Azione Rivoluzionaria: differenze tra le versioni

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Almeno tre aspetti vanno poi sottolineati:
Almeno tre aspetti vanno poi sottolineati:


1) Il [[movimento]] intuisce che nonostante si parli da più di un secolo della scienza marxista, della critica scientifica della società del capitale, il pensiero critico ha fatto ben pochi passi avanti ed ha avuto anzi un ruolo regressivo e repressivo nella coscienza delle masse, facendola aderire totalmente alla società del capitale. Le contraddizioni del capitale e del suo sviluppo, su cui faceva perso la critica "scientifica" sono state assorbite e, insieme ad esse, anche la maggiore delle contraddizioni, quella fra lavoro e capitale. Dopo un secolo di impantanamento nelle contraddizioni oggettive del mondo delle merci, il movimento comincia a interrogarsi sulla necessità di instaurare una critica non delle classi ma degli individui, dei protagonisti in carne ed ossa e non dei fantasmi concettuali. Il movimento rivoluzionario sa di essere l'unica contraddizione del sistema capitalistico perché esprime ciò che di umano non è stato ancora represso nel processo di disumanizzazione, spersonalizzazione e massificazione.  
1) Il movimento intuisce che nonostante si parli da più di un secolo della scienza marxista, della critica scientifica della società del capitale, il pensiero critico ha fatto ben pochi passi avanti ed ha avuto anzi un ruolo regressivo e repressivo nella coscienza delle masse, facendola aderire totalmente alla società del capitale. Le contraddizioni del capitale e del suo sviluppo, su cui faceva perso la critica "scientifica" sono state assorbite e, insieme ad esse, anche la maggiore delle contraddizioni, quella fra lavoro e capitale. Dopo un secolo di impantanamento nelle contraddizioni oggettive del mondo delle merci, il movimento comincia a interrogarsi sulla necessità di instaurare una critica non delle classi ma degli individui, dei protagonisti in carne ed ossa e non dei fantasmi concettuali. Il movimento rivoluzionario sa di essere l'unica contraddizione del sistema capitalistico perché esprime ciò che di umano non è stato ancora represso nel processo di disumanizzazione, spersonalizzazione e massificazione.  


2) Il [[movimento]] non rinvia lo scontro alle classi, ma lo assume in prima persona. L'azione è diretta. Qualunque siano i risultati oggettivi, i riscontri soggettivi sono fondamentali. L'azione diretta rende gli individui consci di sé stessi in quanto individui che possono mutare il loro destino e riprendere il controllo della propria vita.
2) Il movimento non rinvia lo scontro alle classi, ma lo assume in prima persona. L'azione è diretta. Qualunque siano i risultati oggettivi, i riscontri soggettivi sono fondamentali. L'azione diretta rende gli individui consci di sé stessi in quanto individui che possono mutare il loro destino e riprendere il controllo della propria vita.


3) Il [[movimento]] orami riconosce l'inadeguatezza del vecchio progetto socialista, nelle sue varie versioni. Tutte le istituzioni e i valori della società gerarchica hanno esaurito le loro "funzioni". Non c'è alcuna ragione sociale per la proprietà e le classi, per la monogamia e lo stato. Queste istituzioni e valori, insieme con la città, la scuola, ecc, hanno raggiunto i loro limiti storici. È tutto l'universo sociale che è nel "tunnel" della crisi e non solo in Italia. Qui alcuni aspetti sono più acuti che altrove: qui la difesa della proprietà sta assumendo proporzioni catastrofiche e costituisce ormai l'unica risposta del potere alla disoccupazione. Ma proprio nella misura in cui la crisi ormai investe tutti i campi contaminati dal dominio, tanto più si evidenziano gli aspetti reazionari del progetto [[socialista]] sia maoista sia trotzkysta sia stalinista che conserva i concetti di gerarchia, di [[autorità]] e di stato come parte del futuro post-sivoluzionario e per conseguenza anche i concetti di proprietà "nazionalizzata" e di classe "dittatura proletaria".  
3) Il movimento orami riconosce l'inadeguatezza del vecchio progetto socialista, nelle sue varie versioni. Tutte le istituzioni e i valori della società gerarchica hanno esaurito le loro "funzioni". Non c'è alcuna ragione sociale per la proprietà e le classi, per la monogamia e lo stato. Queste istituzioni e valori, insieme con la città, la scuola, ecc, hanno raggiunto i loro limiti storici. È tutto l'universo sociale che è nel "tunnel" della crisi e non solo in Italia. Qui alcuni aspetti sono più acuti che altrove: qui la difesa della proprietà sta assumendo proporzioni catastrofiche e costituisce ormai l'unica risposta del potere alla disoccupazione. Ma proprio nella misura in cui la crisi ormai investe tutti i campi contaminati dal dominio, tanto più si evidenziano gli aspetti reazionari del progetto [[socialista]] sia maoista sia trotzkysta sia stalinista che conserva i concetti di gerarchia, di [[autorità]] e di stato come parte del futuro post-sivoluzionario e per conseguenza anche i concetti di proprietà "nazionalizzata" e di classe "dittatura proletaria".  


Fino a poco tempo fa i tentativi di risolvere le contraddizioni create nell'urbanizzazione, dalla centralizzazione, allo sviluppo burocratico, erano visti come una vana controtendenza al progresso - una controtendenza che poteva essere respinta come chimerica e reazionaria. Quanti parlavano di una società decentralizzata e di una comunità umanistica in armonia con la natura e coi bisogni degli individui erano tacciati di romanticismo reazionario. Anche nella recente campagna di stampa televisiva contro Azione Rivoluzionari i pennivendoli del regime hanno rispolverato tutto questo apparato critico, sicuramente lette in qualche manuale dell'attivista delle edizioni Rinascita. Diverso il giudizio del movimento, soprattutto dei giovani. Il loro amore della natura è una reazione contro le qualità altamente artificiali del nostro ambiente urbano e dei suoi frusti prodotti. La loro informalità nel vestire e nel comportarsi è una reazione contro la natura standardizzata e formalizzata della moderna vita istituzionalizzata. La loro predisposizione all'azione diretta è una reazione contro la burocratizzazione e la centralizzazione della società. La loro tendenza ad evitare la fatica, il loro diritto alla pigrizia, riflette una rabbia crescente verso l'insensata ruotine industriale alimentata nella moderna produzione di massa nella fabbrica, negli uffici, nelle scuole. Il loro intenso individualismo, infine, è una decentralizzazione di fatto della vita sociale - una ritirata personale dalla società di massa. Il movimento sa che i concetti "romantici" o se preferite anarchici di una comunità equilibrata, di una democrazia diretta, di una tecnologia umanistica e di una società decentralizzata non sono soltanto concetti desiderabili ma sono anche necessari, costituiscono le precondizioni oggi della sopravvivenza umana, sono concetti "pratici". Si prenda il caso dei problemi energetici. La rivoluzione industriale ha accresciuto la quantità di energia usata dell'uomo. Anche se è certamente vero che le società preindustriali poggiavano principalmente sulla forza animale e umana, è innegabile in molte regioni europee lo sviluppo di sistemi di energia più complessi, comportati da un'integrazione di risorse come la forza dell'acqua e del vento e una larga varietà di combustibili. La rivoluzione industriale ha schiacciato e distrutto questi modelli reginali di energia, rimpiazzandoli prima col carbone e poi col petrolio. Come modelli integrati di energia le regioni sono scomparse e non è il caso di ricordare questa rottura nella devastazione di intere regioni e infine nella prospettiva di un esaurimento. Si è posti di fronte ad una scelta: da una parte i collettori solari, le turbine a vento e le risorse idroelettriche, se prese singolarmente, non forniscono una soluzione ai nostri problemi energetici, messe insieme come mosaico, come un modello organico di energia sviluppato dalle potenzialità di una regione potrebbero soddisfare i bisogni di una società "decentralizzata" e ridurre al minimo l'uso dei combustibili dannosi; dall'altra parte un sistema di energia basato su materiali radioattivi che porterà a una diffusa contaminazione dell'ambiente, dapprima in forma sottile, poi su scala massiccia e tangibilmente distruttiva, con l'aggiunta di un'inienzione ultreriore di concentrazione e terrore nel tessuto sociale. Le forze della distruzione e della morte si sono subito schierate per quest'ultima soluzione, i berlingueriani le hanno seguite a ruota, anzi, in certi casi hanno fatto da portabandiera (a Genova, per la difesa dei livelli "occupazionali" i tecnici del PCI sognano un Ansaldo che nuclearizzi tutto il pianeta, una specie di follia omicida che ha costretto i compagni delle BR a rinchiuderne qualcuno all'ospedale, in osservazione). Tacciando di "romanticismo" il movimento possente che si è sviluppato negli USA, in Germania e ultimamente anche in Italia contro le basi nucleari, i berlingueriani pensano di farla da realisti, in realtà si limitano a far cena dovunque caca il capitale. Se le idee critiche emergenti dal movimento non hanno ancora assunto la forma di progetto alternativo e costruttivo, le ragioni sono varie; innanzi tutto il movimento non si è ancora liberato dalle ideologie del passato ma è in via di liberazione, in secondo luogo dopo un secolo di "realismo socialista" l'avventurarsi nel regno del possibile è un'impresa psicologicamente ardua, in terzo luogo la perverzione delle forze produttive è giunta a un tal punto che la "ricostruzione" appare un'opera immane: la distruzione dell'ambiente naturale e sociale operata dal capitalismo è così profonda da ingenerare quasi rassegnazione come di fronte a un processo irreversibile; ma c'è soprattutto una ragione politica: le forze del passato sono bene organizzate e specializzate nell'arte della morte - i lager tedeschi fumano ancora. D'altra parte vi sono ragioni altrettanto decisive per la nascita di questo progetto: se il movimento non saprà proporre a tutto il resto della società il suo progetto per uscire dalla crisi generale ne sarà travolto anch'esso o, il che è lo stesso, le sue idee finiranno coll'essere pervertite lunga canali putridi (basti pensare alla perversione della spinta sessantottesca nei "consigli" fasulli di quartire, di fabbrica, di scuola ecc., il che, a dire il vero, dimostra che i berlingueriani fanno cena anche dove cachiamo noi). Certamente il nostro metodo dielaborazione non dovrà essere quello dei berlingueriani che hanno affidato il loro progetto a medio termine a quattro o cinque "intellettuali superorganici" e l'hanno fatto poi stendere da quel genio leonardesco che è Achille Occhetto, col risultato che ora se ne vergognano e lo fanno leggere solo al vescovo di Ivrea. La presenza critica, costruttiva, utopistica è una condizione necessaria ma non sufficiente, una tale presenza oggi non può diventare egemone se parallelamente ad essa non si sviluppa una presenza critica, negativa, distruttiva dei processi in corso. La critica distruttiva, la critica delle armi è l'unica forza oggi che può rendere credibile e attendibile qualsiasi progetto. Di fronte, il movimento non ha degli interlocutori ma le forze della distruzione e della morte, e quanto più è profonda la crisi economica, sociale, politica e morale tanto più le forze del passato si uniscono nella stretta finale. Lo Stato, per queste forze, è l'ultima spiaggia; il processo di concentrazione deve essere ormai esteso anche alle idee: la classe dei rinnegati, integrandosi, non può lasciare spazi all'opposizione. Checchè ne dicano o ne strillino gli occhettiani nostrani (hanno fatto il vuoto attorno a Bologna, inorriditi dalla "primitività " delle analisi d'oltralpe) in Italia come in Germania è in atto la formazione di maxipartiti o partiti di regime dove "pluralismo" è il classico termine orwelliano per indicare la persistenza di bande che vogliono accaparrarsi o conservare TUTTA la gestione di QUESTO sistema. Le forze sociali e politiche sempre più autonomizzate dalle masse e sempre più dipendenti dallo Stato non hanno altra arma che il "consenso" forzato, imposto col terrore per arginare in qualche maniera l'antagonismo crescente. L'originalità della situazione italiana, rispetto a quella tedesca, ad esempio, è l'ampiezza di questo fronte interno, l'esistenza di un movimento che non isola la guerriglia ma ha anzi un effetto moltiplicatore della sua diffusione. Azione Rivoluzionari è nata con un occhio rivolto all'esperienza della Raf e alle sue analisi dei processi in corso nella Germania Federale e con l'altro ai caratteri e alle forze del movimento in Italia che non trovano espressione armata nelle organizzazioni che attualmente conducono la guerriglia. È una coalizione di forze statutali che va battuta, non una singola forza: le pistolettate contro Ferrero non erano rivolte contro un agente attivo della controguerriglia psicologica, uno dei tanti, ma contro questa coalizione e contro questa campagna di menzogne, calunnie e delazioni con cui si tenta di isolare moralmente e politicamente il movimento, una campagna avviata proprio dal PCI a Bologna e Roma, a sostegno aperto e copertura dei servizi di sicurezza. Lasciare libertà di azione a una delle forze della coalizione significa far funzionare questa nel suo meccanismo essenziale, copertura a sinistra del terrorismo di Stato e azione di recupero delle forze sociali esterne, schiacciate dalla concertazione, una volta private della loro espressione politica. L'opera dei servizi di sicurezza e di Pecchioli per eliminare fisicamente la guerriglia fa tutt'uno con gli appelli di Trombadori e soci per togliere qualasiasi identità politica ai guerriglieri, insieme costoro preparano il terreno ai recuperatori, alle leghe gialle dei disoccupati, al nuovo movimento universitario di Occhetto, alle serenate ai non garantiti di Asor Rosa. Aguzzini e recuperatori svolgono compiti distinti di un progetto comune, di cui si vedono già le sembianze nei supercarceri in costruzione. Non a caso l'eco enorme suscitato dalle pistolettate a Ferrero ha spento l'eco degli attentati al carcere di Livorno e al supercarcere di Firenze. La nuova coalizione si guarda bene ad ostentare, a ludubrio del terrorismo, i gravi danni subiti da un supercarcere: non è ancora giunto il momento di mostrare in pubblico (se verrà mai) le uniche creazioni del compromesso storico: i lager dove potrà assassinare in silenzio i suoi nemici, come il Germania; per il momento si limita ad ostentare le gambe ferite di un suo pennivendolo. Rifiutare quello che abbiamo definito il mito del proletariato industriale - classe rivoluzionaria non significa non condividere le azioni volte ad alleggerire la pressione che il capitale esercita sui lavoratori per conservare il proprio dominio; le azioni volte a punire i disciplinatori o a indebolire l'accumulazione sono fondamentali per permettere alle minoranze rivoluzionarie presenti in fabbrica di prendersi la loro libertà di azione, l'essenziale è che ciò non costituisca un ennesimo tributo al mito e un pericoloso condizionamento al punto di vista "operaio", col risultato di far funzionare il meccanismo essenziale della coalizione. A quanti arricciano il naso (e sono molti nel movimento anarchico) di fronte alla costruzione di un gruppo clandestino, noi rispondiamo che i pericoli di centralizzazione, burocratizzazione e alienazione storicamente si sono rivelati più consistenti nelle organizzazioni "legali" dove addiritttura questi pericoli sono divenuti una solida realtà. A quanti coltivano ancora illusioni non violente, se le nostre argomentazioni non sono state sufficienti, chiarezza sempre maggiore verrà dallo Stato e dal suo apparato terroristico. Per quanto ancora in formazione, le nostre idee organizzative tendono verso un modello noto nel movimento rivoluzionario, sperimentato in Spagna negli anni '30 e adombrato nei "collettivi" e nelle "comuni" dei radicali americani: pensiamo a gruppi di affinità dove i legami tradizionali sono rimpiazzati da rapporti profondamente simpatetici, contraddistinti da un massimo di intimità, conoscenza, fiducia reciproca fra i loro membri. Sia che nascano su basi locali, dall'incontro sperimentato e collaudato di varie storie personali, o su basi diverse, i gruppi devono essere mantenuti neccessariamente piccoli, sia per permettere quelle caratteristiche sia per garantirsi contro le infiltrazioni. Il gruppo di affinità tende da una parte ad eliminare fra i compagni rapporti di pura efficienza, dall'altro ad attenuare la divisione schizzofrenica fra privato e collettivo, una dimensione che è alla base, oltre che delle continue incertezze e degli abbandoni, anche dell'opportunismo e della non trasparenza nei rapporti fra i compagni.  
Fino a poco tempo fa i tentativi di risolvere le contraddizioni create nell'urbanizzazione, dalla centralizzazione, allo sviluppo burocratico, erano visti come una vana controtendenza al progresso - una controtendenza che poteva essere respinta come chimerica e reazionaria. Quanti parlavano di una società decentralizzata e di una comunità umanistica in armonia con la natura e coi bisogni degli individui erano tacciati di romanticismo reazionario. Anche nella recente campagna di stampa televisiva contro Azione Rivoluzionari i pennivendoli del regime hanno rispolverato tutto questo apparato critico, sicuramente lette in qualche manuale dell'attivista delle edizioni Rinascita. Diverso il giudizio del movimento, soprattutto dei giovani. Il loro amore della natura è una reazione contro le qualità altamente artificiali del nostro ambiente urbano e dei suoi frusti prodotti. La loro informalità nel vestire e nel comportarsi è una reazione contro la natura standardizzata e formalizzata della moderna vita istituzionalizzata. La loro predisposizione all'azione diretta è una reazione contro la burocratizzazione e la centralizzazione della società. La loro tendenza ad evitare la fatica, il loro diritto alla pigrizia, riflette una rabbia crescente verso l'insensata ruotine industriale alimentata nella moderna produzione di massa nella fabbrica, negli uffici, nelle scuole. Il loro intenso individualismo, infine, è una decentralizzazione di fatto della vita sociale - una ritirata personale dalla società di massa. Il movimento sa che i concetti "romantici" o se preferite anarchici di una comunità equilibrata, di una democrazia diretta, di una tecnologia umanistica e di una società decentralizzata non sono soltanto concetti desiderabili ma sono anche necessari, costituiscono le precondizioni oggi della sopravvivenza umana, sono concetti "pratici". Si prenda il caso dei problemi energetici. La rivoluzione industriale ha accresciuto la quantità di energia usata dell'uomo. Anche se è certamente vero che le società preindustriali poggiavano principalmente sulla forza animale e umana, è innegabile in molte regioni europee lo sviluppo di sistemi di energia più complessi, comportati da un'integrazione di risorse come la forza dell'acqua e del vento e una larga varietà di combustibili. La rivoluzione industriale ha schiacciato e distrutto questi modelli reginali di energia, rimpiazzandoli prima col carbone e poi col petrolio. Come modelli integrati di energia le regioni sono scomparse e non è il caso di ricordare questa rottura nella devastazione di intere regioni e infine nella prospettiva di un esaurimento. Si è posti di fronte ad una scelta: da una parte i collettori solari, le turbine a vento e le risorse idroelettriche, se prese singolarmente, non forniscono una soluzione ai nostri problemi energetici, messe insieme come mosaico, come un modello organico di energia sviluppato dalle potenzialità di una regione potrebbero soddisfare i bisogni di una società "decentralizzata" e ridurre al minimo l'uso dei combustibili dannosi; dall'altra parte un sistema di energia basato su materiali radioattivi che porterà a una diffusa contaminazione dell'ambiente, dapprima in forma sottile, poi su scala massiccia e tangibilmente distruttiva, con l'aggiunta di un'inienzione ultreriore di concentrazione e terrore nel tessuto sociale. Le forze della distruzione e della morte si sono subito schierate per quest'ultima soluzione, i berlingueriani le hanno seguite a ruota, anzi, in certi casi hanno fatto da portabandiera (a Genova, per la difesa dei livelli "occupazionali" i tecnici del PCI sognano un Ansaldo che nuclearizzi tutto il pianeta, una specie di follia omicida che ha costretto i compagni delle BR a rinchiuderne qualcuno all'ospedale, in osservazione). Tacciando di "romanticismo" il movimento possente che si è sviluppato negli USA, in Germania e ultimamente anche in Italia contro le basi nucleari, i berlingueriani pensano di farla da realisti, in realtà si limitano a far cena dovunque caca il capitale. Se le idee critiche emergenti dal movimento non hanno ancora assunto la forma di progetto alternativo e costruttivo, le ragioni sono varie; innanzi tutto il movimento non si è ancora liberato dalle ideologie del passato ma è in via di liberazione, in secondo luogo dopo un secolo di "realismo socialista" l'avventurarsi nel regno del possibile è un'impresa psicologicamente ardua, in terzo luogo la perverzione delle forze produttive è giunta a un tal punto che la "ricostruzione" appare un'opera immane: la distruzione dell'ambiente naturale e sociale operata dal capitalismo è così profonda da ingenerare quasi rassegnazione come di fronte a un processo irreversibile; ma c'è soprattutto una ragione politica: le forze del passato sono bene organizzate e specializzate nell'arte della morte - i lager tedeschi fumano ancora. D'altra parte vi sono ragioni altrettanto decisive per la nascita di questo progetto: se il movimento non saprà proporre a tutto il resto della società il suo progetto per uscire dalla crisi generale ne sarà travolto anch'esso o, il che è lo stesso, le sue idee finiranno coll'essere pervertite lunga canali putridi (basti pensare alla perversione della spinta sessantottesca nei "consigli" fasulli di quartire, di fabbrica, di scuola ecc., il che, a dire il vero, dimostra che i berlingueriani fanno cena anche dove cachiamo noi). Certamente il nostro metodo dielaborazione non dovrà essere quello dei berlingueriani che hanno affidato il loro progetto a medio termine a quattro o cinque "intellettuali superorganici" e l'hanno fatto poi stendere da quel genio leonardesco che è Achille Occhetto, col risultato che ora se ne vergognano e lo fanno leggere solo al vescovo di Ivrea. La presenza critica, costruttiva, utopistica è una condizione necessaria ma non sufficiente, una tale presenza oggi non può diventare egemone se parallelamente ad essa non si sviluppa una presenza critica, negativa, distruttiva dei processi in corso. La critica distruttiva, la critica delle armi è l'unica forza oggi che può rendere credibile e attendibile qualsiasi progetto. Di fronte, il movimento non ha degli interlocutori ma le forze della distruzione e della morte, e quanto più è profonda la crisi economica, sociale, politica e morale tanto più le forze del passato si uniscono nella stretta finale. Lo Stato, per queste forze, è l'ultima spiaggia; il processo di concentrazione deve essere ormai esteso anche alle idee: la classe dei rinnegati, integrandosi, non può lasciare spazi all'opposizione. Checchè ne dicano o ne strillino gli occhettiani nostrani (hanno fatto il vuoto attorno a Bologna, inorriditi dalla "primitività " delle analisi d'oltralpe) in Italia come in Germania è in atto la formazione di maxipartiti o partiti di regime dove "pluralismo" è il classico termine orwelliano per indicare la persistenza di bande che vogliono accaparrarsi o conservare TUTTA la gestione di QUESTO sistema. Le forze sociali e politiche sempre più autonomizzate dalle masse e sempre più dipendenti dallo Stato non hanno altra arma che il "consenso" forzato, imposto col terrore per arginare in qualche maniera l'antagonismo crescente. L'originalità della situazione italiana, rispetto a quella tedesca, ad esempio, è l'ampiezza di questo fronte interno, l'esistenza di un movimento che non isola la guerriglia ma ha anzi un effetto moltiplicatore della sua diffusione. Azione Rivoluzionari è nata con un occhio rivolto all'esperienza della Raf e alle sue analisi dei processi in corso nella Germania Federale e con l'altro ai caratteri e alle forze del movimento in Italia che non trovano espressione armata nelle organizzazioni che attualmente conducono la guerriglia. È una coalizione di forze statutali che va battuta, non una singola forza: le pistolettate contro Ferrero non erano rivolte contro un agente attivo della controguerriglia psicologica, uno dei tanti, ma contro questa coalizione e contro questa campagna di menzogne, calunnie e delazioni con cui si tenta di isolare moralmente e politicamente il movimento, una campagna avviata proprio dal PCI a Bologna e Roma, a sostegno aperto e copertura dei servizi di sicurezza. Lasciare libertà di azione a una delle forze della coalizione significa far funzionare questa nel suo meccanismo essenziale, copertura a sinistra del terrorismo di Stato e azione di recupero delle forze sociali esterne, schiacciate dalla concertazione, una volta private della loro espressione politica. L'opera dei servizi di sicurezza e di Pecchioli per eliminare fisicamente la guerriglia fa tutt'uno con gli appelli di Trombadori e soci per togliere qualasiasi identità politica ai guerriglieri, insieme costoro preparano il terreno ai recuperatori, alle leghe gialle dei disoccupati, al nuovo movimento universitario di Occhetto, alle serenate ai non garantiti di Asor Rosa. Aguzzini e recuperatori svolgono compiti distinti di un progetto comune, di cui si vedono già le sembianze nei supercarceri in costruzione. Non a caso l'eco enorme suscitato dalle pistolettate a Ferrero ha spento l'eco degli attentati al carcere di Livorno e al supercarcere di Firenze. La nuova coalizione si guarda bene ad ostentare, a ludubrio del terrorismo, i gravi danni subiti da un supercarcere: non è ancora giunto il momento di mostrare in pubblico (se verrà mai) le uniche creazioni del compromesso storico: i lager dove potrà assassinare in silenzio i suoi nemici, come il Germania; per il momento si limita ad ostentare le gambe ferite di un suo pennivendolo. Rifiutare quello che abbiamo definito il mito del proletariato industriale - classe rivoluzionaria non significa non condividere le azioni volte ad alleggerire la pressione che il capitale esercita sui lavoratori per conservare il proprio dominio; le azioni volte a punire i disciplinatori o a indebolire l'accumulazione sono fondamentali per permettere alle minoranze rivoluzionarie presenti in fabbrica di prendersi la loro libertà di azione, l'essenziale è che ciò non costituisca un ennesimo tributo al mito e un pericoloso condizionamento al punto di vista "operaio", col risultato di far funzionare il meccanismo essenziale della coalizione. A quanti arricciano il naso (e sono molti nel movimento anarchico) di fronte alla costruzione di un gruppo clandestino, noi rispondiamo che i pericoli di centralizzazione, burocratizzazione e alienazione storicamente si sono rivelati più consistenti nelle organizzazioni "legali" dove addiritttura questi pericoli sono divenuti una solida realtà. A quanti coltivano ancora illusioni non violente, se le nostre argomentazioni non sono state sufficienti, chiarezza sempre maggiore verrà dallo Stato e dal suo apparato terroristico. Per quanto ancora in formazione, le nostre idee organizzative tendono verso un modello noto nel movimento rivoluzionario, sperimentato in Spagna negli anni '30 e adombrato nei "collettivi" e nelle "comuni" dei radicali americani: pensiamo a gruppi di affinità dove i legami tradizionali sono rimpiazzati da rapporti profondamente simpatetici, contraddistinti da un massimo di intimità, conoscenza, fiducia reciproca fra i loro membri. Sia che nascano su basi locali, dall'incontro sperimentato e collaudato di varie storie personali, o su basi diverse, i gruppi devono essere mantenuti neccessariamente piccoli, sia per permettere quelle caratteristiche sia per garantirsi contro le infiltrazioni. Il gruppo di affinità tende da una parte ad eliminare fra i compagni rapporti di pura efficienza, dall'altro ad attenuare la divisione schizzofrenica fra privato e collettivo, una dimensione che è alla base, oltre che delle continue incertezze e degli abbandoni, anche dell'opportunismo e della non trasparenza nei rapporti fra i compagni.  
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