Il Risveglio Anarchico: differenze tra le versioni

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=== Il problema organizzativo ===
=== Il problema organizzativo ===
Erede, come detto, di una vecchia tradizione di stampo [[internazionalista]] e [[bakuniniano]], ''Il Risveglio'' vi si attenne anche per quanto concernevano gli schemi organizzativi (non a caso, ripubblicherà in opuscolo, nel [[1914]], lo scritto di [[Bakunin]] su ''L'Organisation de l'Internationale''), senza lasciarsi minimamente influenzare da quel clima di infatuazione [[nietzschiana]] e [[neostirneriana]] che caratterizzò l'[[anarchismo]] italiano durante l'epoca giolittiana. «Lo scopo dell'organizzazione è anzitutto di creare un ambiente nostro per una propaganda ed un'azione nostra. Gli [[antiorganizzatori]] quel che fanno lo debbono organizzare a un dipresso come noi, e più un'organizzazione è individuale, più evidentemente è autoritaria, non lasciando ai cooperatori indispensabili che di fornire denaro e attività in una evidente posizione di dipendenza, volontaria fin che si vuole, ma che non sopprime perciò la realtà stessa della dipendenza. Come è pura metafisica considerare l'[[individuo]] a sé e in sé [...] così va considerato l'uomo come membro di una data società e in tutti i suoi rapporti con essa. L'isolato si troverà a non contare più nulla o a subire suo malgrado dei successivi assorbimenti d'altri ambienti in mancanza d'un proprio. Più gli [[anarchici]] sono capaci di cooperazione e di [[solidarietà]] fra loro e più potranno salvaguardare la loro individualità e caratteristica d'[[anarchici]], senza contare che l'unione - unione attiva, intendiamoci bene - fa la forza non solo materialmente, ma ancor più moralmente». <ref>''Alcune spiegazioni'', suppl. al n. 716, del 16 aprile 1927 (in polemica con un gruppo [[antiorganizzatore]] del nordamerica.</ref>
Erede, come detto, di una vecchia tradizione di stampo [[internazionalista]] e [[bakuniniano]], ''Il Risveglio'' vi si attenne anche per quanto concernevano gli schemi organizzativi (non a caso, ripubblicherà in opuscolo, nel [[1914]], lo scritto di [[Bakunin]] su ''L'Organisation de l'Internationale''), senza lasciarsi minimamente influenzare da quel clima di infatuazione [[nietzschiana]] e [[neostirneriana]] che caratterizzò l'[[anarchismo]] italiano durante l'epoca giolittiana:
:«Lo scopo dell'organizzazione è anzitutto di creare un ambiente nostro per una propaganda ed un'azione nostra. Gli [[antiorganizzatori]] quel che fanno lo debbono organizzare a un dipresso come noi, e più un'organizzazione è individuale, più evidentemente è autoritaria, non lasciando ai cooperatori indispensabili che di fornire denaro e attività in una evidente posizione di dipendenza, volontaria fin che si vuole, ma che non sopprime perciò la realtà stessa della dipendenza. Come è pura metafisica considerare l'[[individuo]] a sé e in sé [...] così va considerato l'uomo come membro di una data società e in tutti i suoi rapporti con essa. L'isolato si troverà a non contare più nulla o a subire suo malgrado dei successivi assorbimenti d'altri ambienti in mancanza d'un proprio. Più gli [[anarchici]] sono capaci di cooperazione e di [[solidarietà]] fra loro e più potranno salvaguardare la loro individualità e caratteristica d'[[anarchici]], senza contare che l'unione - unione attiva, intendiamoci bene - fa la forza non solo materialmente, ma ancor più moralmente». <ref>''Alcune spiegazioni'', suppl. al n. 716, del 16 aprile 1927 (in polemica con un gruppo [[antiorganizzatore]] del nordamerica.</ref>


In altra occasione, alla tesi sostenuta dagli [[anarco-individualisti|individualisti]], che associazione è sinonimo di autoritarismo, il giornale ebbe modo di ribattere che, al contrario, «si può esercitarne uno grandissimo all'infuori d'ogni aggruppamento [...] Diremo di più. In mancanza d'organizazzione, l'autoritarismo è inevitabile. Il compagno più capace o intraprendente mette gli altri in presenza d'una sua iniziativa già presa, e non hanno tempo né modo di discuterla. Non resta loro che appoggiarla incondizionatamente [...] Sono appunto gli autoritari che negano la possibilità d'un'unione senza capi, e certi compagni nostri vengono indirettamente a dar loro ragione col terrore che dimostrano per ogni qualsiasi intesa un po' allargata». <ref>Cfr. ''In tema d'organizzazione'' (risposta della redazione a un intervento di «Prometeo»), n. 599, del 14 ottobre 1922. Cfr. altresì ''Vecchio tema'', n. 608, del 10 febbraio 1923; ''Per uno schiarimento'', n. 610, del 10 marzo 1923; ''Vecchio tema'', n. 653, dell'8 novembre 1923. Una chiara sintesi della concezione «bertoniana» dell'organizzazione (compresa «l'organizzazione sindacale - sulla quale sono più che mai divisi gli organizzatori stessi - e l'organizzazione, chiamiamola così, politica»), si ritrova, comunque, nel lungo scritto ''Anarchia e Associazione'', pubblicato a puntate sul suppl. ai n. 753, 754 e 755, rispettivamente del 22 settembre, 6 e 20 ottobre 1928, nel quale vengono altresì denunciate, come antianarchiche, le formule e gli eccessi organizzativi degli «arscinovisti»: «I compagni russi che hanno fatto la dolorosa esperienza di una rivoluzione, hanno sentito talmente la mancanza di un'organizzazione [...] dal volerne una anche in contraddizione coi principi anarchici»). Per le posizioni di [[Luigi Bertoni|Bertoni]] nei confronti dell'[[individualismo anarchico]], si veda, infine, l'articolo ''Metafisca dell'Individualismo'', pubblicato in «Pensiero e Volontà» (Roma), a. II, n. 1 (1 gennaio 1925), pp. 6-7.</ref>
In altra occasione, alla tesi sostenuta dagli [[anarco-individualisti|individualisti]], che associazione è sinonimo di autoritarismo, il giornale ebbe modo di ribattere che, al contrario, «si può esercitarne uno grandissimo all'infuori d'ogni aggruppamento [...] Diremo di più. In mancanza d'organizazzione, l'autoritarismo è inevitabile. Il compagno più capace o intraprendente mette gli altri in presenza d'una sua iniziativa già presa, e non hanno tempo né modo di discuterla. Non resta loro che appoggiarla incondizionatamente [...] Sono appunto gli autoritari che negano la possibilità d'un'unione senza capi, e certi compagni nostri vengono indirettamente a dar loro ragione col terrore che dimostrano per ogni qualsiasi intesa un po' allargata». <ref>Cfr. ''In tema d'organizzazione'' (risposta della redazione a un intervento di «Prometeo»), n. 599, del 14 ottobre 1922. Cfr. altresì ''Vecchio tema'', n. 608, del 10 febbraio 1923; ''Per uno schiarimento'', n. 610, del 10 marzo 1923; ''Vecchio tema'', n. 653, dell'8 novembre 1923. Una chiara sintesi della concezione «bertoniana» dell'organizzazione (compresa «l'organizzazione sindacale - sulla quale sono più che mai divisi gli organizzatori stessi - e l'organizzazione, chiamiamola così, politica»), si ritrova, comunque, nel lungo scritto ''Anarchia e Associazione'', pubblicato a puntate sul suppl. ai n. 753, 754 e 755, rispettivamente del 22 settembre, 6 e 20 ottobre 1928, nel quale vengono altresì denunciate, come antianarchiche, le formule e gli eccessi organizzativi degli «arscinovisti»: «I compagni russi che hanno fatto la dolorosa esperienza di una rivoluzione, hanno sentito talmente la mancanza di un'organizzazione [...] dal volerne una anche in contraddizione coi principi anarchici»). Per le posizioni di [[Luigi Bertoni|Bertoni]] nei confronti dell'[[individualismo anarchico]], si veda, infine, l'articolo ''Metafisca dell'Individualismo'', pubblicato in «Pensiero e Volontà» (Roma), a. II, n. 1 (1 gennaio 1925), pp. 6-7.</ref>
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