Anarchismo e Politica: La revisione di Berneri: differenze tra le versioni

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Sostituzione testo - "Elisée Reclus" con "Élisée Reclus"
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==L'etnocentrismo marxista==
==L'etnocentrismo marxista==
Marx credette che il raggiungimento di un'organizzazione statuale fosse sinonimo di sviluppo e relegò – nella fase dell'etnocentrismo occidentale cresciuta all'ombra dell'industrialesimo – le cosiddette realtà "tribali" ad un ruolo secondario ed arcaico, intanto perché solo con lo stato si produrrebbe oltre la quota determinata dai bisogni primari. Ma, discutibilità del dato a parte – le popolazioni "primitive" producono anche beni per soddisfare le pulsioni ludiche e lo scambio – è nella diversa cultura e qualità della vita che va ricercato il loro “topos” sociale: nel collettivismo, nella gestione comunitaria e nella riduzione del potere dei “capi” al solo momento della difesa. L'etnologia libertaria è di tutto rispetto, ma quanti conoscono La società contro lo stato (Feltrinelli, 1977) di Pierre Clastres? Eppure la concezione etnocentrica deriva da quella antropocentrica. Oggi denunciamo, con Bookchin, il presunto diritto al dominio totale dell'essere umano sulla natura come retaggio della concezione aristotelica e della Bibbia (o, se si preferisce, della sua “vulgata”). Tale autorità assoluta è affatto scontata nella filosofia dell'uomo in natura e certamente prelude al dominio di gruppi umani su propri pari, giustificandone la reificazione, per analogia, al ruolo dell'animale, considerato, più ancora che subordinato, quale “cosa” senza spirito senziente.  
Marx credette che il raggiungimento di un'organizzazione statuale fosse sinonimo di sviluppo e relegò – nella fase dell'etnocentrismo occidentale cresciuta all'ombra dell'industrialesimo – le cosiddette realtà "tribali" ad un ruolo secondario ed arcaico, intanto perché solo con lo stato si produrrebbe oltre la quota determinata dai bisogni primari. Ma, discutibilità del dato a parte – le popolazioni "primitive" producono anche beni per soddisfare le pulsioni ludiche e lo scambio – è nella diversa cultura e qualità della vita che va ricercato il loro “topos” sociale: nel collettivismo, nella gestione comunitaria e nella riduzione del potere dei “capi” al solo momento della difesa. L'etnologia libertaria è di tutto rispetto, ma quanti conoscono La società contro lo stato (Feltrinelli, 1977) di Pierre Clastres? Eppure la concezione etnocentrica deriva da quella antropocentrica. Oggi denunciamo, con Bookchin, il presunto diritto al dominio totale dell'essere umano sulla natura come retaggio della concezione aristotelica e della Bibbia (o, se si preferisce, della sua “vulgata”). Tale autorità assoluta è affatto scontata nella filosofia dell'uomo in natura e certamente prelude al dominio di gruppi umani su propri pari, giustificandone la reificazione, per analogia, al ruolo dell'animale, considerato, più ancora che subordinato, quale “cosa” senza spirito senziente.  
In sostanza, la subordinazione assoluta della natura incardina un precedente, dal quale, gradualmente, si passa con facilità all'etnocentrismo, allo schiavismo, al razzismo. A tali conclusioni era già giunto, peraltro, e nell'800, Elisée Reclus: "C'è tanta differenza fra il cadavere di un bue e quello di un uomo? L'abbattimento del primo facilita la distruzione del secondo". Oggi possiamo affermare a ragion veduta, con Adorno, che: "Dire: «Tanto è solo un cane»”, non è che il primo passo per dire: “«Tanto è solo un ebreo»". D'altronde, Reclus può ben dirsi un precursore del pensiero ecologico, avendo affermato per primo che: "L'uomo è la natura che prende coscienza di se stessa".  
In sostanza, la subordinazione assoluta della natura incardina un precedente, dal quale, gradualmente, si passa con facilità all'etnocentrismo, allo schiavismo, al razzismo. A tali conclusioni era già giunto, peraltro, e nell'800, Élisée Reclus: "C'è tanta differenza fra il cadavere di un bue e quello di un uomo? L'abbattimento del primo facilita la distruzione del secondo". Oggi possiamo affermare a ragion veduta, con Adorno, che: "Dire: «Tanto è solo un cane»”, non è che il primo passo per dire: “«Tanto è solo un ebreo»". D'altronde, Reclus può ben dirsi un precursore del pensiero ecologico, avendo affermato per primo che: "L'uomo è la natura che prende coscienza di se stessa".  
Non può sfuggire come lo sfruttamento smisurato delle materie prime e delle risorse (rinnovabili e non), nonché il quasi totale disinteresse per le leggi di natura – una congiuntura che sta portando il pianeta al collasso – abbiano molto a che fare con tale arroganza antropocentrica. La ricerca di Marx, indirizzata prevalentemente verso la “struttura” economica produttiva, intesa quale volano di sviluppo del proletariato (la futura “classe egemone”), ha lasciato in ombra elementi fondamentali e di cultura, a torto ritenuti “sovrastrutturali”, facendo del marxismo un'ideologia collaterale e del tutto compatibile con lo sviluppo (ed il sottosviluppo) capitalistico e industrialista. La deviazione ha poi raggiunto il suo apice nell'operaiolatria (ben denunciata da Berneri) e nel culto del produttivismo (stakanovismo). La sinistra ha così accumulato anni luce di ritardo in un campo strategico dell'analisi sociale. Un ritardo da recuperare in fretta, se si vuole che i movimenti di liberazione espressi dal Terzo Mondo – laddove non siano segnati da tendenze retrive e passatiste come l'integralismo islamico – vengano valorizzati per il contenuto di “novità” ecologica ed eco-sociale che rappresentano, anziché spinti a terminare il loro percorso ancora una volta nell'imbuto del neo-stalinismo marxista leninista dal quale sono sempre corteggiati ed infiltrati. Anche rispetto alla questione degli immigrati, non esiste solo l'arrogante pretesa a matrice liberista di un'assoluta “integrazione” delle culture altre, bensì pure il rischio di una semplicistica omologazione agli stereotipi marxiani.
Non può sfuggire come lo sfruttamento smisurato delle materie prime e delle risorse (rinnovabili e non), nonché il quasi totale disinteresse per le leggi di natura – una congiuntura che sta portando il pianeta al collasso – abbiano molto a che fare con tale arroganza antropocentrica. La ricerca di Marx, indirizzata prevalentemente verso la “struttura” economica produttiva, intesa quale volano di sviluppo del proletariato (la futura “classe egemone”), ha lasciato in ombra elementi fondamentali e di cultura, a torto ritenuti “sovrastrutturali”, facendo del marxismo un'ideologia collaterale e del tutto compatibile con lo sviluppo (ed il sottosviluppo) capitalistico e industrialista. La deviazione ha poi raggiunto il suo apice nell'operaiolatria (ben denunciata da Berneri) e nel culto del produttivismo (stakanovismo). La sinistra ha così accumulato anni luce di ritardo in un campo strategico dell'analisi sociale. Un ritardo da recuperare in fretta, se si vuole che i movimenti di liberazione espressi dal Terzo Mondo – laddove non siano segnati da tendenze retrive e passatiste come l'integralismo islamico – vengano valorizzati per il contenuto di “novità” ecologica ed eco-sociale che rappresentano, anziché spinti a terminare il loro percorso ancora una volta nell'imbuto del neo-stalinismo marxista leninista dal quale sono sempre corteggiati ed infiltrati. Anche rispetto alla questione degli immigrati, non esiste solo l'arrogante pretesa a matrice liberista di un'assoluta “integrazione” delle culture altre, bensì pure il rischio di una semplicistica omologazione agli stereotipi marxiani.


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