Alceste De Ambris: differenze tra le versioni

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Per esaminare la concezione che aveva De Ambris del [[sindacalismo rivoluzionario]] ci serviamo di un suo opuscolo pubblicato nel [[1907]] dal titolo ''l'Azione diretta'' <ref>Alceste De Ambris.'' l'Azione diretta. Pagine di propaganda elementare sindacalista.'' Parma 1907. Tipografia cooperativa''.</ref>:'': «Il nostro sindacalismo -esordisce- non deriva da una logica astratta, ma dall'insegnamento pratico dei fatti". È figlio degli scioperi generali che hanno affermato la potenza proletaria mentre coloro che erano i rappresentanti dei lavoratori in parlamento rimanevano indifferenti o, peggio, si manifestavano ostili a questo germogliare dell'azione diretta. "Il socialismo -egli scrive- ha abbandonato poco a poco il suo carattere rigidamente proletario e rivoluzionario per impaludarsi nel legalitarismo democratico e nell'umanitarismo borghese cui sacrificava gli interessi di classe. Questa degenerazione non poteva trovare il consenso di coloro che non vogliono dimenticare quale deve essere il carattere specifico dell'azione socialista. Perciò sorse ed ebbe vita il Sindacalismo, inteso soprattutto a richiamare il movimento socialista alle sue origini puramente proletarie».  
Per esaminare la concezione che aveva De Ambris del [[sindacalismo rivoluzionario]] ci serviamo di un suo opuscolo pubblicato nel [[1907]] dal titolo ''l'Azione diretta'' <ref>Alceste De Ambris.'' l'Azione diretta. Pagine di propaganda elementare sindacalista.'' Parma 1907. Tipografia cooperativa''.</ref>:'': «Il nostro sindacalismo -esordisce- non deriva da una logica astratta, ma dall'insegnamento pratico dei fatti". È figlio degli scioperi generali che hanno affermato la potenza proletaria mentre coloro che erano i rappresentanti dei lavoratori in parlamento rimanevano indifferenti o, peggio, si manifestavano ostili a questo germogliare dell'azione diretta. "Il socialismo -egli scrive- ha abbandonato poco a poco il suo carattere rigidamente proletario e rivoluzionario per impaludarsi nel legalitarismo democratico e nell'umanitarismo borghese cui sacrificava gli interessi di classe. Questa degenerazione non poteva trovare il consenso di coloro che non vogliono dimenticare quale deve essere il carattere specifico dell'azione socialista. Perciò sorse ed ebbe vita il Sindacalismo, inteso soprattutto a richiamare il movimento socialista alle sue origini puramente proletarie».  


l'azione sindacalista -per De Ambris- è nello stesso tempo lotta economica per l'emancipazione dei lavoratori e lotta politica contro l'organizzazione capitalista dello [[Stato]]. Egli, nel solco della tradizione socialista rivoluzionaria, considera lo [[Stato]] come la forma specifica della dominazione borghese sul [[proletariato]] poiché le sue leggi sono sempre dirette alla conservazione dell'ordine presente, alla difesa della [[proprietà privata]], ad affermare l'intangibilità del privilegio capitalistico. Perciò è necessario «che il proletariato -mentre combatte la lotta capitalistica- non si stanchi di aggredire e di disorganizzare cotesta macchina borghese, indebolendola quanto più è possibile e disgregandone con ogni mezzo i congegni, poiché indebolendo lo Stato ed infrangendone gli ingranaggi, si indebolisce e si infrange la più valida difesa della borghesia». Lo strumento che il [[proletariato]] ha nelle sue mani per combattere e vincere questa lotta è il [[movimento operaio|sindacato operaio]]. Scrive infatti De Ambris che il sindacato operaio è l'unico organismo capace di accogliere l'intera classe lavoratrice disciplinandone le forze per lo scopo immediato della conquista di migliori condizioni di vita, senza però dimenticare la finalità più vasta e più lontana della [[Rivoluzione sociale]]. Nel più puro spirito soreliano, per De Ambris, sarà lo [[sciopero generale]] lo strumento che «coronerà in un epico momento la terribile lotta che la classe lavoratrice combatte contro la classe borghese... Noi siamo consci -scrive De Ambris- di ciò che Carlo Marx ha lapidariamente dimostrato: che tutte le sovrastrutture politiche, giuridiche e morali poggiano sul fondamento economico "perciò noi che vogliamo distrutto questo mostruoso edificio di iniquità che è l'ordine presente dobbiamo minarne anzitutto le fondamenta, attaccare la società borghese nel suo privilegio essenziale da cui derivano tutti gli altri privilegi».  
l'azione sindacalista -per De Ambris- è nello stesso tempo lotta economica per l'emancipazione dei lavoratori e lotta politica contro l'organizzazione capitalista dello [[Stato]]. Egli, nel solco della tradizione socialista rivoluzionaria, considera lo [[Stato]] come la forma specifica della dominazione borghese sul [[proletariato]] poiché le sue leggi sono sempre dirette alla conservazione dell'ordine presente, alla difesa della [[proprietà privata]], ad affermare l'intangibilità del privilegio capitalistico. Perciò è necessario «che il proletariato -mentre combatte la lotta capitalistica- non si stanchi di aggredire e di disorganizzare cotesta macchina borghese, indebolendola quanto più è possibile e disgregandone con ogni mezzo i congegni, poiché indebolendo lo Stato ed infrangendone gli ingranaggi, si indebolisce e si infrange la più valida difesa della borghesia». Lo strumento che il [[proletariato]] ha nelle sue mani per combattere e vincere questa lotta è il [[movimento operaio|sindacato operaio]]. Scrive infatti De Ambris che il sindacato operaio è l'unico organismo capace di accogliere l'intera classe lavoratrice disciplinandone le forze per lo scopo immediato della conquista di migliori condizioni di vita, senza però dimenticare la finalità più vasta e più lontana della [[Rivoluzione sociale]]. Nel più puro spirito soreliano, per De Ambris, sarà lo [[sciopero generale]] lo strumento che «coronerà in un epico momento la terribile lotta che la classe lavoratrice combatte contro la classe borghese... Noi siamo consci -scrive De Ambris- di ciò che Carlo Marx ha lapidariamente dimostrato: che tutte le sovrastrutture politiche, giuridiche e morali poggiano sul fondamento economico "perciò noi che vogliamo distrutto questo mostruoso edificio di iniquità che è l'ordine presente dobbiamo minarne anzitutto le fondamenta, attaccare la società borghese nel suo privilegio essenziale da cui derivano tutti gli altri privilegi».  


I detentori dei mezzi di produzione e di scambio, possono imporre a coloro che non hanno altra ricchezza che le proprie braccia, un salario che è sempre inferiore al valore dell'opera prestata appropriandosi della differenza. La [[lotta di classe]] è dunque lotta essenzialmente economica, che tende a ridurre a proprozioni sempre minori il [[capitalismo|profitto capitalistico]], la cui limitazione va intesa come una espropriazione parziale [[anti-capitalismo|anticapitalistica]], allo scopo di prepararne l'espropriazione totale. Le Leghe, le Federazioni di mestiere, le Camere del lavoro sono le fucine nelle quali si "forgia" e si "tempra" la coscienza proletaria, cioè la consapevolezza di questa realtà e la volontà del suo abbattimento. È in queste organizzazioni di resistenza che si crea l'anima nuova, ribelle ed audace del [[proletariato]] che si spoglia del servilismo indotto da secoli di dominio, acquisendo una dignità prima sconosciuta. Ma perché questo avvenga è necessario che il sindacato superi il gretto [[corporativismo]] e diffonda il concetto vivificatore della negazione dell'ordine esistente affinché le masse proletarie allarghino i propri orizzonti e abbraccino la lotta di classe, per la loro definitiva emancipazione. Con lo [[sciopero generale]], che sarà l'ultimo gesto di battaglia, sarà vinta la guerra della classe proletaria. Esso «segnerà il passaggio del potere economico -e conseguentemente del potere politico e legale- dalle mani del capitalismo alle mani del proletariato. Contro il capitalismo, contro lo stato... contro tutto ciò che incarna o sostiene il triste passato e il doloroso presente -dichiara De Ambris- noi risolleviamo la vecchia bandiera della gloriosa Internazionale, nel cui drappo fiammante sta scritto che l'emancipazione del lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi».
I detentori dei mezzi di produzione e di scambio, possono imporre a coloro che non hanno altra ricchezza che le proprie braccia, un salario che è sempre inferiore al valore dell'opera prestata appropriandosi della differenza. La [[lotta di classe]] è dunque lotta essenzialmente economica, che tende a ridurre a proprozioni sempre minori il [[capitalismo|profitto capitalistico]], la cui limitazione va intesa come una espropriazione parziale [[anti-capitalismo|anticapitalistica]], allo scopo di prepararne l'espropriazione totale. Le Leghe, le Federazioni di mestiere, le Camere del lavoro sono le fucine nelle quali si "forgia" e si "tempra" la coscienza proletaria, cioè la consapevolezza di questa realtà e la volontà del suo abbattimento. È in queste organizzazioni di resistenza che si crea l'anima nuova, ribelle ed audace del [[proletariato]] che si spoglia del servilismo indotto da secoli di dominio, acquisendo una dignità prima sconosciuta. Ma perché questo avvenga è necessario che il sindacato superi il gretto [[corporativismo]] e diffonda il concetto vivificatore della negazione dell'ordine esistente affinché le masse proletarie allarghino i propri orizzonti e abbraccino la lotta di classe, per la loro definitiva emancipazione. Con lo [[sciopero generale]], che sarà l'ultimo gesto di battaglia, sarà vinta la guerra della classe proletaria. Esso «segnerà il passaggio del potere economico -e conseguentemente del potere politico e legale- dalle mani del capitalismo alle mani del proletariato. Contro il capitalismo, contro lo stato... contro tutto ciò che incarna o sostiene il triste passato e il doloroso presente -dichiara De Ambris- noi risolleviamo la vecchia bandiera della gloriosa Internazionale, nel cui drappo fiammante sta scritto che l'emancipazione del lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi».
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Ma queste trattative non ebbero alcun esito e in seguito ad una serie di avvenimenti, tra cui il delitto Matteotti, le posizioni antifasciste di De Ambris andarono sempre più consolidandosi. Egli divenne un attivista delle organizzazioni antifasciste degli esuli italiani in [[Francia]] svolgendo all'interno di esse diversi ruoli. Fu quindi oggetto dell'accanimento e della vendetta da parte del Regime ed in particolare di quei fascisti intransigenti che gli rimproveravano di aver contrastato il fascismo sul suo stesso terreno. Questi chiesero espressamente a Mussolini la radiazione dallo Stato civile di De Ambris. Ciò provocò un forte disagio personale al protagonista di molta parte della storia del suo paese il quale scrisse nella sue Memorie: ''«Dalla fine del 1922 sono in Francia, nel mio terzo esilio. Il costante rifiuto da me opposto a diversi tentativi fatti da Mussolini, a mezzo dei suoi emissari, per farmi aderire al fascismo e il vigore della mia opera antifascista mi hanno valso l'onore di vedermi tolta la nazionalità italiana, con decreto regio del 1925: sono ormai un [...]senza patria. Così il mio stato di servizio è completo: 55 anni, dei quali 17 passati in esilio, un numero considerevole di imprigionamenti di cui non ho parlato per brevità, 43 condanne politiche, e finalmente la privazion e della cittadinanza della mia patria, per la quale ho combattuto durante tre anni di guerra come volontario».'' <ref>Memorie autobiografiche di Alceste De Ambris in Serventi Longhi. Op.cit.</ref>
Ma queste trattative non ebbero alcun esito e in seguito ad una serie di avvenimenti, tra cui il delitto Matteotti, le posizioni antifasciste di De Ambris andarono sempre più consolidandosi. Egli divenne un attivista delle organizzazioni antifasciste degli esuli italiani in [[Francia]] svolgendo all'interno di esse diversi ruoli. Fu quindi oggetto dell'accanimento e della vendetta da parte del Regime ed in particolare di quei fascisti intransigenti che gli rimproveravano di aver contrastato il fascismo sul suo stesso terreno. Questi chiesero espressamente a Mussolini la radiazione dallo Stato civile di De Ambris. Ciò provocò un forte disagio personale al protagonista di molta parte della storia del suo paese il quale scrisse nella sue Memorie: ''«Dalla fine del 1922 sono in Francia, nel mio terzo esilio. Il costante rifiuto da me opposto a diversi tentativi fatti da Mussolini, a mezzo dei suoi emissari, per farmi aderire al fascismo e il vigore della mia opera antifascista mi hanno valso l'onore di vedermi tolta la nazionalità italiana, con decreto regio del 1925: sono ormai un [...]senza patria. Così il mio stato di servizio è completo: 55 anni, dei quali 17 passati in esilio, un numero considerevole di imprigionamenti di cui non ho parlato per brevità, 43 condanne politiche, e finalmente la privazion e della cittadinanza della mia patria, per la quale ho combattuto durante tre anni di guerra come volontario».'' <ref>Memorie autobiografiche di Alceste De Ambris in Serventi Longhi. Op.cit.</ref>


Dopo l'emanazione nel [[1925]] da parte del Regime delle leggi eccezionali, dette "fascistissime", arrivarono esuli in Francia i principali leader italiani dei partiti democratici, socialisti e dei sindacati. l'[[antifascismo]] italiano in esilio divenne una comunità variegata e complessa costituita da correnti e organizzazioni spesso in conflitto tra loro. Una di queste organizzazioni era la Lega Italiana dei Diritti dell'Uomo di cui De Ambris era stato uno dei principali animatori. Nel [[1927]] si sentì l'esigenza di creare una discontinuità con la fase precedente, caratterizzata dall'azione spesso indisciplinata ,confusa e velleitaria e di iniziare un nuovo corso dell'emigrazione politica più organico ed unitario dando vita a Parigi alla ''Concentrazione antifascista''. La LIDU aderì all'organizzazione, conservando tuttavia le sue caratteristiche consistenti prevalentemente nel dare assistenza giuridica e logistica ai fuoriusciti. In questo nuovo contesto l'azione di De Ambris divenne più pregnante dal punto di vista della discussione politica e dell'individuazione degli obiettivi che l'[[antifascismo]] doveva porsi, non tanto rispetto al dopo - cioè alla natura del sistema politico che avrebbe dovuto instaurarsi dopo la caduta del Fascismo - ma all'oggi, riguardo, cioé, a quello che era necessario fare per combatterlo. In merito a questo le posizioni di De Ambris andarono sempre più distinguendosi da quelle della maggior parte delle forze che facevano parte della ''Concentrazione  '' e soprattutto da quelle della LIDU di cui era segretario che, nonostante i suoi sforzi, non era riuscita ad affrancarsi - secondo la sua opinione - dal ruolo di ente burocratico ed assistenziale che ostacolava la concezione rivoluzionaria dell'antifascismo. Per queste ragioni il 15 novembre 1932, si dimise da segretario dell'organizzazione - rimanendone semplice militante - con queste parole: "[Le mie convinzioni] mi fanno considerare la LIDU come una formazione di combattimento, piuttosto che come una succursale dell'Esercito della Salvezza". <ref>Serventi Longhi. Op.cit.</ref>
Dopo l'emanazione nel [[1925]] da parte del Regime delle leggi eccezionali, dette "fascistissime", arrivarono esuli in Francia i principali leader italiani dei partiti democratici, socialisti e dei sindacati. l'[[antifascismo]] italiano in esilio divenne una comunità variegata e complessa costituita da correnti e organizzazioni spesso in conflitto tra loro. Una di queste organizzazioni era la Lega Italiana dei Diritti dell'Uomo di cui De Ambris era stato uno dei principali animatori. Nel [[1927]] si sentì l'esigenza di creare una discontinuità con la fase precedente, caratterizzata dall'azione spesso indisciplinata ,confusa e velleitaria e di iniziare un nuovo corso dell'emigrazione politica più organico ed unitario dando vita a Parigi alla ''Concentrazione antifascista''. La LIDU aderì all'organizzazione, conservando tuttavia le sue caratteristiche consistenti prevalentemente nel dare assistenza giuridica e logistica ai fuoriusciti. In questo nuovo contesto l'azione di De Ambris divenne più pregnante dal punto di vista della discussione politica e dell'individuazione degli obiettivi che l'[[antifascismo]] doveva porsi, non tanto rispetto al dopo - cioè alla natura del sistema politico che avrebbe dovuto instaurarsi dopo la caduta del Fascismo - ma all'oggi, riguardo, cioé, a quello che era necessario fare per combatterlo. In merito a questo le posizioni di De Ambris andarono sempre più distinguendosi da quelle della maggior parte delle forze che facevano parte della ''Concentrazione  '' e soprattutto da quelle della LIDU di cui era segretario che, nonostante i suoi sforzi, non era riuscita ad affrancarsi - secondo la sua opinione - dal ruolo di ente burocratico ed assistenziale che ostacolava la concezione rivoluzionaria dell'antifascismo. Per queste ragioni il 15 novembre 1932, si dimise da segretario dell'organizzazione - rimanendone semplice militante - con queste parole: "[Le mie convinzioni] mi fanno considerare la LIDU come una formazione di combattimento, piuttosto che come una succursale dell'Esercito della Salvezza". <ref>Serventi Longhi. Op.cit.</ref>


== Un uomo di pensiero e un gran combattente ==
== Un uomo di pensiero e un gran combattente ==
Proprio  due giorni dopo le dimissioni da segretario della LIDU, nel quadro dell'amnistia per il decennale della marcia su Roma, entrò in vigore un  Regio decreto che restituì a De Ambris - e ad altri sedici antifascisti a cui era stata tolta - la cittadinanza a tutti gli effetti. Egli fece sapere ai suoi familiari in Italia di volersi allontanare da Parigi dove operavano le organizzzaioni dell'antifascismo ufficiale. Questa scelta di defilarsi dal movimento ufficiale e il fatto che il Regime gli avesse restituito la cittadinanza fece circolare la voce di un riavvicinamento di De Ambris alla sinistra fascista. Cosa che l'interessato smentì nel modo più categorico. Anzi egli si preparava a nuove battaglie. Allontanatosi ormai definitivamente dalla ideologia dell'antifascismo dei partiti democratrici e socialisti, invischiato - a suo parere - in una logica vittimistica e parolaia, si riproponeva di fondare un nuovo movimento sulla base della Carta del Carnaro, della pianificazione economica e dell'ordine corporativo. Anche se ormai il termine era stato fatto proprio dal Regime fascista egli ne rivendicava comunque la paternità ed era pronto ad usare questa bandiera per mobiltare tutte le forze che volevano superare la concezione marxista e ridefinire il ruolo dello Stato nel rapporto tra le classi. La sua idea era che il Corporativismo fosse l'unico strumento per andare oltre il tradizionale parlamentarismo ma che non fosse possibile realizzarlo senza la libertà e senza un'articolazione federale e comunalista dell'organizzazione statale. De Ambris convinse un certo numero di militanti che erano vicini a lui a raccogliersi intorno al progetto di una rivista che doveva essere autonoma, svincolata da ogni organizzazione e che avrebbe dovuto farsi portavoce di un originale movimento "corporativista" antifascista. Questa rivista avrebbe dovuto chiamarsi "La Vigilia" e avrebbe dovuto presentare un programma rivoluzionario su tre punti: questione agraria, federalismo e corporativismo. Preoccupati di una eventuale fuoriuscita dall'organizzazione dei militanti che avevano aderito al progetto o di una scissione i dirigenti della Lega vollero organizzare una riunione per conoscere le intenzioni del gruppo riunito intorno a De Ambris. La riunione si tenne a Brive a casa di De Ambris il 9 dicembre 1934. Ma durante l'accesa discussione, in seguito ad un malore improvviso, De Ambris morì.
Proprio  due giorni dopo le dimissioni da segretario della LIDU, nel quadro dell'amnistia per il decennale della marcia su Roma, entrò in vigore un  Regio decreto che restituì a De Ambris - e ad altri sedici antifascisti a cui era stata tolta - la cittadinanza a tutti gli effetti. Egli fece sapere ai suoi familiari in Italia di volersi allontanare da Parigi dove operavano le organizzzaioni dell'antifascismo ufficiale. Questa scelta di defilarsi dal movimento ufficiale e il fatto che il Regime gli avesse restituito la cittadinanza fece circolare la voce di un riavvicinamento di De Ambris alla sinistra fascista. Cosa che l'interessato smentì nel modo più categorico. Anzi egli si preparava a nuove battaglie. Allontanatosi ormai definitivamente dalla ideologia dell'antifascismo dei partiti democratrici e socialisti, invischiato - a suo parere - in una logica vittimistica e parolaia, si riproponeva di fondare un nuovo movimento sulla base della Carta del Carnaro, della pianificazione economica e dell'ordine corporativo. Anche se ormai il termine era stato fatto proprio dal Regime fascista egli ne rivendicava comunque la paternità ed era pronto ad usare questa bandiera per mobiltare tutte le forze che volevano superare la concezione marxista e ridefinire il ruolo dello Stato nel rapporto tra le classi. La sua idea era che il Corporativismo fosse l'unico strumento per andare oltre il tradizionale parlamentarismo ma che non fosse possibile realizzarlo senza la libertà e senza un'articolazione federale e comunalista dell'organizzazione statale. De Ambris convinse un certo numero di militanti che erano vicini a lui a raccogliersi intorno al progetto di una rivista che doveva essere autonoma, svincolata da ogni organizzazione e che avrebbe dovuto farsi portavoce di un originale movimento "corporativista" antifascista. Questa rivista avrebbe dovuto chiamarsi "La Vigilia" e avrebbe dovuto presentare un programma rivoluzionario su tre punti: questione agraria, federalismo e corporativismo. Preoccupati di una eventuale fuoriuscita dall'organizzazione dei militanti che avevano aderito al progetto o di una scissione i dirigenti della Lega vollero organizzare una riunione per conoscere le intenzioni del gruppo riunito intorno a De Ambris. La riunione si tenne a Brive a casa di De Ambris il 9 dicembre 1934. Ma durante l'accesa discussione, in seguito ad un malore improvviso, De Ambris morì.


== Note ==
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