Violenza: differenze tra le versioni

109 byte rimossi ,  18:33, 26 lug 2020
Riga 47: Riga 47:
Se l'anarchia vuol dire per principio «non-violenza, non-dominio dell'uomo sull'uomo, non imposizione per forza di uno o di più su quella degli altri» <ref>Malatesta, ''Anarchia e violenza'', in ''Pensiero e Volontà'', Roma, 1 settembre 1924</ref>, come va usato il mezzo della violenza senza farsi sopraffare dalla sua logica? Dove inizia e dove finisce la sua necessità? E chi ha il diritto di usarlo? Per [[Malatesta]] la forza, in questo caso la violenza, non può superare gli ambiti della sua funzione negativa, che le deriva dall'essere uno strumento dell'anarchismo, non certo un elemento costitutivo dell'anarchia. Ecco quindi la necessità di affermare che «la nostra violenza è, per così dire, negativa: serve a distruggere quegli ordinamenti che per mezzo della forza organizzata in governo costringono gli uomini a subire la volontà altrui e a farsi sfruttare dagli altri». <ref>Malatesta, ''La questione della terra'', in ''Umanità Nova'', Milano, 19 maggio 1920</ref>
Se l'anarchia vuol dire per principio «non-violenza, non-dominio dell'uomo sull'uomo, non imposizione per forza di uno o di più su quella degli altri» <ref>Malatesta, ''Anarchia e violenza'', in ''Pensiero e Volontà'', Roma, 1 settembre 1924</ref>, come va usato il mezzo della violenza senza farsi sopraffare dalla sua logica? Dove inizia e dove finisce la sua necessità? E chi ha il diritto di usarlo? Per [[Malatesta]] la forza, in questo caso la violenza, non può superare gli ambiti della sua funzione negativa, che le deriva dall'essere uno strumento dell'anarchismo, non certo un elemento costitutivo dell'anarchia. Ecco quindi la necessità di affermare che «la nostra violenza è, per così dire, negativa: serve a distruggere quegli ordinamenti che per mezzo della forza organizzata in governo costringono gli uomini a subire la volontà altrui e a farsi sfruttare dagli altri». <ref>Malatesta, ''La questione della terra'', in ''Umanità Nova'', Milano, 19 maggio 1920</ref>


Date queste premesse, Malatesta non poteva che considerare la violenza rivoluzionaria «una dura necessità» per evitare, appunto, di «scambiare il mezzo col fine». <ref>Malatesta, ''Errori e rimedi'', in ''l'Anarchia'', Londr), agosto 1896</ref> «Necessaria purtroppo per resistere alla violenza [altrui], non serve per edificare niente di buono: essa è la nemica naturale della libertà, la genitrice della tirannia e perciò deve essere contenuta nei limiti della più stretta necessità. La rivoluzione serve, è necessaria, per abbattere la violenza dei governi e dei privilegiati; ma la costituzione di una società di liberi non può essere che l'effetto della libera evoluzione». <ref>Malatesta, ''Ancora sulla rivoluzione''</ref>
Date queste premesse, [[Malatesta]] non poteva che considerare la violenza rivoluzionaria «una dura necessità» per evitare, appunto, di «scambiare il mezzo col fine». <ref>Malatesta, ''Errori e rimedi'', in ''l'Anarchia'', Londr), agosto 1896</ref> «Necessaria purtroppo per resistere alla violenza [altrui], non serve per edificare niente di buono: essa è la nemica naturale della libertà, la genitrice della tirannia e perciò deve essere contenuta nei limiti della più stretta necessità. La rivoluzione serve, è necessaria, per abbattere la violenza dei governi e dei privilegiati; ma la costituzione di una società di liberi non può essere che l'effetto della libera evoluzione». <ref>Malatesta, ''Ancora sulla rivoluzione''</ref>


«La violenza [la] dobbiamo predicare e prepararla, se non vogliamo che l'attuale condizione di schiavitù larvata, in cui si trova la grande maggioranza dell'umanità, perduri e peggiori. Ma essa contiene in sé il pericolo di trasformare la rivoluzione in una mischia brutale senza luce d'ideale e senza possibilità di risultati benefici; e perciò bisogna insistere sugli scopi morali del movimento e sulla necessità, sul dovere di contenere la violenza nei limiti della stretta necessità. Noi non diciamo che la violenza è buona quando l'adoperiamo
La violenza deve essere predicata e preparata «se non vogliamo che l'attuale condizione di schiavitù larvata, in cui si trova la grande maggioranza dell'umanità, perduri e peggiori. Ma essa contiene in sé il pericolo di trasformare la rivoluzione in una mischia brutale senza luce d'ideale e senza possibilità di risultati benefici; e perciò bisogna insistere sugli scopi morali del movimento e sulla necessità, sul dovere di contenere la violenza nei limiti della stretta necessità. Noi non diciamo che la violenza è buona quando l'adoperiamo noi ed è cattiva quando l'adoperano gli altri contro di noi. Noi diciamo che la violenza è giustificabile, è buona, è morale, è doverosa, quando è adoperata per la difesa di se stesso e degli altri contro le pretese dei violenti; è cattiva, è immorale se serve a violare la libertà altrui». <ref>Malatesta, ''Morale e violenza'', in ''Umanità Nova'', Roma, 21 ottobre 1922</ref> «Noi consideriamo la violenza necessaria e doverosa per la difesa, ma solo per la difesa. Tutta la violenza necessaria per vincere, ma niente di più o di peggio». <ref>Malatesta, Morale e violenza</ref> Del tutto logicamente, arriva a concludere: «se per vincere si dovesse elevare la forca nelle piazze, io preferirei perdere». <ref>Malatesta, ''Il terrore rivoluzionario'', in ''Pensiero e Volontà'', Roma, 1 ottobre 1924 (sul problema della violenza nel pensiero di Malatesta cfr. Fabbri, ''L'uomo e il pensiero'', pp. 140-149 e Richards, ''L'importanza di Malatesta per gli anarchici di oggi'', in ''E. Malatesta, Vita e idee'', a cura di Vernon Richards, Pistoia, 1968, pp. 345-355)</ref>
noi ed è cattiva quando l'adoperano gli altri contro di noi. Noi diciamo che la violenza è giustificabile, è buona, è 'morale, è doverosa, quando è adoperata per la difesa di se stesso e degli altri contro le pretese dei violenti; è cattiva, è immorale se serve a violare la libertà altrui». <ref>Malatesta, ''Morale e violenza'', in ''Umanità Nova'', Roma, 21 ottobre 1922</ref> «Noi consideriamo la violenza necessaria e doverosa per la difesa, ma solo per la difesa. Tutta la violenza necessaria per vincere, ma niente di più o di peggio». <ref>Malatesta, Morale e violenza</ref> Del tutto logicamente, arriva a concludere: «se per vincere si dovesse elevare la forca nelle piazze, io preferirei perdere». <ref>Malatesta, ''Il terrore rivoluzionario'', in ''Pensiero e Volontà'', Roma, 1 ottobre
1924 (sul problema della violenza nel pensiero di Malatesta cfr. Fabbri, ''L'uomo e il pensiero'', pp. 140-149 e Richards, ''L'importanza di Malatesta per gli anarchici di oggi'', in ''E. Malatesta, Vita e idee'', a cura di Vernon Richards, Pistoia, 1968, pp. 345-355)</ref>


L'azione anarchica, quindi, deve contemplare la violenza come necessità di liberazione dalla violenza dei governi e dei padroni, non però per edificare l'anarchia. Per l'anarchismo essa è un mezzo che non va rifiutato "a priori" perché, se la non-violenza è un valore costitutivo dell'anarchia, questa, tuttavia, ha altri valori più grandi da anteporre, quali la libertà, l'uguaglianza e la stessa dignità dell'uomo. In questo senso «la violenza anarchica è la sola che sia giustificabile, la sola che non sia criminale [...] perché mira alla liberazione di tutti e non alla sostituzione del proprio dominio a quello degli altri». <ref>Malatesta, ''Anarchia e violenza''</ref> La necessità della violenza, pertanto, si giustifica come "extrema ratio", quasi come riluttante considerazione dell'impossibilità di fare altrimenti: «perché due vivano in pace bisogna che tutti e due vogliano la pace; che se uno dei due si ostina a volere colla forza obbligare l'altro a lavorare per lui ed a servirlo, l'altro, se vuole conservare dignità di uomo e non essere ridotto alla più abbietta schiavitù, malgrado tutto il suo amore per la pace ed il buon accordo, sarà ben obbligato a resistere alla forza con mezzi adeguati». <ref>Malatesta, ''Anarchia e violenza''</ref>
L'azione anarchica, quindi, deve contemplare la violenza come necessità di liberazione dalla violenza dei governi e dei padroni, non però per edificare l'anarchia. Per l'anarchismo essa è un mezzo che non va rifiutato "a priori" perché, se la non-violenza è un valore costitutivo dell'anarchia, questa, tuttavia, ha altri valori più grandi da anteporre, quali la libertà, l'uguaglianza e la stessa dignità dell'uomo. In questo senso «la violenza anarchica è la sola che sia giustificabile, la sola che non sia criminale [...] perché mira alla liberazione di tutti e non alla sostituzione del proprio dominio a quello degli altri». <ref>Malatesta, ''Anarchia e violenza''</ref> La necessità della violenza, pertanto, si giustifica come "extrema ratio", quasi come riluttante considerazione dell'impossibilità di fare altrimenti: «perché due vivano in pace bisogna che tutti e due vogliano la pace; ché se uno dei due si ostina a volere colla forza obbligare l'altro a lavorare per lui ed a servirlo, l'altro, se vuole conservare dignità di uomo e non essere ridotto alla più abbietta schiavitù, malgrado tutto il suo amore per la pace ed il buon accordo, sarà ben obbligato a resistere alla forza con mezzi adeguati». <ref>Malatesta, ''Anarchia e violenza''</ref>


Addirittura, la violenza diventa un imperativo morale, quando si è posti nella situazione di potere agire attivamente per impedire l'ulteriore propagarsi della sopraffazione: «il non resistere al male 'attivamente, cioè in tutti i modi possibili e adeguati, in teoria è assurdo, perché in contraddizione collo scopo di evitare e distruggere il male, ed in pratica è immorale perché rinnega la solidarietà umana ed il dovere che ne consegue di difendere i deboli e gli oppressi». <ref>Malatesta, ''Cristiano?'', in ''Pensiero e Volontà'', Roma, 16 aprile - 16 maggio 1925</ref> Malatesta, però, non riesce a definire ulteriormente il concetto di difesa e gli ambiti entro cui questa diventa legittima, se non nel senso di considerare come difesa ogni azione di liberazione dallo sfruttamento e dall'oppressione; concetto, come si vede, del tutto generico. Soprattutto non riesce a stabilire chi ha il diritto di esercitare la violenza. Infatti, rimanendo al suo criterio, questo diritto dovrebbe essere solo di coloro che subiscono lo sfruttamento e l'oppressione, vale a dire le masse popolari. Ma, più che le masse popolari, a rivendicare l'uso della violenza è in realtà chi parla ed agisce in loro nome, cioè i rivoluzionari di professione. Anche Malatesta insomma - e non potrebbe essere diversamente - entra in profonda contraddizione, in quanto da un lato rivendica la legittimità della violenza da parte degli oppressi, dall'altro deve poi riconoscere che ad esercitarla veramente non è chi la subisce. Egli infatti non può sfuggire dalla realistica consapevolezza che la vera lotta è tra le minoranze agenti e coscienti.
Addirittura, la violenza diventa un imperativo morale, quando si è posti nella situazione di potere agire attivamente per impedire l'ulteriore propagarsi della sopraffazione: «il non resistere al male attivamente, cioè in tutti i modi possibili e adeguati, in teoria è assurdo, perché in contraddizione collo scopo di evitare e distruggere il male, ed in pratica è immorale perché rinnega la solidarietà umana ed il dovere che ne consegue di difendere i deboli e gli oppressi». <ref>Malatesta, ''Cristiano?'', in ''Pensiero e Volontà'', Roma, 16 aprile - 16 maggio 1925</ref> Malatesta, però, non riesce a definire ulteriormente il concetto di difesa e gli ambiti entro cui questa diventa legittima, se non nel senso di considerare come difesa ogni azione di liberazione dallo sfruttamento e dall'oppressione; concetto del tutto generico. Soprattutto non riesce a stabilire chi ha il diritto di esercitare la violenza. Infatti, rimanendo al suo criterio, questo diritto dovrebbe essere solo di coloro che subiscono lo sfruttamento e l'oppressione, vale a dire le masse popolari. Ma, più che le masse popolari, a rivendicare l'uso della violenza è in realtà chi parla ed agisce in loro nome, cioè i rivoluzionari di professione. [[Malatesta]] da un lato rivendica la legittimità della violenza da parte degli oppressi, dall'altro deve poi riconoscere che ad esercitarla veramente non è chi la subisce. Egli infatti non può sfuggire dalla realistica consapevolezza che la vera lotta è tra le minoranze agenti e coscienti.


==Note==
==Note==
64 364

contributi