Ernesto Bonomini: differenze tra le versioni

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== Biografia ==
== Biografia ==
[[File:Ernesto Bonomini.jpg|miniatura|Ernesto Bonomini]]
Nasce a Pozzolengo (BS) il [[18 marzo]] [[1903]] da Teresina e Giuseppe Dolci, mugnaio. È ancora molto giovane quando comincia a frequentare i socialisti, dimostrandosi [[antimilitarista]] fervente. Sorpreso ripetutamente a cantare inni sovversivi e perquisito, emigra in Francia per evitare rappresaglie alla sua famiglia (“fatta responsabile delle sue azioni”). A Parigi diventa anarchico e il [[20 febbraio]] [[1924]] spara, nel sontuoso ristorante "Savoia", al giornalista [[Nicola Bonservizi]], vecchio collaboratore di [[Mussolini]] e capo dei fasci italiani in Francia, che morirà dopo alcune settimane di agonia. Semilinciato al momento dell'arresto, Bonomini dichiara il [[20 ottobre]] [[1924]] di aver voluto vendicare, con il suo atto, «tutte le vittime del fascismo» e dice di non nutrire alcuna simpatia per il comunismo perché i suoi «compagni anarchici russi sono perseguitati dalla dittatura di Mosca nella stessa guisa che quelli italiani sono perseguitati dalla dittatura fascista». Malgrado le testimonianze a suo favore di [[Pioch]] e [[Blum]] e l'abile difesa dell'avvocato Torrès, viene condannato a otto anni di lavori forzati e a 10 di divieto di soggiorno, scampando alla pena capitale perché è ancora forte in Francia l'“indignazione sollevata dal barbarico eccidio di Matteotti” da parte della “Ceka fascista”. Detenuto a Riom (Auvergne), viene schedato il [[31 gennaio]] [[1929]] dalla Prefettura di Brescia quale “socialista antimilitarista pericoloso” e descritto come persona dal “carattere spavaldo e prepotente”. Rilasciato il [[20 febbraio]] [[1932]], esprime, in marzo, su «[[Lotta anarchica]]» di Parigi, il suo dispiacere perché i compagni sono divisi da «polemiche, rancori ed antipatie personali che come orrido cancro rodono il nostro movimento a beneficio del comune nemico» e lancia un appello al «fronte unico libertario». Arrestato nei giorni seguenti ed espulso dalla Francia, vive in Belgio per qualche mese. Tornato in Francia, lavora alla ''[[Librairie moderne]]'' di Lille, insieme al compagno d'ideali [[Umberto Marzocchi]], fino all'aprile [[1933]], quando è arrestato per “rottura del bando” e condannato, il [[5 maggio]], a un mese di carcere, insieme allo stesso [[Umberto Marzocchi|Marzocchi]]. Dopo aver scontato la pena, si stabilisce a Parigi, legandosi sentimentalmente a [[Louisette Bled]] (o Lucette Blel o Biel) e in agosto dichiara che a un nuovo arresto replicherà con un clamoroso [[sciopero della fame]]. Nel [[gennaio 1934]] incontra l'anarchico [[Emidio Recchioni]] e il [[20 aprile]] viene arrestato e fatto salire su un treno diretto in Belgio, dal quale riesce a scendere, rifugiandosi a Lille. In seguito fa il decoratore a Sartrouville, alle dipendenze del massimalista [[Amedeo Delai]], e sottoscrive delle piccole somme per «[[Le Libertaire]]» di Parigi. Membro della [[FAPI]] e del [[Comitato anarchico per le vittime politiche d'Italia]], interviene ai funerali di [[Recchioni]] e alle riunioni sovversive, che hanno luogo nella capitale francese, insieme a [[Pietro Pirola]], [[Angiolino Bruschi]], [[Carlo Rosselli]], [[Camillo Berneri]], [[Quisnello Nozzoli]], [[Piero Corradi]] e [[Oreste Mombello]]. Nell'autunno [[1935]] partecipa al Congresso di Parigi degli anarchici italiani, poi si impegna nella dura battaglia contro la politica di espulsioni del governo francese e, in dicembre, è sospettato di voler rimpatriare per compiere un atto terroristico. Alla fine di luglio [[1936]] parte per Barcellona e in agosto è segnalato, insieme a [[Renato Castagnoli]], [[Celso Persici]], [[Bruno Bonturi]], [[Francesco Barbieri]] e [[Ludovico Rossi]], al valico di Port-Bou, dove, in veste di “commissario di frontiera”, controlla gli ingressi e le uscite dalla Spagna. Il [[16 ottobre]] rende un commosso, fraterno omaggio, su «[[Le Libertaire]]» di Parigi, all'anarchico francese [[Louis-Emile Cottin]], autore di un attentato a Clemenceau, caduto a Farlete (Huesca) otto giorni prima. Raggiunto dalla sua compagna a Barcellona il [[4 novembre]], Bonomini è oggetto, due settimane dopo, di un telegramma, con il quale la polizia fascista informa i prefetti italiani che Bonomini lavora in Spagna per la [[FAIB]] e li invita a vigilare su un suo possibile rientro. Il [[14 aprile]] [[1937]] Bonomini mette in guardia i correligionari dall'offensiva antianarchica, avviata dai comunisti in Spagna con “l'intenzione di rieditare il tradimento di Kronstadt e dell'Ucraina libertaria”, e denuncia gli arresti dei compagni [[Tommasini]], [[Cimadori]], [[Bibbi]] e [[Fontana]] e le uccisioni di molti anarchici spagnoli. Al principio di maggio [[1937]] Bonomini sfugge casualmente alla liquidazione fisica da parte dei comunisti, che assassinano [[Camillo Berneri]] e [[Francesco Barbieri]], suoi compagni di idee e di casa. Dato più volte per ferito e fucilato, Bonomini scrive il [[16 agosto]] [[1937]] su «Guerra di classe» di Barcellona di essere rimasto in Spagna, malgrado il pericolo di essere trucidato dagli stalinisti, perché non intende abbandonare la rivoluzione spagnola «al suo tragico destino» e vuole «affrontare e sfidare il nemico sul terreno da lui scelto per distruggerci»: «la forza degli anarchici spagnoli» – aggiunge – «rimane intatta e le adesioni al movimento libertario vanno crescendo». Il [[28 agosto]] Bonomini osserva in un altro articolo che nel luglio [[1936]] gli anarchici hanno confuso, «disgraziatamente», la rivoluzione totalitaria con la dittatura anarchica, temendo di violare i «sacrosanti principi dirigendo con una mano di ferro la rivolta popolare». Nel novembre [[1937]] Bonomini torna sulla situazione spagnola, menziona i rivoluzionari francesi, inglesi, tedeschi, americani, russi e bulgari, giunti in Spagna dopo le giornate del luglio [[1936]] e arrestati dopo i fatti del maggio [[1937]], e difende dalle calunnie l'anarchico [[Joaquín Ascaso]], ex presidente del disciolto Consiglio di difesa dell'Aragona. Qualche mese dopo lascia Barcellona e l'[[8 aprile]] [[1938]] è a Parigi, dove usa il falso nome di Antonio Falcelli (o Fancelli) e interviene alle riunioni degli anarchici e dei massimalisti. Imprigionato il [[1° giugno]] [[1938]] per aver violato il decreto di espulsione, Bonomini viene condannato, il [[26 luglio]], a un anno di carcere per uso di falsi documenti e il [[3 marzo]] [[1939]] viene rinchiuso nel “campo di lavoro vigilato” di Rieucros (Lozère), dove impera la “più dura disciplina”. Evaso a fine aprile, insieme all'anarchico [[Giuseppe Picone Chiodo]], già volontario in Spagna, Bonomini arriva il [[13 maggio]] [[1939]] a Bruxelles, dove dice ai correligionari che intende chiudere in Italia la sua esistenza con un gesto clamoroso. Nella capitale belga frequenta [[Mario Mantovani]], [[Giuseppe Bifolchi]] e [[Vittorio Cantarelli]], che lo aiutano a procurarsi un “passaporto autentico” dal Consolato cubano di Bruxelles e un visto dalla compagnia ''Canadian Pacific'' per imbarcarsi su una nave, che lo porterà da Liverpool in Canada. Giunto a destinazione, prosegue per New York, dove trova ospitalità presso i compagni de «[[L'Adunata dei Refrattari]]» e denuncia nel febbraio [[1940]] il totale allineamento di [[Mussolini]] alle posizioni di [[Hitler]]. Per evitare l'arresto cambia spesso alloggio e in dicembre abita presso [[Osvaldo Maraviglia]], l'amministratore de «[[L'Adunata dei Refrattari]]». Dopo la fine del conflitto, resta in America e nell'ottobre [[1946]] replica a [[Giuseppe Mariani]], unico sopravvissuto degli attentatori del teatro Diana, riaffermando la sua fiducia nell'utilità dei gesti di “rivolta individuale”, che [[Giuseppe Mariani|Mariani]] ha ripudiato dopo la scarcerazione. Nel [[1971]] abita ancora negli USA, dove frequenta saltuariamente l'anarchico [[Frank Aldi]] di Porto Santo Stefano, da mezzo secolo emigrato in America, e altri compagni di fede. Muore a Miami il [[6 luglio]] [[1986]].
Nasce a Pozzolengo (BS) il [[18 marzo]] [[1903]] da Teresina e Giuseppe Dolci, mugnaio. È ancora molto giovane quando comincia a frequentare i socialisti, dimostrandosi [[antimilitarista]] fervente. Sorpreso ripetutamente a cantare inni sovversivi e perquisito, emigra in Francia per evitare rappresaglie alla sua famiglia (“fatta responsabile delle sue azioni”). A Parigi diventa anarchico e il [[20 febbraio]] [[1924]] spara, nel sontuoso ristorante "Savoia", al giornalista [[Nicola Bonservizi]], vecchio collaboratore di [[Mussolini]] e capo dei fasci italiani in Francia, che morirà dopo alcune settimane di agonia. Semilinciato al momento dell'arresto, Bonomini dichiara il [[20 ottobre]] [[1924]] di aver voluto vendicare, con il suo atto, «tutte le vittime del fascismo» e dice di non nutrire alcuna simpatia per il comunismo perché i suoi «compagni anarchici russi sono perseguitati dalla dittatura di Mosca nella stessa guisa che quelli italiani sono perseguitati dalla dittatura fascista». Malgrado le testimonianze a suo favore di [[Pioch]] e [[Blum]] e l'abile difesa dell'avvocato Torrès, viene condannato a otto anni di lavori forzati e a 10 di divieto di soggiorno, scampando alla pena capitale perché è ancora forte in Francia l'“indignazione sollevata dal barbarico eccidio di Matteotti” da parte della “Ceka fascista”. Detenuto a Riom (Auvergne), viene schedato il [[31 gennaio]] [[1929]] dalla Prefettura di Brescia quale “socialista antimilitarista pericoloso” e descritto come persona dal “carattere spavaldo e prepotente”. Rilasciato il [[20 febbraio]] [[1932]], esprime, in marzo, su «[[Lotta anarchica]]» di Parigi, il suo dispiacere perché i compagni sono divisi da «polemiche, rancori ed antipatie personali che come orrido cancro rodono il nostro movimento a beneficio del comune nemico» e lancia un appello al «fronte unico libertario». Arrestato nei giorni seguenti ed espulso dalla Francia, vive in Belgio per qualche mese. Tornato in Francia, lavora alla ''[[Librairie moderne]]'' di Lille, insieme al compagno d'ideali [[Umberto Marzocchi]], fino all'aprile [[1933]], quando è arrestato per “rottura del bando” e condannato, il [[5 maggio]], a un mese di carcere, insieme allo stesso [[Umberto Marzocchi|Marzocchi]]. Dopo aver scontato la pena, si stabilisce a Parigi, legandosi sentimentalmente a [[Louisette Bled]] (o Lucette Blel o Biel) e in agosto dichiara che a un nuovo arresto replicherà con un clamoroso [[sciopero della fame]]. Nel [[gennaio 1934]] incontra l'anarchico [[Emidio Recchioni]] e il [[20 aprile]] viene arrestato e fatto salire su un treno diretto in Belgio, dal quale riesce a scendere, rifugiandosi a Lille. In seguito fa il decoratore a Sartrouville, alle dipendenze del massimalista [[Amedeo Delai]], e sottoscrive delle piccole somme per «[[Le Libertaire]]» di Parigi. Membro della [[FAPI]] e del [[Comitato anarchico per le vittime politiche d'Italia]], interviene ai funerali di [[Recchioni]] e alle riunioni sovversive, che hanno luogo nella capitale francese, insieme a [[Pietro Pirola]], [[Angiolino Bruschi]], [[Carlo Rosselli]], [[Camillo Berneri]], [[Quisnello Nozzoli]], [[Piero Corradi]] e [[Oreste Mombello]]. Nell'autunno [[1935]] partecipa al Congresso di Parigi degli anarchici italiani, poi si impegna nella dura battaglia contro la politica di espulsioni del governo francese e, in dicembre, è sospettato di voler rimpatriare per compiere un atto terroristico. Alla fine di luglio [[1936]] parte per Barcellona e in agosto è segnalato, insieme a [[Renato Castagnoli]], [[Celso Persici]], [[Bruno Bonturi]], [[Francesco Barbieri]] e [[Ludovico Rossi]], al valico di Port-Bou, dove, in veste di “commissario di frontiera”, controlla gli ingressi e le uscite dalla Spagna. Il [[16 ottobre]] rende un commosso, fraterno omaggio, su «[[Le Libertaire]]» di Parigi, all'anarchico francese [[Louis-Emile Cottin]], autore di un attentato a Clemenceau, caduto a Farlete (Huesca) otto giorni prima. Raggiunto dalla sua compagna a Barcellona il [[4 novembre]], Bonomini è oggetto, due settimane dopo, di un telegramma, con il quale la polizia fascista informa i prefetti italiani che Bonomini lavora in Spagna per la [[FAIB]] e li invita a vigilare su un suo possibile rientro. Il [[14 aprile]] [[1937]] Bonomini mette in guardia i correligionari dall'offensiva antianarchica, avviata dai comunisti in Spagna con “l'intenzione di rieditare il tradimento di Kronstadt e dell'Ucraina libertaria”, e denuncia gli arresti dei compagni [[Tommasini]], [[Cimadori]], [[Bibbi]] e [[Fontana]] e le uccisioni di molti anarchici spagnoli. Al principio di maggio [[1937]] Bonomini sfugge casualmente alla liquidazione fisica da parte dei comunisti, che assassinano [[Camillo Berneri]] e [[Francesco Barbieri]], suoi compagni di idee e di casa. Dato più volte per ferito e fucilato, Bonomini scrive il [[16 agosto]] [[1937]] su «Guerra di classe» di Barcellona di essere rimasto in Spagna, malgrado il pericolo di essere trucidato dagli stalinisti, perché non intende abbandonare la rivoluzione spagnola «al suo tragico destino» e vuole «affrontare e sfidare il nemico sul terreno da lui scelto per distruggerci»: «la forza degli anarchici spagnoli» – aggiunge – «rimane intatta e le adesioni al movimento libertario vanno crescendo». Il [[28 agosto]] Bonomini osserva in un altro articolo che nel luglio [[1936]] gli anarchici hanno confuso, «disgraziatamente», la rivoluzione totalitaria con la dittatura anarchica, temendo di violare i «sacrosanti principi dirigendo con una mano di ferro la rivolta popolare». Nel novembre [[1937]] Bonomini torna sulla situazione spagnola, menziona i rivoluzionari francesi, inglesi, tedeschi, americani, russi e bulgari, giunti in Spagna dopo le giornate del luglio [[1936]] e arrestati dopo i fatti del maggio [[1937]], e difende dalle calunnie l'anarchico [[Joaquín Ascaso]], ex presidente del disciolto Consiglio di difesa dell'Aragona. Qualche mese dopo lascia Barcellona e l'[[8 aprile]] [[1938]] è a Parigi, dove usa il falso nome di Antonio Falcelli (o Fancelli) e interviene alle riunioni degli anarchici e dei massimalisti. Imprigionato il [[1° giugno]] [[1938]] per aver violato il decreto di espulsione, Bonomini viene condannato, il [[26 luglio]], a un anno di carcere per uso di falsi documenti e il [[3 marzo]] [[1939]] viene rinchiuso nel “campo di lavoro vigilato” di Rieucros (Lozère), dove impera la “più dura disciplina”. Evaso a fine aprile, insieme all'anarchico [[Giuseppe Picone Chiodo]], già volontario in Spagna, Bonomini arriva il [[13 maggio]] [[1939]] a Bruxelles, dove dice ai correligionari che intende chiudere in Italia la sua esistenza con un gesto clamoroso. Nella capitale belga frequenta [[Mario Mantovani]], [[Giuseppe Bifolchi]] e [[Vittorio Cantarelli]], che lo aiutano a procurarsi un “passaporto autentico” dal Consolato cubano di Bruxelles e un visto dalla compagnia ''Canadian Pacific'' per imbarcarsi su una nave, che lo porterà da Liverpool in Canada. Giunto a destinazione, prosegue per New York, dove trova ospitalità presso i compagni de «[[L'Adunata dei Refrattari]]» e denuncia nel febbraio [[1940]] il totale allineamento di [[Mussolini]] alle posizioni di [[Hitler]]. Per evitare l'arresto cambia spesso alloggio e in dicembre abita presso [[Osvaldo Maraviglia]], l'amministratore de «[[L'Adunata dei Refrattari]]». Dopo la fine del conflitto, resta in America e nell'ottobre [[1946]] replica a [[Giuseppe Mariani]], unico sopravvissuto degli attentatori del teatro Diana, riaffermando la sua fiducia nell'utilità dei gesti di “rivolta individuale”, che [[Giuseppe Mariani|Mariani]] ha ripudiato dopo la scarcerazione. Nel [[1971]] abita ancora negli USA, dove frequenta saltuariamente l'anarchico [[Frank Aldi]] di Porto Santo Stefano, da mezzo secolo emigrato in America, e altri compagni di fede. Muore a Miami il [[6 luglio]] [[1986]].
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