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{{Biblioteca/Titolo 2|nome=<big><span style="color:#C11B17">''Sull'anarchia, oggi''</span></big><br>di Giorgio Agamben|autore=Giorgio Agamben|altro=da quodlibet.it}}
{{Biblioteca/Titolo 2|nome=<big><span style="color:#C11B17">''Sull'anarchia, oggi''</span></big><br>di Giorgio Agamben|autore=Giorgio Agamben|altro=da quodlibet.it}}
Se per chi intenda pensare la politica, di cui costituisce in qualche modo l'estremo fuoco o punto di fuga, l'[[anarchia]] non ha mai cessato di essere attuale, tale essa è oggi anche per l'ingiusta, feroce persecuzione cui è sottoposto un [[anarchico]] nelle carceri italiane. Parlare di [[anarchia]], come pure si è dovuto fare, sul piano del [[diritto]] implica, però, necessariamente un paradosso, perché è quanto meno contraddittorio chiedere che lo [[stato]] riconosca il diritto di negare lo [[stato]], così come, se si intende portare il diritto di resistenza fino alle sue conseguenze ultime, non si può ragionevolmente esigere che sia giuridicamente tutelata la possibilità della guerra civile. Per pensare l'[[anarchia]] oggi converrà pertanto porsi in tutt'altra prospettiva e interrogare piuttosto il modo in cui Engels la concepiva, quando rimproverava agli [[anarchici]] di voler sostituire l'amministrazione allo [[stato]]. In quest'accusa si nasconde infatti un problema politico decisivo, che né i [[marxisti]] né forse gli stessi [[anarchici]] hanno posto correttamente. Un problema tanto più urgente, in quanto stiamo oggi assistendo al tentativo di realizzare in qualche modo parodicamente quello che era per Engels lo scopo dichiarato dell'[[anarchia]] – e, cioè, non tanto la semplice sostituzione dell'amministrazione allo [[stato]], quanto piuttosto l'identificazione di [[stato]] e amministrazione in una sorta di Leviatano, che assume la maschera bonaria dell'amministratore. È quanto Sunstein e Vermeule teorizzano in un libro (''Law and Leviathan, Redeeming the Administrative State'') in cui la ''governance'', l'esercizio del governo, eccedendo e contaminando i poteri tradizionali (legislativo, esecutivo, giudiziario), esercita in nome dell'amministrazione e in modo discrezionale le funzioni e i poteri che ad essi spettavano. Che cos'è l'amministrazione? ''Minister'', da cui il termine deriva, è il servo o l'aiutante in opposizione al ''magister'', il padrone, il titolare del [[potere]]. Il vocabolo deriva dalla radice *''men'', che significa la diminuzione e la piccolezza. Il ''minister'' sta al ''magister'' come il ''minus'' sta al ''magis'', il meno al più, il piccolo al grande, ciò che diminuisce a ciò che aumenta. L'idea dell'''anarchia'' consisterebbe, almeno secondo Engels, nel tentativo di pensare un ''minister'' senza un ''magister'', un servitore senza un padrone. Tentativo certamente interessante, dal momento che può essere tatticamente vantaggioso giocare in questo modo il servo contro il padrone, il meno contro il più e pensare una [[società]] in cui tutti sono ministri e nessuno ''magister'' o capo. È quanto in un certo senso aveva fatto [[Hegel]], mostrando nella sua famigerata dialettica che il servo finisce in ultimo col dominare il padrone. È nondimeno innegabile che le due figure-chiave della politica occidentale restano in questo modo legate l'una all'altra in un'instancabile relazione, di cui è impossibile una volta per tutte venire a capo. Un'idea radicale di [[anarchia]] non può allora che sciogliersi dall'incessante dialettica del servo e dello schiavo, del ''minister'' e del ''magister'', per situarsi risolutamente nello scarto che li divide. Il ''tertium'' che appare in questo varco non sarà più né amministrazione né [[stato]], né ''minus'' né ''magis'': sarà piuttosto fra di essi come un resto, che esprime la loro impossibilità di coincidere. L'[[anarchia]] è, cioè, innanzitutto, la sconfessione radicale non tanto dello [[stato]] né semplicemente dell'amministrazione, quanto piuttosto della pretesa del [[potere]] di far coincidere [[stato]] e amministrazione nel governo degli uomini. È contro questa pretesa che l'[[anarchico]] si batte, in nome in ultima analisi di quell'ingovernabile, che è il punto di fuga di ogni comunità fra gli uomini.
Se per chi intenda pensare la politica, di cui costituisce in qualche modo l'estremo fuoco o punto di fuga, l'[[anarchia]] non ha mai cessato di essere attuale, tale essa è oggi anche per l'ingiusta, feroce persecuzione cui è sottoposto un [[anarchico]] nelle carceri italiane. Parlare di [[anarchia]], come pure si è dovuto fare, sul piano del [[diritto]] implica, però, necessariamente un paradosso, perché è quanto meno contraddittorio chiedere che lo [[stato]] riconosca il diritto di negare lo [[stato]], così come, se si intende portare il diritto di resistenza fino alle sue conseguenze ultime, non si può ragionevolmente esigere che sia giuridicamente tutelata la possibilità della guerra civile. Per pensare l'[[anarchia]] oggi converrà pertanto porsi in tutt'altra prospettiva e interrogare piuttosto il modo in cui Engels la concepiva, quando rimproverava agli [[anarchici]] di voler sostituire l'amministrazione allo [[stato]]. In quest'accusa si nasconde infatti un problema politico decisivo, che né i [[marxisti]] né forse gli stessi [[anarchici]] hanno posto correttamente. Un problema tanto più urgente, in quanto stiamo oggi assistendo al tentativo di realizzare in qualche modo parodicamente quello che era per Engels lo scopo dichiarato dell'[[anarchia]] – e, cioè, non tanto la semplice sostituzione dell'amministrazione allo [[stato]], quanto piuttosto l'identificazione di [[stato]] e amministrazione in una sorta di Leviatano, che assume la maschera bonaria dell'amministratore. È quanto Sunstein e Vermeule teorizzano in un libro (''Law and Leviathan, Redeeming the Administrative State'') in cui la ''governance'', l'esercizio del governo, eccedendo e contaminando i poteri tradizionali (legislativo, esecutivo, giudiziario), esercita in nome dell'amministrazione e in modo discrezionale le funzioni e i poteri che ad essi spettavano. Che cos'è l'amministrazione? ''Minister'', da cui il termine deriva, è il servo o l'aiutante in opposizione al ''magister'', il padrone, il titolare del [[potere]]. Il vocabolo deriva dalla radice *''men'', che significa la diminuzione e la piccolezza. Il ''minister'' sta al ''magister'' come il ''minus'' sta al ''magis'', il meno al più, il piccolo al grande, ciò che diminuisce a ciò che aumenta. L'idea dell'''anarchia'' consisterebbe, almeno secondo Engels, nel tentativo di pensare un ''minister'' senza un ''magister'', un servitore senza un padrone. Tentativo certamente interessante, dal momento che può essere tatticamente vantaggioso giocare in questo modo il servo contro il padrone, il meno contro il più e pensare una [[società]] in cui tutti sono ministri e nessuno ''magister'' o capo. È quanto in un certo senso aveva fatto [[Hegel]], mostrando nella sua famigerata dialettica che il servo finisce in ultimo col dominare il padrone. È nondimeno innegabile che le due figure-chiave della politica occidentale restano in questo modo legate l'una all'altra in un'instancabile relazione, di cui è impossibile una volta per tutte venire a capo. Un'idea radicale di [[anarchia]] non può allora che sciogliersi dall'incessante dialettica del servo e dello schiavo, del ''minister'' e del ''magister'', per situarsi risolutamente nello scarto che li divide. Il ''tertium'' che appare in questo varco non sarà più né amministrazione né [[stato]], né ''minus'' né ''magis'': sarà piuttosto fra di essi come un resto, che esprime la loro impossibilità di coincidere. L'[[anarchia]] è, cioè, innanzitutto, la sconfessione radicale non tanto dello [[stato]] né semplicemente dell'amministrazione, quanto piuttosto della pretesa del [[potere]] di far coincidere [[stato]] e amministrazione nel governo degli uomini. È contro questa pretesa che l'[[anarchico]] si batte, in nome in ultima analisi di quell'ingovernabile, che è il punto di fuga di ogni comunità fra gli uomini.
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{{Biblioteca/Titolo 2|nome=<big><span style="color:#C11B17">''Intorno alla critica anarchica dello Stato''</span></big><br>di Marco Cossutta|autore=Marco Cossutta|altro=da openstarts.units.it}}
[[File:Marco Cossutta.jpg|thumb|right|miniatura|230px|Marco Cossutta.]]
L'[[anarchismo]] appare quale l'unica corrente di pensiero politico (ad eccezione della prospettiva tradizionalistica), che, in epoca moderna, quindi post [[1648]], rifiuta in modo radicale la gestione dei rapporti politici attraverso lo [[Stato]], tanto da richiederne l'immediata abolizione come condizione imprescindibile per la piena realizzazione della persona umana. L'emancipazione materiale e spirituale dell'essere umano, per l'[[anarchismo]], non può prescindere dalla abolizione dello [[Stato]]. «In una parola, noi respingiamo ogni legislazione, ogni autorità ed ogni influenza privilegiata, patentata, ufficiale e legale, anche uscita dal suffragio universale, convinti che essa non potrebbe che ridondare a profitto di una minoranza dominante e governante, contro gl'interessi dell'immensa maggioranza asservita. Ecco in qual senso noi siamo realmente [[anarchici]]» ([[Bakunin]]). Anche in assenza di rapporti politici di natura [[statuale]], l'emancipazione non si realizza in modo automatico – vedi la società per censi o quella feudale –, ma è certo per l'[[anarchismo]] che in presenza dello [[Stato]] questa emancipazione non può né svilupparsi, né, tanto meno, affermarsi.
Al di là di tali perentorie affermazioni, è d'uopo soffermarsi brevemente su una questione per così dire terminologica; ovvero cosa intendiamo e cosa intende l'[[anarchismo]], con il termine [[Stato]]. Il termine [[stato]] è termine ambiguo; allo stesso infatti può essere ascritta, sempre nel linguaggio politico-giuridico, una definizione di natura generale (più che lessicale) per la quale lo [[stato]] (da ''status'') è la condizione di un paese nei suoi dati sociali e politici, nella sua costituzione materiale e, quindi, nel suo ordinamento; lo [[stato]] è perciò tutto ciò che riguarda la vita umana organizzata e non direttamente rivolta ad un fine spirituale. In questo primo senso, lo stato descrive la struttura politica, quindi mondana, di una comunità. Alla luce di quanto rilevato, qualsivoglia organizzazione dei rapporti politici può venire designata con il termine [[stato]].
Accanto a questa definizione generale si colloca una seconda definizione, che qui definiamo – forse impropriamente – stipulativa, ai sensi della quale lo [[Stato]] (qui sinonimo di ''potestas'' – potere su – e non di ''auctoritas'' – potere di) non appare, per così dire, un concetto universale, onnicomprensivo di qualsiasi forma di organizzazione politica, ma indica e descrive unicamente una particolare forma di ordinamento politico sorto in Europa da un processo che affonda le proprie radici nel Tredicesimo secolo e giunge a compimento nel Diciannovesimo secolo. Questa particolare forma di [[stato]], che diventerà nel lessico comune lo [[Stato]] ''tout court'', è quella criticata aspramente dall'[[anarchismo]] e si caratterizza, al suo concreto sorgere agli albori del secolo Diciannovesimo, attraverso tre momenti che fanno sì che lo [[Stato]] sia, per usare la nota espressione di Max Weber, il monopolizzatore delle forza legittima.
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