratto federativo permette di precisare anche i diritti e i doveri di ciascuno e di sviluppare i principi di un vero diritto sociale in grado di regolamentare gli eventuali conflitti che possono sorgere tra individui, gruppi o collettività, o anche fra regioni, senza per altro rimettere in causa l'autonomia dei suoi componenti, il che permette all'organizzazione federalista di opporsi tanto al centralismo che al "lasciar fare" dell'[[individualismo]] liberale.
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