Gian Pietro Lucini: differenze tra le versioni

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Una delle più affascinanti ed immaginifiche figurazioni della poesia luciniana è l''''IperUomo''' o l''''Artista più che Artista'''. Gian Pietro Lucini, formulandola, rivendicò a sé, alla propria individualità, intesa come estrema incarnazione dell'Unico [[stirneriano]], una completa ed effettiva libertà di azione morale, politica, artistica nei confronti di ogni istituzione ed organizzazione, fosse anche espressione dei nemici stessi delle istituzioni borghesi. L'[[individualismo]] di Lucini non accettò d'integrarsi in un percorso comune agli altri neppure nella sovversione e nella lotta al sistema. L'esperienza di Lucini si concluse consequenziariamente nell'autoisolamento, nel silenzio del delirio: un deliberato ed angoscioso silenzio che marchiò il suo animo come la notte. L'artista milanese vagheggiò vanamente la necessità di tendere con tutte le proprie forze verso una sintesi che potesse ricomporre in unità la molteplicità delle manifestazioni dello spirito. Per [[Georges Sorel]], differentemente da Lucini, questa sintesi unitaria è possibile ed è data dal mito, dall'idea-forza, giacché essa simbolizza ed evoca nello stesso tempo le forze nascoste dell'inconscio ed orienta in modo potente il di-per-se-stesso caotico ed anti-teleologico corso della storia verso la [[rivoluzione]].
Una delle più affascinanti ed immaginifiche figurazioni della poesia luciniana è l''''IperUomo''' o l''''Artista più che Artista'''. Gian Pietro Lucini, formulandola, rivendicò a sé, alla propria individualità, intesa come estrema incarnazione dell'Unico [[stirneriano]], una completa ed effettiva libertà di azione morale, politica, artistica nei confronti di ogni istituzione ed organizzazione, fosse anche espressione dei nemici stessi delle istituzioni borghesi. L'[[individualismo]] di Lucini non accettò d'integrarsi in un percorso comune agli altri neppure nella sovversione e nella lotta al sistema. L'esperienza di Lucini si concluse consequenziariamente nell'autoisolamento, nel silenzio del delirio: un deliberato ed angoscioso silenzio che marchiò il suo animo come la notte. L'artista milanese vagheggiò vanamente la necessità di tendere con tutte le proprie forze verso una sintesi che potesse ricomporre in unità la molteplicità delle manifestazioni dello spirito. Per [[Georges Sorel]], differentemente da Lucini, questa sintesi unitaria è possibile ed è data dal mito, dall'idea-forza, giacché essa simbolizza ed evoca nello stesso tempo le forze nascoste dell'inconscio ed orienta in modo potente il di-per-se-stesso caotico ed anti-teleologico corso della storia verso la [[rivoluzione]].


L'artista, anch'egli irretito dal mito [[rivoluzionario]], ma scettico verso il [[sindacalismo]] filosofico – così qualificò il pensiero [[Georges Sorel|soreliano]] – non riuscì dal canto suo a superare la dimensione antisociale in cui si era confinato e si rivolse piuttosto all'esempio dell'alchimia per esaltare il proprio egotismo; il procedimento alchemico fu da lui stesso assunto come determinazione del fare per ripetuti esperimenti, poiché in esso il processo di distillazione degli elementi tende a ricomporre l'unità in una sintesi superiore, l'Opus<ref>Procedimento alchemico che porta alla creazione della Pietra Filosofale.</ref>, l'Aurum non vulgi<ref> Aurum nostrum non est aurum vulgi: il nostro oro non è l'oro del volgo (espressione contenuta nel ''Rosarium philosophorum'', detto anche ''Rosario dei filosofi'', un testo alchemico del XIII secolo, tradizionalmente attribuito ad Arnaldo da Villanova, ma in realtà di autore anonimo della fine del XIV secolo.</ref>, esaltante ed opima di esperienze spirituali liberate, individuali ed incomunicabili. Con [[Friedrich Nietzsche]] altresì si insinuò nella coscienza dell'intellettuale l'idea di poter definitivamente superare l'arte nella vita. Egli dunque sporse lo sguardo al di là dell'[[arte]], al divino Zarathustra, il mitico eroe eternamente teso, attraverso l'esperimento e l'avventura, al superamento del conformismo. Su queste basi nacque per l'appunto la visione luciniana dell'IperUomo, espressa nell'opera postuma ''La gnosi del Melibeo'' ([[1930]]). L'IperUomo Anarchico, in quanto artista della totalità, esercita una sorta di «imperio e schiavitù morale» sulle masse atomizzate dal [[potere]], nel prometeico e al contempo sisifeo tentativo di redimerle e renderle degne del regno degli uomini.
L'artista, anch'egli irretito dal mito [[rivoluzionario]], ma scettico verso il [[sindacalismo]] filosofico – così qualificò il pensiero [[Georges Sorel|soreliano]] – non riuscì dal canto suo a superare la dimensione antisociale in cui si era confinato e si rivolse piuttosto all'esempio dell'alchimia per esaltare il proprio egotismo; il procedimento alchemico fu da lui stesso assunto come determinazione del fare per ripetuti esperimenti, poiché in esso il processo di distillazione degli elementi tende a ricomporre l'unità in una sintesi superiore, l'Opus <ref>Procedimento alchemico che porta alla creazione della Pietra Filosofale.</ref>, l'Aurum non vulgi <ref>Aurum nostrum non est aurum vulgi: il nostro oro non è l'oro del volgo (espressione contenuta nel ''Rosarium philosophorum'', detto anche ''Rosario dei filosofi'', un testo alchemico del XIII secolo, tradizionalmente attribuito ad Arnaldo da Villanova, ma in realtà di autore anonimo della fine del XIV secolo.</ref>, esaltante ed opima di esperienze spirituali liberate, individuali ed incomunicabili. Con [[Friedrich Nietzsche]] altresì si insinuò nella coscienza dell'intellettuale l'idea di poter definitivamente superare l'arte nella vita. Egli dunque sporse lo sguardo al di là dell'[[arte]], al divino Zarathustra, il mitico eroe eternamente teso, attraverso l'esperimento e l'avventura, al superamento del conformismo. Su queste basi nacque per l'appunto la visione luciniana dell'IperUomo, espressa nell'opera postuma ''La gnosi del Melibeo'' ([[1930]]). L'IperUomo Anarchico, in quanto artista della totalità, esercita una sorta di «imperio e schiavitù morale» sulle masse atomizzate dal [[potere]], nel prometeico e al contempo sisifeo tentativo di redimerle e renderle degne del regno degli uomini.


Nonostante i suoi sforzi per liberarsi dall'ipoteca dell'immaginifico, egli riecheggiò ed ebbe sempre a modello proprio il classico eroe dannunziano; particolari affinità e contiguità, debiti e riconoscenze della immagine luciniana del Melibeo si riscontrano in Stelio Effrena, il protagonista de ''Il Fuoco'' ([[1900]]). La creazione artistica e la sensibilità estetica sono i tratti che li accomunano irrevocabilmente. Lucini ritenne, però, a differenza di D'Annunzio, che alla base della mitica figura nicciana di Zarathustra, ben nascosto, ci fosse il mito dell'Unico [[stirneriano]], e ne trasse profitto per elaborare l'idea simbolica del suo eroe. Questi è, infatti, il costruttore e l'iniziatore di una nuova epoca, «unico legislatore di sé stesso» alla maniera di Claudio Cantelmo, il protagonista del romanzo dannunziano ''Le Vergini delle Rocce'' ([[1896]]): l'uomo più che uomo che, in quanto artista, prefigura, nel divenire carsico della storia, l'uomo sovversivo del futuro; questi sarà lo Sconosciuto-Riconosciuto, colui che crea la vita, «quell'Io di cui i ragionamenti della metafisica hanno parlato e hanno pur oggi identificato nelle sue divine ed immateriali ragioni senza confini. L'essenza fondamentale ed insieme cosciente dell'energia divina, cioè della Vita Universale».
Nonostante i suoi sforzi per liberarsi dall'ipoteca dell'immaginifico, egli riecheggiò ed ebbe sempre a modello proprio il classico eroe dannunziano; particolari affinità e contiguità, debiti e riconoscenze della immagine luciniana del Melibeo si riscontrano in Stelio Effrena, il protagonista de ''Il Fuoco'' ([[1900]]). La creazione artistica e la sensibilità estetica sono i tratti che li accomunano irrevocabilmente. Lucini ritenne, però, a differenza di D'Annunzio, che alla base della mitica figura nicciana di Zarathustra, ben nascosto, ci fosse il mito dell'Unico [[stirneriano]], e ne trasse profitto per elaborare l'idea simbolica del suo eroe. Questi è, infatti, il costruttore e l'iniziatore di una nuova epoca, «unico legislatore di sé stesso» alla maniera di Claudio Cantelmo, il protagonista del romanzo dannunziano ''Le Vergini delle Rocce'' ([[1896]]): l'uomo più che uomo che, in quanto artista, prefigura, nel divenire carsico della storia, l'uomo sovversivo del futuro; questi sarà lo Sconosciuto-Riconosciuto, colui che crea la vita, «quell'Io di cui i ragionamenti della metafisica hanno parlato e hanno pur oggi identificato nelle sue divine ed immateriali ragioni senza confini. L'essenza fondamentale ed insieme cosciente dell'energia divina, cioè della Vita Universale».
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