Franz Kafka: differenze tra le versioni

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Nei saggi '''''Franz Kafka: l'uomo di buona volontà''''' e '''''Franz Kafka: il costruttore di modelli''''' [[Hannah Arendt]] analizza alcune opere di Kafka, tra cui ''Il Processo'' e ''Il Castello'', sottraendole totalmente ad interpretazioni teologiche e psicologiche.
Nei saggi '''''Franz Kafka: l'uomo di buona volontà''''' e '''''Franz Kafka: il costruttore di modelli''''' [[Hannah Arendt]] analizza alcune opere di Kafka, tra cui ''Il Processo'' e ''Il Castello'', sottraendole totalmente ad interpretazioni teologiche e psicologiche.


Ne '''''Il Processo''''' la sottomissione di Josef K., protagonista di un'assurda e terribile odissea giudiziaria che lo vede arrestato, processato e condannato senza mai avere contezza del proprio capo d'accusa, non avviene «con mezzi violenti, ma semplicemente con il crescente senso di colpa che l'accusa vuota ed immotivata riesce a destare nell'imputato [...] K. si lascia portar via e poi giustiziare, senza la minima protesta o resistenza. Viene ucciso perché è "necessario", e si sottomette per questa necessità e per il turbamento dovuto al suo senso di colpa. E la sola speranza che balena alla fine del romanzo resta: "Era come se la vergogna dovesse sopravvivegli". La vergogna, cioè, che tale sia l'ordine del mondo e che lui, Josef K., ne sia, anche se vittima, un docile membro».
Ne '''''Il Processo''''' la sottomissione di Josef K., protagonista di un'assurda e terribile odissea giudiziaria che lo vede arrestato, processato e condannato senza mai avere contezza del proprio capo d'accusa, non avviene «con mezzi violenti, ma semplicemente con il crescente senso di colpa che l'accusa vuota ed immotivata riesce a destare nell'imputato [...] K. si lascia portar via e poi giustiziare, senza la minima protesta o resistenza. Viene ucciso perché è "necessario", e si sottomette per questa necessità e per il turbamento dovuto al suo senso di colpa. E la sola speranza che balena alla fine del romanzo resta: "Era come se la vergogna dovesse sopravvivergli". La vergogna, cioè, che tale sia l'ordine del mondo e che lui, Josef K., ne sia, anche se vittima, un docile membro».


Ne '''''Il Castello''''' viene descritta «una [[società]] in cui gli abitanti del villaggio, controllati dal governo e dai suoi impiegati anche nei dettagli più intimi della loro vita ed asserviti anche nei loro pensieri a quelli che hanno il [[potere]], si sono resi conto già da tempo che l'aver torto o ragione è un "destino" in cui non è dato di mutare nulla». Il protagonista del romanzo, K. l'agrimensore, è invece «un uomo di buona volontà: non chiede mai nulla di più del giusto, ma non è neanche disposto ad accontentarsi di meno. [...] E con crescente terrore K. si accorge che quella normalità, quella umanità, quei diritti umani che lui ha sempre creduto naturali per gli altri in realtà non esistono affatto. [...] Non c'è posto per uomini di buona volontà che vogliano decidere della propria vita». La paura degli abitanti del villaggio è però infondata: non si avvera nessuna delle infauste previsioni che essi fanno sul conto del protagonista: «A K. non succede proprio niente; solo la sua richiesta di un regolare permesso di soggiorno continua ad essere respinta con mille pretesti dal Castello. [...] Tuttavia, sebbene non sia riuscito a realizzare i suoi propositi, la sua vita non è stata affatto un completo fallimento. La lotta da lui sostenuta per strappare alla società i diritti che gli spettavano ha, se non altro, aperto gli occhi a parecchi abitanti del villaggio. La storia ed il comportamento di K. hanno insegnato loro che vale la pena di lottare per i propri diritti umani e che la legge del Castello, non essendo di natura divina, può essere contestata». <ref>[[Hannah Arendt|Arendt]] indica a tal proposito un passaggio chiave del romanzo: «Hai una straordinaria visione delle cose [...] A volte mi aiuti con una parola, certamente perché vieni da fuori. Invece noi, con le nostre terribili esperienze e continue ansie, ci spaventiamo senza difenderci ad ogni scricchiolio, e se uno ha paura subito ce l'ha anche l'altro pur senza sapere esattamente perché. In questo modo non si riesce più a dare una giusta valutazione delle cose. [...] Che fornuna per noi che sei venuto!».</ref> Secondo [[Hannah Arendt|Arendt]] ''Il Castello'' mette in luce un'importante verità: «Chi si sente lontano dalle regole semplici e fondamentali dell'umanità o chi sceglie di vivere in uno stato d'emarginazione, anche se costrettovi perché vittima di una persecuzione, non può vivere una vita veramente umana. [...] nella società contemporanea le forze di un singolo individuo possono bastare a costruirsi una carriera, ma non a soddisfare il bisogno elementare di vivere una esistenza umana. Solo nell'ambito di un popolo l'individuo può vivere come un uomo fra gli uomini senza rischiare di morire per mancanza di forze. E solo un popolo in comunità con altri popoli può contribuire a costruire sulla terra un mondo umano creato e gestito dalla collaborazione fra tutti gli uomini».
Ne '''''Il Castello''''' viene descritta «una [[società]] in cui gli abitanti del villaggio, controllati dal governo e dai suoi impiegati anche nei dettagli più intimi della loro vita ed asserviti anche nei loro pensieri a quelli che hanno il [[potere]], si sono resi conto già da tempo che l'aver torto o ragione è un "destino" in cui non è dato di mutare nulla». Il protagonista del romanzo, K. l'agrimensore, è invece «un uomo di buona volontà: non chiede mai nulla di più del giusto, ma non è neanche disposto ad accontentarsi di meno. [...] E con crescente terrore K. si accorge che quella normalità, quella umanità, quei diritti umani che lui ha sempre creduto naturali per gli altri in realtà non esistono affatto. [...] Non c'è posto per uomini di buona volontà che vogliano decidere della propria vita». La paura degli abitanti del villaggio è però infondata: non si avvera nessuna delle infauste previsioni che essi fanno sul conto del protagonista: «A K. non succede proprio niente; solo la sua richiesta di un regolare permesso di soggiorno continua ad essere respinta con mille pretesti dal Castello. [...] Tuttavia, sebbene non sia riuscito a realizzare i suoi propositi, la sua vita non è stata affatto un completo fallimento. La lotta da lui sostenuta per strappare alla società i diritti che gli spettavano ha, se non altro, aperto gli occhi a parecchi abitanti del villaggio. La storia ed il comportamento di K. hanno insegnato loro che vale la pena di lottare per i propri diritti umani e che la legge del Castello, non essendo di natura divina, può essere contestata». <ref>[[Hannah Arendt|Arendt]] indica a tal proposito un passaggio chiave del romanzo: «Hai una straordinaria visione delle cose [...] A volte mi aiuti con una parola, certamente perché vieni da fuori. Invece noi, con le nostre terribili esperienze e continue ansie, ci spaventiamo senza difenderci ad ogni scricchiolio, e se uno ha paura subito ce l'ha anche l'altro pur senza sapere esattamente perché. In questo modo non si riesce più a dare una giusta valutazione delle cose. [...] Che fornuna per noi che sei venuto!».</ref> Secondo [[Hannah Arendt|Arendt]] ''Il Castello'' mette in luce un'importante verità: «Chi si sente lontano dalle regole semplici e fondamentali dell'umanità o chi sceglie di vivere in uno stato d'emarginazione, anche se costrettovi perché vittima di una persecuzione, non può vivere una vita veramente umana. [...] nella società contemporanea le forze di un singolo individuo possono bastare a costruirsi una carriera, ma non a soddisfare il bisogno elementare di vivere una esistenza umana. Solo nell'ambito di un popolo l'individuo può vivere come un uomo fra gli uomini senza rischiare di morire per mancanza di forze. E solo un popolo in comunità con altri popoli può contribuire a costruire sulla terra un mondo umano creato e gestito dalla collaborazione fra tutti gli uomini».
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