Anarchismo: differenze tra le versioni

22 352 byte aggiunti ,  13:34, 15 ott 2020
Nessun oggetto della modifica
Riga 48: Riga 48:


Il [[federalismo]], in quanto modo di organizzazione, costituisce il punto di riferimento centrale dell'anarchismo, il fondamento e il metodo sul quale si costruisce il socialismo libertario. Il federalismo così inteso ha ovviamente ben poco a che vedere con le forme conosciute di federalismo politico praticato da un buon numero di Stati. Per i libertari non si tratta di una semplice tecnica di governo ma di un principio di organizzazione sociale a sé stante, capace cioè di inglobare tutti gli aspetti della vita di una collettività umana.
Il [[federalismo]], in quanto modo di organizzazione, costituisce il punto di riferimento centrale dell'anarchismo, il fondamento e il metodo sul quale si costruisce il socialismo libertario. Il federalismo così inteso ha ovviamente ben poco a che vedere con le forme conosciute di federalismo politico praticato da un buon numero di Stati. Per i libertari non si tratta di una semplice tecnica di governo ma di un principio di organizzazione sociale a sé stante, capace cioè di inglobare tutti gli aspetti della vita di una collettività umana.
== I momenti basilari dell'azione filosofico-politica anarchica <ref name="MC">Fonte principale: ''[https://www.openstarts.units.it/bitstream/10077/10936/1/Malatesta_inTigor_13.pdf Errico Malatesta. Note per un diritto anarchico]'', di Marco Cossutta, Collana in/Tigor, Edizioni Università di Trieste, 2015</ref>==
Possiamo definire tre momenti basilari dell'azione filosofico-politica anarchica:
*il '''momento critico della realtà sociale''';
*il '''momento di oggettivazione della critica tramite la prassi rivoluzionaria''';
*il '''momento propositivo, progettuale d'una nuova configurazione sociale'''.
Questi tre passaggi costituiscono il fulcro inseparabile dell'[[anarchismo]]. L'[[anarchismo]] rifiuta ogni machiavellismo politico nella sua azione, infatti, i '''mezzi''' usati per attuare la liberazione dell'uomo debbono essere '''coerenti con il fine''' (vedi [[coerenza mezzi-fini]]). I mezzi vengono di volta in volta derivati dalla oggettività storico-sociale, all'interno della quale l'[[anarchismo]] si trova ad operare concretamente. Essi si adeguano, mutano, possono coesistere all'interno di stesse realtà, sono di fatto immanenti, ma debbono, per conservare la qualifica di mezzi-strumenti di liberazione rifarsi ad una unica entità o nucleo forte non suscettibile di modificazioni storico-sociali.
La '''coesistenza di una pluralità di vie''' (di diverse possibilità) '''tutte tendenti alla liberazione''' (anarchica), tutte gravitanti attorno ad un unico centro, costituisce il freno ad ogni svolta totalitaria della teoria anarchica.
Di fatto, in questo modo, è impossibile stabilire su un piano veritativo l'esistenza di un metodo (anarchico) unitario di interpretazione della realtà dal momento che l'[[anarchismo]] postula
l'esistenza contemporanea di più possibili interpretazioni della realtà.
Si può quindi affermare che il punto centrale dell'[[anarchismo]], al di là di perseguire un generico fine (la '''costruzione della società dei liberi ed uguali'''), sia la sua '''struttura pluralistica'''. Essa diviene non semplicemente affermazione di principio, ma punto fondante la metodologia anarchica, ossia dell'approccio anarchico con la realtà. In questo senso il '''pluralismo''' non è solamente l''''antitesi della coercizione e della centralizzazione''' (quindi fattore meramente sociale), ma '''momento metodologico fondante l'[[anarchismo]]'''. Una interpretazione della realtà rientra nel variegato mondo dell'[[anarchismo]] se, oltre a rispettare le premesse, è di fatto pluralista, ossia non si autoproclama come interpretazione veritativa della realtà ma, al contrario, solamente una delle possibili interpretazioni della stessa.
In tal modo il divenire storico dell'[[anarchismo]] (la sua esistenza) è un fatto empirico, sperimentale, di volta in volta verificabile e ristrutturabile, non un fatto dogmatico. '''L'[[anarchismo]]''', infatti, '''persegue un fine determinato (anche se generalissimo) ma non determina il mezzo per il suo raggiungimento'''. Lo strumento per edificare concretamente la società anarchica è dunque rapportato ad una trasformazione sociale individuata in termini di processi di mutamento e di conseguenza tendente a elaborare una strategia su più fronti.
In questo contesto non esiste un unico mezzo per arrivare al fine, per meglio dire, non è pensabile un'unica linea di tendenza fondante l'intervento dell'[[anarchismo]] nella realtà sociale. L'esistenza dell'[[anarchismo]] assume la configurazione di imperativo ipotetico; mutando determinate condizioni esso può venir modificato senza venir meno alla sua caratteristica anarchica. Infatti, esso non ha valore di per sé, ma soltanto riferito alla realizzazione del fine. La '''metodologia''' è definibile come '''essenza''' dell''''[[anarchismo]]''' ed il suo '''contenuto''' come '''esistenza''' dello stesso.
La suddivisione qui proposta diviene intelligibile tenendo conto della postulazione volontaristica dell'[[anarchismo]]. Esso infatti, in quanto '''corpo dottrinale antidogmatico e pluralista''', non può ammettere una razionalità sinottica ma, al contrario, si fonda su una razionalità limitata. In questo senso l'[[anarchismo]] non ammette una capacità di analisi globale ed onnicomprensiva della realtà sociale e, conseguentemente a ciò, un dato a cui fare riferimento; detto in altri termini, è inconcepibile nella concezione anarchica l'esistenza di una teoria globale della società a cui fare riferimento. Quindi l'[[anarchismo]] nel suo divenire storico si rifà solamente a '''teorizzazioni parziali'''; perciò la teoria anarchica '''non''' può venir definita '''razionalistica''' o '''scientifica''' (come ad esempio il [[marxismo]]) '''ma''' '''volontaristica'''. L'[[anarchismo]] di volta in volta sperimenta fra le varie alternative dettate dalla volontà umana e non attua un dato o stato di natura prestabilito.
L''''[[anarchismo]]''', dunque, nella sua componente contenutistica, non può venire definito come l'attuazione graduale di un ordine prestabilito delle cose, ma piuttosto come '''momento empirico di ricerca e sperimentazione (sociale)'''. Esso non postula un punto statico e presupposto d'arrivo (una [[marxiana]] "risoluzione di ogni antagonismo"), ma si definisce di volta in volta come '''negazione del dominio'''; il tal senso l'[[anarchismo]] è '''costante conflitto e negoziazione fra varie alternative''' (tutte tendenti verso il fine volontaristico dell'essere liberi).
L'[[anarchismo]] non individua un dato (contenutistico) a cui fare riferimento e quindi si caratterizza come '''ricerca''' e '''sperimentazione'''. Ma la ricerca e la sperimentazione dell'[[anarchismo]] (contenutistico) deve sottostare ad un dato (metodologico) non modificabile. È l'adoperare un '''metodo antidogmatico e pluralista''' nel proprio divenire storico, che caratterizza l'essere anarchica di una teoria o l'essere anarchico di un movimento politico. La caratterizzazione metodologica in senso anarchico di una teoria avviene sia rispetto al momento propositivo di critica sociale (aspirazione ad una società di liberi ed eguali) sia rispetto al momento di oggettivizzazione della critica (quindi di strutturazione di un movimento politico tendente al nuovo assetto sociale).
In questo senso possiamo individuare nella metodologia anarchica una duplice valenza; da un lato essa è momento propositivo e discriminante nei confronti dei movimenti tendenti alla liberazione, quindi metodologia "politica"; dall'altro è metodologia "scientifica" rispetto allo studio dei fenomeni sociali ed in particolare del rapporto individuo/[[Stato]].
== L'anarchismo non è un'ideologia <ref name="MC">Fonte principale: ''[https://www.openstarts.units.it/bitstream/10077/10936/1/Malatesta_inTigor_13.pdf Errico Malatesta. Note per un diritto anarchico]'', di Marco Cossutta, Collana in/Tigor, Edizioni Università di Trieste, 2015</ref>==
Al pari del mondo delle scienze, '''la struttura ideologica si fonda sulla posizione di ipotesi interpretative della realtà''', ipotesi non necessariamente frutto di una osservazione empirica della stessa, ma protese ad offrire alla realtà una rappresentazione funzionale ad operare sulla stessa, tanto da individuare (e fondare sull'ipotesi assunta) delle '''leggi di evoluzione della realtà''', attraverso le quali prevederla e, quindi, dominarla. Ma si tratta a ben vedere di leggi (scientifiche) a cui si attribuisce (o si può attribuire) un valore universale soltanto offuscando (o dimenticando) la loro radice particolare, in quanto fondata fermamente ed esclusivamente nell'ipotesi convenzionalmente assunta. In questo senso, la struttura ideologica si riconnette «con la pretesa razionalistica che postula da un lato la '''riduzione di ogni forma di sapere umano alla conoscenza scientifica''' e che dall'altro, dimenticandone la natura convenzionale, vagheggia un '''padroneggiamento della natura e della storia da parte dell'uomo/scienziato'''». <ref>Francesco Gentile, ''Intelligenza politica e ragion di stato'', Milano, 1983, p. 195</ref> Così intesa, l'ideologia si presenta quale teoria interpretativa della realtà, teoria che prende le mosse da ipotesi convenzionalmente assunte e che dalle stesse si sviluppa per deduzione. In questo senso, l'ideologia, semplificando e racchiudendo la realtà all'interno delle convenzioni che le sono proprie, se si sviluppa in modo corretto rispetto agli assiomi che la caratterizzano e la distinguono dalle altre ideologie, produce un discorso scientifico sulla realtà, dotato (avuto riguardo alle proprie ipotesi) di senso. Se poi tali sviluppi potessero ritrovare verificazione empirica, la teoria (ideologia) dimostrerebbe la sua efficacia operativa attraverso il dominio della realtà e risulterebbe, perciò, una teoria valida anche da punto di vista empirico.
L'[[anarchismo]] potrebbe venire assimilato ad un'ideologia, nel momento in cui si sviluppasse dall'assioma irrinunciabile e, quindi, non problematizzabile, per il quale, ad esempio, l'essere umano, liberato dal giogo dell'oppressione, risulterebbe intrinsecamente buono; esplicitamente verrebbe, infatti, attribuita la causa di ogni male alla società concreta, al contesto sociale ed alle sue articolazioni istituzionali, che l'[[anarchismo]] di volta in volta critica. Pertanto, '''ogni costruzione ideologica appare intrinsecamente non anarchica, nel momento in cui si costituisce su enunciazioni non problematicizzabili e, quindi, assumibili solo quali dogmi (dogmatismo), attraverso i quali si tenta una operazione di dominio''' (nel senso di spiegazione e previsione) '''sulla realtà (determinismo)'''; nel nostro caso, la realtà sociale che viene rappresentata in funzione dell'operazione prefissata. L'[[anarchismo]], se vuole porsi come pensiero di libertà, non può in nessun modo assumere connotati ideologici perché la stessa struttura ideologica, attraverso la posizione di ipotesi non problematicizzabili, si pone quale limitazione della libertà; va, dunque, rigettata ogni prospettiva ideologica proprio al fine di far emergere l'[[anarchismo]], quale irriducibile forma di critica (an-arcos).
=== Le ideologie [[marxista]] e [[liberale]]===
L'[[anarchismo]], in quanto movimento di pensiero che rifugge il '''dogmatismo''', evita di costituirsi in una '''teoria''', ove per la stessa si intenda una '''serie di concatenate deduzioni a partire da un insieme di assiomi ipoteticamente posti ed in quanto tali indiscutibili'''. L''''[[anarchismo]]''', '''non''' costituendosi in '''teoria''', '''non''' si pone di fronte alla complessità sociale con '''intenti scientifici'''. L'[[anarchismo]] si distingue perciò profondamente dall'altra anima del pensiero socialista, il '''[[marxismo]]''', che non a caso si autodefinisce socialismo scientifico. Né l'[[anarchismo]] si ricollega in ciò con il '''[[liberalismo]]''', il quale, sia pure con i dovuti distinguo, si pone anch'esso quale teoria scientifica della realtà.
Il domino della realtà circoscritta dall'indagine avviene, come accennato, attraverso l'assunzione di ipotesi interpretative della stessa, ovvero rappresentandola in funzione dell'operazione che si deve svolgere. '''Attraverso la teoria la realtà viene semplificata''', dato che la sua '''complessità''' viene '''ridotta nelle ipotesi'''; una realtà così semplificata è prevedibile attraverso l'individuazione delle leggi che la regolano.
Il '''[[marxismo]]''' e il '''[[liberalismo]]''', che proprio a causa della loro '''struttura ideologica''' si pongono quali '''teorie scientifiche della realtà sociale''', si propongono anzitutto di offrire spiegazioni scientifiche della realtà sociale e della sua evoluzione, ritenendo di aver individuato le leggi che ne regolano obiettivamente i movimenti.
[[Marxismo]] e [[liberalismo]], sia pur con i distinguo del caso, si autoproclamano quali approcci scientifici alla realtà sociale e, conseguentemente, quali momenti di analisi sociale obiettiva. Il socialismo [[marxiano]] e [[marxista]] amerebbe essere di per sé stesso scienza, nel momento in cui propone come spettro d'osservazione e d'analisi della realtà sociale il suo materialismo dialettico, da cui consegue il '''determinismo storico''' da esso propugnato; il [[liberalismo]], appoggiandosi all'economia politica classica, utilizza la '''scienza economica''' come chiave di lettura (scientifica) della realtà. Entrambe le prospettive politiche qui richiamate formulano od utilizzano '''leggi scientifiche''' che si pongono come '''necessarie''', in quanto '''a queste non si danno alternative razionalmente accettabili'''. Sono leggi che spiegano oggettivamente l'andamento dei fenomeni sociali nello stesso modo in cui le leggi fisico-matematiche spiegano i fenomeni naturali e ne prevedono l'evoluzione.
Il più delle volte queste ideologie politiche di chiara ispirazione scientifica deviano dalla retta metodologia, assumendo, come detto, le proprie ipotesi quali verità incontrovertibili (ovvero contrabbandandole quali '''verità di principio''', le quali a ben vedere hanno tutt'altra natura da quelle ipotetiche, essendo '''autoevidenti'''). La deriva scientista [[marxista]], in particolare, proclama, di fatto, la sua particolare interpretazione della realtà quale verità assoluta, in quanto derivata da un'analisi scientifica sviluppatasi da '''proposizioni ipotetiche''', che però vengono '''dogmaticamente assunte'''.
Benché il '''[[marxismo]]''' e il '''[[liberalismo]]''' non si propongano, in prima istanza, quali scelte valoriali, presentano entrambi al loro interno delle '''norme ideali''' verso le quali attrarre i concreti comportamenti sociali e con cui allo stesso tempo censurare quelli che da queste si allontanano palesemente (da cui i richiami alla giustizia sociale, all'[[eguaglianza]], al valore assoluto della [[libertà]] e così via). In questo senso, sia il [[materialismo storico]] che le teorie della mano invisibile appaiono '''costruzioni interpretative della realtà funzionali alle operazioni che sulla stessa si vogliono compiere''' (dalla rivoluzione proletaria alla vigenza di un libero mercato), e la (s)piegano entro gli spazi, in vero angusti, della loro rispettiva teoria, sì da ritrovare nella stessa, con l'utilizzo ognuna del proprio e particolare spettro, costanti conferme delle ipotesi di partenza, ipotesi che, in quanto assiomi teorici, sono sottratte alla discussione.
==L'anarchismo non è un'utopia <ref name="MC"></ref>==
[[File:Anarchy symbol neat.png|thumb|130px|L'anarchia non è utopia]]
{{citazione|Le [[utopia|utopie]] autoritarie del XIX secolo, sono principalmente responsabili dell'atteggiamento antiutopistico prevalente tra gli intellettuali di oggi. Ma le utopie non hanno sempre descritto società irreggimentate, stati centralizzati e nazioni di robot. ''Tahiti'' di [[Denis Diderot|Diderot]] o ''Notizie'' di [[William Morris|Morris]] ci hanno presentato utopie in cui gli uomini erano liberi da costrizione sia fisica che morale, in cui essi lavoravano non per necessità o per un senso di dovere ma perché trovavano il lavoro un'attività piacevole, in cui l'amore non conosceva leggi ed in cui ogni uomo era un artista. Le utopie sono state spesso progetti di società che funzionavano meccanicamente, strutture morte da economisti, politicanti e moralisti; ma esse sono anche stati i sogni viventi di poeti.|[[Maria Luisa Berneri]], ''Viaggio attraverso Utopia''}}
L'utopia è «un ordine nuovo che si contrappone al presente disordine, come alternativa globale. Quanto più si accentua la valenza operativa dell'utopia, tanto più precisa si delinea la sua pretesa di costituire un'alternativa globale del presente, immediatamente identificato col negativo, con ciò che deve essere totalmente rifiutato e soppresso». <ref>Francesco Gentile, ''Intelligenza politica e ragion di stato'', Milano, 1983, p. 111</ref> '''Una prospettiva utopica''' non accetta pertanto alcun accomodamento parziale, '''non mira a riformare la realtà''' in quanto non accetta compromessi con l'esistente, il suo compito è quello di rivoluzionarlo; la prospettiva utopica non si pone il problema del miglioramento dell'esistente, esige il bene assoluto. In questo senso, «l'utopista rifiuta la possibilità di una riforma, perché non riconosce alternative parziali». <ref>Francesco Gentile, ''Intelligenza politica e ragion di stato'', Milano, 1983, p. 112</ref>
A differenza della prospettiva ideologica, '''l'utopia''' nel suo irriducibile moto di negazione '''non sottopone''', a ben vedere, '''a critica la realtà esistente'''; '''si limita''', per l'appunto, '''a negarla nella sua interezza''', perorando la causa di una realtà totalmente altra e nuova rispetto all'esistente; un'utopia in cui l'ordine preconizzato regnerà nella sua assoluta perfezione. '''La struttura utopica preconizza lo speculare rovesciamento dell'esistente nell'auspicio che in tale radicale cambiamento il disordine si tramuti in ordine'''.
Se fosse privo di una riflessione intorno ad una intelaiatura giuridica non autoritaria (ma così non è: vedi '''[[diritto]]'''), l'[[anarchismo]] si potrebbe strutturare soltanto come una sorta di ideologia dagli esiti utopistici, che presupporrebbe ed attenderebbe, quale protagonista delle proprie vicende, un uomo nuovo sorto dalle ceneri della società oppressiva, che veleggia verso lidi contrassegnati, una volta approdato nel "paese della cuccagna" <ref>«Se nasce l'anarchia / un bel pranzo s'ha da fa' / tutto vitello e manzo / se duvimo da magna'»: canto anarchico dei Castelli romani, così riportato in L. Settimelli – L. Falavolti, ''Canti anarchici'', p. 83</ref>, dalla assoluta libertà e dalla altrettanta assoluta uguaglianza.
Tale rappresentazione in chiave miracolistica dell'[[anarchismo]] <ref>In questo quadro, l'utopica società anarchica appare l'auto-proclamato luogo del bene assoluto ('''ευ τοπος'''), che è tratteggiabile solo attraverso lo speculare rovesciamento di ogni male sociale esistente; ma, in quanto puro rovesciamento, è, nel contempo, anche un non luogo ('''ου τοπος'''), in quanto la sua realizzazione non solo presuppone bensì necessita l'assunzione (e l'avverarsi) dell''''ipotesi indimostrabile per la quale l'essere umano liberato dal dominio sviluppa immediatamente intrinseche capacità autoregolamentative in assenza di ogni istituzione coercitiva'''. In tal modo, la struttura utopica si lega a quella ideologica, non potendo l'una sorreggersi in assenza dell'altra; infatti, al di fuori di questa ipotesi antropologica (ed in assenza della totale negazione dell'esistente) la società anarchica non potrebbe né precognizzarsi, né, tanto meno, realizzarsi e, quindi, sia pure in altre forme, si perpetuerebbe il dominio dell'uomo sull'uomo.</ref> va pertanto, per un verso, demistificata, per altro, nettamente rigettata, al fine non soltanto di favorire l'emergere di una immagine dell'[[anarchismo]] depurata da tali fantasie, ma anche, e soprattutto, di riconoscere nell'[[anarchismo]] un genuino (in quanto dialettico) '''approccio critico alla realtà sociale'''.
È stato sottolineato che lo stesso «[[Malatesta]] sintetizza la forma mentis dell'argomentare utopico che, anteponendo sempre il dover essere all'essere, si sottrae al confronto immediato col presente, in quanto critica questo non in rapporto alle sue possibilità reali, ma rispetto ad un ipotetico futuro, cioè con il criterio di un stato di cose totalmente diverso. In altri termini, non privilegia la trasformazione delle possibilità insite nella realtà data, ma le virtualità di un modello teorico così come comanda il dover essere». <ref> Giampietro Berti, ''Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento'', Manduria-Bari-Roma, 1998, p. 437</ref> Pare, invece, che proprio [[Malatesta]] riesca a cogliere – sia pur parzialmente – l'aporia di un pensare utopico sul quale poggiare la prassi sociale. Infatti, pur animato da una forte tensione morale (il dover essere), egli rifugge dall'idea dello speculare rovesciamento dell'esistente, ma cerca invece di intervenire su questo ritenendo che sia assurdo ed impossibile abbandonare tutto ciò che ha caratterizzato la vita in una società sostanzialmente autoritaria per approdare a "mondi" nella società anarchica. In questo senso, '''su una parte non irrilevante dell'essere va effettuato un intervento sì critico, ma non per questo distruttivo'''. <ref>[[Malatesta]], il [[1° giugno]] [[1926]], sulle pagine di ''[[Pensiero e Volontà]]'', rileva: «appare l'idea, purtroppo assai sparsa in mezzo ai nostri compagni, che compito degli anarchici sia semplicemente quello di demolire, lasciando ai posteri l'opera di ricostruzione. Ed è idea nefasta. La vita sociale, come la vita individuale, non ammette interruzioni». Sulla stessa rivista, il [[16 giugno]] dello stesso anno, dichiara: «distruggiamo i monopoli, d'accordo, ma i monopoli, quando non sieno quelli dei bottoncini da camicia o del rossetto per le labbra di certe signorine, i grossi monopoli (acqua, elettricità, carbone, trasporti di terra e di mare, ecc.) rispondono sempre ad un servizio pubblico necessario; e non si distruggono quei monopoli, o se ne produce il sollecito ritorno, se nell'atto stesso che si mandan via i monopolisti non si continua il servizio e, possibilmente, in modo migliore di quello che avveniva sotto di loro».</ref> Per certi versi, si possono, quindi, intravedere fra le righe malatestiane intenti dialettici rispetto all'esistente e non, cosa in vero rigettata dal nostro, una (vana) speranza di automatico accomodamento delle cose quotidiane nella società liberata.
Pertanto, nonostante il pensiero comune, l'[[anarchia]] non è un'utopia (nell'accezione di progetto irrealizzabile). Per gran parte della sua storia l'umanità è vissuta senza alcuna '''archia''' (“potere”, “dominio”), poi, anche in epoche successive, vi sono state numerose esperienze anarchiche (vedi, per esempio, [[Ucraina libertaria]] e [[la Rivoluzione spagnola (1936-39)|Rivoluzione spagnola]]); infine, l'anarchico può vivere immediatamente, seppur con i limiti e le contraddizioni che naturalmente si ingenerano in un [[capitalismo|sistema capitalistico]], il suo [[Anarchia#Anarchia e anarchismo|essere anarchico]].


==L'organizzazione anarchica==
==L'organizzazione anarchica==
64 364

contributi