Angelo Sbardellotto: differenze tra le versioni

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[[Guido Leto]], un alto funzionario dell'[[Ovra]], nel suo libro ''L'Ovra'', così descrive Sbardellotto:  
[[Guido Leto]], un alto funzionario dell'[[Ovra]], nel suo libro ''L'Ovra'', così descrive Sbardellotto:  
: «Sbardellotto era un giovanissimo operaio nativo di un comune della provincia di Belluno che era espatriato in Belgio in cerca di lavoro e che, appena cominciò a maturare il progetto di uccidere Mussolini, non scrisse nemmeno più alla madre. Era assolutamente ignoto alla polizia, sia per la sua giovine età, sia perché, all'estero, non si era in alcun modo messo in vista nel campo politico. Era, quindi, nelle più favorevoli condizioni per portare a compimento il progetto che si era prefissato. Venne difatti in Italia e nessuno ne rilevò - e non poteva essere diversamente, diversamente, anche se non avesse usato il passaporto straniero intestato ad altro nominativo - l'ingresso e il soggiorno. Per suggerimento forse avuto da coloro che ne guidarono l'azione e che rimasero sempre ignoti, lo Sbardellotto non prese alloggio a Roma, ma vi giunse il mattino in cui si celebrava, mi pare, una certa cerimonia al Gianicolo, al monumento di Anita Garibaldi. Riteneva, lo Sbardellotto, che ad essa partecipasse Mussolini e forse i giornali ne avevano dato notizia. Egli vi si recò con la ferma intenzione di lanciare le bombe che erano abilmente nascoste nella cintura dei calzoni, opportunamente sagomate, e che erano sfuggite alla visita doganale di frontiera. Non riuscendo, per i servizi d'ordine e per la folla, ad arrivare in prima linea per assicurarsi se Mussolini fosse o meno presente alla cerimonia, ritornò nei pressi di piazza Venezia sperando di cogliere il momento del passaggio della macchina presidenziale per effettuare l'attentato. Senonché a piazza Venezia funzionava con particolare intensità  il servizio generico di vigilanza già  da tempo effettuato, un vero cordone sanitario, sicché, dopo brevissimo tempo che lo Sbardellotto si aggirava, sia pure con aria di innocuo turista, nei dintorni di Palazzo Venezia, fu fermato da un agente e condotto per l'identificazione, come era d'uso, ed eventualmente per una perquisizione nel portone del vicino palazzo Bonaparte, dove funzionava un rudimentale ufficio di PS che era munito di una rubrica speciale col nome di tutte le persone sospette o ritenute capaci di compiere atti di violenza. Lo Sbardellotto era munito di un passaporto svizzero che figurava rilasciato a Bellinzona, ma che presentava qualche grossolana anomalia: sta di fatto che gli agenti operanti si accinsero a fare una perquisizione personale che fruttò l'immediato rinvenimento di due bombe e di una pistola carica e pronta al fuoco. Lo Sbardellotto fu subito tradotto in questura, che aveva allora sede nelle immediate vicinanze di palazzo Venezia, al Collegio Romano, e sottoposto a rapido interrogatorio d'identità . Dopo qualche schermaglia, egli ebbe a dichiarare che il passaporto era falso, che egli non era affatto ticinese ma italiano, che era anarchico e che era venuto in Italia dal Belgio per uccidere Mussolini».
: «Sbardellotto era un giovanissimo operaio nativo di un comune della provincia di Belluno che era espatriato in Belgio in cerca di lavoro e che, appena cominciò a maturare il progetto di uccidere Mussolini, non scrisse nemmeno più alla madre. Era assolutamente ignoto alla polizia, sia per la sua giovine età, sia perché, all'estero, non si era in alcun modo messo in vista nel campo politico. Era, quindi, nelle più favorevoli condizioni per portare a compimento il progetto che si era prefissato. Venne difatti in Italia e nessuno ne rilevò - e non poteva essere diversamente, diversamente, anche se non avesse usato il passaporto straniero intestato ad altro nominativo - l'ingresso e il soggiorno. Per suggerimento forse avuto da coloro che ne guidarono l'azione e che rimasero sempre ignoti, lo Sbardellotto non prese alloggio a Roma, ma vi giunse il mattino in cui si celebrava, mi pare, una certa cerimonia al Gianicolo, al monumento di Anita Garibaldi. Riteneva, lo Sbardellotto, che ad essa partecipasse Mussolini e forse i giornali ne avevano dato notizia. Egli vi si recò con la ferma intenzione di lanciare le bombe che erano abilmente nascoste nella cintura dei calzoni, opportunamente sagomate, e che erano sfuggite alla visita doganale di frontiera. Non riuscendo, per i servizi d'ordine e per la folla, ad arrivare in prima linea per assicurarsi se Mussolini fosse o meno presente alla cerimonia, ritornò nei pressi di piazza Venezia sperando di cogliere il momento del passaggio della macchina presidenziale per effettuare l'attentato. Senonché a piazza Venezia funzionava con particolare intensità  il servizio generico di vigilanza già  da tempo effettuato, un vero cordone sanitario, sicché, dopo brevissimo tempo che lo Sbardellotto si aggirava, sia pure con aria di innocuo turista, nei dintorni di Palazzo Venezia, fu fermato da un agente e condotto per l'identificazione, come era d'uso, ed eventualmente per una perquisizione nel portone del vicino palazzo Bonaparte, dove funzionava un rudimentale ufficio di PS che era munito di una rubrica speciale col nome di tutte le persone sospette o ritenute capaci di compiere atti di violenza. Lo Sbardellotto era munito di un passaporto svizzero che figurava rilasciato a Bellinzona, ma che presentava qualche grossolana anomalia: sta di fatto che gli agenti operanti si accinsero a fare una perquisizione personale che fruttò l'immediato rinvenimento di due bombe e di una pistola carica e pronta al fuoco. Lo Sbardellotto fu subito tradotto in questura, che aveva allora sede nelle immediate vicinanze di palazzo Venezia, al Collegio Romano, e sottoposto a rapido interrogatorio d'identità. Dopo qualche schermaglia, egli ebbe a dichiarare che il passaporto era falso, che egli non era affatto ticinese ma italiano, che era anarchico e che era venuto in Italia dal Belgio per uccidere Mussolini».


La relativa facilità  con cui Angelo Sbardellotto entrò in [[Italia]] mise in crisi profondamente la direzione della polizia [[fascismo|fascista]], infatti Leto, riferendosi a Bocchini (il capo della polizia), scrive: «Temeva sempre l'attentato politico come l'unica cosa seria a cui dovesse provvedere. Egli non considerò mai un pericolo per il regime fascista le discussioni o la propaganda scritta o verbale di tutta la gamma degli antifascisti verso cui fu sempre tollerante. (!) Bocchini, invece, fu sempre attentissimo alle voci, anche le più inverosimili e più stravaganti, che si riferissero a propositi violenti contro Mussolini. E su questo tasto, con noi, suoi collaboratori, fu sempre ossessionante».
La relativa facilità  con cui Angelo Sbardellotto entrò in [[Italia]] mise in crisi profondamente la direzione della polizia [[fascismo|fascista]], infatti Leto, riferendosi a Bocchini (il capo della polizia), scrive: «Temeva sempre l'attentato politico come l'unica cosa seria a cui dovesse provvedere. Egli non considerò mai un pericolo per il regime fascista le discussioni o la propaganda scritta o verbale di tutta la gamma degli antifascisti verso cui fu sempre tollerante. (!) Bocchini, invece, fu sempre attentissimo alle voci, anche le più inverosimili e più stravaganti, che si riferissero a propositi violenti contro Mussolini. E su questo tasto, con noi, suoi collaboratori, fu sempre ossessionante».
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