Ipazia: differenze tra le versioni

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Sinesio, ricco proprietario terriero della Cirenaica, notabile di Cirene, sua città  natale, conobbe Ipazia, sua coetanea, nel 393 ad Alessandria, dove si era recato a studiare filosofia, e fu suo allievo per un paio d'anni, rimanendo con lei in contatto epistolare fino alla morte, avvenuta nel 413. Pagano di nascita, passò al cristianesimo fino a diventare vescovo di Tolemaide, benché fosse sposato e avesse tre figli. Non rinnegò mai la cultura ellenica, tanto da adattare il cristianesimo, del quale rifiutò i dogmi, alla propria filosofia neo-platonica. <ref>S. Ronchey, op. cit., pp. 155-157.</ref>
Sinesio, ricco proprietario terriero della Cirenaica, notabile di Cirene, sua città  natale, conobbe Ipazia, sua coetanea, nel 393 ad Alessandria, dove si era recato a studiare filosofia, e fu suo allievo per un paio d'anni, rimanendo con lei in contatto epistolare fino alla morte, avvenuta nel 413. Pagano di nascita, passò al cristianesimo fino a diventare vescovo di Tolemaide, benché fosse sposato e avesse tre figli. Non rinnegò mai la cultura ellenica, tanto da adattare il cristianesimo, del quale rifiutò i dogmi, alla propria filosofia neo-platonica. <ref>S. Ronchey, op. cit., pp. 155-157.</ref>


Per Sinesio è Ipazia la « vera iniziatrice ai misteri e alle orge della filosofia », <ref>Sinesio, ''Lettera 137'', op. cit., p. 330.</ref> « la veneratissima filosofa prediletta da Dio » e beati sono coloro che ascoltano « la voce mirabile »<ref>Sinesio, ''Lettera 5'', op. cit., p. 90.</ref> di qualla « adorata maestra » dall'« anima divinissima », <ref>Sinesio, ''Lettera 10'', op. cit., p. 96.</ref> che è anche « madre e sorella », <ref>Sinesio, ''Lettera 16'', op. cit., p. 102.</ref> suo « unico bene », <ref>Sinesio, ''Lettera 81'', op. cit., p. 230.</ref> quell'« amata Ipazia » che Sinesio ricorderà  anche nell'Ade. <ref>Sinesio, ''Lettera 124'', op. cit., p. 302.</ref> Tali espressioni tratte dall'epistolario di Sinesio testimoniano l'ininterrotto legame « sacro » intercorso tra l'allievo e la maestra e individuano in Ipazia la figura di una maestra di filosofia che era anche un'« alta sacerdotessa » del neo-platonismo alessandrino. <ref>J. Bregman, ''Synesius of Cyrene. Philosopher Bishop'', p. 20.</ref>
Per Sinesio è Ipazia la « vera iniziatrice ai misteri e alle orge della filosofia », <ref>Sinesio, ''Lettera 137'', op. cit., p. 330.</ref> « la veneratissima filosofa prediletta da Dio » e beati sono coloro che ascoltano « la voce mirabile » <ref>Sinesio, ''Lettera 5'', op. cit., p. 90.</ref> di qualla « adorata maestra » dall'« anima divinissima », <ref>Sinesio, ''Lettera 10'', op. cit., p. 96.</ref> che è anche « madre e sorella », <ref>Sinesio, ''Lettera 16'', op. cit., p. 102.</ref> suo « unico bene », <ref>Sinesio, ''Lettera 81'', op. cit., p. 230.</ref> quell'« amata Ipazia » che Sinesio ricorderà  anche nell'Ade. <ref>Sinesio, ''Lettera 124'', op. cit., p. 302.</ref> Tali espressioni tratte dall'epistolario di Sinesio testimoniano l'ininterrotto legame « sacro » intercorso tra l'allievo e la maestra e individuano in Ipazia la figura di una maestra di filosofia che era anche un'« alta sacerdotessa » del neo-platonismo alessandrino. <ref>J. Bregman, ''Synesius of Cyrene. Philosopher Bishop'', p. 20.</ref>


Sinesio sembra « aver sperimentato alla scuola d'Ipazia un'autentica "conversione" alla filosofia. Nei suoi ''Inni'' egli si rivela poeta metafisico di intuito religioso di notevole profondità. Inoltre egli, come dimostrano le sue lettere a Ipazia e ad altri, fece parte per tutta la vita di un circolo di iniziati alessandrini, con i quali condivise i misteri della filosofia ». <ref>J. Bregman, op. cit., p. 19.</ref> Tale circolo formante una tetrattide, <ref>La ''tetraktys'', o « gruppo di quattro », è il simbolo numerico che per i pitagorici rappresenta l'universo.</ref> comprendeva, con lui, Erculiano, Isidoro Pelusiota e Olimpio, tutti allievi d'Ipazia. <ref>Sinesio, ''Epistola 143'', op. cit., pp. 346-348.</ref>
Sinesio sembra « aver sperimentato alla scuola d'Ipazia un'autentica "conversione" alla filosofia. Nei suoi ''Inni'' egli si rivela poeta metafisico di intuito religioso di notevole profondità. Inoltre egli, come dimostrano le sue lettere a Ipazia e ad altri, fece parte per tutta la vita di un circolo di iniziati alessandrini, con i quali condivise i misteri della filosofia ». <ref>J. Bregman, op. cit., p. 19.</ref> Tale circolo formante una tetrattide, <ref>La ''tetraktys'', o « gruppo di quattro », è il simbolo numerico che per i pitagorici rappresenta l'universo.</ref> comprendeva, con lui, Erculiano, Isidoro Pelusiota e Olimpio, tutti allievi d'Ipazia. <ref>Sinesio, ''Epistola 143'', op. cit., pp. 346-348.</ref>
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L'ariano Filostorgio tiene a sottolineare che Ipazia « fu fatta a pezzi da quanti professavano la consustanzialità  », ossia non da comuni, per quanto fanatici cittadini di Alessandria, ma proprio da elementi del clero cirilliano, seguace della teoria teologica dell'eguale sostanza delle cosiddette tre persone divine, un omicidio che, secondo Filostorgio, avrebbe avuto l'avallo dello stesso giovane imperatore Teodosio II. <ref>Filostorgio, op. cit., p. 111.</ref>
L'ariano Filostorgio tiene a sottolineare che Ipazia « fu fatta a pezzi da quanti professavano la consustanzialità  », ossia non da comuni, per quanto fanatici cittadini di Alessandria, ma proprio da elementi del clero cirilliano, seguace della teoria teologica dell'eguale sostanza delle cosiddette tre persone divine, un omicidio che, secondo Filostorgio, avrebbe avuto l'avallo dello stesso giovane imperatore Teodosio II. <ref>Filostorgio, op. cit., p. 111.</ref>


Riguardo al mandante dell'omicidio, è indicato esplicitamente in Cirillo da Damascio — « tramò la sua uccisione »<ref>''Suidae Lexikon'', IV, p. 645.</ref> — e da Giovanni Malala — « avuta licenza dal loro vescovo, gli alessandrini aggredirono e bruciarono Ipazia »<ref>G. Malala, op. cit., p. 280.</ref> — mentre Socrate Scolastico scrive che « questo misfatto procurò non poco biasimo <ref>''momos'', equivalente a biasimo, onta, disonore, obbrobrio, infamia.</ref> a Cirillo e alla chiesa di Alessandria ». <ref>Socrate Scolastico, op. cit., VII, 15.</ref> Ë un'implicita ma chiara accusa a Cirillo come mandante e ai monaci come esecutori: perché altrimenti « biasimare » Cirillo e la chiesa di Alessandria se fossero stati estranei alla vicenda? <ref>L. Canfora, ''Cirillo e Ipazia nella storiografia cattolica'', p. 94.</ref>
Riguardo al mandante dell'omicidio, è indicato esplicitamente in Cirillo da Damascio — « tramò la sua uccisione » <ref>''Suidae Lexikon'', IV, p. 645.</ref> — e da Giovanni Malala — « avuta licenza dal loro vescovo, gli alessandrini aggredirono e bruciarono Ipazia » <ref>G. Malala, op. cit., p. 280.</ref> — mentre Socrate Scolastico scrive che « questo misfatto procurò non poco biasimo <ref>''momos'', equivalente a biasimo, onta, disonore, obbrobrio, infamia.</ref> a Cirillo e alla chiesa di Alessandria ». <ref>Socrate Scolastico, op. cit., VII, 15.</ref> Ë un'implicita ma chiara accusa a Cirillo come mandante e ai monaci come esecutori: perché altrimenti « biasimare » Cirillo e la chiesa di Alessandria se fossero stati estranei alla vicenda? <ref>L. Canfora, ''Cirillo e Ipazia nella storiografia cattolica'', p. 94.</ref>


Giovanni di Nikiu, entusiasta ammiratore di Cirillo, non si fa scrupoli nell'attribuirgli il "merito" della morte di Ipazia. Egli scrive che sotto la guida di Pietro, « perfetto servitore di Gesù Cristo », i monaci uccisero e bruciarono Ipazia; poi, gli alessandrini « circondarono Cirillo e lo chiamarono ''nuovo Teofilo'', perché aveva liberato la città  dagli ultimi resti dell'idolatria ». <ref>Giovanni di Nikiu, op. cit. p. 346.</ref>
Giovanni di Nikiu, entusiasta ammiratore di Cirillo, non si fa scrupoli nell'attribuirgli il "merito" della morte di Ipazia. Egli scrive che sotto la guida di Pietro, « perfetto servitore di Gesù Cristo », i monaci uccisero e bruciarono Ipazia; poi, gli alessandrini « circondarono Cirillo e lo chiamarono ''nuovo Teofilo'', perché aveva liberato la città  dagli ultimi resti dell'idolatria ». <ref>Giovanni di Nikiu, op. cit. p. 346.</ref>
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Il poeta Pallada, nel celebrato epigramma già  ricordato, <ref>Nella sezione « L'autorità  di Ipazia ».</ref> volle probabilmente dettare l'iscrizione funebre di Ipazia, collocata forse in una scuola di Alessandria. Si può immaginare che un mosaico rappresentasse la volta celeste che nella costellazione della Vergine accogliesse la martire Ipazia in quanto filosofa e astronoma, e dunque cultrice del cielo. Vari tentativi d'interpretare quei versi in senso cristiano sono tutti risultati privi di fondamento. <ref>E. Livrea, ''A. P. 9.400: iscrizione funeraria di Ipazia?'', pp. 99-101. Tra i tentativi, quello di A. Cameron, ''The Greek Anthology from Meleager to Planudes'', pp., 323-325, che non teme il ridicolo inventandosi l'esistenza di una dotta suora di nome Ipazia cui i versi sarebbero dedicati.</ref>
Il poeta Pallada, nel celebrato epigramma già  ricordato, <ref>Nella sezione « L'autorità  di Ipazia ».</ref> volle probabilmente dettare l'iscrizione funebre di Ipazia, collocata forse in una scuola di Alessandria. Si può immaginare che un mosaico rappresentasse la volta celeste che nella costellazione della Vergine accogliesse la martire Ipazia in quanto filosofa e astronoma, e dunque cultrice del cielo. Vari tentativi d'interpretare quei versi in senso cristiano sono tutti risultati privi di fondamento. <ref>E. Livrea, ''A. P. 9.400: iscrizione funeraria di Ipazia?'', pp. 99-101. Tra i tentativi, quello di A. Cameron, ''The Greek Anthology from Meleager to Planudes'', pp., 323-325, che non teme il ridicolo inventandosi l'esistenza di una dotta suora di nome Ipazia cui i versi sarebbero dedicati.</ref>


Tuttavia, la tragica vicenda di Ipazia rimase impressa nella memoria popolare e diede origine al mito di Caterina d'Alessandria che si affermò definitivamente nel IX secolo. <ref>Sul tema, G. Beretta, op. cit., pp. 232-233; S. Ronchey, op. ct., pp. 106-110.</ref> Infatti, questa giovane cristiana, aristocratica, colta e intraprendente, che osa sfidare i potenti, non è mai esistita e non è altro che la trasfigurazione in senso cristiano di Ipazia. Il suo persecutore, l'imperatore Massimino Daia, rappresenta Cirillo, il « vescovo faraone »<ref>La definizione di « faraone » gli fu attribuita elogiativamente dalla chiesa cristiana copta, che vede in Cirillo il proprio maestro: cfr. J. Maspero, A. Fortescue, G. Wiet, ''Histoire des patriarches d'Alexandrie'', p. 83.</ref> — entrambi sono usurpatori, o tentarono di usurpare un potere che a loro non doveva appartenere — i suoi carnefici pagani sono i monaci che l'assassinarono, mentre lo strumento del suo supplizio, una ruota munita di chiodi per dilaniare le carni, ricorda bene i cocci aguzzi dei parabalani.
Tuttavia, la tragica vicenda di Ipazia rimase impressa nella memoria popolare e diede origine al mito di Caterina d'Alessandria che si affermò definitivamente nel IX secolo. <ref>Sul tema, G. Beretta, op. cit., pp. 232-233; S. Ronchey, op. ct., pp. 106-110.</ref> Infatti, questa giovane cristiana, aristocratica, colta e intraprendente, che osa sfidare i potenti, non è mai esistita e non è altro che la trasfigurazione in senso cristiano di Ipazia. Il suo persecutore, l'imperatore Massimino Daia, rappresenta Cirillo, il « vescovo faraone » <ref>La definizione di « faraone » gli fu attribuita elogiativamente dalla chiesa cristiana copta, che vede in Cirillo il proprio maestro: cfr. J. Maspero, A. Fortescue, G. Wiet, ''Histoire des patriarches d'Alexandrie'', p. 83.</ref> — entrambi sono usurpatori, o tentarono di usurpare un potere che a loro non doveva appartenere — i suoi carnefici pagani sono i monaci che l'assassinarono, mentre lo strumento del suo supplizio, una ruota munita di chiodi per dilaniare le carni, ricorda bene i cocci aguzzi dei parabalani.


I dubbi sulla storicità  di Caterina erano già  stati avanzati nel Settecento, ma il merito della convincente identificazione della sua figura con quella di Ipazia va alla scrittrice femminista irlandese Anna Jameson (1796-1860), che nella sua ''Sacred and legendary Art'', pubblicata per la prima volta nel 1848, scrisse, tra l'altro: « Vi è un curioso fatto legato alla storia di santa Caterina, ed è che la vera martire, l'unica della quale esistano alcuni dati certi, non era cristiana, ma pagana, e che i suoi oppressori non furono dei pagani tirannici, ma dei cristiani fanatici ». <ref>A. Jameson, ''Sacred and Legendary Art'', II, p. 467.</ref> Una conferma della sovrapposizione delle due figure sta nella scoperta dell'esistenza, un tempo, di una chiesa a Laodicea, in Asia Minore, dedicata a una santa Ipazia martirizzata il 25 novembre, lo stesso giorno in cui veniva commemorata la leggendaria Caterina. <ref>La notizia fu riportata nel 1926 da Basileios Myrsilides, ora in B. A. Myrsilides, ''Biographie der hellenischen Philosophin Hypatia'', 2002.</ref>   
I dubbi sulla storicità  di Caterina erano già  stati avanzati nel Settecento, ma il merito della convincente identificazione della sua figura con quella di Ipazia va alla scrittrice femminista irlandese Anna Jameson (1796-1860), che nella sua ''Sacred and legendary Art'', pubblicata per la prima volta nel 1848, scrisse, tra l'altro: « Vi è un curioso fatto legato alla storia di santa Caterina, ed è che la vera martire, l'unica della quale esistano alcuni dati certi, non era cristiana, ma pagana, e che i suoi oppressori non furono dei pagani tirannici, ma dei cristiani fanatici ». <ref>A. Jameson, ''Sacred and Legendary Art'', II, p. 467.</ref> Una conferma della sovrapposizione delle due figure sta nella scoperta dell'esistenza, un tempo, di una chiesa a Laodicea, in Asia Minore, dedicata a una santa Ipazia martirizzata il 25 novembre, lo stesso giorno in cui veniva commemorata la leggendaria Caterina. <ref>La notizia fu riportata nel 1926 da Basileios Myrsilides, ora in B. A. Myrsilides, ''Biographie der hellenischen Philosophin Hypatia'', 2002.</ref>   
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