Gian Pietro Lucini: differenze tra le versioni

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:«Del [[Futurismo]], Gian Pietro Lucini è il più strano avversario, ma anche, involontariamente, il più strenuo difensore. Il suo spirito socratico, la sua cultura enorme, il suo isolamento doloroso dagli esseri e dai frangenti reali ne fanno un uomo che serba tenace gli amori per molte varie propaggini del Passato. Egli ha dichiarato di non essere un settatore del [[Futurismo]]. E sia. Ma se non tali i suoi amori, tutti i suoi odi sono i nostri. L'intera sua mirabile azione letteraria si risolve in un'avversione implacabile delle formule cieche ed impure onde così spesso la Poesia italiana, anche celebratissima, è andata rivestendosi, specie in questi ultimi anni di equivoca fortuna, e il Lucini ha strenuamente combattuto queste viete forme consunte, nella sua opera magistrale: ''Il Verso libero'', che è senza dubbio una delle più alte, delle più sfolgoranti vette del pensiero umano».
:«Del [[Futurismo]], Gian Pietro Lucini è il più strano avversario, ma anche, involontariamente, il più strenuo difensore. Il suo spirito socratico, la sua cultura enorme, il suo isolamento doloroso dagli esseri e dai frangenti reali ne fanno un uomo che serba tenace gli amori per molte varie propaggini del Passato. Egli ha dichiarato di non essere un settatore del [[Futurismo]]. E sia. Ma se non tali i suoi amori, tutti i suoi odi sono i nostri. L'intera sua mirabile azione letteraria si risolve in un'avversione implacabile delle formule cieche ed impure onde così spesso la Poesia italiana, anche celebratissima, è andata rivestendosi, specie in questi ultimi anni di equivoca fortuna, e il Lucini ha strenuamente combattuto queste viete forme consunte, nella sua opera magistrale: ''Il Verso libero'', che è senza dubbio una delle più alte, delle più sfolgoranti vette del pensiero umano».


Per [[Filippo Tommaso Marinetti|Marinetti]], dunque, Lucini era:
Per Marinetti, dunque, Lucini era:
:«Non distruttore, ma edificatore barbarico. Non settatore, sia pure: ma [[futurista]] bellissimamente perverso, suo malgrado; ma enigma di per sé stesso e con sé stesso; ma, perciò solo, giudice pessimo del proprio psicologico mistero; fossile, ammettiamolo, ma sbalorditivamente acceso. Perciò il [[Futurismo]], che ama i riverberi delle fornaci, lo reclama».
:«Non distruttore, ma edificatore barbarico. Non distruttore, ma edificatore barbarico. Non settatore, sia pure: ma futurista bellissimamente perverso, suo malgrado [...]. Le nostre affinità sono grandissime. S'egli le nega ha torto: noi abbiamo ragione [...]. Egli, per noi, resta, ancora oggi, come significazione ideale, la più misteriosa e provata figura guerriera della Poesia italiana scaraventatasi a mischi dopo il Foscolo».


L'annessione marinettiana al [[futurismo]] di Gian Pietro Lucini era motivata anche dalla comune prospettiva politica; la rivendicazione venne espressa con estrema temerarietà:
L'annessione marinettiana al [[futurismo]] di Gian Pietro Lucini era motivata anche dalla comune prospettiva politica; la rivendicazione venne espressa con estrema temerarietà:
:«Noi abbiamo comuni con lui, oltre a tante ribellioni estetiche, le rabbie che oggi maggiormente urgono nelle nostre vene, e cioè l'odio per ogni forma di politica [[pacifista]] e l'esecrazione dell'Austria. Volgono anni di diplomazia vigliacca. Serva è più che mai l'[[Italia]] al Pangermanismo, che cova gli eventi per calare, orrendamente barbaro, contro l'anima sfolgorante degli italiani vivi. E noi, con sulle labbra i versi esplosivi di Gian Pietro Lucini, affrettiamo l'ora divina in cui potremo, ancora giovani, scagliarci sulle orme eterne di Garibaldi alle balze del Tirolo, e, a costo della vita, accender fiamme di bandiere spiegate, su cataste di cadaveri austriaci, rovesciati nel sangue, giù dalla montagna».
:«Noi abbiamo comuni con lui, oltre a tante ribellioni estetiche, le rabbie che oggi maggiormente urgono nelle nostre vene, e cioè l'odio per ogni forma di politica [[pacifista]] e l'esecrazione dell'Austria. Volgono anni di diplomazia vigliacca. Serva è più che mai l'[[Italia]] al Pangermanismo, che cova gli eventi per calare, orrendamente barbaro, contro l'anima sfolgorante degli italiani vivi. E noi, con sulle labbra i versi esplosivi di Gian Pietro Lucini, affrettiamo l'ora divina in cui potremo, ancora giovani, scagliarci sulle orme eterne di Garibaldi alle balze del Tirolo, e, a costo della vita, accender fiamme di bandiere spiegate, su cataste di cadaveri austriaci, rovesciati nel sangue, giù dalla montagna».


Il sodalizio con il padre del [[futurismo]] crollò sotto l'urto della guerra di [[Libia]] ([[1911]]-[[1912]]): se, in un primo momento, Lucini fu infatuato dalle sue provocanti e peccaminose forme e la giudicò con favore, ritenendola «il primo passo verso una guerra contro l'impero asburgico» per riprendere Trento e Trieste, ben presto, però, l'incantesimo si spezzò ed essa gli apparve nelle sue oscene sembianze di feroce depredamento coloniale e si guadagnò così la definizione di «bruttissima e sanguinosa realtà tripolina». In una lettera inviata il [[6 gennaio]] [[1916]] a Luigi Donati, Marinetti commenterà cosi la fine del rapporto col Lucini:
Ma il sodalizio con il padre del [[futurismo]] crollò sotto l'urto della guerra di [[Libia]] ([[1911]]-[[1912]]): se, in un primo momento, Lucini fu infatuato dalle sue provocanti e peccaminose forme e la giudicò con favore, ritenendola «il primo passo verso una guerra contro l'impero asburgico» per riprendere Trento e Trieste, ben presto, però, l'incantesimo si spezzò ed essa gli apparve nelle sue oscene sembianze di feroce depredamento coloniale e si guadagnò così la definizione di «bruttissima e sanguinosa realtà tripolina». In una lettera inviata il [[6 gennaio]] [[1916]] a Luigi Donati, Marinetti commenterà cosi la fine del rapporto col Lucini:
:«Fummo divisi dal mio entusiasmo per la guerra di Tripoli, che egli invece copriva di bestemmie. L'odio irrefrenabile che egli nutriva per la Dinastia di Savoia gli vietava d'amare completamente l'[[Italia]] e di seguirci nel nostro feroce istinto patriottico».
:«Fummo divisi dal mio entusiasmo per la guerra di Tripoli, che egli invece copriva di bestemmie. L'odio irrefrenabile che egli nutriva per la Dinastia di Savoia gli vietava d'amare completamente l'[[Italia]] e di seguirci nel nostro feroce istinto patriottico».


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