Sulla patria (di Primo Levi)

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Sulla patria è uno scritto di Primo Levi estratto dal libro I sommersi e i salvati, 1986.

Sulla patria

«Patria»: non sarà inutile soffermarsi sul termine. Si colloca vistosamente fuori dal linguaggio parlato: nessun italiano, se non per scherzo, dirà mai «prendo il treno e ritorno in patria». È di conio recente, e non ha senso univoco; non ha equivalenti esatto in lingue diverse dall'italiano, non compare, che io sappia, in nessuno dei nostri dialetti (e questo è un segno della sua origine recente dotta e della sua intrinseca astrattezza), né in Italia ha avuto sempre lo stesso significato. Infatti, a seconda delle epoche, ha indicato entità geografiche di estensione diversa, dal villaggio dove si è nati e (etimologicamente) dove hanno vissuto i nostri padri, fino, dopo il Risorgimento, all'intera nazione. In altri paesi, equivale press'a poco al focolare, o al luogo natio; In Francia (e talora anche fra noi) il termine ha assunto una connotazione ad un tempo drammatica, polemica e retorica; la "Patrie" è tale quando è minacciata o disconosciuta. Per chi si sposta, il concetto di patria diventa doloroso ed insieme tende ad impallidire; già il Pascoli, allontanatosi (non poi di molto) dalla sua Romagna, «dolce paese», sospirava «io, la mia patria or dove si vive». Per Lucia Mondella, la patria si identificava visibilmente con le «cime ineguali» dei suoi monti sorgenti dalla acque del lago di Como. Per contro, in paesi ed in tempi di intensa mobilità, quali sono oggi gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica, di patria non si parla se non in termini politico-burocratici: quel è il focolare, quale «la terra dei padri» di quei cittadini in eterna trasferta? Molti di loro non lo sanno né se ne preoccupano.

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