Severino Di Giovanni: differenze tra le versioni

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«[[Il Culmine]]» diffonde molti appelli in favore di prigionieri politici (es. [[Sacco e Vanzetti]]), contro il [[Fascismo|fascismo]] in [[Italia]] e nel resto del mondo, contro la repressione argentina e anche contro lo stalinismo (una rubrica del periodico si intitolava «Dall'inferno bolscevico»).
«[[Il Culmine]]» diffonde molti appelli in favore di prigionieri politici (es. [[Sacco e Vanzetti]]), contro il [[Fascismo|fascismo]] in [[Italia]] e nel resto del mondo, contro la repressione argentina e anche contro lo stalinismo (una rubrica del periodico si intitolava «Dall'inferno bolscevico»).


=== Azioni dirette, cattura e morte ===
=== Azioni dirette ===
[[Image:Severino di Giovanni in court.jpg|thumb|300px|Severino Di Giovanni in un momento processuale]]
[[Image:Severino di Giovanni in court.jpg|thumb|300px|Severino Di Giovanni in un momento processuale]]
Diviso tra teoria e pratica, Di Giovanni compie [[azione diretta|azioni dirette]], anche perché la necessità di reperire fondi per poter condurre una vita votata alla clandestinità ed alla guerriglia urbana, spinge il gruppo de ''[[Il Culmine]]'' alle rapine di banche, portavalori, gioiellerie e grandi aziende.
Diviso tra teoria e pratica, Di Giovanni compie [[azione diretta|azioni dirette]], anche perché la necessità di reperire fondi per poter condurre una vita votata alla clandestinità ed alla guerriglia urbana, spinge il gruppo de ''[[Il Culmine]]'' alle rapine di banche, portavalori, gioiellerie e grandi aziende.
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Il [[22 luglio]] del [[1927]] vengono messi a segno altri due attentati: il primo al monumento a Washington e l'altro alla sede di una concessionaria Ford. Due settimane dopo, l'[[8 agosto]], vengono colpiti il palazzo del Tribunale e la stazione Vólez Sarsfield. La settimana successiva, il [[16 agosto]], è la volta della casa del commissario di polizia Eduardo Santiago, nel quartiere di Almagro.
Il [[22 luglio]] del [[1927]] vengono messi a segno altri due attentati: il primo al monumento a Washington e l'altro alla sede di una concessionaria Ford. Due settimane dopo, l'[[8 agosto]], vengono colpiti il palazzo del Tribunale e la stazione Vólez Sarsfield. La settimana successiva, il [[16 agosto]], è la volta della casa del commissario di polizia Eduardo Santiago, nel quartiere di Almagro.
L'esecuzione, nell'agosto del [[1927]], di [[Sacco e Vanzetti]], convince il gruppo di Di Giovanni che è giunto il momento di passare ad attentati di ben altra portata ed effetto. Tra l'agosto del [[1927]] ed il maggio del [[1928]], Severino esegue più di 20 attentati. Fino al dicembre 1927 non ci sono vittime, malgrado due delle bombe esplose siano ad alto potenziale ed imbottite di pallini e chiodi, insomma, costruite per uccidere.
Il [[24 dicembre]] [[1927]] vengono comouti due attentati: il primo alla City Bank, affollata di clienti e di venditori che offrivano alle impiegate merce pregiata, profumi, champagne e calze di seta (risultato: 23 feriti e 2 morti, un'impiegata ed il venditore di calze); il secondo al Banco di Boston (la bomba non esplode).
Il [[23 maggio]] [[1928]] Severino intende portare una bomba al Consolato italiano, fin dentro la stanza del Console, Italo Capanni, chiuderlo dentro a viva forza e lasciare che l'ordigno esploda. Ma le cose non vanno come previsto e alla fine la bomba viene lasciata giusto nell'atrio accanto alle scale (risultato: 9 morti e 34 feriti gravi). La stessa mattina (ore 12.30) Di Giovanni piazza un'altra bomba nella farmacia del dr. Benjamin Mastronardi, presidente del Comitato Fascista (la bomba viene involontariamente disinnescata da un bambino, il figlio di Mastronardi).
=== Reazioni della stampa anarchica ===
Il [[26 maggio]] [[1928]] ''[[La Protesta]]'' pubblica un editoriale intitolato ''Scuola della violenza'', nel quale non solo prende le distanze dagli attentatori, ma afferma che «il terrorismo non è anarchismo, anche se un certo tipo di azioni individuali potrebbe essere messo in relazione con alcune manifestazioni dello spirito di vendetta che porta uomini dal temperamento eccitabile ad attuare, per conto proprio, rappresaglie contro i più vistosi responsabili di un crimine collettivo».
''[[L'Allarme]]'' del [[20 giugno]] [[1928]] riporta in prima pagina: «La bomba del Consolato Italiano non poteva essere più spaventosa. Fu atroce. Qualunque sia stata l'intenzione non si può sottrarsi alla terribile realtà. L'attentato del 23 maggio 1928 fu un carnaio d'innocenti».
''[[La Antorcha]]'' del [[9 giugno]] [[1928]] scrive: «L'Anarchia non è questa. Non si esprime attraverso la violenza cieca o disperata. La sua violenza è difensiva e cosciente [...]».
[[Salvatore Cortese]], ingiustamente posto dalla polizia argentina in relazione con Di Giovanni, in un articolo pubblicato  il [[25 aprile]] [[1932]] sulla rivista «Studi sociali» di Luigi Fabbri ed intitolato ''L'anarchismo e la violenza'', scrive: «L'anarchismo, essendo un ideale umano, non può e non deve fare scempio della vita altrui e tanto meno deve fare uso della violenza in modo sordido, pretendendo di riparare un'ingiustizia col commetterne un'altra equivalente o superiore».


Il [[29 ottobre]] [[1929]] viene ucciso [[Emilio López Arango]], direttore del giornale anarchico avversario «[[La protesta]]», <ref>López Arango aveva criticato l'apologia della violenza e del furto, sostenendo che Di Giovanni era soltanto un bandito, un «agente della polizia e del fascismo». Anche [[Luigi Fabbri]] fu oggetto di minacce, dopo aver scritto su «Pagina italiana» un articolo pieno di dolore e d'indignazione, paragonando il fatto ad altri simili avvenuti in Italia ad opera dello squadrismo fascista.</ref> e ciò provoca l'isolamento del suo gruppo rispetto al movimento anarchico argentino. Il gruppo di Severino - dove militavano anche i due fratelli di [[América Josefina Scarfò|América]], [[Paulino Scarfò|Paulino]] e [[Alejandro Scarfò|Alejandro]] Scarfò - continua a rapinare banche e a colpire i simboli del [[Fascismo|fascismo]] italiano, anche se i suoi compagni cadono ad uno ad uno ([[Alejandro Scarfò]] fu arrestato e rinchiuso nel manicomio criminale di Vieytes).  
Il [[29 ottobre]] [[1929]] viene ucciso [[Emilio López Arango]], direttore del giornale anarchico avversario «[[La protesta]]», <ref>López Arango aveva criticato l'apologia della violenza e del furto, sostenendo che Di Giovanni era soltanto un bandito, un «agente della polizia e del fascismo». Anche [[Luigi Fabbri]] fu oggetto di minacce, dopo aver scritto su «Pagina italiana» un articolo pieno di dolore e d'indignazione, paragonando il fatto ad altri simili avvenuti in Italia ad opera dello squadrismo fascista.</ref> e ciò provoca l'isolamento del suo gruppo rispetto al movimento anarchico argentino. Il gruppo di Severino - dove militavano anche i due fratelli di [[América Josefina Scarfò|América]], [[Paulino Scarfò|Paulino]] e [[Alejandro Scarfò|Alejandro]] Scarfò - continua a rapinare banche e a colpire i simboli del [[Fascismo|fascismo]] italiano, anche se i suoi compagni cadono ad uno ad uno ([[Alejandro Scarfò]] fu arrestato e rinchiuso nel manicomio criminale di Vieytes).  
== Cattura e morte ==


Il [[29 gennaio]] [[1931]] la tipografia di Severino viene circondata dalla polizia. I componenti del gruppo cercano di fuggire, uccidono due poliziotti, ma alla fine Di Giovanni, sentendosi perduto, tenta invano il suicidio. Ormai moribondo Severino viene fermato dalla polizia e condotto velocemente in ospedale dove i medici gli "salvano" la vita, affinché sia poi lo [[Stato]] argentino a condannarlo a morte. Il [[1 febbraio|1° febbraio]] [[1931]], poche ore dopo il suo arresto, viene condannato alla fucilazione insieme a [[Paulino Scarfò]] <ref name="América"> Prima di morire, Di Giovanni incontrò l'amata [[América Josefina Scarfò]], esortandola a studiare e a fondare una nuova casa editrice. Più tardi la Scarfò insegnò italiano all'Università di Buenos Aires, continuando a militare nel movimento anarchico. Nel [[1951]] giunse in [[Italia]] e si recò a Chieti alla ricerca dei parenti di Severino.</ref>.
Il [[29 gennaio]] [[1931]] la tipografia di Severino viene circondata dalla polizia. I componenti del gruppo cercano di fuggire, uccidono due poliziotti, ma alla fine Di Giovanni, sentendosi perduto, tenta invano il suicidio. Ormai moribondo Severino viene fermato dalla polizia e condotto velocemente in ospedale dove i medici gli "salvano" la vita, affinché sia poi lo [[Stato]] argentino a condannarlo a morte. Il [[1 febbraio|1° febbraio]] [[1931]], poche ore dopo il suo arresto, viene condannato alla fucilazione insieme a [[Paulino Scarfò]] <ref name="América"> Prima di morire, Di Giovanni incontrò l'amata [[América Josefina Scarfò]], esortandola a studiare e a fondare una nuova casa editrice. Più tardi la Scarfò insegnò italiano all'Università di Buenos Aires, continuando a militare nel movimento anarchico. Nel [[1951]] giunse in [[Italia]] e si recò a Chieti alla ricerca dei parenti di Severino.</ref>.
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