La Battaglia: differenze tra le versioni

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Dove massimamente si rivela la combattività dell'organo [[anarchico]], è tuttavia nell'intervento in favore dei lavoratori agricoli delle zone caffeifere e nella denuncia del regime feudale e schiavista, di fatto vigente nelle fazendas brasiliane. Su questi due temi, ''La Battaglia'' impostò una coraggiosa campagna, portata avanti ininterrottamente per tutta la durata delle pubblicazioni, particolarmente attraverso le rubriche fisse '''''Dalla fazenda maledetta''''', '''''Dalle Caienne Brasiliane''''' e '''''Dall'interno dello Stato'''''. Valgano, a titolo di esempio di questa appassionata difesa dei diritti dei coloni, gli scritti di [[Oreste Ristori|Ristori]], ''Retrocessione verso l'animalità primitiva'' <ref>Sui n. 85 e 87, dell'8 e 22 luglio 1906.</ref>, oltre quelli apparsi sotto il titolo generico ''Gli orrori delle ‘fazendas’'' <ref>Sui n. 98 e 100, del 21 ottobre e 11 novembre 1906.</ref>, destinati a designare una nuova rubrica, rimasta, invece, senza seguito.
Dove massimamente si rivela la combattività dell'organo [[anarchico]], è tuttavia nell'intervento in favore dei lavoratori agricoli delle zone caffeifere e nella denuncia del regime feudale e schiavista, di fatto vigente nelle fazendas brasiliane. Su questi due temi, ''La Battaglia'' impostò una coraggiosa campagna, portata avanti ininterrottamente per tutta la durata delle pubblicazioni, particolarmente attraverso le rubriche fisse '''''Dalla fazenda maledetta''''', '''''Dalle Caienne Brasiliane''''' e '''''Dall'interno dello Stato'''''. Valgano, a titolo di esempio di questa appassionata difesa dei diritti dei coloni, gli scritti di [[Oreste Ristori|Ristori]], ''Retrocessione verso l'animalità primitiva'' <ref>Sui n. 85 e 87, dell'8 e 22 luglio 1906.</ref>, oltre quelli apparsi sotto il titolo generico ''Gli orrori delle ‘fazendas’'' <ref>Sui n. 98 e 100, del 21 ottobre e 11 novembre 1906.</ref>, destinati a designare una nuova rubrica, rimasta, invece, senza seguito.
 
[[Image: Gigi Damiani.jpg|thumb|[[Gigi Damiani]], direttore de ''La Battaglia'']]
Al contrario, non paiono essere approdati a nessun risultato concreto gli sforzi diretti a una penetrazione politica all'interno dell'ambiente colonico stesso. Al fine «di emancipare i coloni dallo stato di abbrutimento morale e vergognosa schiavitù in cui sono immersi», il giornale aveva anche avanzato il progetto di costituire una Lega di Propaganda Libertaria per le ‘fazendas’ <ref>Crf. n. 117, del 31 marzo 1907.</ref>, ma anche per le obiettive difficoltà a contattare materialmente i lavoratori agricoli delle zone caffeifere, mantenuti in uno stato di pressoché assoluta segregazione (le uniche possibilità d'incontro fra il contingente colonico delle fazendas e l'elemento dimorante in località dell'interno e composto per lo più di piccoli commercianti, si avevano in occasione dello spaccio e dello scambio dei prodotti), l'iniziativa risultò inattuabile. Ancora qualche anno più tardi, i redattori dovevano amaramente constatare che «vi sono delle zone immense, delle intere regioni ove non è per anco penetrato il raggio di un'idea a illuminare le menti; centinaia e centinaia di fazendas, che son vere galere, ove regna un silenzio di morte e una incoscienza esasperante; ove i coloni, assuefatti da tempo a condizioni abbrutenti di schiavitù, idiotizzati dalla religione cristiana e dal prete, non saprebbero concepire né, forse, desiderare una vita meno bestiale di quella cui sono condannati» (''La schiavitù dei coloni. Quello che si deve fare'' <ref>Sul n. 314, del 23 luglio 1911.</ref>).
Al contrario, non paiono essere approdati a nessun risultato concreto gli sforzi diretti a una penetrazione politica all'interno dell'ambiente colonico stesso. Al fine «di emancipare i coloni dallo stato di abbrutimento morale e vergognosa schiavitù in cui sono immersi», il giornale aveva anche avanzato il progetto di costituire una Lega di Propaganda Libertaria per le ‘fazendas’ <ref>Crf. n. 117, del 31 marzo 1907.</ref>, ma anche per le obiettive difficoltà a contattare materialmente i lavoratori agricoli delle zone caffeifere, mantenuti in uno stato di pressoché assoluta segregazione (le uniche possibilità d'incontro fra il contingente colonico delle fazendas e l'elemento dimorante in località dell'interno e composto per lo più di piccoli commercianti, si avevano in occasione dello spaccio e dello scambio dei prodotti), l'iniziativa risultò inattuabile. Ancora qualche anno più tardi, i redattori dovevano amaramente constatare che «vi sono delle zone immense, delle intere regioni ove non è per anco penetrato il raggio di un'idea a illuminare le menti; centinaia e centinaia di fazendas, che son vere galere, ove regna un silenzio di morte e una incoscienza esasperante; ove i coloni, assuefatti da tempo a condizioni abbrutenti di schiavitù, idiotizzati dalla religione cristiana e dal prete, non saprebbero concepire né, forse, desiderare una vita meno bestiale di quella cui sono condannati» (''La schiavitù dei coloni. Quello che si deve fare'' <ref>Sul n. 314, del 23 luglio 1911.</ref>).


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