Il Risveglio Anarchico: differenze tra le versioni

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Particolarmente vivace, fu lo scontro polemico sostenuto dal giornale contro la deviazione interventista di quelle frangie di sovversivi - fra cui [[Jean Wintsch]], [[Jean Grave]] e lo stesso [[Kropotkin]] - che, «vinti dalla febbre della guerra», si erano pronunciati per una partecipazione [[anarchica]] a favore della triplice alleanza franco-anglo-russa, sostenendo ch'era una necessaria difesa contro il dispotismo tedesco e un mezzo per abbattare il militarismo. <ref>Vedi ad esempio, ''Ai guerrafondai sedicenti sovversivi'', n. 418, 419 e 420, dell'11 e 25 settembre e 9 ottobre 1915, nonché la risposta di [[Luigi Bertoni|Bertoni]] (''Soldats ou insurgés'', n. 401, del 9 gennaio 1915) alle posizioni di [[Jean Grave]], che andava sostenendo che «se è vero che tutti i governi sono uguali, non è meno vero che l'autorità del vincitore è più difficile da sopportare, ché è un forte aggravamento dell'autorità semplice» (''Il n'y a pas d'absolu'', n. 400, del 26 dicembre 1914). Per la più benevola posizione del giornale nei confronti di [[Kropotkin]] - che, come noto, era stato uno dei firmatari del «[[Manifesto dei Sedici]]» - e spiegabile per i sentimenti di amicizia e di stima che da anni legavano [[Luigi Bertoni|Bertoni]] al vecchio rivoluzionario russo, vedi, invece, ''Spieghiamoci bene'', n. 477, del 4 novembre 1916.</ref>
Particolarmente vivace, fu lo scontro polemico sostenuto dal giornale contro la deviazione interventista di quelle frangie di sovversivi - fra cui [[Jean Wintsch]], [[Jean Grave]] e lo stesso [[Kropotkin]] - che, «vinti dalla febbre della guerra», si erano pronunciati per una partecipazione [[anarchica]] a favore della triplice alleanza franco-anglo-russa, sostenendo ch'era una necessaria difesa contro il dispotismo tedesco e un mezzo per abbattare il militarismo. <ref>Vedi ad esempio, ''Ai guerrafondai sedicenti sovversivi'', n. 418, 419 e 420, dell'11 e 25 settembre e 9 ottobre 1915, nonché la risposta di [[Luigi Bertoni|Bertoni]] (''Soldats ou insurgés'', n. 401, del 9 gennaio 1915) alle posizioni di [[Jean Grave]], che andava sostenendo che «se è vero che tutti i governi sono uguali, non è meno vero che l'autorità del vincitore è più difficile da sopportare, ché è un forte aggravamento dell'autorità semplice» (''Il n'y a pas d'absolu'', n. 400, del 26 dicembre 1914). Per la più benevola posizione del giornale nei confronti di [[Kropotkin]] - che, come noto, era stato uno dei firmatari del «[[Manifesto dei Sedici]]» - e spiegabile per i sentimenti di amicizia e di stima che da anni legavano [[Luigi Bertoni|Bertoni]] al vecchio rivoluzionario russo, vedi, invece, ''Spieghiamoci bene'', n. 477, del 4 novembre 1916.</ref>
=== La polemica antibolscevica ===
Dopo la fine del conflitto mondiale, l'attenzione degli ambienti [[rivoluzionari]] era stata ovviamente polarizzata dagli eventi della Russia [[bolscevica]]. Poco incline a condividere gli entusiasmi e l'eccessivo ottimismo, generalmente espresso da tutte le correnti rivoluzionarie, compresi alcuni [[anarchici]], nei confronti della nuova realtà sovietica, il foglio ginevrino si pronunciò subito contro «la dittatura del proletariato», perché contraria - affermava - ai principi del [[socialismo]] e perché tale formula «significa in realtà [...] delegazione di potere a qualche [[individuo]] che deve agire nell'interesse del proletariato». <ref>Cfr. F. P. ([[Francesco Porcelli]]), ''Anarchia e Dittatura'', n. 510, del 5 aprile 1919 (lo scritto esprimeva la posizione redazionale, dal momento che [[Francesco Porcelli|Porcelli]] sostituiva all'epoca, [[Luigi Bertoni|Bertoni]], in carcere dal [[1918]], per il caso delle «bombe di Zurigo»; in tal senso, d'altronde, lo stesso [[Luigi Bertoni|Bertoni]] lo rivendicherà, più tardi, pienamente, ripubblicandolo sul n. 554, del 25 dicembre 1920, con la precisazione che l'articolista aveva definito «subito in modo concludente la nostra posizione»).</ref>
Da critico, l'atteggiamento del giornale nei confronti del [[bolscevismo]] divenne apertamente ostile, non appena fu chiara la politica di repressione condotta dal nuovo regime sovietico contro tutte le forze [[rivoluzionarie]], di fede non [[bolscevica]]: <ref> Vedi, ad esempio, ''Documenti rivoluzionari'', n. 529, del 3 gennaio 1920; ''Involuzione bolscevica'', n. 532, del 14 febbraio 1920.</ref>
:«L'errore di alcuni [[anarchici]] - si legge, in particolare, in una postilla redazionale a una corrispondenza di «Numitore» ([[Leonida Mastrodicasa]]) - fu di non aver subito attaccato con vigore la dittatura sedicente [[rivoluzionaria]], conformemente al programma elaborato da più di cinquant'anni. Ora non c''è possibilità d'accordo coi capi neo-comunisti [...] I giacobini della [[rivoluzione russa]] si sono ormai trasformati essi stessi in termidoriani per rimanere al potere». <ref>''Per la rivoluzione'', n. 577, del 26 novembre 1921.</ref>
La frattura coi [[comunisti]] era, a questo punto, chiaramente irreparabile. L'intolleranza [[bolscevica]] aveva d'altronde confermato, alla prova dei fatti, l'inconciliabilità - sia nei mezzi che nei fini - di due opposte concezioni del [[socialismo]]; ed in pratica si lasciava interpretare come un serio avvertimento a diffidare, anche in avvenire, di possibili accordi, per quanto temporanei, con le forze [[marxiste]], se questi si fossero ripresentati in vista di nuove esperienze rivoluzionarie. Più che mai significativa è, d'altronde, la decisione presa al convegno di Zurigo del [[4 luglio|4]]-[[5 luglio]] [[1925]], di sopprimere dalla testata del giornale la parola "comunista", onde non lasciare dubbi sull'assoluta autonomia del programma politico portato avanti dall'organo ginevrino ed evitare, per il futuro, l'insorgere di pericolosi malintesi:
:«[[Malatesta]] - si legge nel resoconto post-congressuale - aveva accennato lui pure alla necessità di dirci ormai semplicemente [[anarchici]], a scanso di ogni equivoco. Per esserci detti, noi soli, comunisti, durante quasi mezzo secolo, quando gli stessi [[Marx]] ed [[Engels]], senza contare poi [[Lenin]], non si dicevano più tali, potremmo insistere a rivendicare la qualità di comunisti, ma non ne risulterebbe che un grave danno per noi [...] Oggi che il [[comunismo]] significa per i più la dittatura di [[Stato]] di un partito che lo rivendica, anche se non vuole in fondo che aggiungere al [[capitalismo]] privato un [[capitalismo]] di [[Stato]] sempre più potente, col dirci comunisti la massa ignara di storia e di dottrina potrebbe farsi il più falso concetto dell'[[anarchismo]] o magari rimproverarci le più incredibili contraddizioni». <ref>''Il nostro Convegno'', supplemento al n. 672, del 31 luglio 1925. Crf. anche la lettera di [[Luigi Bertoni|Bertoni]] a [[Emilio Grassini]], in data 2 gennaio 1947, pubblicata in ''[[L'Adunata dei Refrattari]]'' (New York) del 17 ottobre 1964, p. 3.</ref>
È da ritenersi pertanto corretta e conforme a questa linea di pensiero (e non «purezza dottrinaria» o «coerenza di principi» per partito preso), la posizione assunta dal giornale nei confronti di quella corrente di [[anarchici]] « terzointernazionalisti » che sosteneva l'opportunità di un «fronte unico rivoluzionario» con le forze [[marxiste]] <ref>Crf. nel n. 528, del 20 dicembre 1919, la rubrica ''Manrovesci e battimani''</ref>, per il pericolo insito in questo genere di coalizione, di dover abdicare ai criteri tattici e teorici dell'[[anarchismo]], «per diventare volta a volta zimmerwaldiani, kienthaliani, [[bolscevichi]], terzinternazionalisti, dittatoristi, e non sappiamo cos'altro ancora». <ref>''Unione non unità'', n. 553, del 28 febbraio 1920.</ref>


==Note==
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