Pubblico Dominio: differenze tra le versioni

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''Essere nel dominio pubblico, cadere nel dominio pubblico, si dice dell'opere letterarie e dell'altre produzioni dello spirito o dell'arte, le quali, dopo un certo tempo determinato dalle leggi, cessano d'esser la proprietà degli autori o de' loro eredi. <ref>[[Dictionnaire de l'Académie française]]'', traduzione letterale di [[Alessandro Manzoni]], [[Memorie intorno a una questione di così detta proprietà letteraria]], in (a cura di [[Carlo Cattaneo (patriota)|Carlo Cattaneo]]) ''Il Politecnico - repertorio mensile di studj applicati alla prosperità  e coltura sociale'', fascicolo n. 67, Editori del Politecnico, Milano, 1862<br />Si tratta di una lettera scritta da Manzoni al [[senatore]] [[Girolamo Boccardo]], che aveva a sua volta in precedenza scritto in favore dello scrittore milanese a proposito della causa che aveva intentato contro l'[[editore]] [[Francia|francese]] [[Felice Le Monnier]]. Il "''signor Le Monnier''", trasferitosi nel [[Granducato di Toscana]], aveva infatti pubblicato nel [[1845]] e senza consenso del Manzoni una versione de [[I promessi sposi]] del [[1832]], antecedente quindi al trattato del [[1840]] che proteggeva la proprietà letteraria. Manzoni vinse la causa ([[Felice_Le_Monnier#Il_caso_dei_Promessi_Sposi|dettagli]]).<br />Resta interessate notare che anche la [[traduzione]] di un'opera o parte di essa è generalmente compresa fra i diritti tutelati dalle norme sul [[diritto d'autore]] e che nella pubblicazione di questa lettera aperta, malgrado contenga una originale difesa del [[diritto di citazione]], non sono menzionate autorizzazioni da parte del titolare dei diritti originari (l<nowiki>'</nowiki>''Académie'').</ref>
''Essere nel dominio pubblico, cadere nel dominio pubblico, si dice dell'opere letterarie e dell'altre produzioni dello spirito o dell'arte, le quali, dopo un certo tempo determinato dalle leggi, cessano d'esser la proprietà degli autori o de' loro eredi. <ref>[[Dictionnaire de l'Académie française]]'', traduzione letterale di [[Alessandro Manzoni]], [[Memorie intorno a una questione di così detta proprietà letteraria]], in (a cura di [[Carlo Cattaneo (patriota)|Carlo Cattaneo]]) ''Il Politecnico - repertorio mensile di studj applicati alla prosperità  e coltura sociale'', fascicolo n. 67, Editori del Politecnico, Milano, 1862<br />Si tratta di una lettera scritta da Manzoni al [[senatore]] [[Girolamo Boccardo]], che aveva a sua volta in precedenza scritto in favore dello scrittore milanese a proposito della causa che aveva intentato contro l'[[editore]] [[Francia|francese]] [[Felice Le Monnier]]. Il "''signor Le Monnier''", trasferitosi nel [[Granducato di Toscana]], aveva infatti pubblicato nel [[1845]] e senza consenso del Manzoni una versione de [[I promessi sposi]] del [[1832]], antecedente quindi al trattato del [[1840]] che proteggeva la proprietà letteraria. Manzoni vinse la causa ([[Felice_Le_Monnier#Il_caso_dei_Promessi_Sposi|dettagli]]).<br />Resta interessate notare che anche la [[traduzione]] di un'opera o parte di essa è generalmente compresa fra i diritti tutelati dalle norme sul [[diritto d'autore]] e che nella pubblicazione di questa lettera aperta, malgrado contenga una originale difesa del [[diritto di citazione]], non sono menzionate autorizzazioni da parte del titolare dei diritti originari (l<nowiki>'</nowiki>''Académie'').</ref>


Questa definizione esemplifica efficacemente una concezione giuridica di grande diffusione, per la quale il pubblico dominio sarebbe individuabile in una condizione antitetica ed antagonista a quella dell'ordinaria, costitutiva e "naturale" sottomissione di ciascun bene intellettuale alla proprietà, sebbene temporalmente limitata, di taluno (tipicamente il suo autore) e si comporrebbe di ciò che sia uscito dalla proprietà  di singoli e di ciò che non possa mai entrarvi<ref>Si veda ad esempio [[David Bollier]], ''[http://www.newamerica.net/files/archive/Pub_File_867_1.pdf Why the Public Domain Matters - The Endangered Wellspring of Creativity, Commerce and Democracy]'', New America Foundation & Public Knowledge, 2002: ''Tradizionalmente, il pubblico dominio è stato visto come una raccolta piuttosto statica di opere i cui copyright e brevetti sono scaduti o a cui non erano applicabili sin dall'inizio, come gli atti ufficiali e le teorie scientifiche. Si compone, inoltre, degli aspetti della nostra cultura comune che non possono essere protetti legalmente, come trame, titoli, argomenti e fatti'' (traduzione a cura di Chiara Turolla).</ref>. Il pubblico dominio non gode infatti di una definizione univoca e "autonoma", che prescinda cioè da quelle relative al [[diritto d'autore]], ed è ricavabile principalmente per differenza da queste, tanto nei sistemi [[europa|europei]] quanto negli [[Stati Uniti]]<ref>[[Jessica Litman]], (Jessica Litman, ''The Public Domain'', Emory Law Journal, 1990), riferendosi al [[1976]], quando in [[USA]] fu approvato il [[Copyright Act]], nel 1990 scriveva: ''questo miscuglio di materia non tutelabile non trovava una definizione omnicomprensiva allora e continua a non averla a tutt'oggi.''</ref>.
Questa definizione esemplifica efficacemente una concezione giuridica di grande diffusione, per la quale il pubblico dominio sarebbe individuabile in una condizione antitetica ed antagonista a quella dell'ordinaria, costitutiva e "naturale" sottomissione di ciascun bene intellettuale alla proprietà, sebbene temporalmente limitata, di taluno (tipicamente il suo autore) e si comporrebbe di ciò che sia uscito dalla proprietà  di singoli e di ciò che non possa mai entrarvi <ref>Si veda ad esempio [[David Bollier]], ''[http://www.newamerica.net/files/archive/Pub_File_867_1.pdf Why the Public Domain Matters - The Endangered Wellspring of Creativity, Commerce and Democracy]'', New America Foundation & Public Knowledge, 2002: ''Tradizionalmente, il pubblico dominio è stato visto come una raccolta piuttosto statica di opere i cui copyright e brevetti sono scaduti o a cui non erano applicabili sin dall'inizio, come gli atti ufficiali e le teorie scientifiche. Si compone, inoltre, degli aspetti della nostra cultura comune che non possono essere protetti legalmente, come trame, titoli, argomenti e fatti'' (traduzione a cura di Chiara Turolla).</ref>. Il pubblico dominio non gode infatti di una definizione univoca e "autonoma", che prescinda cioè da quelle relative al [[diritto d'autore]], ed è ricavabile principalmente per differenza da queste, tanto nei sistemi [[europa|europei]] quanto negli [[Stati Uniti]]<ref>[[Jessica Litman]], (Jessica Litman, ''The Public Domain'', Emory Law Journal, 1990), riferendosi al [[1976]], quando in [[USA]] fu approvato il [[Copyright Act]], nel 1990 scriveva: ''questo miscuglio di materia non tutelabile non trovava una definizione omnicomprensiva allora e continua a non averla a tutt'oggi.''</ref>.


Per questa ragione anche i termini di ingresso delle opere nel pubblico dominio sono di fatto ricavati dalla decadenza delle protezioni assegnate agli eventuali diritti degli autori.
Per questa ragione anche i termini di ingresso delle opere nel pubblico dominio sono di fatto ricavati dalla decadenza delle protezioni assegnate agli eventuali diritti degli autori.
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Si cominciava ad investigare sì sulla natura di quel ricettacolo in cui tutto il prodotto intellettuale non protetto sarebbe andato a defluire, anche se ancora non organicamente col nome di ''pubblico dominio''. Ma della nascente idea di ''proprietà letteraria'' non si parlava ancora in termini giuridici di proprietà  ([[Dominium ex iure Quiritium|quiritaria]] o [[in bonis habere|bonitaria]] che fosse), o almeno non in termini di generale condivisione, anzi molte furono<ref>Sebbene principalmente nei secoli successivi.</ref> le confutazioni alla pretesa di una simile identificabilità  dei diritti spettanti all'autore (che come ricordato dal Bruno stesso<ref>Alberto Bruno, op.cit.</ref> avevano precedenti in diritto romano solo nel caso del "premio" ricevuto da [[Appio Claudio Cieco|Appio]] per la pubblicazione delle sue opere). Proprio poiché il pubblico dominio era il luogo che accoglieva quanto non assorbito dai diritti di sfruttamento esclusivo dell'opera garantiti agli autori, le ipotesi di inquadramento di questi diritti alla stregua di forme di proprietà  condizionava, come del resto ancora oggi, le riflessioni sulla natura giuridica del pubblico dominio. Mentre la dottrina elaborava, in Inghilterra nel [[1557]] si accordava alla ''[[Stationers' Company]]''<ref>{{en 2}} [[:en:Worshipful Company of Stationers and Newspaper Makers|Worshipful Company of Stationers and Newspaper Makers]]</ref> un vero e proprio [[monopolio]] su tutte le opere, i cui diritti di pubblicazione potevano essere scambiati solo fra i soci della Compagnia; questa era congegnata in modo da assicurare l'esclusione degli autori dal novero dei soci, con la conseguenza che l'auto-pubblicazione risultava di fatto impossibile<ref>[[John Feather]], ''The Book Trade in Politics: The Making of the Copyright Act of 1710'', Publishing History, 1980</ref>. La compagnia aveva un potere di normazione settoriale e la sua norma forse più nota è quella dalla quale deriva lo stesso termine ''[[copyright]]'': una volta che uno dei soci avesse dichiarato presso la Compagnia di avere acquisito i diritti su un testo (detto in quel contesto ''copy''), gli altri soci si sarebbero astenuti dal pubblicarlo lasciando al titolare l'esclusivo "diritto di copia" (''copyright''); a tal fine la Compagnia aveva organizzato un registro, lo ''"entry book of copies"'' (o ''Stationers' Company Register'') che faceva fede fra gli editori inglesi. La privativa fu limitata nel [[1695]], fu poi lo ''[[Statute of Anne]]''<ref>''Copyright Act 1709 8 Anne c.19 - "An Act for the Encouragement of Learning, by vesting the Copies of Printed Books in the Authors or purchasers of such Copies, during the Times therein mentioned''</ref> a modificare la situazione nel [[1709]].
Si cominciava ad investigare sì sulla natura di quel ricettacolo in cui tutto il prodotto intellettuale non protetto sarebbe andato a defluire, anche se ancora non organicamente col nome di ''pubblico dominio''. Ma della nascente idea di ''proprietà letteraria'' non si parlava ancora in termini giuridici di proprietà  ([[Dominium ex iure Quiritium|quiritaria]] o [[in bonis habere|bonitaria]] che fosse), o almeno non in termini di generale condivisione, anzi molte furono<ref>Sebbene principalmente nei secoli successivi.</ref> le confutazioni alla pretesa di una simile identificabilità  dei diritti spettanti all'autore (che come ricordato dal Bruno stesso<ref>Alberto Bruno, op.cit.</ref> avevano precedenti in diritto romano solo nel caso del "premio" ricevuto da [[Appio Claudio Cieco|Appio]] per la pubblicazione delle sue opere). Proprio poiché il pubblico dominio era il luogo che accoglieva quanto non assorbito dai diritti di sfruttamento esclusivo dell'opera garantiti agli autori, le ipotesi di inquadramento di questi diritti alla stregua di forme di proprietà  condizionava, come del resto ancora oggi, le riflessioni sulla natura giuridica del pubblico dominio. Mentre la dottrina elaborava, in Inghilterra nel [[1557]] si accordava alla ''[[Stationers' Company]]''<ref>{{en 2}} [[:en:Worshipful Company of Stationers and Newspaper Makers|Worshipful Company of Stationers and Newspaper Makers]]</ref> un vero e proprio [[monopolio]] su tutte le opere, i cui diritti di pubblicazione potevano essere scambiati solo fra i soci della Compagnia; questa era congegnata in modo da assicurare l'esclusione degli autori dal novero dei soci, con la conseguenza che l'auto-pubblicazione risultava di fatto impossibile<ref>[[John Feather]], ''The Book Trade in Politics: The Making of the Copyright Act of 1710'', Publishing History, 1980</ref>. La compagnia aveva un potere di normazione settoriale e la sua norma forse più nota è quella dalla quale deriva lo stesso termine ''[[copyright]]'': una volta che uno dei soci avesse dichiarato presso la Compagnia di avere acquisito i diritti su un testo (detto in quel contesto ''copy''), gli altri soci si sarebbero astenuti dal pubblicarlo lasciando al titolare l'esclusivo "diritto di copia" (''copyright''); a tal fine la Compagnia aveva organizzato un registro, lo ''"entry book of copies"'' (o ''Stationers' Company Register'') che faceva fede fra gli editori inglesi. La privativa fu limitata nel [[1695]], fu poi lo ''[[Statute of Anne]]''<ref>''Copyright Act 1709 8 Anne c.19 - "An Act for the Encouragement of Learning, by vesting the Copies of Printed Books in the Authors or purchasers of such Copies, during the Times therein mentioned''</ref> a modificare la situazione nel [[1709]].


Nel Vecchio Continente una parte rilevante dei plagi e delle ristampe abusive si manifestavano nell'illecita riproduzione di opere di autori principalmente di altri stati<ref>Numerose ad esempio le polemiche fra gli stati italiani e la [[Francia]] culminate e riassunte (quasi sempre polemicamente) nella corposa saggistica originata dal cennato caso [[Alessandro Manzoni|Manzoni]]-[[Felice Le Monnier|Le Monnier]].</ref> (non che mancasse peraltro l'uso di fare "vittime" fra i connazionali), con all'apice di questa criticità  il clamoroso caso delle accuse rivolte a [[Leibniz]] di aver plagiato il lavoro di [[Isaac Newton|Newton]] sull'[[analisi infinitesimale]], un caso che con i séguiti polemici che ebbe divenne un vero e proprio [[incidente diplomatico]] e fu causa di una grave frattura fra gli ambienti scientifici inglesi e continentali. Nelle more dell'attesa di decisive definizioni dottrinali circa la proprietà letteraria, da un lato i governi fecero intanto ricorso ad una discreta [[trattato internazionale|trattatistica]] internazionale, a complemento di interventi legislativi interni, per tutelare ciascuno i propri autori; dall'altro lato, autori illustri anche di scienze non direttamente giuridiche si dedicarono al tema apportandovi contributi in genere volti al riconoscimento di prerogative autorali. [[Immanuel Kant|Kant]], ad esempio, ne ''L'illegittimità  della ristampa dei libri''<ref>Immanuel Kant, ''L'illegittimità  della ristampa dei libri (Von der Unrechtmäßigkeit des Büchernachdrucks)'', [[1795]]</ref>, del [[1795]] con [[sillogismo]] riaffermava la separazione fra la proprietà  della singola copia di un'opera ed il diritto di effettuarne riproduzioni<ref>Il sillogismo usato, in estrema sintesi, esprimeva che essere proprietari di una ''cosa'' (ad esempio un libro) comprendeva sì il diritto di proprietà  sulla cosa, ma non poteva comprendere diritti personali su terzi. Lo stampatore, per conto suo, aveva invece il certo diritto, diritto personale positivo, di essere l'editore dello scritto contenuto nel libro. Il diritto di riproduzione non poteva perciò - secondo appunto Kant - appartenere ad entrambi, era accertato che fosse dello stampatore e non poteva dunque essere contemporaneamente anche del proprietario della copia, anche perché essendo un diritto ''personale'', non poteva avere scaturigine dalla concreta proprietà  di una cosa materiale.</ref>.
Nel Vecchio Continente una parte rilevante dei plagi e delle ristampe abusive si manifestavano nell'illecita riproduzione di opere di autori principalmente di altri stati <ref>Numerose ad esempio le polemiche fra gli stati italiani e la [[Francia]] culminate e riassunte (quasi sempre polemicamente) nella corposa saggistica originata dal cennato caso [[Alessandro Manzoni|Manzoni]]-[[Felice Le Monnier|Le Monnier]].</ref> (non che mancasse peraltro l'uso di fare "vittime" fra i connazionali), con all'apice di questa criticità  il clamoroso caso delle accuse rivolte a [[Leibniz]] di aver plagiato il lavoro di [[Isaac Newton|Newton]] sull'[[analisi infinitesimale]], un caso che con i séguiti polemici che ebbe divenne un vero e proprio [[incidente diplomatico]] e fu causa di una grave frattura fra gli ambienti scientifici inglesi e continentali. Nelle more dell'attesa di decisive definizioni dottrinali circa la proprietà letteraria, da un lato i governi fecero intanto ricorso ad una discreta [[trattato internazionale|trattatistica]] internazionale, a complemento di interventi legislativi interni, per tutelare ciascuno i propri autori; dall'altro lato, autori illustri anche di scienze non direttamente giuridiche si dedicarono al tema apportandovi contributi in genere volti al riconoscimento di prerogative autorali. [[Immanuel Kant|Kant]], ad esempio, ne ''L'illegittimità  della ristampa dei libri''<ref>Immanuel Kant, ''L'illegittimità  della ristampa dei libri (Von der Unrechtmäßigkeit des Büchernachdrucks)'', [[1795]]</ref>, del [[1795]] con [[sillogismo]] riaffermava la separazione fra la proprietà  della singola copia di un'opera ed il diritto di effettuarne riproduzioni <ref>Il sillogismo usato, in estrema sintesi, esprimeva che essere proprietari di una ''cosa'' (ad esempio un libro) comprendeva sì il diritto di proprietà  sulla cosa, ma non poteva comprendere diritti personali su terzi. Lo stampatore, per conto suo, aveva invece il certo diritto, diritto personale positivo, di essere l'editore dello scritto contenuto nel libro. Il diritto di riproduzione non poteva perciò - secondo appunto Kant - appartenere ad entrambi, era accertato che fosse dello stampatore e non poteva dunque essere contemporaneamente anche del proprietario della copia, anche perché essendo un diritto ''personale'', non poteva avere scaturigine dalla concreta proprietà  di una cosa materiale.</ref>.


Sul piano legislativo, nell'imminenza ed al sorgere del [[XIX secolo]], fiorirono norme e trattati internazionali<ref>Il cui scopo era di garantire reciprocità  nella tutela degli autori delle rispettive nazionalità </ref> da [[Venezia]] alla [[Francia]], dalla [[Prussia]] alla [[Gran Bretagna]], mentre oltreoceano gli appena indipendenti [[Stati Uniti]] già  nel [[1787]] avevano inserito nella loro [[Costituzione degli Stati Uniti|costituzione]] la garanzia di tutela del diritto autorale<ref>{{en 2}} [http://en.wikisource.org/wiki/Constitution_of_the_United_States_of_America Constitution of the United States of America], Articolo 1, sezione 8, comma 8: ''To promote the Progress of Science and useful Arts, by securing for limited Times to Authors and Inventors the exclusive Right to their respective Writings and Discoveries''</ref>.  
Sul piano legislativo, nell'imminenza ed al sorgere del [[XIX secolo]], fiorirono norme e trattati internazionali <ref>Il cui scopo era di garantire reciprocità  nella tutela degli autori delle rispettive nazionalità </ref> da [[Venezia]] alla [[Francia]], dalla [[Prussia]] alla [[Gran Bretagna]], mentre oltreoceano gli appena indipendenti [[Stati Uniti]] già  nel [[1787]] avevano inserito nella loro [[Costituzione degli Stati Uniti|costituzione]] la garanzia di tutela del diritto autorale<ref>{{en 2}} [http://en.wikisource.org/wiki/Constitution_of_the_United_States_of_America Constitution of the United States of America], Articolo 1, sezione 8, comma 8: ''To promote the Progress of Science and useful Arts, by securing for limited Times to Authors and Inventors the exclusive Right to their respective Writings and Discoveries''</ref>.  


Malgrado una così grande e partecipata elaborazione sulla tutela dei diritti, non altrettanto spessore ebbe l'indagine sulla "terra di nessuno" che al copyright residuava. Dal punto di vista del [[diritto internazionale]], il pubblico dominio è oggi perciò, come in passato, solo quell'insieme di opere d'ingegno e altre conoscenze (opere d'arte, [[musica]], [[scienze]], invenzioni, ecc.) sulle quali nessuna persona o organizzazione ha un interesse proprietario (tipicamente un [[monopolio]] concesso governativamente come il [[diritto d'autore]] o il [[brevetto]]). Tali opere e invenzioni sono considerate parte dell'eredità  culturale pubblica, e chiunque può utilizzarle o modificarle senza restrizioni (se non si considerano le leggi che riguardano sicurezza, esportazione, ecc.).
Malgrado una così grande e partecipata elaborazione sulla tutela dei diritti, non altrettanto spessore ebbe l'indagine sulla "terra di nessuno" che al copyright residuava. Dal punto di vista del [[diritto internazionale]], il pubblico dominio è oggi perciò, come in passato, solo quell'insieme di opere d'ingegno e altre conoscenze (opere d'arte, [[musica]], [[scienze]], invenzioni, ecc.) sulle quali nessuna persona o organizzazione ha un interesse proprietario (tipicamente un [[monopolio]] concesso governativamente come il [[diritto d'autore]] o il [[brevetto]]). Tali opere e invenzioni sono considerate parte dell'eredità  culturale pubblica, e chiunque può utilizzarle o modificarle senza restrizioni (se non si considerano le leggi che riguardano sicurezza, esportazione, ecc.).
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