Scritti sugli eventi della Settimana Rossa (di Errico Malatesta)

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Pubblicato in "Volontà" del 17 giugno 1914

Non sappiamo ancora se vinceremo, ma è certo che la rivoluzione è scoppiata e va propagandosi. La Romagna è in fiamme, in tutta la regione da Terni ad Ancona il popolo è padrone della situazione. A Roma il governo è costretto a tenersi sulle difese contro gli assalti popolari; il Quirinale è sfuggito, per ora, all'invasione della massa insorta, ma è sempre minacciato.

A Parma, a Milano, a Torino, a Firenze, a Napoli agitazione e conflitti. E da tutte le parti giungono notizie, incerte, contraddittorie, ma che dimostrano tutte che il movimento è generale e che il governo non può porvi riparo. E dappertutto si vedono agire in bella concordia repubblicani, socialisti, sindacalisti ed anarchici. La monarchia è condannata. Cadrà oggi, o cadrà domani ma cadrà sicuramente e presto.

È il momento di mettere in opera tutta la nostra energia, tutta la nostra attività. Qualunque debolezza, qualunque esitazione sarebbe oggi non solo vigliaccheria, ma una sciocchezza. All'opera tutti, con tutte le forze disponibili. La necessità del momento.

Poichè lo sciopero di protesta si è sviluppato in rivoluzione bisogna provveder alle necessità della rivoluzione. E prima di tutto (dopo l'attacco e la difesa contro le forze governative) bisogna provvedere all'alimentazione della cittadinanza. Bisogna che nessuno manchi di pane che nessun bambino manchi di latte, che gli ospedali siano forniti di tutto l'occorrente.

Perciò le Camere del lavoro, le organizzazioni operaie ed i comitati di volontari prendano le misure necessarie perché il servizio di approvvigionamento e di distribuzione proceda regolarmente e sufficientemente.

Noi non intendiamo, ora, abolire la proprietà individuale. ma pretendiamo che i proprietari, i negozianti, i venditori di tutte le specie non abusino della circostanza per strozzare la popolazione e pretendiamo che si provveda per conto del municipio, per conto della collettività a coloro che sono sprovveduti di ogni mezzo per per comprare il necessario.

Il dazio è abolito, per volontà della popolazione, bisogna che quest'abolizione vada a vantaggio di tutti, e non già a profitto dei negozianti. La roba deve essere venduta al prezzo di prima, meno importo del dazio.

Provvedano a questo i Cittadini stessi per mezzo della Camera del Lavoro, delle varie asso-ciazioni e dei comitati rionali di volontari. Ora non è più il caso di preoccuparsi se un barbiere, per esempio, ha servito o no un cliente, o se un trattore ha aperto o no la sua bottega. Ora non è più sciopero, è rivoluzione; e bisogna prov-vedere alle due prime necessità della rivoluzione: la difesa armata e l'alimentazione del popolo Cia-scuno faccia quello che può, non si sciupi la roba, nè il pane, nè le munizioni. E si badi di non abusare di bevande alcoliche; perché è tempo di tenere la testa a posto.

Il tradimento.

Si è fatto correr la voce che la Confederazione Generale del Lavoro ha ordinato la cessazione dello sciopero. La notizia manca di ogni prova, ed è probabile sia stata inventata e propagata dal governo collo scopo di gettare il dubbio in mezzo ai lavoratori ed arrestarne lo slancio magnifico. Ma fosse anche vera, essa non servirebbe che a marchiare d'infamia coloro che avrebbero tentato il tradimento.

La Confederazione Generale del Lavoro non sarebbe ubbidita. Già si annunzia che le Camere del Lavoro di Milano e di Bologna si sono rivoltate agli ordini. La Camera del Lavoro di Ancona è autonoma. L'Unione Sindacale Italiana certamente non mancherà il suo dovere. I ferrovieri hanno quasi completamente arrestato il servizio, e le linee sono state manomesse in modo che non è possibile al governo di ripararle nel breve tempo che gli resta di vita.

E poi, ancora una volta, ora non si tratta più di sciopero, ma di RIVOLUZIONE.

Il movimento incomincia adesso, e ci vengono a dire di cessarlo!

Abbasso gli addormentatori! Abbasso i traditori! Evviva la rivoluzione!


Settimana Rossa – In "Umanità Nova", 28 giugno 1922

Corre in certi ambienti la leggenda ch'io sia stato l'organizzatore della “Settimana Rossa” del 1914. Grande onore per me, ma purtroppo non meritato! La “Settimana Rossa” non fu un movimento preparato e voluto, ma avvenne impensatamente per la reazione spontanea di un popolo fiero ad una provocazione insensata e sanguinosa della forza pubblica. Le cose andarono così.

Da parecchio tempo i partiti sovversivi e specialmente gli anarchici ed i sindacalisti si agitavano per ottenere la liberazione di Masetti e l'abolizione delle Compagnie di disciplina. Conferenze e comizi si moltiplicavano; ma gli effetti erano scarsi ed il governo non dava segni di cedere. Si cercava qualche altro modo di manifestazione più clamoroso, che potesse scuotere l'opinione pubblica ed impressionare le autorità. In un comizio in Ancona un militare (che non nomino perché non so se ora ne avrebbe piacere) lanciò una proposta che fu accolta con entusiasmo. Siccome si avvicinava la prima domenica di giugno, in cui il mondo ufficiale commemora “la concessione” dello Statuto Al-bertino con riviste militari, ricevimenti reali e prefettizi, noi, diceva il proponente, dovremmo impedire o almeno disturbare la festa; convochiamo per il giorno dello Statuto comizi e cortei in tutte le città d'Italia ed il governo sarà costretto a tenere le truppe consegnate in quartiere o occupate in ser-vizio di pubblica sicurezza e le riviste non potranno farsi.

L'idea, fatta sua dal periodico Volontà che stampavamo allora in Ancona, fu sostenuta e pro-pagata con calore, e quando giunse la prima domenica di giugno, attuata in molte città. Le riviste non si fecero: la manifestazione era riuscita, e noi non avremmo per allora spinte le cose più oltre, anche perché andava maturando in Italia un movimento generale e non avevamo interesse a spendere spendere le nostre forze in tentativi isolati. Ma la stupidaggine e la brutalità della polizia disposero altrimenti.

In Ancona la mattina le truppe erano restate consegnate e non v'era stato nulla di grave. Nel pomeriggio vi fu un comizio nel locale dei repubblicani a Villa Rossa, e dopo che ebbero parlato o-ratori dei vari partiti e spiegato le ragioni della manifestazione, la folla incominciò ad uscire. Ma alla porta c'era la polizia che intimava di sciogliersi e ritirarsi, mentre poi cordoni di carabinieri chiudevano tutte le strade per le quali si poteva andar via ed impedivano il passaggio. Ne nacque un conflitto; i carabinieri fecero fuoco ed ammazzarono tre giovani. Immediatamente i tram cessarono di circolare, tutti i negozi si chiusero e lo sciopero generale si trovò attuato senza che ci fosse bisogno di deliberano e proclamarlo. L'indomani ed i giorni susseguenti Ancona si trovò in stato d'insurrezione potenziale. Dei negozi d'armi furono saccheggiati, delle partite di grano furono requisite, una specie d'organizzazione per provvedere ai bisogni alimentari della popolazione si andava abbozzando. La città era piena di truppa, navi da guerra si trovavano nel porto, ma l'autorità pur facendo circolare grosse pattuglie, non osava reprimere, evidentemente perché non si sentiva sicura dell'obbedienza dei soldati e dei marinai.

Infatti soldati e marinai fraternizzavano col popolo; le donne, le impareggiabili donne anconetane, carezzavano i soldati, distribuivano loro vino e sigarette, li inducevano a mischiarsi colla folla; qua e là degli ufficiali erano sputacchiati e schiaffeggiati in presenza delle loro truppe e i soldati lasciavano fare e spesso incoraggiavano con cenni e con parole. Lo sciopero prendeva ogni giorno più il carattere di insurrezione, e già dei proclami dicevano chiaramente che non si trattava più di sciopero e che bisognava riorga-nizzare sopra nuove basi la vita cittadina.

Intanto il movimento si era propagato con rapidità fulminea nelle Marche e nelle Romagne e già si estendeva in Toscana ed in Lombardia. Lo stato d'animo dei lavoratori era propizio ad un cambiamento di regime. L'accordo tra i partiti rivoluzionari s'era fatto da sè, e, malgrado che i Piro-lini e i Chiesa e i Pacetti correvano in automobile per deprecare il movimento, i lavoratori repubbli-cani lottavano in bell'armonia cogli anarchici e con la parte rivoluzionaria dei socialisti.

Si stava per passare agli atti risolutivi. Lo sciopero a tendenza insurrezionale si estendeva. I ferrovieri si apprestavano a prendere in mano la direzione del servizio per impedire le dislocazioni di truppe e non far viaggiare che i treni utili per il movimento insurrezionale. La rivoluzione stava per farsi, per impulso spontaneo delle popolazioni, e con grandi probabilità di successo. Certamente noi si sarebbe in quel momento attuata l'anarchia e nemmeno il socialismo, ma si sarebbero levato di mezzo molti ostacoli e si sarebbe aperto il periodo di libera propaganda, di libera esperimentazione, e sia pure di lotte civili, in capo al quale noi vediamo rifulgere il trionfo del nostro ideale.

Ma tutto ad un tratto, quando maggiori erano le speranze, la direzione della Confederazione generale del lavoro con telegramma circolare dichiara finito il movimento ed ordina la cessazione dello sciopero. E così le masse che agivano nella fiducia di prender parte ad un movimento generale, furono disorientate; ciascuna località vide naturalmente che era impossibile resistere da sola, e il movimento cessò.

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