Alceste De Ambris: differenze tra le versioni

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Il [[12 novembre]] [[1920]], in piena notte, l'[[Italia]] e la [[Jugoslavia]] firmavano un trattato che prenderà il nome di Trattato di Rapallo. Per la parte Italiana erano presenti il ministro degli Esteri Sforza, il ministro della guerra Bonomi, cui si aggiunse, a chiusura del negoziato, Giolitti. Con questo trattato il confine tra i due paesi veniva fissato sulle Alpi Giulie seguendo quasi completamente la linea prevista dal Patto di Londra. Fiume veniva proclamata Stato indipendente, con una stretta linea litoranea in continuità territoriale con l'Italia. Tutta la Dalmazia, ad eccezione di Zara e di qualche altra piccola porzione di territorio, veniva assegnata alla Jugoslavia. La reazione di D'Annunzio alla notizia del patto fu furibonda. Dichiarò di non riconoscere il trattato che giudicava un tradimento. «Per Fiume il comandante giurò di voler continuare la lotta fino alla vittoria poiché la Reggenza del Carnaro aveva lo scopo di rendere "inoppugnabile" l'annessione della città all'Italia. "Il mio gioco tremendo  [dichiarò] è già disposto, mentre il compiacimento italiano è leggero e avrà il suo castigo"». <ref>Antonio Spinosa. Op.cit.</ref>
Il [[12 novembre]] [[1920]], in piena notte, l'[[Italia]] e la [[Jugoslavia]] firmavano un trattato che prenderà il nome di Trattato di Rapallo. Per la parte Italiana erano presenti il ministro degli Esteri Sforza, il ministro della guerra Bonomi, cui si aggiunse, a chiusura del negoziato, Giolitti. Con questo trattato il confine tra i due paesi veniva fissato sulle Alpi Giulie seguendo quasi completamente la linea prevista dal Patto di Londra. Fiume veniva proclamata Stato indipendente, con una stretta linea litoranea in continuità territoriale con l'Italia. Tutta la Dalmazia, ad eccezione di Zara e di qualche altra piccola porzione di territorio, veniva assegnata alla Jugoslavia. La reazione di D'Annunzio alla notizia del patto fu furibonda. Dichiarò di non riconoscere il trattato che giudicava un tradimento. «Per Fiume il comandante giurò di voler continuare la lotta fino alla vittoria poiché la Reggenza del Carnaro aveva lo scopo di rendere "inoppugnabile" l'annessione della città all'Italia. "Il mio gioco tremendo  [dichiarò] è già disposto, mentre il compiacimento italiano è leggero e avrà il suo castigo"». <ref>Antonio Spinosa. Op.cit.</ref>
I legionari dannunziani furono mobilitati e occuparono due piccole isole che in base agli accordi di Rapallo dovevano essere cedute alla Jugoslavia. Furono fatte altre azioni, più che altro dimostrative, che non avevano comportato spargimento di sangue e che erano avvenute con la connivenza  delle truppe regolari italiane che presidiavano quei territori. Si sparse la voce che il Comandante avesse intenzione addirittura di attaccare direttamente la Jugoslavia. Era naturalmente qualcosa di assolutamente improbabile data la situazione delle truppe di [[Impresa di Fiume|Fiume]] assai poco preparate all'impresa e prive di armamenti adeguati. Gli atteggiamenti e i proclami di D'Annunzio apparivano ormai velleitari, il Comandante si era posto in una situazione di progressivo isolamento avendo condotto queste ultime azioni militari in assoluta autonomia senza concordarle con gli organismi della Reggenza.
I legionari dannunziani furono mobilitati e occuparono due piccole isole che in base agli accordi di Rapallo dovevano essere cedute alla Jugoslavia. Furono fatte altre azioni, più che altro dimostrative, che non avevano comportato spargimento di sangue e che erano avvenute con la connivenza  delle truppe regolari italiane che presidiavano quei territori. Si sparse la voce che il Comandante avesse intenzione addirittura di attaccare direttamente la Jugoslavia. Era naturalmente qualcosa di assolutamente improbabile data la situazione delle truppe di [[Impresa di Fiume|Fiume]] assai poco preparate all'impresa e prive di armamenti adeguati. Gli atteggiamenti e i proclami di D'Annunzio apparivano ormai velleitari, il Comandante si era posto in una situazione di progressivo isolamento avendo condotto queste ultime azioni militari in assoluta autonomia senza concordarle con gli organismi della Reggenza.
Mussolini, che aveva sempre tenuto un atteggiamento opportunista e ambiguo nei confronti di D'Annunzio, scrisse un articolo di fondo sul suo giornale che approvava nella sostanza le decisioni del Trattato di Rapallo e comunque non riteneva il suo movimento ancora abbastanza forte per impegnarsi in un impresa che avrebbe messo in discussione il potere del governo centrale di Roma. «Perfino De Ambris, che però da un mese si era alquanto allontanato dal Comandante con una brusca lettera, era favorevole allo Stato libero. "'''I fiumani sono in complesso per l'accettazione del Trattato di Rapallo. In Italia domina lo stesso sentimento, anche negli amici più fedeli, i quali non lo dicono apertamente per non aver l'aria di abbandonarci, ma sono assai scarsamente convinti delle possibilità di una resistenza efficace"'''». <ref>Antonio Spinosa.Op.cit.</ref>
Mussolini, che aveva sempre tenuto un atteggiamento opportunista e ambiguo nei confronti di D'Annunzio, scrisse un articolo di fondo sul suo giornale che approvava nella sostanza le decisioni del Trattato di Rapallo e comunque non riteneva il suo movimento ancora abbastanza forte per impegnarsi in un impresa che avrebbe messo in discussione il potere del governo centrale di Roma. «Perfino De Ambris, che però da un mese si era alquanto allontanato dal Comandante con una brusca lettera, era favorevole allo Stato libero. "'''I fiumani sono in complesso per l'accettazione del Trattato di Rapallo. In Italia domina lo stesso sentimento, anche negli amici più fedeli, i quali non lo dicono apertamente per non aver l'aria di abbandonarci, ma sono assai scarsamente convinti delle possibilità di una resistenza efficace"'''». <ref>Antonio Spinosa.Op.cit.</ref>


== Il Fascismo al potere ==
== Il Fascismo al potere ==
In occasione del Congresso del Partito, riunitosi a Napoli il [[24 ottobre]] [[1922]], erano presenti 40.000 miliziani in divisa ad accogliere il Duce. Al Teatro San Carlo Mussolini pronunciò un discorso alla presenza non solo dei militanti fascisti ma anche delle autorità locali, di deputati e senatori dei partiti governativi e membri delle professioni liberali e dei circoli industriali, intellettuali come il filosofo e storico [[Benedetto Croce]]. Ricordò con forza quali fossero le rivendicazioni minime dei fascisti: riforma elettorale, scioglimento immediato della Camera, nuove elezioni e formazione di un governo nel quale il [[fascismo|PNF]] doveva detenere gli Affari Esteri, l'Interno, la Guerra, la Marina e i Lavori Pubblici. «Noi fascisti, gridò tra gli Evviva, non intendiamo andare al potere per la porta di servizio; noi fascisti, non intendiamo rinunciare alla nostra formidabile primogenitura ideale per un piatto di lenticchie ministeriali.» <ref>''Il Popolo D'Italia'', 25 ottobre 1922. Citato da Pierre Milza.'' Mussolini''. La Biblioteca di Repubblica.</ref> Nel pomeriggio dello stesso giorno, dopo averle passate in rivista, si mise alla testa delle legioni per una sfilata di parecchie ore per le vie di Napoli, poi pronunciò un nuovo discorso in piazza del Plebiscito. Spinto dall'entusiasmo della folla, alla fine pronunciò le parole che tutti si aspettavano di ascoltare: «Insomma o ci danno il potere o scendiamo su Roma.» <ref>Pierre Milza. Op.cit.</ref> La sera stessa, in una riunione dei capi fascisti all'Hotel Vesuvio, si cominciò a discutere del piano. Il quadrunvirato formato da Bianchi, Balbo, De Bono e De Vecchi dalla città di Perugia avrebbe assunto tutti i poteri. La mobilitazione sarebbe iniziata il 27 e, una volta occupate le località chiave, il 28 avrebbe avuto luogo la marcia su Roma. Qualche mese prima, a Milano, D'Annunzio aveva tenuto un discorso dal balcone di palazzo Marino, sede del Comune a maggioranza socialista e che da poche ore era stato occupato dai fascisti. Nonostante le intenzioni del comandante fossero quelle di favorire l'unione delle forze operaie e militari per il bene nazionale che superasse l'interesse delle fazioni e quindi di una convergenza tra l'azione dei fascisti e dei [[Impresa di Fiume|legionari fiumani]] per realizzare una repubblica che si ispirasse ai valori sanciti nella [[Impresa di Fiume|Reggenza di Fiume]], molti interpretarono quell'intervento come una adesione del poeta al fascismo. De Ambris aveva tentato in tutti i modi di convincere D'Annunzio a mettersi alla testa di un movimento che raccogliesse quelle forze che si erano mobilitate per Fiume cercando di coinvolgere le associazioni degli arditi e quelle dei legionari che non si erano lasciate sedurre dalla superiore capacità del fascismo all'azione e alla mobilitazione dei suoi militanti. Le tante esitazioni e contraddizioni del comandante avevano resi sterili tutti i suoi tentativi. Quando poi l'11 ottobre dopo un incontro a Gardone con Mussolini, D'Annunzio aveva suggerito e accettato le dimissioni del comitato centrale della federazione dei Legionari e aveva mandato l'ordine di scioglimento delle squadre legionarie «per eliminare ogni dubbio sul possibile carattere socialistico della marcia, non turbare la famiglia reale e scongiurare l'intervento dell'esercito» <ref>Serventi Longhi. Op.cit.</ref> la disillusione di De Ambris nei suoi confronti fu totale e capì che ormai la strada, per la presa del potere da parte del Fascismo, era spianata. De Ambris, che dopo la parentesi dell'impresa di Fiume, era tornato all sua militanza sindacalista ed era stato nuovcamente eletto segretario della Camera del Lavoro di Parma, aveva cercato di veicolare all'interno della sua organizzazione e del movimento operaio più in generale, i contenuti legionari e la nuova cultura civile dannunziana come egli l'intendeva. Si trattava, in fondo, di continuare la sua opera di orientamento del movimento dannunziano verso contenuti nazionali, repubblicani, sindacalisti sulla base degli intenti della Carta del Carnaro. Egli aveva sempre pensato a D'Annunzio come ad un'alternativa a Mussolini e non poteva quindi, una volta venuta meno questa opzione, aderire al [[Fascismo]]. Molto tempo era passato dalla fondazione-da parte dei sindacalisti- dei primi Fasci di combattimento di cui egli aveva contribuito a scrivere il programma, pur senza aderirvi. Nel suo percorso verso la presa del potere il [[Fascismo]] per combattere la [[bolscevismo|sovversione bolscevica]] era diventato antisocialista, per non urtare l'esercito fortemente devoto, nella maggior parte delle sue componenti al Re, da repubblicano si era fatto monarchico, da movimento rivoluzionario contrario ai partiti conservatori tradizionali era diventato parlamentarista disposto ai compromessi con le forze liberali e reazionarie. Da ciò la decisione di De Ambris di disimpegnarsi nella vita politica italiana.
In occasione del Congresso del Partito, riunitosi a Napoli il [[24 ottobre]] [[1922]], erano presenti 40.000 miliziani in divisa ad accogliere il Duce. Al Teatro San Carlo Mussolini pronunciò un discorso alla presenza non solo dei militanti fascisti ma anche delle autorità locali, di deputati e senatori dei partiti governativi e membri delle professioni liberali e dei circoli industriali, intellettuali come il filosofo e storico [[Benedetto Croce]]. Ricordò con forza quali fossero le rivendicazioni minime dei fascisti: riforma elettorale, scioglimento immediato della Camera, nuove elezioni e formazione di un governo nel quale il [[fascismo|PNF]] doveva detenere gli Affari Esteri, l'Interno, la Guerra, la Marina e i Lavori Pubblici. «Noi fascisti, gridò tra gli Evviva, non intendiamo andare al potere per la porta di servizio; noi fascisti, non intendiamo rinunciare alla nostra formidabile primogenitura ideale per un piatto di lenticchie ministeriali.» <ref>''Il Popolo D'Italia'', 25 ottobre 1922. Citato da Pierre Milza.'' Mussolini''. La Biblioteca di Repubblica.</ref> Nel pomeriggio dello stesso giorno, dopo averle passate in rivista, si mise alla testa delle legioni per una sfilata di parecchie ore per le vie di Napoli, poi pronunciò un nuovo discorso in piazza del Plebiscito. Spinto dall'entusiasmo della folla, alla fine pronunciò le parole che tutti si aspettavano di ascoltare: «Insomma o ci danno il potere o scendiamo su Roma.» <ref>Pierre Milza. Op.cit.</ref> La sera stessa, in una riunione dei capi fascisti all'Hotel Vesuvio, si cominciò a discutere del piano. Il quadrunvirato formato da Bianchi, Balbo, De Bono e De Vecchi dalla città di Perugia avrebbe assunto tutti i poteri. La mobilitazione sarebbe iniziata il 27 e, una volta occupate le località chiave, il 28 avrebbe avuto luogo la marcia su Roma. Qualche mese prima, a Milano, D'Annunzio aveva tenuto un discorso dal balcone di palazzo Marino, sede del Comune a maggioranza socialista e che da poche ore era stato occupato dai fascisti. Nonostante le intenzioni del comandante fossero quelle di favorire l'unione delle forze operaie e militari per il bene nazionale che superasse l'interesse delle fazioni e quindi di una convergenza tra l'azione dei fascisti e dei [[Impresa di Fiume|legionari fiumani]] per realizzare una repubblica che si ispirasse ai valori sanciti nella [[Impresa di Fiume|Reggenza di Fiume]], molti interpretarono quell'intervento come una adesione del poeta al fascismo. De Ambris aveva tentato in tutti i modi di convincere D'Annunzio a mettersi alla testa di un movimento che raccogliesse quelle forze che si erano mobilitate per Fiume cercando di coinvolgere le associazioni degli arditi e quelle dei legionari che non si erano lasciate sedurre dalla superiore capacità del fascismo all'azione e alla mobilitazione dei suoi militanti. Le tante esitazioni e contraddizioni del comandante avevano resi sterili tutti i suoi tentativi. Quando poi l'11 ottobre dopo un incontro a Gardone con Mussolini, D'Annunzio aveva suggerito e accettato le dimissioni del comitato centrale della federazione dei Legionari e aveva mandato l'ordine di scioglimento delle squadre legionarie «per eliminare ogni dubbio sul possibile carattere socialistico della marcia, non turbare la famiglia reale e scongiurare l'intervento dell'esercito» <ref>Serventi Longhi. Op.cit.</ref> la disillusione di De Ambris nei suoi confronti fu totale e capì che ormai la strada, per la presa del potere da parte del Fascismo, era spianata. De Ambris, che dopo la parentesi dell'impresa di Fiume, era tornato all sua militanza sindacalista ed era stato nuovcamente eletto segretario della Camera del Lavoro di Parma, aveva cercato di veicolare all'interno della sua organizzazione e del movimento operaio più in generale, i contenuti legionari e la nuova cultura civile dannunziana come egli l'intendeva. Si trattava, in fondo, di continuare la sua opera di orientamento del movimento dannunziano verso contenuti nazionali, repubblicani, sindacalisti sulla base degli intenti della Carta del Carnaro. Egli aveva sempre pensato a D'Annunzio come ad un'alternativa a Mussolini e non poteva quindi, una volta venuta meno questa opzione, aderire al [[Fascismo]]. Molto tempo era passato dalla fondazione-da parte dei sindacalisti- dei primi Fasci di combattimento di cui egli aveva contribuito a scrivere il programma, pur senza aderirvi. Nel suo percorso verso la presa del potere il [[Fascismo]] per combattere la [[bolscevismo|sovversione bolscevica]] era diventato antisocialista, per non urtare l'esercito fortemente devoto, nella maggior parte delle sue componenti al Re, da repubblicano si era fatto monarchico, da movimento rivoluzionario contrario ai partiti conservatori tradizionali era diventato parlamentarista disposto ai compromessi con le forze liberali e reazionarie. Da ciò la decisione di De Ambris di disimpegnarsi nella vita politica italiana.


'''«Ho deciso di astenermi per ora, e finché non veda più chiaro nelle faccende italiane - da ogni partecipazione alla vita politica - che non ho più alcuna fiducia in un'azione svolta sotto l'egida del nome di D'Annunzio, la cui condotta perpetuamente oscillante ed ambigua, riesce incomprensibile e sembra fatta apposta per disorientare e scoraggiare anche i più volonterosi... Perciò non voglio assolutamente più saperne di seguire l'''uomo''; che si dimostra così inferiore al compito assuntosi... »''' <ref>Serventi Longhi Op. cit. ''Alceste De Ambris a Umberto Calosci'', Parigi,10 agosto 1923, in Archivio Guastoni - De Ambris </ref>
'''«Ho deciso di astenermi per ora, e finché non veda più chiaro nelle faccende italiane - da ogni partecipazione alla vita politica - che non ho più alcuna fiducia in un'azione svolta sotto l'egida del nome di D'Annunzio, la cui condotta perpetuamente oscillante ed ambigua, riesce incomprensibile e sembra fatta apposta per disorientare e scoraggiare anche i più volonterosi... Perciò non voglio assolutamente più saperne di seguire l'''uomo''; che si dimostra così inferiore al compito assuntosi... »''' <ref>Serventi Longhi Op. cit. ''Alceste De Ambris a Umberto Calosci'', Parigi,10 agosto 1923, in Archivio Guastoni - De Ambris </ref>
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== l'antifascismo di De Ambris ==
== l'antifascismo di De Ambris ==
De Ambris espresse la natura del suo antifascismo in un noto articolo: ''l'evolution du Fascisme'' pubblicato su ''Le Mercure de France'' nel numero del 15 febbraio-15 marzo 1923. <ref>Serventi Longhi Op.cit.</ref> In questo articolo il sindacalista denuncia la degenerazione violenta e classista del [[Fascismo]] e il suo carattere reazionario. Riconosce al movimento il merito di avere in un primo tempo combattuto vittoriosamente il bolscevismo italiano ma dichiara che già all'epoca si intravvedevano le contraddizioni che avrebbero minato il futuro del nuovo partito di governo che egli individuava nell''''«ambiguità che gli ha permesso di dichiararsi a parole ultraindividualista e di appoggiarsi di fatto alle masse organizzate, di disprezzare verbalmente il parlamentarismo e di cercare di conquistare seggi elettorali, di esaltare lo Stato forte e di farsene beffa violando continuamente e impunemente le sue leggi, di predicare la disciplina assoluta e quasi mistica e di tollerare nei suoi ranghi la più pericolsa indisciplina, di non voler rinunciare alla "tendenza repubblicana" e di partecipare attivamente alle manifestazioni monarchiche». '''
De Ambris espresse la natura del suo antifascismo in un noto articolo: ''l'evolution du Fascisme'' pubblicato su ''Le Mercure de France'' nel numero del 15 febbraio-15 marzo 1923. <ref>Serventi Longhi Op.cit.</ref> In questo articolo il sindacalista denuncia la degenerazione violenta e classista del [[Fascismo]] e il suo carattere reazionario. Riconosce al movimento il merito di avere in un primo tempo combattuto vittoriosamente il bolscevismo italiano ma dichiara che già all'epoca si intravvedevano le contraddizioni che avrebbero minato il futuro del nuovo partito di governo che egli individuava nell''''«ambiguità che gli ha permesso di dichiararsi a parole ultraindividualista e di appoggiarsi di fatto alle masse organizzate, di disprezzare verbalmente il parlamentarismo e di cercare di conquistare seggi elettorali, di esaltare lo Stato forte e di farsene beffa violando continuamente e impunemente le sue leggi, di predicare la disciplina assoluta e quasi mistica e di tollerare nei suoi ranghi la più pericolsa indisciplina, di non voler rinunciare alla "tendenza repubblicana" e di partecipare attivamente alle manifestazioni monarchiche». '''


Questa ambiguità, secondo De Ambris, non avrebbe potuto continuare perché nascondeva, dietro una proditoria demagogia, un sostanziale conservatorismo. Essa era anche testimoniata dal perdurare di conflitti e di episodi di violenza anche personale con gli imprenditori che non rispettavano i patti sottoscritti con il [[corporativismo|sindacato fascista]] e che dimostravano la difficoltà di contenere le rivendicazioni operaie nel quadro del supremo interesse nazionale. Tuttavia il Partito non aveva ancora attuato la fascistizzazione dello Stato che avverrà solo nel [[1925]] e non era ancora esclusa la possibilità che le pressioni delle masse, che si erano mobilitate attorno al movimento e i lavoratori potessero spingere il Regime ad un ritorno agli ideali delle origini. Fu per questo che personalità fasciste che, in passato erano state vicine a De Ambris, cercarono di coinvolgerlo - pensando addirittura ad incarichi istituzionali - nella costruzione del Regime soprattutto in riferimento alla realizzazione del Corporativismo. «La speranza di coinvolgere De Ambris convinse lo stesso Mussolini dell'opportunità di inviare un emissario prestigioso per intavolare trattative dirette, il celebre scrittore e giornalista Kurt Erich Suckert, anche noto come Curzio Malaparte. Il capo del governo [...] sapeva che molti quadri sindacali delle confederazioni fasciste e parte del mondo legionario ancora avevano in De Ambris un innegabile riferimento morale, che consigliava di concedergli una funzione direttiva». <ref>Serventi Longhi. Op.cit.</ref>  
Questa ambiguità, secondo De Ambris, non avrebbe potuto continuare perché nascondeva, dietro una proditoria demagogia, un sostanziale conservatorismo. Essa era anche testimoniata dal perdurare di conflitti e di episodi di violenza anche personale con gli imprenditori che non rispettavano i patti sottoscritti con il [[corporativismo|sindacato fascista]] e che dimostravano la difficoltà di contenere le rivendicazioni operaie nel quadro del supremo interesse nazionale. Tuttavia il Partito non aveva ancora attuato la fascistizzazione dello Stato che avverrà solo nel [[1925]] e non era ancora esclusa la possibilità che le pressioni delle masse, che si erano mobilitate attorno al movimento e i lavoratori potessero spingere il Regime ad un ritorno agli ideali delle origini. Fu per questo che personalità fasciste che, in passato erano state vicine a De Ambris, cercarono di coinvolgerlo - pensando addirittura ad incarichi istituzionali - nella costruzione del Regime soprattutto in riferimento alla realizzazione del Corporativismo. «La speranza di coinvolgere De Ambris convinse lo stesso Mussolini dell'opportunità di inviare un emissario prestigioso per intavolare trattative dirette, il celebre scrittore e giornalista Kurt Erich Suckert, anche noto come Curzio Malaparte. Il capo del governo [...] sapeva che molti quadri sindacali delle confederazioni fasciste e parte del mondo legionario ancora avevano in De Ambris un innegabile riferimento morale, che consigliava di concedergli una funzione direttiva». <ref>Serventi Longhi. Op.cit.</ref>  
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