Anarchismo e Politica: La revisione di Berneri: differenze tra le versioni

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Sostituzione testo - "dopo-guerra" con "dopoguerra"
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I marxisti sono i giacobini del socialismo e se Stalin è Napoleone, Lenin è Robespierre: "Chi dice «Stato proletario» dice «capitalismo di Stato»; chi dice «dittatura del proletariato» dice «dittatura del Partito Comunista»; che dice «governo forte» dice «oligarchia zarista» di politicanti. Leninisti, trotskisti, bordighisti, centristi non sono divisi che da diverse concezioni tattiche. Tutti i bolscevichi, a qualunque corrente o frazione essi appartengano, sono dei fautori della dittatura politica e del socialismo di Stato. Tutti sono uniti dalla formula: «dittatura del proletariato», equivoca formula corrispondente al «popolo sovrano» del giacobinismo. Qualunque sia il giacobinismo, esso è destinato a deviare la rivoluzione sociale. E quando questa devia, si profila l'ombra di un Bonaparte. Bisogna essere ciechi per non vedere che il bonapartismo stalinista non è che l'ombra fattasi vivente del dittatorialismo leninista” (...).
I marxisti sono i giacobini del socialismo e se Stalin è Napoleone, Lenin è Robespierre: "Chi dice «Stato proletario» dice «capitalismo di Stato»; chi dice «dittatura del proletariato» dice «dittatura del Partito Comunista»; che dice «governo forte» dice «oligarchia zarista» di politicanti. Leninisti, trotskisti, bordighisti, centristi non sono divisi che da diverse concezioni tattiche. Tutti i bolscevichi, a qualunque corrente o frazione essi appartengano, sono dei fautori della dittatura politica e del socialismo di Stato. Tutti sono uniti dalla formula: «dittatura del proletariato», equivoca formula corrispondente al «popolo sovrano» del giacobinismo. Qualunque sia il giacobinismo, esso è destinato a deviare la rivoluzione sociale. E quando questa devia, si profila l'ombra di un Bonaparte. Bisogna essere ciechi per non vedere che il bonapartismo stalinista non è che l'ombra fattasi vivente del dittatorialismo leninista” (...).
Nell'illusoria “scientificità” del meccanicismo economicista, nella subordinazione di ciò che è affatto “sovrastrutturale”, nel machiavellismo spregiudicato sempre pronto alla “conversione” dei principi a seconda della convenienza del momento, nella riduzione della libertà a “concetto borghese”, il marxismo teorizzato ed applicato tradisce tutti i suoi vizi.  
Nell'illusoria “scientificità” del meccanicismo economicista, nella subordinazione di ciò che è affatto “sovrastrutturale”, nel machiavellismo spregiudicato sempre pronto alla “conversione” dei principi a seconda della convenienza del momento, nella riduzione della libertà a “concetto borghese”, il marxismo teorizzato ed applicato tradisce tutti i suoi vizi.  
Berneri denuncia di concerto la discriminazione del “popolo non operaio” ed all'interno di questo verso le masse contadine, peraltro a volte più combattive di quelle industriali: “Durante la settimana Rossa i centri industriali si mantennero fermi. Durante l'agitazione interventista, i centri industriali furono al di sotto delle campagne nelle manifestazioni antiguerresche. Durante le agitazioni del dopo-guerra i centri industriali furono i più lenti a rispondere. Contro il fascismo nessun centro industriale insorse come Parma, come Firenze e come Ancona, e la massa operaia non ha dato alcun episodio collettivo di tenacia e di spirito di sacrificio che eguagli quello di Molinella.  Gli scioperi agrari del modenese e del parmense rimangono, nella storia della guerra di classe italiana, le sole pagine epiche. E le figure più generose di organizzatori operai le hanno date le Puglie. Ma tutto questo è misconosciuto. Si scrive e si parla dell'occupazione delle fabbriche, e quella delle terre, ben più grandiosa come importanza, è quasi dimenticata. Si esalta il proletariato industriale, mentre ognuno di noi, se ha vissuto e lottato nelle regioni eminentemente agricole, sa che le campagne hanno sempre alimentato le agitazioni politiche d'avanguardia delle città e hanno sempre dato prova, nel campo sindacale in ispecie, di generosa combattività” (...).
Berneri denuncia di concerto la discriminazione del “popolo non operaio” ed all'interno di questo verso le masse contadine, peraltro a volte più combattive di quelle industriali: “Durante la settimana Rossa i centri industriali si mantennero fermi. Durante l'agitazione interventista, i centri industriali furono al di sotto delle campagne nelle manifestazioni antiguerresche. Durante le agitazioni del dopoguerra i centri industriali furono i più lenti a rispondere. Contro il fascismo nessun centro industriale insorse come Parma, come Firenze e come Ancona, e la massa operaia non ha dato alcun episodio collettivo di tenacia e di spirito di sacrificio che eguagli quello di Molinella.  Gli scioperi agrari del modenese e del parmense rimangono, nella storia della guerra di classe italiana, le sole pagine epiche. E le figure più generose di organizzatori operai le hanno date le Puglie. Ma tutto questo è misconosciuto. Si scrive e si parla dell'occupazione delle fabbriche, e quella delle terre, ben più grandiosa come importanza, è quasi dimenticata. Si esalta il proletariato industriale, mentre ognuno di noi, se ha vissuto e lottato nelle regioni eminentemente agricole, sa che le campagne hanno sempre alimentato le agitazioni politiche d'avanguardia delle città e hanno sempre dato prova, nel campo sindacale in ispecie, di generosa combattività” (...).
Per il lodigiano, sono sbagliate ed ingiuste le discriminazioni aprioristiche anche contro il ceto medio e medio-basso: “(...) La realtà è la classe sfaccettata in ceti, la classe eterogenea socialmente e psicologicamente” (...).
Per il lodigiano, sono sbagliate ed ingiuste le discriminazioni aprioristiche anche contro il ceto medio e medio-basso: “(...) La realtà è la classe sfaccettata in ceti, la classe eterogenea socialmente e psicologicamente” (...).
“Tutti gli uomini hanno bisogno di essere redenti da altri e da se stessi. Il proletariato è stato, è e sarà più che mai il fattore storico di questa universale emancipazione. Ma lo sarà tanto più quanto meno sarà fuorviato dalla demagogia che lo indora e ne diffida, che lo dice Dio per trattarlo da pecora, che gli pone sul capo una corona di cartapesta e lo lusinga perfidiosamente per conservare, o per conquistare, su di lui il dominio” (...).
“Tutti gli uomini hanno bisogno di essere redenti da altri e da se stessi. Il proletariato è stato, è e sarà più che mai il fattore storico di questa universale emancipazione. Ma lo sarà tanto più quanto meno sarà fuorviato dalla demagogia che lo indora e ne diffida, che lo dice Dio per trattarlo da pecora, che gli pone sul capo una corona di cartapesta e lo lusinga perfidiosamente per conservare, o per conquistare, su di lui il dominio” (...).
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