La Battaglia: differenze tra le versioni

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Contrario a tutte le tendenze «esclusiviste» dell'[[anarchismo]] ([[anticlericalismo]], [[sindacalismo]], [[neomalthusianesimo]], [[antimilitarismo]] ecc.), che frenano - affermava - e limitano l'azione [[rivoluzionaria]], lasciando «nella più beata tranquillità il nemico comune: lo [[Stato]] [[capitalista]]» <ref>Crf. [[Alessandro Cerchiai]], ''Dosimetria sovversiva. La rivoluzione in pillole'', n. 212, del 21 aprile 1909.</ref>, il foglio di [[Oreste Ristori|Ristori]], pur richiamandosi ad una linea d'intransigente «ortodossia», evitò sempre di definirsi sulla base di schemi ideologici e tattici precostituiti. Così, sul terreno organizzativo, non espresse mai posizioni precise o proposte concrete, pur essendo come linea di tendenza, favorevole ad un genere d'intervento politico organizzato e coordinato:
Contrario a tutte le tendenze «esclusiviste» dell'[[anarchismo]] ([[anticlericalismo]], [[sindacalismo]], [[neomalthusianesimo]], [[antimilitarismo]] ecc.), che frenano - affermava - e limitano l'azione [[rivoluzionaria]], lasciando «nella più beata tranquillità il nemico comune: lo [[Stato]] [[capitalista]]» <ref>Crf. [[Alessandro Cerchiai]], ''Dosimetria sovversiva. La rivoluzione in pillole'', n. 212, del 21 aprile 1909.</ref>, il foglio di [[Oreste Ristori|Ristori]], pur richiamandosi ad una linea d'intransigente «ortodossia», evitò sempre di definirsi sulla base di schemi ideologici e tattici precostituiti. Così, sul terreno organizzativo, non espresse mai posizioni precise o proposte concrete, pur essendo come linea di tendenza, favorevole ad un genere d'intervento politico organizzato e coordinato:
:«L'incoerenza, per l'[[anarchico]] - si legge in ''Una risposta all'«Avanti!»'' <ref name="RA">Sul n. 77, del 29 aprile 1906.</ref> - [...] non è nell'organizzazione in sé stessa (compatibilissima al certo con tutti i principii dell'[[anarchia]]) ma nello spirito autoritario che anima questa organizzazione. Ora, se l'organizzazione che l'[[anarchico]] accetta e nella quale svolge la sua attività è libertaria per eccellenza, se non stabilisce delle rinunzie forzose e delle discipline, se nessun potere di maggioranze verrà a soffocare le iniziative individuali, se ciascuno vi potrà agire liberamente, accettare o non accettare un dato principio, un dato metodo di lotta, una data idea, l'[[anarchico]], servendosene, è coerente con sé stesso e con le proprie idealità [...]. Resta a sapersi, ora, se è possibile una organizzazione [[anarchica]], vale a dire anti-autoritaria, in regime borghese. A me pare di sì. Anzi, non pare, è certo. Migliaia di aggruppamenti [[anarchici]], di circoli libertarii, circoli di studi sociali, senza presidenti, senza statuti, senza Commissioni Esecutive, senza plenipotenziari, sono là a dimostrarlo».
:«L'incoerenza, per l'[[anarchico]] - si legge in ''Una risposta all'«Avanti!»'' <ref name="RA">Sul n. 77, del 29 aprile 1906.</ref> - [...] non è nell'organizzazione in sé stessa (compatibilissima al certo con tutti i principii dell'[[anarchia]]) ma nello spirito autoritario che anima questa organizzazione. Ora, se l'organizzazione che l'[[anarchico]] accetta e nella quale svolge la sua attività è libertaria per eccellenza, se non stabilisce delle rinunzie forzose e delle discipline, se nessun potere di maggioranze verrà a soffocare le iniziative individuali, se ciascuno vi potrà agire liberamente, accettare o non accettare un dato principio, un dato metodo di lotta, una data idea, l'[[anarchico]], servendosene, è coerente con sé stesso e con le proprie idealità [...]. Resta a sapersi, ora, se è possibile una organizzazione [[anarchica]], vale a dire anti-autoritaria, in regime borghese. A me pare di sì. Anzi, non pare, è certo. Migliaia di aggruppamenti [[anarchici]], di circoli libertarii, circoli di studi sociali, senza presidenti, senza statuti, senza Commissioni Esecutive, senza plenipotenziari, sono là a dimostrarlo».
[[File:Oreste Ristori.jpg|thumb|left|[[Oreste Ristori]], direttore de ''La Battaglia'']]
[[File:Oreste Ristori.jpg|thumb|left|[[Oreste Ristori]], direttore de ''La Battaglia'' dal giugno del [[1904]] al [[7 gennaio]] del [[1912]].]]
Estrema diffidenza mostrò invece il periodico nei confronti dell'organizzazione [[sindacale]] e, in genere, della corrente [[anarco-sindacalista]] - rappresentata, in [[Brasile]], principalmente da [[Luigi Magrassi]] e [[Giulio Sorelli]], segretario, quest'ultimo, della «Federazione Operaia» di San Paolo - contro la quale ebbero modo di pronunziarsi a turno, in epoche e circostanze diverse e con scritti di diverso valore e intonazione, tutti i principali redattori e collaboratori del giornale. Così, ad esempio, [[Alessandro Cerchiai]] (''Anarchismo o opportunismo?'' <ref>Sul n. 69, del 25 febbraio 1906.</ref>), per il quale il [[sindacalismo]], «la nuova e rancida rincarnazione del corporativismo, è il nuovo verbo pel quale si sdoppiano le coscienze dei novelli [[anarchici]] del [[socialismo]], schiere ridicole di ombre vagolanti nell'assurdo, d'impotenti catechizzatori di una prudenza ipocrita, di apostati vigliacchi che preferiscono mistificare un ideale che confessarsi candidamente, senza eufemismi, tali e quali essi sono» (lo scritto provocò varie reazioni, fra cui quella di [[Aristide Ceccarelli]], che da Buenos Aires rispose con una secca protesta, ''Anarchismo o confusionismo?'' <ref>Sul n. 74, del 1 aprile 1906.</ref>); [[Gigi Damiani]] (''Un assioma sbagliato'' <ref>Sul n. 170, del 31 maggio 1908.</ref>): «Il [[sindacalismo]] è una fatalità storica, ne convengo. Senza i [[socialisti]] anarcoidi e gli [[anarchici]] socialistoidi, ci sarebbe stato lo stesso: risponde ad una necessità sociale ed umana. Le pecore lo praticavano anche prima del diluvio universale. All'approssimarsi dei lupi si serravano in bando e cantavano: forti siamo!! E chi ci guadagnava era il lupo». <ref>A. Bandoni, ''Criteri di lotta'', n. 136 e 137, dell'8 e 15 settembre 1907.</ref> Estremamente indicativo della scarsa considerazione in cui era tenuta la corrente [[sindacalista]] è, d'altronde, il sarcastico commento con cui venne liquidato il 1° Congresso Operaio Brasiliano (Rio de Janeiro, [[15 aprile|15]]-[[22 aprile]] [[1905]]). <ref>Sul n. 76, del 22 aprile 1906, sotto il titolo ''Un Congresso Inter, di batraci a Rio''.</ref>
Estrema diffidenza mostrò invece il periodico nei confronti dell'organizzazione [[sindacale]] e, in genere, della corrente [[anarco-sindacalista]] - rappresentata, in [[Brasile]], principalmente da [[Luigi Magrassi]] e [[Giulio Sorelli]], segretario, quest'ultimo, della «Federazione Operaia» di San Paolo - contro la quale ebbero modo di pronunziarsi a turno, in epoche e circostanze diverse e con scritti di diverso valore e intonazione, tutti i principali redattori e collaboratori del giornale. Così, ad esempio, [[Alessandro Cerchiai]] (''Anarchismo o opportunismo?'' <ref>Sul n. 69, del 25 febbraio 1906.</ref>), per il quale il [[sindacalismo]], «la nuova e rancida rincarnazione del corporativismo, è il nuovo verbo pel quale si sdoppiano le coscienze dei novelli [[anarchici]] del [[socialismo]], schiere ridicole di ombre vagolanti nell'assurdo, d'impotenti catechizzatori di una prudenza ipocrita, di apostati vigliacchi che preferiscono mistificare un ideale che confessarsi candidamente, senza eufemismi, tali e quali essi sono» (lo scritto provocò varie reazioni, fra cui quella di [[Aristide Ceccarelli]], che da Buenos Aires rispose con una secca protesta, ''Anarchismo o confusionismo?'' <ref>Sul n. 74, del 1 aprile 1906.</ref>); [[Gigi Damiani]] (''Un assioma sbagliato'' <ref>Sul n. 170, del 31 maggio 1908.</ref>): «Il [[sindacalismo]] è una fatalità storica, ne convengo. Senza i [[socialisti]] anarcoidi e gli [[anarchici]] socialistoidi, ci sarebbe stato lo stesso: risponde ad una necessità sociale ed umana. Le pecore lo praticavano anche prima del diluvio universale. All'approssimarsi dei lupi si serravano in bando e cantavano: forti siamo!! E chi ci guadagnava era il lupo». <ref>A. Bandoni, ''Criteri di lotta'', n. 136 e 137, dell'8 e 15 settembre 1907.</ref> Estremamente indicativo della scarsa considerazione in cui era tenuta la corrente [[sindacalista]] è, d'altronde, il sarcastico commento con cui venne liquidato il 1° Congresso Operaio Brasiliano (Rio de Janeiro, [[15 aprile|15]]-[[22 aprile]] [[1905]]). <ref>Sul n. 76, del 22 aprile 1906, sotto il titolo ''Un Congresso Inter, di batraci a Rio''.</ref>


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Dove massimamente si rivela la combattività dell'organo [[anarchico]], è tuttavia nell'intervento in favore dei lavoratori agricoli delle zone caffeifere e nella denuncia del regime feudale e schiavista, di fatto vigente nelle fazendas brasiliane. Su questi due temi, ''La Battaglia'' impostò una coraggiosa campagna, portata avanti ininterrottamente per tutta la durata delle pubblicazioni, particolarmente attraverso le rubriche fisse '''''Dalla fazenda maledetta''''', '''''Dalle Caienne Brasiliane''''' e '''''Dall'interno dello Stato'''''. Valgano, a titolo di esempio di questa appassionata difesa dei diritti dei coloni, gli scritti di [[Oreste Ristori|Ristori]], ''Retrocessione verso l'animalità primitiva'' <ref>Sui n. 85 e 87, dell'8 e 22 luglio 1906.</ref>, oltre quelli apparsi sotto il titolo generico ''Gli orrori delle ‘fazendas’'' <ref>Sui n. 98 e 100, del 21 ottobre e 11 novembre 1906.</ref>, destinati a designare una nuova rubrica, rimasta, invece, senza seguito.
Dove massimamente si rivela la combattività dell'organo [[anarchico]], è tuttavia nell'intervento in favore dei lavoratori agricoli delle zone caffeifere e nella denuncia del regime feudale e schiavista, di fatto vigente nelle fazendas brasiliane. Su questi due temi, ''La Battaglia'' impostò una coraggiosa campagna, portata avanti ininterrottamente per tutta la durata delle pubblicazioni, particolarmente attraverso le rubriche fisse '''''Dalla fazenda maledetta''''', '''''Dalle Caienne Brasiliane''''' e '''''Dall'interno dello Stato'''''. Valgano, a titolo di esempio di questa appassionata difesa dei diritti dei coloni, gli scritti di [[Oreste Ristori|Ristori]], ''Retrocessione verso l'animalità primitiva'' <ref>Sui n. 85 e 87, dell'8 e 22 luglio 1906.</ref>, oltre quelli apparsi sotto il titolo generico ''Gli orrori delle ‘fazendas’'' <ref>Sui n. 98 e 100, del 21 ottobre e 11 novembre 1906.</ref>, destinati a designare una nuova rubrica, rimasta, invece, senza seguito.
[[Image: Gigi Damiani.jpg|thumb|250px|[[Gigi Damiani]], direttore de ''La Battaglia'']]
[[IFile:Gigi Damiani.jpg|thumb|250px|[[Gigi Damiani]], direttore de ''La Battaglia'' dal [[7 gennaio]] [[1912]] al maggio del [[1913]].]]
Al contrario, non paiono essere approdati a nessun risultato concreto gli sforzi diretti a una penetrazione politica all'interno dell'ambiente colonico stesso. Al fine «di emancipare i coloni dallo stato di abbrutimento morale e vergognosa schiavitù in cui sono immersi», il giornale aveva anche avanzato il progetto di costituire una Lega di Propaganda Libertaria per le ‘fazendas’ <ref>Crf. n. 117, del 31 marzo 1907.</ref>, ma anche per le obiettive difficoltà a contattare materialmente i lavoratori agricoli delle zone caffeifere, mantenuti in uno stato di pressoché assoluta segregazione (le uniche possibilità d'incontro fra il contingente colonico delle fazendas e l'elemento dimorante in località dell'interno e composto per lo più di piccoli commercianti, si avevano in occasione dello spaccio e dello scambio dei prodotti), l'iniziativa risultò inattuabile. Ancora qualche anno più tardi, i redattori dovevano amaramente constatare che «vi sono delle zone immense, delle intere regioni ove non è per anco penetrato il raggio di un'idea a illuminare le menti; centinaia e centinaia di fazendas, che son vere galere, ove regna un silenzio di morte e una incoscienza esasperante; ove i coloni, assuefatti da tempo a condizioni abbrutenti di schiavitù, idiotizzati dalla religione cristiana e dal prete, non saprebbero concepire né, forse, desiderare una vita meno bestiale di quella cui sono condannati» (''La schiavitù dei coloni. Quello che si deve fare'' <ref>Sul n. 314, del 23 luglio 1911.</ref>).
Al contrario, non paiono essere approdati a nessun risultato concreto gli sforzi diretti a una penetrazione politica all'interno dell'ambiente colonico stesso. Al fine «di emancipare i coloni dallo stato di abbrutimento morale e vergognosa schiavitù in cui sono immersi», il giornale aveva anche avanzato il progetto di costituire una Lega di Propaganda Libertaria per le ‘fazendas’ <ref>Crf. n. 117, del 31 marzo 1907.</ref>, ma anche per le obiettive difficoltà a contattare materialmente i lavoratori agricoli delle zone caffeifere, mantenuti in uno stato di pressoché assoluta segregazione (le uniche possibilità d'incontro fra il contingente colonico delle fazendas e l'elemento dimorante in località dell'interno e composto per lo più di piccoli commercianti, si avevano in occasione dello spaccio e dello scambio dei prodotti), l'iniziativa risultò inattuabile. Ancora qualche anno più tardi, i redattori dovevano amaramente constatare che «vi sono delle zone immense, delle intere regioni ove non è per anco penetrato il raggio di un'idea a illuminare le menti; centinaia e centinaia di fazendas, che son vere galere, ove regna un silenzio di morte e una incoscienza esasperante; ove i coloni, assuefatti da tempo a condizioni abbrutenti di schiavitù, idiotizzati dalla religione cristiana e dal prete, non saprebbero concepire né, forse, desiderare una vita meno bestiale di quella cui sono condannati» (''La schiavitù dei coloni. Quello che si deve fare'' <ref>Sul n. 314, del 23 luglio 1911.</ref>).


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