Gian Pietro Lucini: differenze tra le versioni

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[[File:Agazzi Lucini.jpg|miniatura|400px|Lucini ritratto da [[Carlo Agazzi]] nel [[1905]].]]
[[File:Agazzi Lucini.jpg|miniatura|400px|Lucini ritratto da [[Carlo Agazzi]] nel [[1905]].]]
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{{citazione|Ma chi potrà imputarmi / il cieco delitto della incoscienza, / della bombarda scoppiata pazza, / d'odio, d'entusiasmo e frenesia / in mezzo alla folla ed in mezzo alla piazza? / Sciocchezza anarchica, / sacrificatasi co' suoi nemici, non fa per me. / No; l'arme ch'io impugno è perfetta; / l'arte la volle cosí; / brunita e rabescata, saggiata dal perito, / di calibro grosso, per bestie grosse; / e il mio bersaglio è scelto e lucido.|Gian Pietro Lucini (da ''Congedo le Revolverate'')}}</center>


=== ''Filosofi ultimi'' ===
=== ''Filosofi ultimi'' ===
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Nonostante i suoi sforzi per liberarsi dall'ipoteca dell'immaginifico, egli riecheggiò ed ebbe sempre a modello proprio il classico eroe dannunziano; particolari affinità e contiguità, debiti e riconoscenze della immagine luciniana del Melibeo si riscontrano in Stelio Effrena, il protagonista de ''Il Fuoco'' ([[1900]]). La creazione artistica e la sensibilità estetica sono i tratti che li accomunano irrevocabilmente. Lucini ritenne, però, a differenza di D'Annunzio, che alla base della mitica figura [[nietzschiana]] di Zarathustra, ben nascosto, ci fosse il mito dell'Unico [[stirneriano]], e ne trasse profitto per elaborare l'idea simbolica del suo eroe. Questi è, infatti, il costruttore e l'iniziatore di una nuova epoca, «unico legislatore di sé stesso» alla maniera di Claudio Cantelmo, il protagonista del romanzo dannunziano ''Le Vergini delle Rocce'' ([[1896]]): l'uomo più che uomo che, in quanto artista, prefigura, nel divenire carsico della storia, l'uomo sovversivo del futuro; questi sarà lo Sconosciuto-Riconosciuto, colui che crea la vita, «quell'Io di cui i ragionamenti della metafisica hanno parlato e hanno pur oggi identificato nelle sue divine ed immateriali ragioni senza confini. L'essenza fondamentale ed insieme cosciente dell'energia divina, cioè della Vita Universale».
Nonostante i suoi sforzi per liberarsi dall'ipoteca dell'immaginifico, egli riecheggiò ed ebbe sempre a modello proprio il classico eroe dannunziano; particolari affinità e contiguità, debiti e riconoscenze della immagine luciniana del Melibeo si riscontrano in Stelio Effrena, il protagonista de ''Il Fuoco'' ([[1900]]). La creazione artistica e la sensibilità estetica sono i tratti che li accomunano irrevocabilmente. Lucini ritenne, però, a differenza di D'Annunzio, che alla base della mitica figura [[nietzschiana]] di Zarathustra, ben nascosto, ci fosse il mito dell'Unico [[stirneriano]], e ne trasse profitto per elaborare l'idea simbolica del suo eroe. Questi è, infatti, il costruttore e l'iniziatore di una nuova epoca, «unico legislatore di sé stesso» alla maniera di Claudio Cantelmo, il protagonista del romanzo dannunziano ''Le Vergini delle Rocce'' ([[1896]]): l'uomo più che uomo che, in quanto artista, prefigura, nel divenire carsico della storia, l'uomo sovversivo del futuro; questi sarà lo Sconosciuto-Riconosciuto, colui che crea la vita, «quell'Io di cui i ragionamenti della metafisica hanno parlato e hanno pur oggi identificato nelle sue divine ed immateriali ragioni senza confini. L'essenza fondamentale ed insieme cosciente dell'energia divina, cioè della Vita Universale».
=== Citazioni ===
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{{citazione|Ma chi potrà imputarmi / il cieco delitto della incoscienza, / della bombarda scoppiata pazza, / d'odio, d'entusiasmo e frenesia / in mezzo alla folla ed in mezzo alla piazza? / Sciocchezza anarchica, / sacrificatasi co' suoi nemici, non fa per me. / No; l'arme ch'io impugno è perfetta; / l'arte la volle cosí; / brunita e rabescata, saggiata dal perito, / di calibro grosso, per bestie grosse; / e il mio bersaglio è scelto e lucido.|Gian Pietro Lucini (da ''Congedo le Revolverate'')}}</center>
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{{citazione|Noi li asociali disinteressati fomentiamo questo intimo vulcano, cooperiamo a questa disgregazione: sopprimere l'attuale [[gerarchia]], sostituire delle altre e razionali [[autorità]]. Non si creda con questo ad un mio [[socialismo]]: ma ad un mio anarcheggiare. Lo stato di natura, di questa natura oggi saputa colle scienze, oggi allettata colle arti, oggi raffinata colla serie evolutiva delli esseri, compresa coll'amore e colla solidarietà umana, a questo stato di natura, come [[Gian Giacomo Rousseau]] anela il mio pensiero etico-politico. È sempre una [[Utopia]]. Ho un concetto tutto mio e tutto vago di uno [[Stato]] futuro. Lo [[Stato]] dovrebbe essere quella opera pia le leggi della quale dovrebbero essere meno evidenti e meno interruttive delle energie [[individuali]]. Pochissime leggi di carattere generale, che possano, pure stabilendo dei principii di massima, seguire lo sviluppo della umanità ed evolversi come la vita stessa si evolve. Oggi il codice arresta i movimenti. Domani il [[socialismo]] livellerà tutto al minimo comun denominatore della mediocrità operaja. Vi sono due tirannie: quella delle perversità ricche e raffinate (la presente), l'altra delle ignoranze barbare, presuntuose e brutali, della sciocca onestà umana (la futura [[socialista]]). Noi usciremo dall'una per ripiombare nell'altra, e forse senza il conforto di una rivoluzione che farebbe tanto bene alla nostra arte paurosa e vile, ma per crepuscoli d'anime, di istituti, di lustri sempre più grigi, soffocanti ed annojati. Credo che la funzione dello [[Stato]] sia semplicemente di amministrazione. Promuovere e conservare alla nazione una continua atmosfera di [[libertà]] in cui si possano compartire: cibo alla mente ed alla pancia; amore e sicurezza. Il Demo futuro deve essere maestro, nutrice, proxeneta, nel buon senso della parola. Nessuna legge che imponga una eguaglianza, né un privilegio: non preferire, né disprezzare. Perché eguaglianza non v'è in natura, e tutto si bilancia con equilibrio istabile sopra la equivalenza. I cittadini del mio Demo saranno certamente equivalenti in faccia alla comunità, non mai eguali, perché le qualità ed i difetti di natura non si possono mai né togliere né colmare. Certo io non sono Antinoo: posso essere Esopo: ora codeste due forze umane si equivalgono filosofìcamente, perché sono due bellezze.|Gian Pietro Lucini (da ''Prose e canzoni amare''}}</center>
{{citazione|Noi li asociali disinteressati fomentiamo questo intimo vulcano, cooperiamo a questa disgregazione: sopprimere l'attuale [[gerarchia]], sostituire delle altre e razionali [[autorità]]. Non si creda con questo ad un mio [[socialismo]]: ma ad un mio anarcheggiare. Lo stato di natura, di questa natura oggi saputa colle scienze, oggi allettata colle arti, oggi raffinata colla serie evolutiva delli esseri, compresa coll'amore e colla solidarietà umana, a questo stato di natura, come [[Gian Giacomo Rousseau]] anela il mio pensiero etico-politico. È sempre una [[Utopia]]. Ho un concetto tutto mio e tutto vago di uno [[Stato]] futuro. Lo [[Stato]] dovrebbe essere quella opera pia le leggi della quale dovrebbero essere meno evidenti e meno interruttive delle energie [[individuali]]. Pochissime leggi di carattere generale, che possano, pure stabilendo dei principii di massima, seguire lo sviluppo della umanità ed evolversi come la vita stessa si evolve. Oggi il codice arresta i movimenti. Domani il [[socialismo]] livellerà tutto al minimo comun denominatore della mediocrità operaja. Vi sono due tirannie: quella delle perversità ricche e raffinate (la presente), l'altra delle ignoranze barbare, presuntuose e brutali, della sciocca onestà umana (la futura [[socialista]]). Noi usciremo dall'una per ripiombare nell'altra, e forse senza il conforto di una rivoluzione che farebbe tanto bene alla nostra arte paurosa e vile, ma per crepuscoli d'anime, di istituti, di lustri sempre più grigi, soffocanti ed annojati. Credo che la funzione dello [[Stato]] sia semplicemente di amministrazione. Promuovere e conservare alla nazione una continua atmosfera di [[libertà]] in cui si possano compartire: cibo alla mente ed alla pancia; amore e sicurezza. Il Demo futuro deve essere maestro, nutrice, proxeneta, nel buon senso della parola. Nessuna legge che imponga una eguaglianza, né un privilegio: non preferire, né disprezzare. Perché eguaglianza non v'è in natura, e tutto si bilancia con equilibrio istabile sopra la equivalenza. I cittadini del mio Demo saranno certamente equivalenti in faccia alla comunità, non mai eguali, perché le qualità ed i difetti di natura non si possono mai né togliere né colmare. Certo io non sono Antinoo: posso essere Esopo: ora codeste due forze umane si equivalgono filosofìcamente, perché sono due bellezze.|Gian Pietro Lucini (da ''Prose e canzoni amare''}}</center>
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