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Che tempi sono questi? Sono i tempi delle proteste in Turchia, in Bulgaria e in Brasile, i tempi di [[Anonymous]], del [[movimento No Tav]] e dalle lotte in difesa dei beni comuni. Forse gli anarchici non sono più meno dell'uno per cento, come cantava [[Léo Ferré]], ma certamente coloro che si interrogano criticamente sui presupposti teorici e sui fondamenti delle pratiche anarchiche non sono molto numerosi. Stranamente, verrebbe da dire, perché questa modalità di mettersi in discussione fu inaugurata da un gigante dell'anarchismo classico, [[Errico Malatesta]] (e da [[Camillo Berneri]] subito dopo) che già nel [[1920]], sulle pagine di [[Umanità Nova]] scriveva «L'anarchia non si fa per forza: volerlo, sarebbe la più balorda delle contraddizioni». E un paio di anni dopo «L'anarchia è l'ideale che potrebbe anche non realizzarsi mai, come non si raggiunge mai la linea dell'orizzonte [...], l'anarchismo è metodo di vita e di lotta e deve essere, dagli anarchici, praticato oggi e sempre, nei limiti delle possibilità variabili secondo i tempi e le circostanze». C'è da dire che si era già pronunciato nella stessa direzione [[Gustav Landauer]], di cui è nota l'affermazione «Lo stato non è qualcosa che si possa distruggere con una rivoluzione, ma è una condizione, un certo rapporto tra esseri umani, una modalità del comportamento umano: lo distruggiamo stabilendo nuove relazioni, comportandoci in modo diverso». | |||
Per tutto il '900 il pensiero anarchico non ha mai smesso l'abitudine di ripensarsi criticamente, soprattutto a opera di intellettuali e militanti come [[Paul Goodman]] - «Una società libera non può essere l'imposizione di un “ordine nuovo” al posto di quello vecchio: è l'ampliamento degli ambiti di azione autonoma fino a che questi occupino gran parte della vita sociale» -, oppure attraverso le parole di [[Colin Ward]] «Come si reagirebbe alla scoperta chela società in cui si vorrebbe realmente vivere c'è già... se non si tiene conto, ovviamente, di qualche piccolo guaio come sfruttamento, guerra, dittatura e gente che muore di fame? [...] Una società anarchica, una società che si organizza senza autorità, esiste da sempre, come un seme sotto la neve, sepolta sotto il peso dello [[Stato]] e della burocrazia, del [[capitalismo]] e dei suoi sprechi, del privilegio e delle sue ingiustizie». Nelle loro pagine troviamo un'idea di anarchia che sembra allontanarsi da quella dei classici [[Bakunin]], [[Kropotkin]] e [[Proudhon]]. La capacità di riflessione e di autocritica espressa in tempi non sospetti testimonia una grande vitalità e sembra anticipare molte delle questioni sollevate più di recente. | |||
[ | Il post-anarchismo spiegato a mia nonna di [[Michel Onfray]] si inserisce, quindi, in un ampio dibattito che si può riassumere in una domanda: le idee e i concetti della post-modernità possono essere impiegati per riattivare e riattualizzare il pensiero anarchico? Posta in questi termini la questione però non è molto chiara. Quale pensiero anarchico? E perché avrebbe bisogno di una “cura rinvigorente”? | ||
'''[https://www.doppiozero.com/materiali/contemporanea/post-anarchismo Vai al testo]''' | |||
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